La maledizione di Aliens Colonial Marines: Aliens Dark Descent


Pazza idea di giocare ad Alien con una visuale isometrica, pensando di guidare una squadra di marine in una colonia infestata di xenomorfi. Folle, folle, folle idea.
Dice il saggio: “Se sei diretto a una stazione orbitante intorno a un placido pianeta, stai certo che non sarà una gita di piacere.”.

Pubblicato nel giugno scorso, Aliens Dark Descent, gioca la carta “originalità”: è infatti uno strategico in tempo reale con visuale isometrica.

Per trovare un videogioco dello stesso genere che si ispira all’universo di Alien, occorre andare indietro di venti anni e a una serie “crossover“: Aliens versus Predator Extinction pubblicato nel 2003, solo per console Xbox e PlayStation 2.

Per gli appassionati di catalogazione e canoni, si può affermare che Aliens Dark Descent è il primo videogioco strategico in tempo reale della saga di Alien.

Basterà l’originalità per sfuggire alla “maledizione” di Aliens Colonial Marines?

Il colpo d’occhio della visuale isometrica di Aliens Dark Descent non è affatto male. I tanti indicatori su schermo confermano che non basta sparare alla cieca, anzi è fortemente sconsigliato.

L’originalità è un valore di per sé, soprattutto nel mercato dei videogiochi che, a eccezione dei primi anni pionieristici, è un proliferare di seguiti e serie: alcune serie sono diventate iconiche, altre sono cadute nell’oblio, altre ancora sono precipitate in una spirale di mala gestione e progressivo decadimento. Ogni riferimento a Ridley Scott e ad Alien Covenant è puramente voluto.

In tempi recenti l’originalità nei videogiochi è diventata anche una sorta di marchio che si associa a una specifica categoria: gli indie” ovvero i videogiochi cosiddetti “indipendenti”.

I videogiochi “indie” condividono la stessa genesi, lo stesso tipo di comunicazione e reputazione, della musica delle etichette indipendenti, contrapposte all’industria musicale delle “major”: sono sviluppati da un ristretto gruppo di persone (se non addirittura da un unico autore) e non dispongono del supporto finanziario e di marketing di un editore. L’assenza di un editore fa sì che gli sviluppatori “indie” godano della più ampia libertà creativa; le limitate risorse finanziarie spingono a privilegiare l’innovazione nelle meccaniche e nei contenuti piuttosto che nella tecnologia. La distribuzione è in forma digitale grazie all’auto-pubblicazione o alle più diffuse piattaforme di contenuti digitali.

Alien versus Predator ExtinctionAliens Dark Descent sono però videogiochi “indie”. L’originalità tra i videogiochi non “indie” è commercialmente e finanziariamente assai rischiosa e quindi altrettanto rara e degna di attenzione.

Al famoso editore Electronic Arts e allo sviluppatore Zono Inc. l’originalità di Alien versus Predator Extinction non è stata premiante. Andrà meglio all’accoppiata francese di Tindalos Interactive e Focus Entertainment, rispettivamente sviluppatore ed editore di Aliens Dark Descent?

Meglio fallire nell'originalità che avere successo nell'imitazione

But it is better to fail in originality, than to succeed in imitation. He who has never failed somewhere, that man cannot be great. Failure is the true test of greatness.

cit. Heman Melville – “Hawthorne and His Mosses” nella rivista “The Literary World ” (1850)

Nel caso di Alien versus Predator Extinction e Aliens Dark Descent, calza a pennello alla prima frase di questa citazione di Herman Melville, noto per uno dei capolavori della letteratura americana, Moby Dick: entrambi falliscono nell’originalità piuttosto che cercare il successo in generi affollati di reiterazioni.

Nel mercato dei videogiochi questo fallimento però non è “un’autentica prova di grandezza”, ma un’ingente perdita di denaro, l’anticamera della dichiarazione di bancarotta e del licenziamento.

Alien versus Predator Extinction contiene tre campagne per giocatore singolo e ognuna ha come protagonista una delle tre specie: umani, xenomorfi e Predator. Ogni specie ha caratteristiche e stili di gioco differenti e, nel complesso, coerenti con le fonti di ispirazione cinematografiche e fumettistiche.

Extinction è accolto tiepidamente dalla critica e dai videogiocatori poiché, al netto di un impianto tecnico tutt’altro che mirabolante e di meccaniche non sempre bilanciate, fallisce in ciò che il videogiocatore si attende da un videogioco con xenomorfi e Predator: azione, tensione e scariche di adrenalina come in Alien Vs Predator, sviluppato nel 1999 dalla britannica Rebellion Developments.

