Viaggio in Botstwana #7 – Alla ricerca delle tende perdute


Al ritorno dal primo emozionante impatto con gli animali sulle rive del Chobe, alcuni si recano in stanza per una doccia ritemprante e un po’ di riposo prima della cena, altri attendono il tramonto su una terrazza con vista sulle placide rive del fiume, sorseggiando una birra e scambiando una chiacchiera.

Siamo in viaggio insieme solo da qualche giorno, di fatto siamo un gruppo di sconosciuti: le “chiacchiere da bar” in riva al Chobe sono una buona occasione per conoscerci meglio.

La mattina dopo, facciamo colazione in un’atmosfera di estrema rilassatezza. È l’ultima così abbondante e così confortante per degli occidentali in vacanza. Per tanti giorni a seguire, la colazione sarà decisamente più frugale e meno rilassata: sveglia alle prime luci dell’alba (con rintronamento annesso), sul falò una moka e una teiera, qualche biscotto secco da sgranocchiare mentre si sorseggia del caffè o del tè. Il tutto sorbito in piedi o seduti su un sasso perché il tavolo e le sedie pieghevoli sono già caricate sul camion. Nella savana la giornata inizia presto, molto presto.

La nostra serenità è però un’illusione. Nessuno sembra più pensare alle attrezzature da campo ancora disperse tra Roma e Victoria Falls. L’ambiente protetto e rilassato del Chobe Safari Lodge e la comoda “scampagnata” sul fiume ha creato una sorta di “area di comfort” in cui tutti ci siamo fatti risucchiare più o meno consapevolmente.

La “bolla” sta per scoppiare.

È giunto il momento di presentarvi la nostra mitica guida, il “ranger” che ci accompagnerà lungo tutto il viaggio: Nick.

Nick-mitica-guida

Il mitico Nick, la nostra guida, ci mostra un nido di uccelli che affollano i rami delle acacie, trasformate in autentici super-condomini per volatili..

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Nick, accanto ai resti di un teschio di elefante e ce ne racconta la storia.

Nick è inglese di nascita, ma ormai – per sua stessa ammissione – è più africano che europeo. Le rare volte che si reca a Londra con la moglie, in visita ai figli, non resiste più di qualche giorno e ritorna in Africa. La lingua con cui comunichiamo è l’inglese e il suo eccellente accento britannico agevola la comprensione reciproca, coadiuvata alla bisogna dal ricorso alla gestualità italiana.

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Nick e io spesso ci facevamo delle lunghe chiacchierate

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Quando il mio inglese tentennava, mi aiutavo con la mia gestualità, spesso provocando la risata in Nick. Una volta Nick mi ha detto: “Claudio, you’re awesome! I can clearly understand you even if you doesn’t speak! Awesome!”. Per me, un gran bel complimento.

Insieme a Nick, vi è anche un ragazzo locale di cui non ricordo il nome: è l’aiutante di Nick, che si occuperà del carico e dello scarico del camion, di procurare legna, di accendere il fuoco e aiutare nel montaggio delle tende. Nella pratica, il gruppo ha contribuito attivamente a tutte queste attività e quindi l’aiutante non ha faticato più di tanto.

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Nick e l’aiutante di campo, giovanissimo e molto timido.

Nick ci comunica la ferale notizia: l’attrezzatura da campo è ufficialmente perduta. L’operatore turistico ha dato disposizione a Nick di procurarsela in loco.

Senza attrezzatura da campo non ci si può avventurare nella savana.

