Lasciato lo Zimbabwe, giungiamo a Kasane, in Botswana. La nostra destinazione è il Chobe Safari Lodge, situato sulle rive del fiume Cuando, il più grande affluente occidentale dello Zambesi. “Chobe” è il nome che viene dato al fiume Cuando nella parte finale del suo corso.
Il Chobe Safari Lodge ci riserva una bella sorpresa: immerso nel verde, sulla riva del fiume Chobe, i bungalow sono decisamente più confortevoli e hanno un bagno privato. Nulla di lussuoso, ma un netto miglioramento rispetto alla precedente sistemazione a Victoria Falls.
Non è questione di non adattarsi o atteggiamento da snob occidentale, ma si avverte una sensazione anomala, alla quale non siamo abituati: l’esigenza che la propria sistemazione per la notte sia sicura. Sebbene siamo in un centro abitato e non ancora nella savana, all’esterno si possono cogliere spunti per elevare la nostra soglia di cautela e abbassare la spavalderia di uomo metropolitano occidentale.
Uno di questi “spunti alla cautela” è la mantide su un muro all’esterno del nostro bungalow. Non è un insetto pericoloso, ma le dimensioni impressionano comunque.
Sistemati i bagagli, siamo pronti a “ingranare” la giusta marcia con il giusto slancio per un viaggio sì entusiasmante ma ancora pieno di incognite, attrezzatura da campo in primis.
Nel pomeriggio è previsto un giro in barca sul Chobe. Di mattina infatti non si avvistano molti animali quindi la mattina si trascorre cincischiando intorno a un tavolo e girovagando per la struttura alberghiera.
C’è una bella terrazza con vista sul placido fiume, sorseggiare una birra in contemplazione del panorama è una goduria.
Giunto il momento di salpare, ci dividiamo in un paio di gruppi per altrettante barche. Il ponte superiore è accessibile: il sole picchia ancora forte, ma la vista compensa il rischio dell’insolazione.
Ben consapevole delle mie limitate capacità di espressione e per rispetto alla bellezza di Madre Natura, limito le sinapsi alle falangi, falangine e falangette per lo stretto necessario e lascio “parlare” le immagini.
Il fiume è ampio, le rive opposte sono assai distanti, placido scorre sotto la chiglia della barca sospinta da un motore a regime ridotto. Date le dimensioni dei nostri fiumi, la sola vista della distesa d’acqua è l’inizio di una meraviglia alla quale è difficile fare l’abitudine perché in costante aumento. Alla distanza avvistiamo i primi animali.
La popolazione di elefanti in Botswana vanta il maggiore numero di esemplari in tutta l’Africa. Le rive sono punteggiate di piccoli gruppi di animali: elefanti, facoceri, bufali, ippopotami, antilopi. La barca si avvicina alla riva e la vista più ravvicinata coglie di sorpresa per la bellezza. Sebbene visti sui libri, nei documentari, nei film, allo zoo, ammirare dal vivo gli animali nel loro ambiente naturale è una nuova sensazione: ti accorgi che la carta, lo schermo e, peggio, una gabbia sono filtri che riducono drasticamente la capacità di coglierne l’autentica bellezza, il loro “essere”. Solo vedendoli in questo modo si percepisce la realtà, la verità.
L’elefante-sommergibilista ne è un esempio.
Il guado di questo elefante mi lascia senza fiato ogni volta che guardo le fotografie. Lo avrete visto in qualche documentario, ma dal vivo l’emozione è indescrivibile.
Una famiglia di scimmie passeggia sulla riva: un piccolo sulla schiena, altri due seguono. Nelle aree di sosta dei parchi si dimostreranno particolarmente “leste di mano”.
Una bella antilope Kudu attira la nostra attenzione.
Incantevole questo esemplare femmina quanto maestoso e minaccioso il vicino maschio che ci squadra come per dire: “Che guardi?!?”
Il sole picchia ancora forte e gli animali si muovono con una certa lentezza o preferiscono restare immobili. La barca così riesce ad avvicinarsi senza che si diano alla fuga. Gli unici che al sole godono sono i rettili.
C’è chi prende il sole beato ed è meglio lasciarlo in pace.