Dice il saggio: “Se vedi una cassa Wayland-Yutani Corp. “Building better worlds” nello spazio-porto, non è un bel regalo.”.

Aliens Dark Descent è la consueta passeggiata insalubre di una sqadra di marine coloniali in scenari brulicanti di xenomorfi e – al contrario del recente Aliens Fireteam Elite – almeno fa la grazia di imbastire una storia di sfondo a una campagna che procurerà non poco stress al giocatore.

La storia è il solito collante tra le missioni, ambientata nel 2198, a distanza di quasi un ventennio dalle vicende di Alien³, e ripropone le vicende di un’infestazione xenomorfa. Tutto ha inizio da una cassa Wayland-Yutani Corp., consegnata insieme ad altri beni come rifornimento di routine.

Vapore, una cassa vuota e macchie di sangue: qualcosa è andato tremendamente storto.

La cassa viene aperta da un losco figuro e ne fuoriesce uno xenomorfo.

Ciò che segue non richiede uno sforzo di immaginazione visto che sono note le cattive abitudini della bestiola aliena.

Dice la mamma del saggio: “Quante volte ti ho detto di non lasciare i boccaporti aperti? Fa corrente e finisce che ci prendiamo un accidente!”.

Alla vice responsabile della Stazione Orbitante “Pioneer”, Maeko Hayes, e al sergente Jonas Harper, spetterà il compito di indagare su chi ha architettato il sabotaggio e trovare un modo per non lasciare la pelle o, meglio, diventare un incubatore di uno xenomorfo.

Aliens Dark Descent ha in comune con Alien versus Predator Extinction una caratteristica inusuale nei giochi di strategia in tempo reale: non esistono meccanismi di costruzione di basi e la raccolta di risorse è limitata; il focus è invece rivolto alla gestione delle unità e al combattimento.

Il massimo di soldati di una squadra è cinque. altrettante sono le classi: ritorna utile il vecchio adagio latino “in medio stat virtus”. L’equilibrio della squadra è la chiave per restare vivi.

In Dark Descent il giocatore guida quattro marine coloniali e, dopo la sesta missione, è possibile reclutarne un quinto. A ogni soldato è assegnabile una delle cinque classi disponibili, che ne determinano la specializzazione, l’albero di abilità e le armi utilizzabili. La particolarità sta nel fatto che il giocatore guida i soldati non singolarmente, ma come un’unica unità.

Se tale scelta da una parte riduce le opzioni tattiche, dall’altra dovrebbe avere l’effetto di favorire un rapporto empatico tra il giocatore e i marine, in considerazione anche che la morte di un marine è permanente. Perdere un marine con esperienza di tante missioni è un duro colpo, sia per le risorse spese per migliorarne le abilità e l’armamento utilizzabile sia dal punto di vista emotivo.

L’illuminazione è un punto forte della direzione artistica, peccato che i dettagli siano appiattiti dalla visuale isometrica dall’alto e dall’esigenza di avere sotto controllo una buona porzione di scenario.

Il giocatore è spinto a un approccio che premia l’essere furtivo piuttosto che il combattimento. Ogni incontro con gli xenomorfi, infatti, ha due effetti: il primo è l’aumento del livello di allerta dell’alveare, che attira sul drappello di marine un numero sempre maggiore di xenomorfi; il secondo è l’aumento di un parametro di stress dei marine che, oltre una certa soglia, determina effetti penalizzanti sull’intera squadra.

Ma non ero io a essere quello bravo a giocare a nascondino?

Se l’approccio furtivo, sia per ispirazione sia per effettivo risultato, riesce a ricreare l’atmosfera del film Alien³, cliccare per lo schermo, in attesa del momento più opportuno per sgattaiolare tra gli xenomorfi, non è esattamente la mia idea di esperienza “aliena”. Da principio, la tensione c’è, ma all’ennesimo gioco del “nascondino” sopraggiunge il rammarico di quanto sarebbe stato più coinvolgente ingaggiare battaglia e anche morire “con le chiappe a mollo”, ma almeno tentarci, come ebbe a dire George Dillon in Alien³:

O morite qui con le chiappe a mollo o morite là fuori! Almeno facciamo un tentativo, è nostro dovere!

