Viva il Messico! Ep.#38 – Arrivo a Isla Mujeres


Segue da Ep.#37 – Il “tappone”, da San Cristobal a Isla Mujeres

15° día

Sbarcati a Isla Mujeres, anche a causa delle venti ore di viaggio per terra e per mare, ci coglie il tipico “spaesamento” del turista, che viene subito colto da un baldanzoso figuro del luogo.
Il soggetto locale ci chiede se abbiamo già un albergo prenotato, offre il suo aiuto e conoscenze per rendere la nostra permanenza la più serena e soddisfacente possibile.

Siamo nella proverbiale condizione dell'”asino in mezzo ai suoni”. Situazione anomala visto che, per tutto il viaggio, pure non avendo prenotato dall’Italia se non in due occasioni (Playa del Carmen e Palenque), abbiamo vagliato le possibili opzioni per la tappa successiva utilizzando i preziosi consigli di Jimmy e l’inseparabile Rough Guide. Individuato un possibile luogo dove ristorare le stanche membra almeno per la noche, visto che dormire all’aperto ci esporrebbe – nella migliore delle ipotesi – all’attacco furioso dei feroci mosquitos, utilizzando un telefono pubblico, siamo sempre riusciti ad assicurarci un tetto sulla testa. Nonostante tutto, la comunicazione mista tra l’italiano-spagnolato e l’inglese si è dimostrata sempre efficace e, in alcuni casi, fonte dei migliori strafalcioni raccolti nella “Classifica della Vongola“.

Per motivi persi nella memoria, non abbiamo prenotato nulla all’arrivo a Isla Mujeres, non abbiamo consultato la nostra bibbia turistica nemmeno durante la traversata in traghetto e mancano all’appello anche i consigli di Jimmy.

Allo sbarco quindi veniamo colti nel tipico “momento del coglione” e decidiamo di affidarci all’improbabile Cicerone del luogo. A ripensarci, poteva finire molto, ma molto peggio di come è andata.

Con tutta probabilità le nostre normali cautele da turista erano drasticamente ridotte anche per la particolare conformazione della Isla: una lingua di terra emersa nel meraviglioso Mare dei Caraibi di fronte a Cancun, che si estende per sette chilometri di lunghezza e con una larghezza, da una costa a quella opposta, di soli seicentocinquanta metri. Cosa poteva capitarci in una comunità concentrata in un territorio così ristretto? Si conoscono tutti e i turisti sono la principale fonte di reddito.

Isla Mujeres è una stretta e lunga striscia di terra. [Fonte: INEGI – Instituto Nacional de Estadística Geografía e Informática]

Così iniziamo a seguire il nostro Cicerone isolano, che è di modi estremamente gentili, ma mentre camminiamo con i nostri zaini in spalla, rinveniamo dal “momento del coglione” e iniziamo a lanciarci sguardi molto espliciti: “ma che cazzo stiamo facendo?”.
Un po’ per la stanchezza, un po’ per il caldo delle ore centrali del giorno (un’autentica mazzata e bagno di umidità e sudore), un po’ per un avventuroso spirito del “vediamo dove ci porta”, la nostra diffidenza non ha il tempo di farsi strada e di spingerci allo sgancio dal nostro “chaperon”.

Giungiamo a un albergo, di cui non ricordo il nome (ma è meglio così), il Cicerone maya ci accompagna all’interno e scambia qualche parola con l’unica anima viva ivi presente ovvero la señorita alla “reception”.
Una camera è disponibile (ma a giudicare dal deserto nell’albergo, c’era l’imbarazzo della scelta), il prezzo è decisamente modico, a mia memoria uno dei più bassi mai pagati nei miei viaggi e sicuramente il più basso di tutto il viaggio messicano.
Ritorna il “momento del coglione” misto al “momento del taccagno” e decidiamo di accettare la proposta, praticamente al buio.
Per la seconda volta durante il viaggio, condividiamo una camera in quattro.

Il nostro Cicerone maya ci saluta e ci affida alla señorita. Non ci chiede una mancia per i suoi servigi, ma sicuramente riceverà una provvigione dal titolare dell’albergo.

La señorita ci accompagna alla camera, i corridoi sono deserti. Non incontriamo anima viva, né un turista né altro personale dell’albergo. Se non fossimo in un’isola nel Mare dei Caraibi, la sensazione è quella dei protagonisti dei film “horror” che vanno incontro al loro destino varcando l’uscio dell’Hotel Nosferatu o di una casa isolata nella foresta. Vittime predestinate in un anomalo abisso di perspicacia.

Le pareti luminose di bianco e l’atmosfera caraibica sono un set del tutto anomalo, tutt’al più adatto per un “jump scare” con fuga precipitosa al più vicino bagno. Sperando che non vi sia una “turca”.

Dopo qualche minuto in cui si odono solo i nostri stanchi passi, giungiamo davanti a una porta. La señorita apre la porta, ci consegna le chiavi e saluta con una punta d’indifferenza.

La stanza è decisamente di piccole dimensioni, i quattro letti sono ammassati uno accanto all’altro e lo spazio restante è risicato, appena sufficiente per garantire una minima mobilità. Il bagno è chiaramente unico e non ispira sedute o docce rilassate, ma rapide toccate-e-fuga per necessità.

In una parola: siamo finiti in un’autentica stamberga.

Si classifica al secondo posto di tutti i miei viaggi, superata solo da una terrificante stanza di albergo nella medievale cittadina teutonica di Rothenburg in Baviera.

