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Tra il 4 e il 17 gennaio in Mozambico sono stati rapiti e dichiarati “scomparsi” tre bambini e una ragazza di 19 anni. Tutti affetti da albinismo.
Il 23 gennaio in Malawi è stata assassinata una donna albina di 53 anni nella provincia del Kasungu. Il suo nome era Eunice Phiri.
Il 10 febbraio in Tanzania la polizia ha rinvenuto il corpo mutilato di un neonato albino nella riserva naturale di Biharamulo.
Il 17 febbraio in Burundi una bimba albina di 4 anni è stata assassinata nella provincia di Kirundo. Il suo nome era Cimpaye.
Voglio di nuovo scrivere degli albini in Africa. Ho scritto di un libro, Ombra Bianca di Cristiano Gentili; ora scriverò di un film In the Shadow of the Sun di Harry Freeland.
La storia vera di due albini africani che si battono contro il pregiudizio, la paura e la superstizione in Tanzania.
La Tanzania è il Paese africano con il più alto numero di popolazione affetta da albinismo. Ma ciò che accade in Tanzania, accade in molti altri Paesi africani.
In Tanzania, gli sciamani diffondono tra le comunità rurali la credenza che le parti del corpo di un uomo, donna o bambini affetti da albinismo portino ricchezze, benessere e grande prosperità. Nel contesto di una serie di brutali omicidi e – nel migliore dei casi – aggressioni con terribili amputazioni, In the Shadow of the Sun è la storia di due uomini – entrambi albini – che si battono per i propri diritti e il riconoscimento della loro dignità di essere umani: Josephat Torner dedica la sua vita a visitare ogni angolo del Paese per comunicare una corretta informazione e confrontarsi con le comunità rurali dove tali credenze sono radicate sia per ignoranza sia per condizioni economiche al limite della sopravvivenza.

Vedastus Zangule un giovane dotato di un’intelligenza brillante e creativa, è penalizzato nella sua sete di conoscenza e nel suo percorso di studi da problemi alla vista, legati alla mancanza di melanina nel suo corpo. Tuttavia, non si perde d’animo di fronte alle difficoltà e lotta strenuamente per potere accedere a una scuola speciale.

La malattia non intacca le facoltà intellettive di un albino, ma per un albino leggere non è facile come per tutti gli atri.
E’ l’ignoranza e il pregiudizio su questa malattia la principale barriera con il resto delle persone, le quali non sanno che un albino per sua stessa natura ha problemi di vista: la luce entra nell’occhio attraverso la pupilla e anche attraverso l’iride con conseguente ipersensibilità alla luce (fotofobia). L’acuità visiva è ridotta a causa dello sviluppo ridotto o totale mancanza della fovea (visione distinta). Così anche la visione tridimensionale è ridotta a causa di uno sviluppo non adeguato della testa del nervo ottico e delle vie ottiche. La forma anomala dell’occhio comporta spesso ipermetropia e astigmatismo, il movimento involontario degli occhi e lo strabismo contribuiscono a una notevole menomazione nel percepire l’immagine di ciò che li circonda. In una classe in cui è presente un albino, occorre utilizzare delle minime accortezze quali la distanza di lettura, prossimità del banco alla lavagna e illuminazione dell’aula nonché adottare dei semplici strumenti quali un leggio da banco e una lavagna luminosa. E’ facile immaginare le difficoltà nell’accedere a un normale percorso formativo di un albino in Africa, dove la scuola spesso non ha nemmeno la lavagna.
In the Shadow of the Sun rivela al pubblico la condizione drammatica e, spesso, con epilogo tragico degli albini in Africa, una storia di superstizione con radici profonde, perciò difficile da eradicare, un altrettanto profonda sofferenza di persone che devono rimanere “invisibili”, tuttavia una storia d’incredibile forza e dignità condotta da Josephat e Vedastus in nome del riconoscimento di diritti, che da “evoluti occidentali” riteniamo inalienabili per noi stessi e che, di recente, tendiamo a non volere riconoscere a persone che fuggono dalle sponde opposte del Mediterraneo.
Ma non è la storia di due individui, è la storia di migliaia di africani che soffrono di albinismo. Un condizione resa particolarmente drammatica da due aspetti: uno ambientale, un altro culturale.
Il caldo sole dell’Africa e la mancanza di melanina nel loro corpo provocano danni alla pelle e li espongono a un elevatissimo rischio di cancro. L’aspettativa di vita di un albino è di 32 anni.
Nelle loro comunità, gli albini vengono chiamati in molti modi (Names Used for PWA): “ombra bianca”, “diavolo”, in lingua kiswahili “zeruzeru”, cioè una creatura diafana, pallida, un fantasma, una creatura sovrannaturale che porta con sé una maledizione. Non c’è da meravigliarsi più di tanto: qualcosa simile alla “maledizione” in forma assai più blanda, tuttavia strisciantemente presente vi è anche nella produzione hollywoodiana dei film in cui il personaggio malvagio è…albino.