Nel corso della missione, all’aumentare dell’aggressività degli xenomorfi e dello stress della squadra, è possibile ritirarsi e continuare in un secondo momento. La ritirata tattica è essenziale poiché permette di non perdere marine e poterli curare, tuttavia con il trascorrere del tempo l’indicatore della minaccia aliena aumenta e si traduce in un sempre più elevato numero di xenomorfi da affrontare in missione. In altri termini, chi pensa di emulare i vietcong utilizzando la tattica di guerriglia con uno stillicidio di improvvise sortite e rapide ritirate tattiche, sbaglia approccio e finirà comunque per soccombere. Si tratta di un altro espediente per creare tensione e, in quanto tale, appare posticcio.

Momenti “magici”: se uno o più xenomorfi si presentano alla tua porta, è importante mantenere la calma, afferrare prontamente una fiamma ossidrica e sigillare la porta per poi darsela a gambe.

Le missioni richiedono una serie di obiettivi da completare. L’esplorazione degli scenari, contraddistinti da una buona progettazione dei livelli e da un’estetica coerente con le atmosfere cinematografiche di ispirazione, consiste nell’interagire con elementi dello scenario quali interruttori e porte, raccogliere risorse, salvare i sopravvissuti e trovare indizi che facciano luce sull’infestazione aliena.

Il contatto anche con un singolo xenomorfo dà inizio a una vera e propria caccia all’uomo: gli xenomorfi che si trovano nelle vicinanze convergono in massa verso la posizione dei marine. Una caratteristica interessante per i risvolti tattici è la persistenza degli effetti delle azioni dei marine sullo scenario: se si apre una porta, rimarrà aperta anche dopo una ritirata e il conseguente ritorno in missione; le munizioni sparse per lo scenario vanno raccolte solo se necessario perché, quando vi tornerete, potreste rimanerne a secco e prendere a parolacce gli xenomorfi porta a una rapida dipartita per il Creatore.

Hey, what the hell are we supposed to use, man? Harsh language?

Ma come diavolo ci difendiamo, a parolacce?!

cit. Soldato Ricco Frost da Aliens
Alla base è possibile curare mente e corpo. Dice un vecchio motto dei Marine coloniali: “Mens sana in corporal sano.”.

La parte “manageriale” del quartiere generale è priva di eccessi di complessità e del sovraccarico di informazioni tipici della micro-gestione dei giochi strategici, tuttavia è alquanto scontata nelle attività: sviluppare le abilità dei singoli soldati così che possano utilizzare armi e gadget tecnologici sempre più efficaci; utilizzare le risorse raccolte durante l’esplorazione per sviluppare armamenti; permettere ai soldati feriti e stremati dai combattimenti di recuperare salute fisica e psicologica.

Aliens Dark Descent non è...

Aliens Dark Descent non è un’esperienza adatta agli emuli di Vasquez e Drake e nemmeno agli inesperti come il Tenente Gorman. L’approccio “furtivo” è essenziale e nel caso non si possa evitare lo scontro, per quanto i marine possano utilizzare una serie di armi e abilità sempre più efficaci e devastanti, l’utilizzo di coperture lo è altrettanto per evitare la peggio. 

Questo videogioco non avrebbe avuto l’approvazione di Vasquez. “Escucha, muchacha, io ho bisogno de sapere una sola cosa: donde esta” è da interpretare in senso diametralmente opposto: è importante sapere dove sono gli alieni e non sparare.

Aliens Dark Descent non è un gioco adatto agli appassionati di strategia in tempo reale abituati a raccogliere risorse, costruire installazioni sempre più avanzate e vomitare sul nemico orde di soldati e mezzi corazzati fino al suo annientamento come quel capolavoro, ispirato a un romanzo iconico della fantascienza, Dune II: The Battle for Arrakis, sviluppato da Westwood Studios e pubblicato da Virgin Games nel 1992. La citazione della serie di riferimento e autentico mostro-sacro degli strategici in tempo reale, Starcraft, è d’obbligo, anche solo per segnalare che una delle fazioni protagoniste, gli Zerg, è ispirata proprio agli xenomorfi.

Aliens Dark Descent non è nemmeno il gioco di strategia reale inaugurato da Warhammer 40.000: Dawn of War orientato alla gestione delle squadre con differenti abilità e armi, nonché dei cosiddetti “eroi” (singole unità molto potenti), che restituisce la brutalità degli scontri e rende fedelmente il “lore” dell’universo raccontato a partire dall’originario gioco di ruolo di Games Workshop attraverso romanzi e videogiochi.

Aliens Dark Descent fa altre scelte ed è rispettabile anche nel risultato.

Il problema principale è che appare tutto un po’ posticcio. La tensione dell’ambientazione e degli xenomorfi, un continuo “respawn” degli xenomorfi che non dà tregua, la necessità di essere furtivi e perfino la soddisfazione di avere applicato una tattica corretta cedono il posto a uno snervante procedere per tentativi e alla sensazione che poco si può deviare dalla “scacchiera” di scelte già stabilite dagli sviluppatori.

