Pernacchio, pernacchia e ‘mpernacchiato


Eduardo De Filippo dà lezioni di pernacchio in L’Oro di Napoli

Il napoletano è una lingua meravigliosa

Il pernacchio è un termine di uso comune, anche dai non napoletani. Tuttavia che cosa si intende esattamente per pernacchio non è altrettanto noto ed è confuso con un termine assai simile, pernacchia.

pernàcchia s. f. [voce napol., in precedenza pernàcchio, da un originario vernàcchio che è il lat. vernacŭlus «servile, scurrile», der. di verna «servo, schiavo»]. – Suono volgare che si produce emettendo un forte soffio d’aria tra le labbra serrate, talvolta con la lingua interposta, più spesso premendo la bocca col dorso o col palmo della mano: esprime disprezzo per la superbia e l’arroganza altrui, derisione nei confronti di situazioni o comportamenti retorici e sim.: prendere qualcuno a pernacchiesi ebbe un coro di pernacchie dai compagnifece una p., lunga che non finiva mai (Pasolini). (cit. treccani.it)

Il pernacchio però non è la pernacchia.

Giuseppe Marotta nella sua raccolta di racconti L’Oro di Napoli (1947) dà una preziosa e gustosa definizione di entrambi i termini:

Il pernacchio non è che un congruo sberleffo, ottenuto mediante specialissimi accostamenti delle labbra alle dita o al palmo o al dorso della mano, con emissione di fiato che ha varia forza e varia durata, secondo i propositi dell’esecutore.

[…] il pernacchio non è la pernacchia. Il primo può essere forte o debole, lungo o corto, massiccio o sdutto, aquilino o camuso: ma è sempre maschio, ma è costruttivo e solerte, ma insomma lavora. La seconda è molle e pigra; tumida, bianca, sdraiata, è come un’odalisca sui tappeti: femmina, basta dire…

Nel film L’Oro di Napoli (1954), diretto da Vittorio De Sica e tratto dall’opera di Giuseppe Marotta, nell’episodio “Il Professore”, Eduardo De Filippo interpreta Don Ersilio Miccio, che “vende saggezza”, cioè per pochi spiccioli dà consigli per risolvere i problemi quotidiani che affliggono le persone del quartiere: uno spocchioso aristocratico sta creando scompiglio con la sua automobile ed Eduardo spiega cosa è necessario fare:

Nu pernacchio…Figlio mio, c’è pernacchio e pernacchio. Anzi, vi posso dire che il vero pernacchio non esiste più. Quello attuale, corrente… quello si chiama pernacchia. Sì, ma è una cosa volgare, brutta! Ma il pernacchio classico è un’arte. Siamo…Pasqualino, Vicenzone a mmare, siamo tre…quattro a conoscerlo profondamente e a praticarlo in tutta Napoli, il che significa in tutto il mondo. Il pernacchio può essere di due specie: di testa e di petto. Nel caso nostro, li dobbiamo fondere: deve essere di testa e di petto, cioè di cervello e passione. Insomma, ‘o pernacchio che facciamo a questo signore deve significare: tu sì ‘a schifezza ra schifezza ra schiefezza ra schifezza ‘e l’uommene! Mi spiego?

Dopo avere dato una dimostrazione con un pernacchio allo stato dell’arte, aggiunge la spiegazione della tecnica di pernacchio:

La mano molle, eh, deve essere così, molle con delicatezza, e la labbra un pò umettate, bagnate con la saliva e – mi raccomando – le dita alzate perché se no esce un rumore incomprensibile che non raggiunge l’obiettivo per la sua insufficienza. Invece con un pernacchio che vi ho fatto sentire io, si può fare una rivoluzione, vedete.

Altre due citazioni cinematografiche assai famose sono: Totò in I Due Marescialli e Alberto Sordi in I Vitelloni.

L’origine del vocabolo è dal latino vernaculum (aggettivazione di verna ovvero “schiavo nato da schiava in casa del padrone”, da cui anche vernacolo, “dialetto”, “linguaggio paesano e plebeo”). Ha quindi valore di gesto volgare e sguaiato, anche scurrile, “degno di schiavo”. Ciò che oggi si intende per pernacchio non ha quindi alcun riferimento con l’etimologia del termine.

Una conferma di questo e più ampio significato originario del termine sembra provenire dal vocabolo vernacchio, ormai caduto in disuso, ma molto comune fino all’Ottocento: è presente nel titolo di un libello satirico, Lo vernacchio (1780) in cui l’autore Luigi Serio interviene in difesa del dialetto e cultura popolare napoletani contro l’abate Galiani; è anche nel titolo di una raccolta di poesie napoletane, La Violeida spartuta ntra buffe e vernacchie pe chi se ll’ha mmeretate soniette de chi e ammico de lo ghiusto pubblicata a Napoli presso Giuseppe Maria Porcelli nel 1788.

