Segue da Ep.#38 – Arrivo a Isla Mujeres
16° día
Come direbbe il buon Frank il nostro risveglio è “grintoso”!
Sebbene non abbiamo trascorso una notte dal sonno completamente rigenerante, lo spirito “grintoso” di viaggiatori riaffiora in tutta la compagnia dei compadres.
Il “vafanculo” mattutino di Diego e le sue lamentele sul “cesso di posto” dove abbiamo dormito ci confortano sulle sua ritrovata forma.
Isla Mujeres è un paradiso per gli amanti dei fondali e della fauna marina. Se a Cozumel, nonostante la ricca offerta di escursioni subacquee e di “snorkeling” , avevamo preferito un giro in motorino per terraferma e una rilassata esplorazione delle bianche spiagge, alla Isla decidiamo di partecipare a uno dei tanti “safari blu” proposti da svariate imbarcazioni, pranzo a base di pescado incluso.

Ci lasciamo scorrazzare per mare, ci tuffiamo nelle acque dalle tante sfumature di turchese di questo tratto di mare caraibico, vi sguazziamo dentro inseguendo branchi di pesci variopinti e dalle meravigliose livree.
All’ora di pranzo veniamo scodellati su una lingua di sabbia, così bianca che abbaglia, e ci viene servito un menu a base di pesce fresco: ne assaporiamo con grande soddisfazione il “sapore di mare” grazie all’assenza di spezie tipiche della cucina messicana.
Dal mare la costa appare come una sottile striscia bianca che emerge dalle acque di quel tanto che è un miracolo non sia stata ancora ingoiata dai flutti. Siamo soddisfatti di avere intrapreso il lungo viaggio dal Chiapas per concluderlo come ultima tappa con la Isla.

Isla Mujeres ha numerosi effetti positivi sui compadres.
Sprofondiamo nuovamente nello stato della “ricotta”.
In napoletano “fare la ricotta” indica lo stato più estremo dell’ozio, ma senza l’accezione negativa ereditata dal Protestantesimo. Un ozio che si avvicina all’otium latino, a uno stato in cui il non fare nulla, il non pensare a nulla sono condivisi spontaneamente da corpo e mente, senza alcun ombra di rimorso o ripensamento. Si tratta di un autentico “stato di grazia”, che mi azzardo a definire quanto di più prossimo alla condizione dell’uomo nel Giardino dell’Eden prima che Eva avesse quella voglia di “non so che” e purtroppo Adamo acconsentì a soddisfarla con il frutto proibito. Si fosse chiamato Ambrogio, ce la saremmo cavata con un cioccolatino con granella di nocciole e saremmo ancora a goderci il Paradiso Terrestre.
Da questo ritrovata disposizione all’otium trae linfa lo scanzonato spirito cialtrone, foriero di nuovi ed epici strafalcioni: la “Classifica della Vongola” viene popolata da nuove mirabolanti castronerie.
Il torneo di scopone scientifico ritorna nel pieno della competizione: ogni coppia intende aggiudicarsi i punti decisivi per infliggere gli avversari un’umiliazione pari a quella subita dai Romani a opera dei Sanniti passata alla storia come le forche caudine, anzi, queste ultime potrebbero rivelarsi una pallida metafora al confronto degli sberleffi che i perdenti subiranno sicuramente a tempo indeterminato.
L’attività di “snornkeling” è la dose di movimento fisico sufficiente per metterci in pace con i nostri “doveri” da turista, scartiamo l’ipotesi di un giro dell’isola e ci spiaggiamo sulle bianche sabbie in un tratto in cui vi è un chiosco e un palmizio. Il profondo tratto di spiaggia è lambito dal mare dal consueto caleidoscopio di colori viranti al turchese, il cui unico neo – se così possiamo definirlo – è la temperatura dell’acqua: il passaggio dall’asciutto al bagnato non produce alcuno shock termico, neppure lieve.
L’acqua è un brodo e per trovare refrigerio, durante il bagno nelle basse acque, non posso fare altro che versarmi sulla testa metà del contenuto di una buena cerveza fría, appena acquistata presso il vicino chiosco.

Il caldo sia fuori sia dentro l’acqua ci spinge a un andirivieni dal chiosco per approvvigionarci di liquido utile a raffreddare il corpo. La cerveza, servita in bottiglia con uno spicchio di lime incastrato nella sua imboccatura, è di basso tasso alcolico, se ne scende che è una goduria. Dubito che l’Anonima Alcolisti abbia una sede a Isla Mujeres.