Pregiudizio, isolamento ed esclusione pesano sulle loro vite già difficili per natura. Se già così la condizione di un albino in Africa appare drammatica, non è ancora nulla!
Gli albini vivono con la costante paura per la loro vita a causa di credenze che le parti del corpo di un albino portino fortuna e benessere. Nel recente “Reported Attacks of Persons with Albinism (PWA)” a cura di Under The Same Sun in Africa sono stati uccisi 166 albini, altri 273 sono sopravvissuti ad aggressioni, in alcuni casi riportando mutilazioni o subendo violenze carnali. Tuttavia, la stessa fonte dichiara nel rapporto che “molti omicidi e aggressioni a persone affette da albinismo non sono documentate o denunciate”
Nella sola Tanzania si contano 76 albini brutalmente assassinati a colpi di machete e dei 65 sopravvissuti a questi assalti molti sono rimasti mutilati. Di contro, solo cinque persone sono state arrestate per questi crimini davvero efferati, considerando sia la brutalità sia la già dura condizione di vita delle vittime.

Girato in sei anni, In the Shadow of the Sun racconta delle vite degli albini in Tanzania attraverso le vite di Josephat e Vedastus, ma non fate l’errore di considerarlo un “documentario”.
La visione del film genera dapprima un’onda di shock, traumatizza, spaventa e respinge. Le prime immagini mettono a dura prova: proverete un moto di allontanamento, di volere prendere la distanza, ripugnanza, spegnere la TV. Se continuerete, al termine del film ringrazierete di non averlo fatto perché riconoscereste che sarebbe stato un atto di vigliaccheria della specie più infima e senza perdono, la vigliaccheria verso se stessi.
La storia genera un coinvolgimento emotivo in un potente crescendo, quella carica di empatia dolorosa e arricchente, potenzialmente generante di silenti modifiche del nostro modo di pensare e rapportarci con il prossimo, uno sdegno sì verso assassini e aggressori, ma anche verso i nostri media, che non ce ne hanno mai parlato. Gli albini in Africa sono “invisibili” a tutti.
Se riuscirete a non nascondere la testa sotto la sabbia, il film riesce a fare una cosa meravigliosa: sentirete un legame emotivo fortissimo con Josephat, Vedastus e ogni albino che vedrete nel film; persone che all’inizio del film destano perfino ripugnanza per il loro aspetto anche fisico, alla fine vorrete stringerli in un abbraccio fortissimo. Vi spingerà a fare qualcosa, fosse anche solo parlarne in giro o fare un piccolo gesto di portare i tuoi vecchi occhiali da sole nei negozi aderenti alla Raccolta Occhiali Usati .
Potrei consigliare di vedere questo film per la bellissima fotografica dell’Africa, per l’eccellente montaggio che fa scorrere la storia al giusto passo e ritmo, per la sua originalità, sebbene drammatica, della denuncia di fatti altrimenti ignorati da tutti gli altri media.
Il motivo che mi spinge a scriverne nuovamente, consigliando un film in lingua kiswahili con sottotitoli in inglese a un pubblico italiano è che In the Shadow of the Sun rivela la verità su una realtà taciuta di ingiustizia, discriminazione e crudeltà, senza utilizzare filtri o interpretazioni; lascia scorrere le immagini davanti la macchina da ripresa, lasciando che il “racconto” lo facciano le persone, i luoghi, i fatti. L’unico filtro siamo noi: come ci poniamo di fronte a tali immagini?
Ci mette di fronte all’ipocrisia del nostre “società democratiche” e alla pochezza dei nostri numerosi “falsi problemi” del quotidiano, opponendo una storia di coraggio di così poche persone in un contesto ostile e letale. Ognuno dovrebbe prestare particolare attenzione a questa storia, non già perché debba trovare interessante il tema dell’albinismo in Africa, bensì perché è una storia di “Umanità” come “restare umani”, “Umanità” come diritto dell’individuo, “Umanità” come compassione per l’altro.
Contro la crudeltà degli “esseri umani” (per ignoranza o avidità), l’”Umanità” di Josephat e Vedastus, è la sola risposta. L’ “Umanità” è l’unico, vero vincitore che deve trionfare.