Scappa uno sbadiglio per la noia, ma – fidatevi – la compagnia gli sarebbe assai gradita, ma non nel senso che pensate.
Meglio prendere le distanze.
E trovare un posticino più tranquillo.
Queste acque sono l’habitat naturale per tanti uccelli, alcuni alquanto familiari…
…alcuni inquietanti.
Un grosso uccello appollaiato su un ramo appena al di sopra della superficie dell’acqua non passa inosservato: il corpo molto allungato e affusolato, il collo è particolarmente lungo e snello, il becco altrettanto lungo e appuntito. Lo chiamano “snake bird” (il suo nome scientifico è Anhinga rufa) perché, quando è in acqua, il corpo è totalmente sommerso e il collo rimane al di fuori dell’acqua come il periscopio di un sottomarino: appare come la testa di un serpente che nuota. Nella pesca il collo così sinuoso permette di agire come un congegno a scatto, la piccola testa si immerge senza la minima resistenza e il becco appuntito trafigge le prede come un fioretto.
Qualcuno ha deciso di scroccare un passaggio sulla barca.
Un facocero bruca in una posizione strana.
Un gruppo di bufali schiaccia un pisolino.
Avvistiamo un’animale che è fonte di un’ulteriore sorprendente “scoperta”! A partire dagli anni Sessanta e fino agli anni Novanta, Pippo, un ippopotamo di colore blu, è stato il “testimonial” di una famosa marca di pannolini. Nel nostro immaginario collettivo perciò questo imponente mammifero è considerato come un’animale docile, amichevole e rassicurante. Niente di più profondamente sbagliato.
L’ippopotamo è un’animale con un forte senso del territorio, è feroce nel difenderlo e ha delle zanne capaci di uccidere anche un elefante (sono ben visibili nella foto seguente).
La guida ci ammonisce: “Mai trovarsi tra un ippopotamo e il suo specchio d’acqua”. Non esiterebbe a caricarci con tragici effetti facilmente immaginabili.
Dopo quanto abbiamo appreso sulla ferocia degli adulti, la tenerezza alla vista di un cucciolo svanisce e la vista di così tanti ippopotami è densa di una strisciante tensione quanto la vista di una pozza sovraffollata di coccodrilli.
L’ultima fotografia è dedicata a chi rischia la vita ogni giorno per potere sfamare la propria famiglia:
Nella prossima puntata finirà l’attesa per la dispersa attrezzatura da campo. I protagonisti di questa mini-avventura sono: un inglese, un napoletano e un sassarese. Sembrano i protagonisti di una barzelletta e, in effetti, ci va molto vicino.
Questi luoghi con i suoi panorami e i suoi animali sono meravigliosi e magici. Bellissimo articolo!
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Grazie Butch!
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Che meraviglia compare! Vien voglia di mollare baracca e burattini per andare a discutere con gli ippopotami, chissà che non si mostrino più aperti e dialoganti di certi nostri connazionali
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Sul mollare baracca e burattini la tentazione viene. Ti assicuro che viene e ritorna più volte. Lascerei però perdere il nobile intento di un dialogo con gli ippopotami, non già per la scelta del possibile linguaggio da utilizzare, ma per l’irruenza tipica di tale bestione, che fuori dall’acqua, nonostante la mole, è alquanto veloce. Alla sua vista, piuttosto che la fuga, si consiglia un nascondiglio. Come è successo al tramonto a un nostro compagno di viaggio al Moremi Park all’uscita dall’edificio dei bagni.
Piuttosto certi nostri connazionali dovrebbero essere spediti a fare il pescatore su quei fuscelli di legno sul Chobe. Forse imparerebbero qualcosa (se sopravvivono agli ippopotami, coccodrilli, serpenti…)
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Detto così, fuori dai denti: non è che molti dei nostri concittadini siano poi così diversi…
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La differenza è che il comportamento aggressivo degli animali ha sempre una ragione di sopravvivenza, mentre per gli uomini spesso è gratuito, immotivato con l’auto-assoluzione della “questione di principio”, per quanto questo possa essere balzano.