In passato il termine vernacchio è usato non soltanto nel più ampio senso di pernacchio, ma anche più comunemente in quello di “peto”. All’etimologia corrente infatti si potrebbe aggiungere, non necessariamente in contrasto, quella dal greco pordè, che ha appunto il valore di crepitus ventris, volgarmente l’italiano “peto”, ma anche le forme napoletane pideto, pireto, pirito.

Ciò potrebbe spiegare come, accanto al più generale significato di “gesto sguaiato e volgare”, si sia affermato quello di “rumorosità del ventre”, che è rimasto nella letteratura napoletana fino all’Ottocento.

Caduto in disuso il termine vernacchio è subentrato nell’uso comune il termine pernacchio con il significato più ristretto di sberleffo con l’emissione di fiato dalle labbra con l’accostamento della mano o parti di essa.

Usato anche al femminile, pernacchia è usata generalmente non per indicare lo sberleffo descritto da Giuseppe Marotta, bensì una donna sgraziata fisicamente e magari spregevole moralmente,

A conferma di tale significato di pernacchia, nella lingua napoletana esiste il verbo ‘mpernacchiarse, “impennacchiarsi”, cioè “ornarsi di pennacchio” il cui participio passato ‘mpernacchiato si usa generalmente al femminile con significato di scherno, per lo più scherzoso. Si rivolge all’indirizzo di donne dall’aspetto particolarmente vistoso o volgare.

L’origine del gesto è assai antica, sembra addirittura greca, e una prima descrizione si trova nei pochi frammenti del Satyricon a noi giunti e attribuiti a Petronio, scrittore latino dell’età neroniana (I sec. d. C.):

“Oppositaque ad os manu nescio quid taetrum exsibilavit, quod postea Graecum esse adfirmabat.”

e accostata la mano alla bocca emise non so che sconcio suono, che poi affermò essere un’invenzione greca.

Se siete in visita per le strade di Napoli, la scena del pernacchio di Eduardo De Filippo è girata in una stradina di Via dei Tribunali, Vico Purgatorio ad Arco. Per questo vicolo il nobile transita con la sua automobile rendendo difficile lo svolgersi delle piccole attività degli abitanti e perciò viene richiesto il consiglio a Don Ersilio Miccio, che insegna loro l’arte del pernacchio.

Vico Purgatorio ad Arco è situato nel Decumano maggiore, nel cuore del centro storico: nei pressi potete visitare la chiesa barocca di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco: nota ai napoletani come la chiesa “de’ ’e cape ’e morte”, la chiesa è il centro del culto delle anime pezzentelle.

Dalla piccola chiesa del Seicento, che custodisce preziosi marmi e il Teschio alato di Dionisio Lazzari, insieme a capolavori di Massimo Stanzione, Luca Giordano e Andrea Vaccaro, si discende nell’antico e grandioso ipogeo, che ospita ancora oggi l’affascinante culto delle anime pezzentelle, ovvero resti umani anonimi che diventano speciali intermediari per invocazioni, preghiere, richieste di intercessioni.

11 pensieri su “Pernacchio, pernacchia e ‘mpernacchiato

    1. Grazie per il caloroso “bentornato”! Mi ha fatto proprio piacere. Il desiderio di scrivere non è scemato, ma è sempre più rara l’opportunità di concentrarsi per scrivere e cimentarsi in un racconto. Quando ci riesco, è sempre un piacere ritornare…sul luogo del delitto della lingua italiana 😉

      Piace a 2 people

  1. Questo tuo articolo capita a ” fagiuolo” my friend.. ne ho praticati di pernacchi ultimamente. Pernacchi liberatori, pernacchi berleffi, pernacchi “scinnem a cuoll” , pernacchi ” hahahahahha mi fa ridere la tua superbia ignorante” , pernacchi come se piovesse. Pernacchi per le cose che finiscono credendosi le ultime, pernacchi presuntuosi di essere importanti, pernacchi che richiamano il senso di umiltà .
    Nu Vas

    Piace a 2 people

    1. Andrebbe insegnato a scuola che lo sberleffo al Potere è sacrosanto. Se è in qualche modo ostacolato o addirittura vietato, è un segnale che la democrazia scricchiola o è già bella che andata. Benvenuto nella mia webbettola (che purtroppo sto frequentando anche io di rado)! Come dice un Oste che bazzica tra queste pagine: mi casa es tu casa. Questo è il motto del blog.

      Piace a 1 persona

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.