Game Boy: The Box Art Collection


Game Boy. Mai così tanti dovettero così tanto a una così piccola console

Game Boy: The Box Art Collection, con le sue meravigliose illustrazioni e testi a commento, riesce nel difficile compito di comunicare l’essenza del “fenomeno” della console portatile Nintendo Game Boy.

Così come il Sony Walkman ha rappresentato una rivoluzione per l’ascolto della musica, altrettanto rivoluzionaria è stata la Nintendo Game Boy per i videogiochi.

Per ogni giocatore “veterano” come me, che non ha mai smesso di stringere un joypad tra le mani dai tempi della Mattel Intellivision, questo libro riesce in un piccolo miracolo: emoziona, innescando ricordi e reminiscenze, ma non solo. Conserva viva la passione e la riaccende rivelando nuove opportunità di scoperta.

Leggendo le parole “Game Boy” sull’elegante copertina rigida mi balza all’istante un ricordo: è il giorno in cui mio fratello e io regalammo a nostra sorella questa console portatile e la cartuccia del gioco Tetris in occasione del suo ottavo compleanno.

Tetris è la migliore “killer app” per qualsiasi console finora commercializzata. Game Boy e Tetris insieme sono una combinazione ad altissimo livello di “tossicità” da FUEPS: Faccio l’Ultima e Poi Smetto.

Non si può negare che la lettura di Game Boy: The Box Art Collection rischi di fare annegare nella pozzanghera di nostalgia-nostalgia-canaglia.

Come nel primo libro della collana The Box Art Collection, dedicato alla Super Nintendo, anche questo volume utilizza delle splendide immagini delle copertine a tutta pagina con un breve testo di commento. Sfogliare le pagine mette in moto una “macchina del tempo” per chi ha posseduto la console e trascorso tante ore a giocarvi. Attraverso le illustrazioni delle copertine dei videogiochi se ne dipana il racconto.

Dalle origini dei videogiochi le copertine delle scatole hanno un ruolo essenziale nella decisione di acquisto.

Negli Ottanta e Novanta marginale è il contributo delle foto delle schermate pubblicate sulle riviste specializzate: sono scarsamente definite e una diafana rappresentazione di un unico aspetto del videogioco, la grafica.

Sono le copertine a creare il contesto, ad aiutare il videogiocatore a colmare con l’immaginazione le lacune evidenti di una grafica fatta di grossolani pixel e pochi colori a schermo.

L’illustrazione ha la potenzialità di creare una relazione immediata tra prodotto e consumatore, semplicemente a colpo d’occhio. Nell’aspetto visuale della confezione convergono estetica, comunicazione, design, marketing e – per i videogiochi – innovazione, tecnologia e potere evocativo dell’esperienza di gioco.

“Shelf appeal” è il termine usato nel “package design”: l’illustrazione sintetizza in un istante la comunicazione che riesce a fare avvenire la scelta tra tanti altri prodotti sullo scaffale.

Se la creazione di una relazione immediata tra il consumatore e il prodotto è uno degli elementi più importanti per qualsiasi confezione, per i primi videogiochi è essenziale: rappresenta la connessione tra l’immaginazione e il momento in cui si infila la cartuccia nella console, si spinge il tasto “ON” e lo schermo mostra un universo fino a quel momento fantasticato e ora direttamente sperimentabile.

Le illustrazioni delle scatole dei videogiochi erano degli strumenti di marketing, comunicazione e vendita come lo sono oggi la pubblicità e i social media.

Fino alla diffusione della Rete qualunque videogiocatore è stato attirato dall’illustrazione sulla scatola di un videogioco in un grande magazzino o in un negozio di giocattoli. Ha preso tra le mani la scatola, l’ha girata e rigirata, sbirciandone le piccole schermate rappresentate sul retro. Ha deciso quindi di acquistare senza leggerne recensioni o guardare il “gameplay” su Youtube o Twitch o curarsi del passaparola sui social network.

Avvicinarsi alla lettura di questo libro con un approccio esclusivamente nostalgico è quindi inutilmente limitante e non rende giustizia al lavoro accurato e appassionato degli autori.