Josephat Torner dice: “Ciò che noi richiediamo è il diritto alla vita. Ciò dovrebbe essere un diritto essenziale, ma ci viene negato”
Harry Freeland racconta la storia con rispetto e sincerità attraverso la vita di Josephat, Vedastus e molti altri albini, la maggiore parte bambini, e riesce a mostrarla nel modo corretto e infondendo una speranza di auspicabile cambiamento nelle vite degli albini che vivono in Africa e, nella presa di coscienza dei loro sforzi da parte dello spettatore, anche nelle nostre vite.
Questa storia racconta degli albini in Africa, ma anche di tutti quegli “invisibili” nella nostra società.
Un sentito ringraziamento a Josephat, Vedastus, Kabula, Harry, i quali mi hanno raccontato una storia di Umanità e Dignità, che mi ha arricchito. Racconterò questa storia ai miei due piccoli figli quando cresceranno.
Voi, raccontatela ad altri.
Aiuta gli albini in Africa: http://standingvoice.org/
Vincitore del Documetary Award at One World Media Awards 2013
Indiewire “Docs to watch in 2013”
Cast: Josephat Torner, Vedastus Zangule
Regista/Produttore/DOP: Harry Freeland
Lingue: kiswahili – Sottotitoli: inglese.
Studio: Dogwoof
Web: Sito del film – Pagina Facebook
Data di pubblicazione: novembre 2012
Girato in: Tanzania
Il DVD potete trovarlo in vendita qui:
- pagina del film su www.base.com (oltre al prezzo indicato aggiungete circa 2 euro per le spese di spedizione). Vi acquisto regolarmente, piuttosto rapido nella consegna (10-15 giorni) perché normalmente spedisce dalla Svizzera;
- pagina del film su www.amazon.it
[Film] Ombra bianca
Titolo internazionale: White Shadow. Regista: Noaz Deshe. Asmara Films Vincitore del Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima Luigi De Laurentiis alla 70 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (2013)
[Galleria fotografica] White Shadows (c) Liron Shimoni
[Libri ed e-book]

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Grazie per questo racconto. Non ne sapevo nulla….
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Quando anche io per uno di quei casi davvero strani della vita ho letto il libro Ombra Bianca, il primo impatto è stato: “ma com’è che non ne ha mai parlato nessuno?!?”. E’ assurdo che con un telegiornale invece di propinarci le nozze di tale rampollo di famiglia regale o i consigli per il caldo estivo o l’ultimo film del comico nazional-popolare, non abbia mai dato l’informazione su tale drammatica situazione per una fascia di popolazione, peraltro diffusa in Africa a causa di unioni tra consanguinei. E non è nemmeno a dire che è recente: i primi omicidi registrati sono del 1998 (il rapporto di di Under The Same Sun è pubblico e l’ho trovato in un attimo). La situazione è nota all’UNICEF e alcuni governi africani si sono anche mossi per arginare tali omicidi, che non ha ormai quasi più nulla a che vedere con un sepuure macabro rituale, ma molto più con il capitalismo: le quotazioni – sì parliamo di “quotazioni” di parti del corpo di un essere umano – si aggirano intorno anche a diverse decine di migliaia di dollari, in Paesi dove il reddito pro capite non arriva a 1 (UNO!) euro al giorno. Allora, io lo grido, lo dico in giro.
Grazie per avere ascoltato la loro voce.
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Ho letto con grande interesse ma anche tanta amarezza.
Non conoscevo questa triste realtà e l’ignobile barbaro destino riservato alle persone albine, sono rimasta allibita conoscendo il sacrificio di queste vite umane.
Leggerò il libro che segnali e ti ringrazio per aver condiviso questa realtà.
Buona domenica, un caro saluto da Affy
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Dopo avere letto il libro anche io sono stato assalito da un senso amaro di impotenza e di totale, assoluta insensatezza e pochezza dei miei problemi in confronto ad Adimu, protagonista del libro. Tale però lo sdegno e poi la rabbia che nessun media ne abbia mai parlato di una condizione così drammatica di una parte di popolazione africana non perché riguardasse pochi individui – anzi- ma solo perché sono…africani. La verità è che ci riempiamo la bocca di democrazia, valori “occidentali”, società civile, ma non ce ne frega davvero nulla della “materia prima”: l’essere umano. Se poi è africano – scusa l’espressione che segue – non ce ne frega proprio un caxxo! Allora dovevo fare qualcosa: ho regalato il libro a una mia amica e a mia sorella che avevano letto il post, ho raccolto gli occhiali da sole della mia famiglia e cognati e li ho portati a un negozio convenzionato con la Raccolta Occhiali Usati. Li danno a chi ne ha veramente bisogno, nel cassetto custodivano dei ricordi sì, ma a un albino quegli occhiali proteggono dalla luce! Ho iniziato a parlarne…Barbaro e’ il nostro modo di non prenderci cura di chi fugge dalla guerra, dalla fame, dalla siccità , pure avendone tutti i mezzi, smisurati. Poi ho visto il film…Una botta! Il libro è un filtro, lo vivi con la tua immaginazione…ma noi non possiamo immaginare. No! Troppo ricchi, troppo fortunati per avvicinarci seppure con tanta immaginazione. Il film è girato con sincerità e puoi guardare con i tuoi occhi la realtà. E quando vedi quei bambini che per proteggerli dalle aggressioni vengono reclusi in dei “campi protetti”, che altro non sono che dei ghetti, dei lager dove gli aguzzini non sono dentro, ma sono tutti intorno…e una bimba si chiede “cosa ho fatto di male?” Beh niente piccola, niente. Ora devo fare qualcosa io. Grazie piccola. Guarda il film, i sottotitoli sono comprensibili con una conoscenza base di inglese. 10-12 euro a chi ha avuto il coraggio di girare questo film è un’altra piccola cosa che si può fare. Grazie per la visita, il commento e la compassione
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