Il tratto di spiaggia dove abbiamo steso i nostri teli non è assolutamente affollato, anzi la densità dei bagnanti è quella di una caletta della costa sarda a picco sul mare, raggiungibile soltanto via mare, durante il mese di settembre.
Non siamo gli unici clienti del chiosco.
Tra la rilassata clientela appollaiata sugli alti sgabelli a ridosso del bancone vi sono due donzelle. Scatta il balam che è in me!
In lingua Maya “balam” significa giaguaro.
Sfoggiando un inglese con una marcata pronuncia partenopea e aiutato da un allentamento dei freni inibitori grazie alle proprietà del luppolo fermentato, attacco bottone con le due giovani donzelle.
Scopro così che vengono dal Belgio e l’unica cosa che ricordo della breve chiacchierata è una loro domanda: sono meravigliate di incontrare così tanti italiani e me ne chiedono il motivo.
La risposta è stata quella che già immaginate ovvero che nel mese di agosto in Italia sono chiuse scuole e aziende, perciò gli italiani sono costretti – chi può – a invadere il resto del mondo in questo periodo dell’anno, non particolarmente adatto per alcune zone geografiche e decisamente devastante per le finanze.
Mi è capitato di sovente che mi si rivolgesse questa domanda e la risposta ha sempre lasciato interdetto il mio interlocutore. Proprio l’anno scorso, durante il viaggio a Miami, seduto a un tavolino all’aperto di uno Starbucks, una signora mi ha rivolto con tono preoccupato la stessa domanda: il numero di italiani incontrati era talmente elevato da farle temere che fosse successo qualcosa di anomalo dalle nostre parti. L’ho rassicurata confermandole che non era in atto una migrazione di massa, anzi avevamo noi qualche serio problema nella gestione di un altro tipo di migrazione.
Quanto già descritto in merito alle nostre capacità e intenzioni di “acchiappo” trova conferma anche in questa occasione. Dopo uno scambio di qualche battuta, è chiara, anche dopo qualche cerveza, la tepidezza della due ragazze e una propensione alla semplice chiacchierata tra europei in terra messicana pari allo spessore di una piadina romagnola. Altrettanto “disinteressata” è la nostra incursione, così ci salutiamo senza nemmeno azzardare la proposta di una cena insieme.
Ritorniamo ai nostri asciugamani stesi sulla spiaggia e – indifferenti al richiamo della “figa” e alla contemplazione romantica della bellezza del luogo – tiriamo fuori il mazzo di carte napoletane e ci apprestiamo a uno degli scontri più aspri e tirati di tutto il torneo.
Come Frank ha già definito mio fratello e me in occasione dello shopping a San Cristobal: quattro emeriti “cazzoni”. Ma felici e sereni.

Su questa paradisiaca spiaggia di Isla Mujeres, all’ombra di esotiche palme, la “Classifica della Vongola” si arricchisce della sedicesima e autorevole voce.
Sono sei anni che gioco a scopone!!!
La frase è di uno stizzito Lucio, pronunciata con fiero cipiglio e un’autorevolezza che non ammette dubbi.
Si tratta della risposta di Lucio all’ennesima spiegazione di un alterato Diego della “aurea regola dell’appariglio e dello spariglio” dello scopone scientifico, che ha peraltro inaugurato la “Classifica della Vongola“.
Dopo l’ennesima giocata a membro di cane da parte di Lucio e la conseguente infilata di scope da antologia, Diego ha legittimamente uno scatto d’orgoglio e d’ira nei confronti dell’improvvido compagno di gioco.
Come correttamente appuntato da Frank, l’impatto comico dell’affermazione di Lucio è equivalente a una versione della ben più celebre frase di Totò quando si vanta dei “tre anni di militare a Cuneo”.
Ad aggravare la posizione di Lucio, quest’ultimo insiste nel rafforzare la sua affermazione con la seguente dichiarazione: “sei anni di scopone a Piazza Garibaldi!”.