Lasciamo stare i “fantasmi” del passato e proviamo invece a esplorare le trecento settantaquattro pagine di carta pregiata, che illustrano e raccontano di trecento quarantasette videogiochi occidentali e giapponesi, molti di questi ultimi mai giunti in Occidente. Vi si possono riconoscere titoli di “franchise” popolari (Zelda, Metroid, Super Mario, Donkey Kong,, Mega Man, Castlevania, Gradius, Final Fantasy), come anche vi si possono scoprire delle piccole gemme o imbattersi – per i gusti occidentali – in titoli bizzarri.

Il libro è un racconto illustrato della storia dei giochi di una console che ha fatto la Storia dei Videogiochi.

Dopo avere descritto la storia della console in tredici pagine dense di informazioni, ogni pagina è dedicata a un gioco: una fotografia della confezione di grandi dimensioni, un sintetico testo che informa sul gioco e commenta l’illustrazione; in basso alla pagina alcune schermate del gioco.

Si tratta di una scelta editoriale coerente con questo genere di libri, i cosiddetti “Coffee table Book” o “libri da tavolino” ovvero un libro destinato essenzialmente alla visualizzazione durante la lettura, menzionato per la prima volta nel 1581 da uno dei più importanti filosofi francesi del Rinascimento, Michel de Montaigne. La reinvenzione moderna di questo concetto è attribuita a David Brower, un famoso ambientalista e fondatore di molte organizzazioni ambientaliste tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta.

Brower wanted “a page size big enough to carry a given image’s dynamic. The eye,” he explained, “must be required to move about within the boundaries of the image, not encompass it all in one glance.”

Brower desiderava “una pagina di dimensioni sufficienti per trasmettere la dinamica dell’immagine. L’occhio” ha spiegato, “deve potersi muovere all’interno dei confini dell’immagine, non coglierla tutta insieme in un solo sguardo.”.

cit. Nature on the Coffee Table

Game Boy: The Box Art Collection interpreta alla perfezione questo concetto.

Spesso questo genere editoriale risulta eccessivamente didascalico se utilizza immagini e testi come “riempitivo”: il racconto perciò è monotono e privo di vivacità. Game Boy: The Box Art Collection può invece essere un racconto appassionante e interessante, a patto di non rinunciare al piacere della “scoperta”: l’approccio che dà valore a questa lettura è la ricerca di ulteriori informazioni. Una ricerca non senza un pericolo in agguato: i videogiocatori con il “vizio” del collezionismo rischiano di essere risucchiati in una spirale ossessiva e compulsiva di acquisto.

Hokuto no Ken. Lo voglio! Circa venti giorni dopo mi è stato recapitato un pacchetto dal Giappone.

L’editore britannico Bitmap Books, fondato da Sam Dyer, graphic designer, racconta gli anni dei primi home computer e console attraverso libri illustrati, dai materiali di pregio e assai rifiniti, in due collane:

  • The Box Art Collection, due libri dedicati a: Super Famicom e Game Boy

L’effetto complessivo è una “macchina del tempo”, che ha una valenza personale, secondo l’esperienza video-ludica del lettore, e una valenza didascalica della storia di un’industria che nel giro di poco più di trenta anni è passata da una produzione dai tratti pionieristici e “artigianali” a un giro d’affari di oltre novanta miliardi di dollari con una stima di crescita continua. Colpisce il fatto che il racconto del passato “artigianale” di videogiochi sviluppati in un garage da due persone, tipicamente un programmatore e un’artista grafico/musicista, oggi suona attuale grazie alla ribalta e la qualità delle produzioni “indie” come quelle descritte tra queste pagine: To the Moon, Finding Paradise, Floating Cloud God Saves The Pilgrims, Journey, Rain, Never Alone.

Rispetto al primo volume della collana dedicato al Super Famicom, Game Boy: The Box Art Collection, pure presentando un altrettanto ricca selezione di videogiochi, ne enfatizza maggiormente l'”art design”.

Entrambe le console Nintendo sono state dei successi commerciali molto importanti. L’elevata diffusione mondiale ha contribuito anche a una ricca produzione di videogiochi.

Il volume dedicato alla Super Famicom presenta una selezione di videogiochi tra i più popolari “franchise”, un discreto numero dei quali distribuiti solo in Giappone. Due sono i punti di forza: alcune copertine che sarebbero state rifiutate dai distributori italiani prima ancora che da un’ipotetico organo di censura, un “art design” delle copertine giapponesi costantemente una spanna sopra a quelle occidentali.