Tutta l’attrezzatura da campo è stata fornita dal nostro operatore turistico, Avventure nel Mondo. Dietro consiglio di quest’ultimo nostro , alla partenza abbiamo imbarcato come bagaglio personale esclusivamente il sacco a pelo; il resto è stato affidato come bagaglio collettivo in consegna all’aeroporto di destinazione. Pertanto, la situazione è la seguente:

  • sacchi a pelo disponibili per tutti;
  • vettovaglie: era già previsto l’acquisto in loco; in ogni caso ognuno di noi ha portato nel bagaglio i generi alimentari che i nostri genitori o nonni ci raccontano essere essenziali durante il periodo della guerra: pasta, caffè e zucchero;
  • stoviglie e altri utensili per organizzare una cucina da campo: mancanti;
  • tende: mancanti;
  • materassini da disporre sotto il sacco a pelo: mancanti.

Tra tutta l’attrezzatura mancante, le tende sono essenziali.

Senza un ricovero notturno, per quanto possa apparire fragile e precario, non è possibile accedere alle aree di sosta nei parchi. La ragione è semplice: gli animali di notte cacciano; la tenda – purché ben chiusa – è un sufficiente deterrente per qualsiasi animale, di qualsiasi taglia. In un solo luogo ci è stato permesso di dormire all’aria aperta, Kubu Island poiché – contrariamente al nome – non è un’isola, ma è una zona desertica dove non c’è vita animale di nessuna forma.

L’unica alternativa è acquistare le tende a Kasane, ma a quanto pare non sembra essere una merce facilmente reperibile. Nick chiede l’aiuto di due volontari che lo accompagnino in questa ricerca dal vago ricordo delle avventure di Indiana Jones, ma che per la compagine di avventurieri appare più come una nostra tipica barzelletta: un inglese, un napoletano e un sassarese.

Ci presentiamo infatti volontari Antonio (di Sassari) e io (di Napoli) e saltiamo sul “fiammante” camion guidato da Nick.

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A sinistra, Antonio e a destra io. All’estrema destra l’unica “suite” per due persone, la tenda di Giulio ed Elisabetta.

Il primo negozio dove entriamo, carichi di speranze, è con nostra sorpresa un “cinese”. Ebbene sì, anche nel profondo dell’Africa, ci sono i nostri “negozi cinesi”. Sono esattamente identici a quelli in Italia: stesso livello di assortimento delirante ed esposizione più o meno organizzata. Impossibile a colpo d’occhio capire se è disponibile l’oggetto del nostro desiderio: non resta che chiedere al negoziante di evidente etnia cinese.

Nick si fa avanti e si rivolge al negoziante che è intento a battere su una tastiera di un computer. In un perfetto accento britannico chiede: “Do you have tents?”.

Il negoziante, che fino alla domanda non ci ha degnato di uno sguardo, alza la testa, guarda davanti a sé, poi la rivolge in direzione di Nick e risponde: “What tents?”.

Come sarebbe a dire “What tents?”! La pronuncia di Nick è impeccabile. “Tent” è un vocabolo che potrebbe interpretare correttamente anche mia madre, che si ostina a pronunciare “John Wayne” alla francese (perché – così dice – ha studiato francese a scuola). La risposta del negoziante cinese ci fa precipitare in un abisso di sconforto misto a incredulità. Già mi vedo sulle scalette dell’aereo di ritorno.

Antonio e io siamo pietrificati. Nick non si perde d’animo e sfodera una gestualità che ci saremmo aspettati da un italiano in un paese straniero a digiuno di qualsiasi altra lingua all’infuori di quella madre. Unisce le punte di tutte le dita delle due mani formando un triangolo aperto alla base, poi con la mano destra fa il gesto di infilarsi all’interno. A supporto di tale lapalissiana gestualità, ripete la parola “tent”.

Il negoziante non si scompone più di tanto, non accenna a un sussulto che comunica di avere finalmente compreso e con calma serafica dichiara con tono tombale: “No, we do not have tents.”. Ritorna a battere sulla tastiera senza attendere una nostra reazione e degnarci di un saluto.

Per la prima volta mi è chiara nella sua concretezza l’espressione “Ritirarsi con le pive nel sacco”. Ritorniamo al camion carichi di delusione e umiliazione per non aver ottenuto ciò che desideravamo.