Vista la stanchezza del viaggio e la prospettiva di dovere girare come delle trottole per trovare un diverso alloggio, sotto la canicola pomeridiana e, probabilmente, fino a sera, senza alcuna garanzia di un’alternativa, facciamo appello a scampoli della nostra comprovata capacità di adattamento e a una cospicua dose di rassegnazione: buttiamo gli zaini da una parte e disponiamo la formazione per la notte.

Prevedo tempi di reazione al risveglio più lenti del solito, tempi di attesa medio-lunghi al bagno, sonni disturbati dall’eccesso di ossigeno consumato e rumori molesti. Se qualcuno russa, rischiamo lo scisma della compagnia con la beffa di essere solo a qualche giorno dal ritorno in patria.
Unica nota positiva: l’estrema ristrettezza di spazi e i letti così vicini da sembrare un letto a quattro piazze sono l’ambiente ideale per riprendere il torneo di scopone scientifico, che durante la permanenza in Chiapas è stato sospeso. Lo spirito competitivo delle rispettive coppie non è sopito, anzi con l’avvicinarsi della fine del viaggio si avvicina la fine del torneo e ogni coppia intende aggiudicarsi a tutti i costi l’ambito trofeo, che non è una coppa, né una medaglia, né una somma di denaro, ma consiste nel ben più inestimabile diritto di sbeffeggiare a tempo indeterminato la coppia perdente.

Sopraggiunta la sera, riposati, ripuliti e ben truccati, è tempo per fare un giro per il centro abitato e – come di consueto – “scegliere di panza” un luogo dove rifocillarci e assumere la nostra dose di tequila con sal y limón.

Il centro abitato è davvero delizioso, l’atmosfera tipicamente isolana è del tutto simile a quella nostrana delle piccole isole fuori dalla stagione turistica. La strada principale è piena di piccoli negozietti, ancora lontani dalla paccottiglia e dall’effetto di “globalizzazione turistica” evidente sulla Quinta Avenida di Playa del Carmen. Ricca anche l’offerta gastronomica di ristoranti e bar, che allontanano lo spettro della maledizione di Montezuma e predispongono alla fiesta di papille gustative e al lavoro straordinario dei succhi gastrici e intestino.

La prossimità del ritorno sul suolo italico ci spinge a scegliere un ristorante dal familiare nome Rolandi’s.
Nel menu appare anche un cibo assai amato in patria e oggetto di immonde variazioni sul tema in tutte le parti del mondo: la pizza.
La prolungata assunzione di cibo messicano e una certa stanchezza alla forte presenza di spezie (in particolare, all’onnipresente cumino e coriandolo) ci spingono verso una scelta, in teoria rassicurante, ma nella realtà assai rischiosa: la pizza, appunto.

Non si punti il dito contro quattro napoletani rei di cotanto oltraggio a un caposaldo della propria tradizione culinaria in terra messicana, per giunta su un’isola caraibica. Non è facile resistere davanti all’immagine di una bella pizza fumante dopo quindici giorni di cumino e coriandolo con la flora batterica intestinale decimata da ripetuti attacchi di dissenteria.

La scelta non ha effetti meritori di auto-fustigazione, anzi la pizza risulta accettabile – considerato dove siamo – perfino gradevole.

Vediamo servire altre succulente pietanze agli altri tavoli e la scelta di dove avremo la prossima cena è presa all’unanimità: Rolandi’s!

Le venti ore di viaggio si fanno sentire, puntiamo perciò verso la nostra stamberga. La presenza di turisti non è invadente, anzi si mischia ai locali restituendo un confortevole effetto di non essere semplicemente in vacanza, ma che potrebbe essere casa tua: come dicono da queste parti, “mi casa es tu casa”. Apparentemente non vi è molto altro da fare dopo cena.

Leggendo della Isla di oggi le cose sono cambiate con un’affluenza di turisti che ha investito tutta la Riviera Maya rendendo l’esperienza meno “isolana” e troppo simile a tante altre in giro per il mondo.

Prevedibilmente la notte nella camera della nostra stamberga è parecchio “movimentata”: se il sonno potrebbe essere profondo per la stanchezza accumulata, il caldo è insopportabile, aria condizionata assente e le pale al soffitto non fanno altro che spostare aria calda in circolo. Per fortuna nessuno russa o – se lo ha fatto – nessuno se n’è accorto. La compagnia dei caballeros della Pietà e della Misericordia è salva.

E chi non viene con noi in barca a solcare l’azzurro Mare dei Caraibi, in tutti i suoi viaggi possa trovare un posto per dormire solo nelle stamberghe.

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7 pensieri su “Viva il Messico! Ep.#38 – Arrivo a Isla Mujeres

    1. La stamberga dopo tutto non ha rovinato la permanenza a Isla. Il nostro affiatamento è granitico, la nostra capacità di adattamento è camaleontica 😉 Ce la siamo goduta comunque. Anche perché Isla, nel 1999, era un luogo davvero incantevole: uno di quei luoghi dove potresti pensare di smontare baracca e burattini della tua vecchia vita e rifartene un’altra qui. Da quanto ho letto e ho visto in Rete oggi è un sovraffollato luogo turistico. Confermato peraltro da mio fratello che è ritornato in Yucatan una decina di anni dopo e mi ha raccontato che tutta la Riviera Maya aveva cambiato volto, con una moltiplicazione di strutture alberghiere. A Isla temo che la densità di turisti sia drasticamente aumentata.
      Non ho ben compreso l’OT….il soggetto autoctono, avrei meglio scritto, ma mi è venuta fuori una forma più colloquiale.

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