Pri Pri, un gioco del genere “puzzle. Con quell’ammiccante signorina sulla copertina non avrebbe passato la “censura” di mia madre. Vaglielo a spiegare che nel gioco comandi il tamarro delle caverne in primo piano (che invero non avevo notato al primo colpo d’occhio)

In Game Boy: The Box Art Collection, indipendentemente dalle qualità tecniche e d’intrattenimento o dalla popolarità dei videogiochi illustrati, sono le immagini delle copertine l’autentico filo conduttore: la selezione è in base a un criterio di ricerca e racconto dell'”art design”.

Vi sono illustrazioni e videogiochi che vanno incontro alle preferenze tipicamente occidentali:

  • lo xenomorfo e il Predator che combattono sulla copertina di Alien vs. Predator The Last of His Clan
  • la replica della campagna pubblicitaria cinematografica del film Batman Forever di Joel Schumacher per la copertina del suo adattamento video-ludico sul più piccolo degli schermi
  • il folle e irridente Joker ritratto sulla copertina di Batman Return of the Joker

Se le confezioni dei videogiochi occidentali prediligono un’estetica omogenea e standardizzata, i giapponesi sono più inclini alla sperimentazione.

Come in Super Famicom:The Box Art Collection il confronto dell’illustrazione giapponese con quella occidentale dello stesso videogioco ha un risultato calcistico che alle scommesse sarebbe pagato profumatamente: Giappone. batte “All Stars” Resto del Mondo 3 a 0.

La serie Double Dragon, che ha inaugurato il genere dei picchiaduro a scorrimento, ne è un esempio.

Double Dragon 3 non è certo un inno all’eleganza e alle buone maniere, ma la copertina sembra progettata per un “B-movie” di infima fattura. Per certi versi è un’interpretazione coerente con il gioco.

Double Dragon 3, la copertina occidentale sembra progettata per un B-movie di infima fattura

La copertina per il mercato giapponese del primo capitolo di Double Dragon per Game Boy è di tutt’altro livello: strizza l’occhio ai manga di Tetsuo Hara (Hokuto no Ken) e le forme della donna di spalle in primo piano – ammesso che sia una donna – non avrebbero passato la “censura” dei principali decisori di acquisto, cioè genitori, zii e nonni.

Se pensate che stia esagerando, ricordo che a distanza di ventisei anni c’è ancora chi pronuncia “Siga” il nome della società giapponese SEGA grazie alla “pruderie” di certa distribuzione nazionale che nella pubblicità della console Sega Mega Drive ne faceva storpiare il nome dell’azienda produttrice per evitare associazioni all’auto-erotismo.

Vi si possono trovare titoli mai giunti in Occidente e, nella maggiore parte dei casi, a causa della barriera linguistica, rappresentano ancora un “oggetto del desiderio”.

Maikamura Gaiden: The Demon Darkness, serie nota in Occidente come Gargoyle’s Quest, “spin-off” della serie dalla difficoltà più bastarda di tutti i tempi, Ghosts ‘n Goblins e Ghouls ‘n Ghosts, non è mai stato importato in Occidente.

SaGa, una serie di giochi di ruolo che a oggi conta dieci titoli principali e si contraddistingue per un’ambientazione “open world” e una complessa ramificazione dei rapporti tra i personaggi, riceve il suo battesimo proprio sulla piccola console Nintendo con Makai Toushi SaGa nel 1989: è anche il primo gioco di ruolo pubblicato per Game Boy. Per esigenze di marketing, in Occidente viene distribuito con il titolo The Final Fantasy Legend poiché il marchio Final Fantasy gode già di una buona notorietà sopratutto negli USA.

Le illustrazioni di Maikamura Gaiden e Makai Toushi SaGa sono una goduria per gli occhi e lanciano la fantasia al galoppo sfrenato.

Via via che si sfogliano le pagine, la nostalgia iniziale cede il passo a una miscela di sensazioni tra il rammarico delle occasioni (di buon gioco) mancate e l’invidia (per il videogiocatore giapponese) fino a sfociare in un sordo rancore nei confronti degli editori e dei distributori, che hanno stabilito che un certo titolo non fosse adatto a noi mentecatti gaijin.

Aoki Densetsu Shoot! rientra tra le “simulazioni” di calcio ispirate dai cartoni animati a tema sportivo come Holly e Benji (il titolo originale del manga da cui è tratta la serie animata è Capitan Tsubasa). La serie animata di Aoki Densetsu Shoot!, anch’essa tratta da un manga, è stata trasmessa in Italia su Canale 5 nel 1995 con il titolo Alé alé alé o-o.