Mio fratello e io, insieme ad altri giovani della nostra parrocchia, ci recavamo alla Stazione Centrale di Napoli a Piazza Garibaldi in locali adibiti all’assistenza ai senza-tetto, nei quali – oltre a somministrare un pasto caldo – ci intrattenevamo con loro, spesso giocando a scopone. Tutto fino a quando è subentrata ufficialmente la Caritas. Evito di proseguire altrimenti vengo scomunicato.
La sera ci rechiamo presso Rolandi’s, ma questa volta ci concediamo il lusso di cenare a base di pesce: ho mangiato un enorme e gustosissimo pesce in crosta di sale.
Siamo veramente in grandissima forma: a breve distanza dalla nuova entrata nella “Classifica della Vongola” di Lucio, alla fine della cena da Rolandi’s, Frank non ci sta e, temendo di essere raggiunto se non surclassato (in verità, si è già aggiudicato da tempo il podio più alto, lasciando quasi il deserto dietro di lui), sfoggia la grinta del vero guerriero e ci regala un’altra perla. La diciassettesima voce della “Classifica della Vongola” è:
Io so quando sparo una cosa seria e quando sparo una cazzata!
[applausi a scena aperta, astanti in piedi sui sedili in evidente stato di euforia al limite del delirio]
Il casus (s)belli(canti) è la tequila. Come consuetudine, a cena terminata, seguono uno o più di giri di tequila. Abbiamo imparato che ne esistono differenti con una qualità e prezzo crescente secondo gli anni di invecchiamento.
In questa occasione, Frank, dopo oltre quindici giorni di assunzione di questo distillato, sbaglia clamorosamente la sua definizione: la “tequila agavero” viene infatti definita come “agaPero”, con certezza incrollabile e incontestabile perché pronunciata dal divino Grande Uxmal (al secolo, Francesco).
Alla coralità di scherni e risate, seguiti dall’opportuna correzione da parte degli altri compadres, Frank ostenta una sicurezza fanatica e incrollabile come un invasato religioso che compie efferati atti in nome del proprio Dio.
La frase, che in teoria doveva essere la tomba di ogni replica, ha il proverbiale effetto “boomerang”. Giunto al tavolo l’oste, chiediamo la conferma del nome della tequila e la risposta suona come una campana a morto: “agaVero” è la conferma dell’immane cantonata dell’ottimo Francesco, che così si invola – irraggiungibile – a conquistare il podio della “Classifica della Vongola”.
A Cancun, tuttavia, lo spirito di competizione a chi la spara o la fa più grossa si rivelerà ancora vivo con un’eccellente contributo da parte mia e a seguire il contro-attacco del sempre grintoso Francesco.
Domani si parte per Cancun, un altro giorno prima della partenza per l’Italia.
E chi non viene con noi a Cancun a salutare il Messico possa incontrare due ragazze provenienti dal Belgio, che dopo averli fatti sbronzare e credere in un movimentato “dopo cena”, li rapinino di tutto, compresa la biancheria intima.
Divertente questa saga è un amarcord appassionante…….
"Mi piace""Mi piace"
mi diverte da morire come la classifica delle vongole.
Per quanto riguarda le donzelle non la conti giusta. Un acchiappo di due in sol colpo, quando in mente hai la romana?
peccato che siamo agli sgoccioli di questa appassionante storia.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Sei fuori strada con le donzelle di qualsiasi nazionalità. Nessun acchiappo, anzi palo pieno! E non ero “impegnato” ne’ avevo l’intenzione di farlo.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Ci sono stato anch’io a Isla Mujeres. Ma è stato bellissimo tornarci con te…
Grazie per il bel viaggio, compadre
"Mi piace"Piace a 1 persona
Bella isola, all’epoca abbastanza poco frequentata. Dalle immagini che ho visto per la Rete ho l’impressione che sia stata “colonizzata” dal turismo. Sono contento per gli isolani, speriamo sappiano conservare la bellezza della loro lingua di terra.
"Mi piace"Piace a 1 persona
A parte l’hotel President, mi pare che così si chiamasse, piazzato come una m… a di ippopotamo su una scogliera, sono d’accordo che l’isola era stupenda. Adesso non oso guardare le foto recenti.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Per grazia di Dio. O. Ricordo l’ippopotamo di cemento. Ho usato Street view di Google Maps per cercare Rilandi’s e mi sono ritrovato in ammasso di ristoranti e locali con insegne urlanti di un centro commerciale come tanti. Mi è preso un colpo al cuore.
"Mi piace"Piace a 1 persona