Aliens Dark Descent mi ha ricordato una serie di strategici in tempo reale di fine anni Novanta, Commandos: è stata la prima serie a miscelare con successo il genere strategico in tempo reale e quello “stealth” in un’evocativa ambientazione della Seconda Guerra Mondiale, graziata anche da un notevole dettaglio grafico. Sebbene è possibile gestire i singoli componenti della propria squadra in modo indipendente, è essenziale coordinarli per attirare il meno possibile l’attenzione dei nemici.

Per quanto ami lo scenario della Seconda Guerra Mondiale e il genere strategico-tattico questa serie non è mai stata nelle mie corde: spesso eccessivamente frustrante, basata su meccaniche “sbaglia e riprova” e una struttura delle missioni troppo orientate al “puzzle” ovvero si richiede di applicare una specifica strategia rispettando anche una certa tempistica. Alien Dark Descent non è così rigido, tuttavia la reiterazione di certe meccaniche tendono a limitare la libertà di interazione e a generare tensione per i motivi sbagliati.

In conclusione, la “maledizione” di Aliens Colonial Marines miete un’altra vittima.

Preso dallo sconforto, con il desiderio di andare a caccia di xenomorfi, ho acquistato per pochi euro l’espansione della campagna principale di Aliens Colonial Marines, Stasis Interrupted.

L’espansione ha una premessa particolarmente interessante: il protagonista è uno dei personaggi più amati della saga e la sua prematura “sparizione” è stata giudicata dagli appassionati una scelta così sciagurata da spingere autori ed editori di fumetti e romanzi a fregarsene bellamente della continuità dell’universo di Alien.

Prossimamente su queste pagine, scopriremo se anche l’espansione è stata colpita dalla maledizione.

8 pensieri su “La maledizione di Aliens Colonial Marines: Aliens Dark Descent

  1. Ti ho letto con grandissimo piacere e come sempre ti chiedo se posso ri-bloggare questa tua recensione nel mio blog alieno, sempre scarno nel settore “videogiochi” 😉
    Non avendo giocato questo titolo, ma solo guardato in gameplay su YouTube, narrativamente l’ho trovato deludente, visto poi che non ci sono neanche più citazioni da fare, essendo l’universo alieno ormai del tutto sbrindellato. Aspetterò il prossimo gioco, tanto più falliscono più tirano fuori titoli 😛
    P.S.
    Curiosissimo della tua recensione di “Interrupted Stasis”, che ho adorato proprio perché prova a recuperare quel’aspetto narrativo purtroppo perso per strada con l’uscita del fatale “Alien 3”, che ha ucciso lo splendido universo a fumetti che era nato. Il fallimento del videogioco ha ucciso per la seconda volta quell’universo…

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    1. Lucio, ma non c’è alcun bisogno di chiedere di postare sul tuo blog. Ne sono lusingato e onorato di dare il mio piccolo contributo alla tua enciclopedia aliena. Sembra strano ma videogiochi della serie Warhammer 40k, quando l’antagonista è la specie aliena dei Genestealers, chiaramente cloni spudorati degli xenomorfi di Alien, riescono a fare meglio. Non che sia tutto rose e fiori, anzi ma almeno non lasciano con l’amaro in bocca. Veramente deve aleggiare una sorta di maleficio. Io prenderei pari pari la sceneggiatura di Aliens e ci costruirei intorno livelli e missioni – senza inventarsi niente di nuovo – uno sparatutto in prima persona con un controllo (semplificato) della squadra come già giocato nel magnifico e – vai a capire perché unico – Star Wars Republic Commando. Guarda qualche video di questo vecchio videogioco (da poco anche rimasterizzato) e immagina il potenziale con una skin di Aliens.

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  2. Letto con la solita curiosità di chi pessimo videogiocatore – non sono mai riuscito a coordinare mani e cervello – vuol capire cosa c’è di buono e bello nel videogioco. Dalla tua lunga recensione ho ricavato che il gioco non vale la candela. Sarà strategico ma non troppo. Dovrebbe sviluppare le doti di comandante nella gestione dei suoi soldati ma alla fine fallisce. Insomma una piccola delusione.
    Con l’occasione ti faccio i miei migliori auguri per un sereno e prosperoso 2024

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    1. Diciamo che rientra nel novero delle occasioni mancate. Avrebbe avuto bisogno di un lavoro di rifinitura sia dal punto di vista tecnico sia da quello delle meccaniche, in particolare sul bilanciamento della difficoltà, che non lascia molti margini di libertà di scelte e quindi di interazione. Facendo un paragone con un libro: scritto decentemente, ha dei passaggi che non scorrono e arrivi alla fine più per una questione di principio e di tigna;) che per effettivo coinvolgimento. Lo consiglieresti solo a chi è parecchio appassionato e comunque con tanto di “pinze”.
      Grazie per gli auguri e li ricambio con sincero affetto.