In Giappone passare dal manga all’anime e al videogioco è naturale come bere un bicchiere d’acqua.

Più realistica di Capitan Tsubasa e di altre similari, il videogioco è comunque anni luce distante dalle “simulazioni” di calcio contemporanee sviluppate in Europa. Un appassionato di calcio che si fosse avvicinato a Aoki Densetsu Shoot! pensando di ottenere lo stesso risultato a schermo di Kick Off o di Sensible Soccer avrebbe preso un colossale abbaglio. La scelta di non esportare questo gioco al di fuori della terra nipponica fu probabilmente dettata dalla valutazione che noi gaijin non eravamo pronti a un’esperienza meno rissosa, più compassata e sentimentalista del gioco del calcio. Non posso dare tutti i torti all’editore (leggi pure: Lo confesso, sono un violento ed è tutta colpa di Sensible Soccer)

Aretha III è il tipico caso di gioco di ruolo, che nonostante il successo in Giappone , non è mai stato distribuito in Occidente.

I giochi di ruolo sono di certo il genere che soffre di più della barriera linguistica, ma anche culturale. Il gioco di ruolo giapponese, sebbene alle origini si ispiri a quelli occidentali (alla serie Ultima per esempio), vira in direzioni differenti e originali. Il cosiddetto “JRPG” (Japanese Role Playing Game) ha caratteristiche identitarie e ottiene il definitivo sdoganamento in Occidente a partire dalla seconda metà del 1997 con l’enorme successo di Final Fantasy VII per PlayStation.

Alcuni videogiochi hanno storie particolari come quella di un capitolo di un “franchise” di successo e quella di un gioco “X” che spunta dal nulla e diventa l’inizio del 3D sulle console Nintendo.

Akumajou Dracula: Shikkokutaru Zensoukyoku fa parte della famosa serie nota in Occidente come Castlevania ed è il terzo e ultimo capitolo per Game Boy. Pubblicato a distanza di ben sei anni dal precedente, porta con sé, oltre che un carico di aspettative, una novità per la serie: per la prima volta la protagonista è un personaggio femminile, Sonia Belmont. L’avere sdoganato un personaggio femminile non salva questo capitolo da un inaspettato disconoscimento. Una decina di anni dopo, uno degli storici produttore della serie, Koji ‘IGA’ Igarashi ripudia questo capitolo come “non canonico” perché in contrasto con la cronologia della serie.

Nessuna “quota rosa” per i cacciatori di vampiri di Castlevania.

X è uno sparatutto spaziale in 3D ed è il primo videogioco che utilizza grafica 3D su una console portatile giapponese. Pubblicato esclusivamente per il mercato giapponese nel 1992 e sviluppato da due dei programmatori di talento della britannica Argonaut Software, Jez San e Dylan Cuthbert, rappresenta il tentativo ambizioso di realizzare qualcosa che nessun altro aveva fatto sull’hardware della piccola console, che a volte stentava perfino con la grafica 2D.

X mostra le limitazioni tecniche della Game Boy: il “frame rate” è piuttosto basso, la grafica è in “wireframe” e non usa poligoni pieni, l’azione si svolge in una finestra pari circa metà dello schermo. Tuttavia ha il merito di riuscire a generare l’eccitazione di un gioco che nessuno, nemmeno i creatori della console, pensavano sarebbe stato possibile.

Ciò che impedisce a X di essere ricordato tra i “classici” della Game Boy e, con tutta probabilità, non ha convinto Nintendo a distribuirlo in Occidente, è la piattezza dell’esperienza di gioco a causa della progettazione del “gameplay” e delle missioni. La superficie del pianeta è povera e priva di dettagli, si trascorre molto tempo alla ricerca di bersagli e di obiettivi vagando praticamente nel nulla. Si avverte una generale mancanza di scopo.

Tuttavia il risultato tecnico è davvero straordinario ed è grazie a questo gioco che Argonaut Software e Nintendo svilupperanno il chip Super FX per la Super Nintendo, che permetterà alla console 16 bit di fare girare giochi in 3D, e alla nascita di uno dei più popolari “franchise” di Nintendo, Star Fox.

In conclusione, Game Boy: The Box Art Collection è un lavoro di passione e rispetto per i videogiochi non solo come forma di intrattenimento, ma come nuovo mezzo e nuova espressione di arte visiva.