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Nell’essere umano, col tempo, é andato distorcendosi l’istinto di sopravvivenza: non più dipendente dall’essenziale, bensì dal superfluo. Si sfrutta, si inganna, si ammazza… Per ottenere più cose superflue identificate come ricchezza: grazie alla ricchezza non solo si sopravvive, si vive bene e si ha potere
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splendide le immagini e valgono mille parole. Deve essere stata un grandissima emozione quella vista
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Per me è stato il primo incontro con la fauna. Mi ha aperto gli occhi sull’autentica bellezza e dell’esigenza di preservare a ogni costo il loro habitat e quindi la loro esistenza. Già sono contrario alla caccia, ma dopo averli visti dal vivo, sono diventato estremista nel vietarla in ogni forma.
Inoltre contribuisce anche al benessere della popolazione grazie all’indotto di un turismo sostenibile. In Botswana l’hanno capito perfettamente. L’attenzione è tale che anche i ranger (le guide) girano senza armi: il loro compito infatti è evitare le condizioni di pericolo per l’uomo e per gli animali.
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dalle immagini e dalla scarse parole avevo ben compreso il tuo pensiero. Certo anch’io sono contro la caccia che trovo un modo crudele per uccidere chi prima di noi calcava quei territori.
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ciao, come stai?
vorrei che tu vedessi questa inchiesta giornalistica in cui viene svelata la vera natura del coronavirus. dice un sacco di verità che la gente ignora e dovrebbe assolutamente sapere. così spero che dopo che l’avrai vista vorrai condividerla. tra l’altro in qualche modo c’entrano anche i viaggi che la gente fa nei paesi “selvaggi”. stavolta non sto scherzando. a presto.
https://www.raiplay.it/video/2020/03/Indovina-chi-viene-a-cena—Il-virus-e-un-boomerang-7f5b2b93-2b26-4a62-aed8-d312f6461f22.html
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La guarderò ma non vedo il nesso con i viaggi nei Paesi più “selvaggi” (le virgolette sono d’obbligo e non mi piace questa definizione). Il virus, come qualsiasi altro virus, non conosce confini e ipotizzare di “blindare” gli spostamenti delle persone è pura follia e contro ogni trend storico. La guarderò e ti faccio sapere cosa ne penso. Grazie.
PS: siamo a casa, mia moglie in Smart working, io in cassa integrazione. Tutti bene. Tu e famiglia ok?
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Non so, forse bisognerebbe lasciare indisturbati gli animali selvaggi nel loro habitat, e non andare lì, ma ovviamente questa è solo una cosa che è venuta in mente a me, e nell’inchiesta se non ricordo male non vi si accenna.
Io tutto bene, grazie. La mia vita in fondo non è molto cambiata.
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Gli animali sono super-tutelati. I ranger sono scrupolosissimi e ferrei nel fare rispettare le regole. Si osservano da lontano, senza recare loro disturbo o intralcio. In questa esperienza ti assicuro si impara ancora di più il rispetto per gli animali e l’importanza di rispettare il loro habitat. È un viaggio estremamente formativo e lascia il segno. Poi chiaro che dipende con quale spirito lo si intraprende. Se si pensa di ritornare per fare sfoggio di foto e darsi un tono, allora si è irrecuperabilmente deficienti. Meglio starsene a casa e vedersi un documentario. Ma – non mi stancherò mai di ripeterlo – avere la possibilità di vedere nel suo habitat un’animale è un’esperienza arricchente e gioca a favore proprio del loro rispetto.
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Okay, non volevo certo puntare il dito su te. 🙂
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Ho spiegato approccio e intenti del racconto del 1 episodio. Probabilmente non lo hai letto.
In ogni caso, continuo a non comprendere il tuo intervento in merito a chi viaggia in Paesi esotici e la diffusione di un virus. Esistono delle precauzioni e presidi sanitari, che vanno osservati.
In Botswana, nel passaggio da un parco a una zona con presenza umana, vi sono dei presidi della polizia locale che disinfettano veicoli e persone.
Virus sconosciuti possono non essere intercettati dai presidi sanitari. Pensare di blidare certi luoghi o persone non mi sembra una soluzione, ecco.
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Che splendide fotografie e che bellissimi animali!!!!
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Mi associo a Sam Simon, bellissime fotografie (a parte tutto il resto…). Mi sono sempre chiesto cosa si provi a vedere un elefante ma soprattutto un ippopotamo di presenza.
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