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  3. Ciao redbavon

    sono Draconius e ho anche io un blog di videogames, ma non lo sto curando, perché preferisco darmi al mio hobby preferito: giocare in streaming, infatti sono il proprietario dei canali Draconius Adventures di youtube, twitch e facebook, Che ti invito a dare una occhiata e che se vuoi, puoi iscriverti.
    Ti scrivo perché vorrei il tuo parere alla mia interpretazione di questo gioco. Purtroppo non ci sta (o almeno quando lo presi, non c’era) una versione in italiano, e quindi molte cose che il gioco avrebbe dovuto trasmettermi di importante, non me le ha trasmesse, le ho conosciute in seguito. Parlo del fatto che per avere marines non in condizioni disperate, devi anche saper dire “basta” e ritirarli dal campo di battaglia. Io non avevo una idea ben precisa e non la ho tutt’ora di ogni quando dovrei farli ritirare, e infatti gradirei i tuoi consigli a riguardo.
    A me il gioco è piaciuto, ma siccome le meccaniche (non per via dell’inglese, quello lo capisco, ma non capivo la imperatività di alcune scelte tattiche, come quella di ritirare la squadra dalla missione per un pò, calcola che sono anche un po… come dire…. poco attento, perché sono anche disabile e ho qualche “problema”, ma mi diverto tanto a giocare e a fare streaming).
    Vorrei chiederti, secondo te, cosa devo fare per “avanzare” nel gioco senza dover perdere tutta la squadra? Ogni quanto dovrei ritirarla?

    Ti ringrazio per l’attenzione, ciao

    Darkon Corvinus Draconius

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    1. Ciao, provo a darti con piacere qualche consiglio.
      I parametri da tenere sotto controllo sono diversi perché alcuni errori manifestano gli effetti più avanti nel gioco. Negli ultimi livelli gli xeno picchiano come dei nani fabbri di Moria 😉 e quindi bisogna arrivare con dei soldati esperti con abilità e accesso ad armi avanzate. Ciò per dirti che uno dei parametri essenziali è la distribuzione dei punti esperienza tra i tuoi soldati. Quando i tuoi marine hanno accumulato abbastanza punti esperienza è quindi il momento opportuno per ritirarti. Piu vai avanti nel gioco, più avrai bisogno delle abilità e delle armi più potenti che hanno soltanto i marine di livello più elevato. Visto che i marine devono riposarsi e curarsi tra una missione e l’altra, devi prevedere anche una “rotazione”, cioè non puoi pensare di avere solo una squadra di marine per tutte le missioni, ma devi mandarne in missione di altri così che acquisiscono punti esperienza, mentre i primi si curano e riposano. Ricordati però che i punti esperienza si guadagnano solo completando gli obiettivi, sconfiggendo degli xenomorfi “boss” e respingendo un Massive Assault.
      Come aiuto, a un certo punto, puoi utilizzare la struttura di addestramento sulla Otago, ma per un marine il modo più rapido per salire di livello è andare in missione percio’ la rotazione dei soldati è essenziale. In conclusione, quando i tuoi marine in missione sono guadagnato punti esperienza tali da salire di livello, ritirali, promuovili, curali e farli riposare. Fai questo a rotazione con altri marine e nei livelli più avanzati riuscirai ad avanzare. In caso contrario il gioco è piuttosto punitivo (e rigido). Spero di esserti stato utile. In ogni caso, non esitare a chiedere.
      PS: vengo di sicuro a dare un’occhiata ai tuoi canali di streaming ma non ti dispiacere se non mi iscrivo. Non riesco a seguire neanche più questo mio blog per mancanza di tempo…

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  4. Peccato per lo strategico, che proprio non sopporto (in tempo reale o meno). Perché adoro la visuale isometrica, da me molto più comodamente detta “visuale obliqua dall’alto, spesso a rombo” 😆 Per non parlare della furtività. Sarei capace di giocare in questo modo FPS come CoD.

    p.s. ci scriviamo poco sui rispettivi blog ma sappi che ti lurko sempre su “novità” della PS4 😜

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