Secondo tentativo, secondo “negozio cinese”.  Quando comunemente si dice che la Cina si sta comprando mezza Africa, non è vero. La sta comprando tutta.

Anche qui non hanno tende in vendita, ma ci viene risparmiata la scena del mimo della parola “tent”. Qui sanno cosa significa, perciò se al primo tentativo una flebile speranza di trovare le tende era rimasta abbarbicata all’ipotesi di un’incomprensione linguistica, l’uscita dal secondo negozio è carica di delusione, umiliazione e più che fondato timore che le tende non siano una merce disponibile.

Inizio a vedere anche il panorama africano allontanarsi, dall’oblò dell’aereo.

Kasane non è una grande città, è un villaggio che non raggiunge nemmeno le diecimila anime. Andati a vuoto i due tentativi presso i negozi con l’assortimento più ampio disponibile, le nostre possibilità di trovare delle tende per tredici persone sono quotate dai “bookmaker” quanto la vittoria dell’Andorra sulla Seleção Brasileira nella Finale dei Mondiali di Calcio disputati in Brasile. Inizio a comprendere perché non esiste il tredicesimo piano in alcuni edifici, la tredicesima fila in aereo, la camera numero “tredici” negli alberghi.

Ritorniamo al Chobe Safari Lodge nella labile speranza che nel frattempo siano giunte notizie sul ritrovamento della tanta agognata attrezzatura. Le cattive notizie non arrivano mai da sole: alla conferma che nulla è stato consegnato, si aggiunge il nostro fallimento. Si decide di ripartire alla ricerca delle tende, questa volta tutti insieme.

Raggiungiamo un negozio con un assortimento equiparabile a quello dei punti vendita della grande distribuzione specializzata in bricolage e fai-da-te, edilizia, giardinaggio, decorazione e arredo interni. Nick viene accolto con un festoso saluto da una formosa donna che ricorda il personaggio di Mami in Via col Vento, ma più giovane.

Alla richiesta di Nick sulla disponibilità di “tents”, la donna si guarda intorno alla ricerca dell’oggetto, sul volto affiora un’espressione scettica che non preannuncia nulla di buono. I lunghi secondi che trascorrono in attesa della fatidica risposta sono il conto alla rovescia degli ultimi inutili secondi in cui ti giochi un premio in denaro che ti cambierebbe la vita, ma la risposta al dannato quiz proprio non la conosci.

La negoziante inizia a scuotere il capo. Sul volto di Nick traspare l’ennesima cocente delusione. D’un tratto risuona un urlo. Immaginate l’urlo di Rodrigo de Triana quando dalla Pinta avvistò per primo la terra delle Americhe. Tale è l’urlo liberatorio e carico di eccitazione che annuncia l’avvistamento di una tenda in fondo al negozio: è una tenda “igloo” di colore giallo, già montata e può ospitare quattro persone.

La negoziante riacquista miracolosamente la memoria e tira giù tutto l’inventario di tende per un totale di quattro: tre da quattro occupanti e una da due. Non sarà un viaggio “romantico”, si dovrà per forza condividere la tenda. Ma al momento la nostra “privacy” è l’ultima delle preoccupazioni. All’unanimità si decide di assegnare l’unica tenda per due persone a Elisabetta e Giulio.

Usciamo dal negozio della giovane Mami finalmente liberi dall’ansia e gonfi di rinnovato entusiasmo. Altri cinque minuti a piedi e raggiungiamo un supermercato dove acquistare il resto dell’attrezzatura mancante: stoviglie e materassini.

Per le stoviglie e gli utensili da cucina il successo ci arride su tutta la linea. La ricerca dei materassini da campeggio è verosimilmente meno fortunata. Poveri illusi, già è stata un’odissea trovare le tende, figuriamoci i materassini!