Consigliato a chi ha giocato (e amato) la Nintendo Game Boy e non ha perso il desiderio di esplorarne la vastità della produzione dei suoi videogiochi.

Consigliato a chi è interessato all'”art design” e all’arte visuale.

È ora che il tuo Game Boy smetta di sognare pecore elettriche e torni in vita.

The Game Boy – The Box Art Collection, Bitmap Books

The Game Boy – The Box Art Collection

Editore: Bitmap Books

Anno di pubblicazione: 2020

Copertina rigida + pdf, 372 pagine

ISBN13 9781838019136

Lingua: Inglese

Prezzo:

  • spedito dall’editore da UK: 29,99 sterline + 1,44 sterline (IVA italiana), circa 37 euro in totale, al quale aggiungere i costi di spedizione pari 5,95 sterline
  • spedito da Amazon dall’ Italia: intorno ai 36 euro

Il prezzo di Amazon, se si è utenti Prime, è il più conveniente, ma la disponibilità è altalenante. L’acquisto dal sito dell’editore è consigliato per un acquisto minimo di due libri (fino a quattro copie i costi di spedizione infatti non variano). La spedizione è “DDP” cioè già con le tasse pagate quindi senza ulteriori addebiti doganali e l’imballaggio è eccezionale nella cura, a prova di mani di fata dei corrieri.

Le mie recensioni di libri sui videogiochi:

14 pensieri su “Game Boy: The Box Art Collection

  1. Ricordo ancora al Toy Center quando mia nonna mi accompagno per comprare il gameboy per il mio compleanno. Oltre al bundle con Tetris scelsi di farmi regalare un titolo su Spiderman che trovai bello ma particolarmente difficile. Questi libri sono bellissimi, ogni pagina mi fa venir voglia di essere più povero.

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    1. Lo fanno, lo fanno. Ti fanno diventare più povero se entri nella spirale del “voglio giocarlo”. Ma d’altronde era impossibile per me, anche per motivi economici, accedere a tanta vastità di giochi. Oggi, a parte alcuni titoli dai prezzi scandalosi, puoi farlo: A Hokuto no Ken davvero non ho resistito, solo la cartuccia, 7 euro dal Giappone. Non è nemmeno questo gran gioco, anzi.
      Il libro è un “hub” dal quale continuare a esplorare, un inno al mio personale mantra “restate curiosi” e levarsi anche qualche “soddisfazione”, almeno per noi vecchiarelli. Per chi è giovane è un bel punto di partenza per iniziare a capire cosa ha rappresentato la Game Boy e cosa stanno per perdere in termini di art design grazie alla distribuzione digitale.

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  2. Non sapevo che il mio videogioco preferito, GnG, avesse avuto uno spin-off 😲
    Sono andato subito a cercare la rom e ho trovato anche il 2 di Gargoyle’s Quest (edizione giapponese con patch inglese, non deve essere uscito dal Sol Levante).
    Solo che non uso MAME, il retrogaming lo pratico su PS3 e per GB e GBA è un problema… troverò una soluzione!

    Comunque bellissimo libro. Se c’è o ne faranno uno per il SMS, fa’ un fischio che lo prendo subito!

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    1. Esiste la versione europea per SNES di Gargoyle’s Quest. Devi cercarla come Demon’s Quest.
      Non hanno pubbblicato ancora in questa collana un libro per SMS, ma nella collana Visual Compendium si! Se clicchi sul link che ho inserito alla voce Visual Compendium ti fa atterrare sulla pagina del libro sul sito dell’editore. Potresti trovarlo anche su Amazon, ma la disponibilità è ballerina. Anche la collana Visual Compendium è altrettanto curata. Sul sito dell’editore ci sono molte immagini del libro aperto e puoi fartene un’idea.

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        1. Ho davvero poco tempo per scrivere i miei post e anche leggere i post degli altri blogger. La parola “ironia” però è richiamo irresistibile perciò ho raccolto il tuo invito e lasciato un commento. Alla prossima.

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    1. Se hai Amazon Prime risparmi le spese di spedizione. Sarà disponibile dal 10 giugno a 23 euro. Io ce l’ho pure non avendo mai posseduto uno ZX. Un ottimo libro. La copertina è flessibile, non rigida, ma carta e contenuti sempre molto curati e trasudano passione.

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