La nostra capacità di adattamento viene fuori! Troviamo dei materassi da letto di incerta qualità: lo spessore è assai inferiore a quelli che utilizziamo comunemente, ma si adattano sia all’utilizzo da campeggio sia al trasporto sul camion per via dell’ingombro ridotto. All’atto pratico, questi “materassi da battaglia”, sebbene alla prima occhiata non sembrassero migliori di quelli malconci delle brande durante il servizio militare, si sono dimostrati essenziali per evitare sicuri dolori alle nostre schiene, già messe a dura prova dai continui sobbalzi del camion sui terreni accidentati dei parchi.

Manca solo la spesa dei viveri e finalmente si partirà alla volta dei parchi.

Kasane-spesa-e-carico

Spesa al supermercato prima di partire per i parchi. Sulla parte posteriore del camion, in alto a sinistra, i “materassi da battaglia”.

Botswana-montaggio-tenda

Da destra verso sinistra, Marco, Claudio e io, impegnati nel montaggio della tenda.

Botswana-Campo

Un esempio del nostro lussuoso accampamento.

Botswana-tenda-dolce-tenda

Dopo una frugale colazione, è tempo di smontare “casa”. A sinistra, Manuela e Antonio, la coppia di Sassari con cui abbiamo condiviso la tenda per tutto il viaggio. A destra, sembro in posa da foto, ma in verità l’espressione tonta è tipica di chi ancora non ha capito dove si trovi.

 

26 pensieri su “Viaggio in Botstwana #7 – Alla ricerca delle tende perdute

    1. Il brivido dell’incognito!;) Concordo che ha reso ancora più memorabile la vacanza. Sono quei piccoli dettagli che dimostrano con lo scorrere del tempo di essere dei tasselli importanti per tenere tutto insieme.
      “What tents?” è indelebilmente scolpita nella mia memoria. Durante il viaggio, con Nick spesso ritornavamo su questo episodio e scoppiavamo in risate. Orami “What tents” era diventato un codice tra Nick e me.

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    1. Indiana Jones ricorrerà più volte in questo viaggio, ma sempre con una virata più sul comico che sull’avventura.
      PS: tra le poche cose buone di questa situazione di clausura forzata, sono riuscito a fare vedere il primo film di Indiana ai nani. Con grande successo. Sono soddisfazioni!

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    1. Sì, ero incerto se continuare con il racconto del viaggio, vista la situazione. Poi mi sono detto proprio questo che hai commentato. Non possiamo muoverci fisicamente, ma con il pensiero e le emozioni possiamo ancora viaggiare.

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    1. Si, al ritorno ci hanno rimborsato delle spese per l’attrezzatura da campo. La tenda, purché ben chiusa, è a prova di animali. Di notte puoi sentire gironzolarvi attorno. E puoi solo immaginare cosa siano. La curiosità può uccidere. Di notte gli animali sono in piena attività poiché la temperatura è decisamente più confortevole. Mai lasciare qualcosa fuori dalla tenda perché hai la sicurezza di non ritrovarla. Mai lasciare la tenda aperta altrimenti puoi ritrovarti una iena a cena e il piatto forte sei tu.
      Mai lasciare delle scarpe fuori, potresti ritrovarci dentro un serpente o uno scorpione. Gli animali più grandi come gli elefanti la evitano. Insomma compadre nella savana vale il detto: mi tenda es tu tenda. Ma selezionando bene gli ospitati. 😜

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    1. Se proprio devo fare una classifica ti dico: Moremi Game Reserve, delta dell’Okavango e Chobe Game Reserve. Tuttavia non ho una vera preferenza né mi sento di pronunciarmi su quale parco visitare piuttosto e quale evitare. Non mi sento di darlo poiché l Botswana è il tipo di luogo in cui anche un safari “medio” restituisce la sensazione di essere in un documentario del National Geographic. Se avrai la pazienza di seguire le prossime puntate, che entrano nel vivo del safari, capirai da solo il motivo.

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