Viaggio in Botstwana #9 – Savuti camp site, all’ombra di un’acacia


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All’ombra di un’acacia, in un pomeriggio accarezzato da una leggera brezza quanto basta, in mezzo alla savana, dopo la prima giornata di safari, urge l’esigenza di fissare per iscritto le emozioni. Sebbene si tratti di un’esperienza che lascia il segno, sia per le tante novità sia per l’impatto emotivo, la memoria non è affidabile nel lungo periodo e spesso tende ad alternare sottilmente i ricordi, ammantandoli di una nebbia che offusca i dettagli e preserva tutt’al più i contorni. Già in passato, i miei appunti, seppure nel mio italiano crocifisso, si sono dimostrati non soltanto uno scrigno di ricordi, ma anche un punto di partenza di un nuovo e più consapevole viaggio della mente, capace di fare riaffiorare dettagli non scritti e di replicarne con autenticità le emozioni. Ne avete una prova nel lungo diario del viaggio in Messico.

Savuti camp site: appunti all’ombra di un’acacia

Siamo “atterrati” in un nuovo mondo: sembra un altro pianeta e io mi sento un alieno. L’ambiente naturale, che ho provato a descrivere attravero i suoi “profumi” nella precedente “cartolina africana”, è già di per sé sufficiente a comunicare la straniante sensazione di “appartenenza ad altri” ovvero ciò che in latino si definisce con un termine tanto caro alla fantascienza: alienus.

Vi si mescola anche un’altra sensazione, che è contenuta nella moderna accezione di “alieno”, ma in latino ha un termine distinto: extraneus, straniero.

L’estraneità a questo nuovo mondo è evidente, eppure così terribilmente attraente. Vi è qualcosa che richiama un’appartenenza lontana, lontanissima, dimenticata, sepolta, ma mai perduta per sempre. A sud del deserto del Sahara, da qualche parte nell’Africa centrale ha avuto origine l’umanità (cfr. Research suggests single African origin of humans, University of Cambridge, 19 luglio 2007). Sarà una suggestione, ma il contrasto a livello emotivo non lascia dubbi: vi è un’attrazione per un ambiente, se non ostile, difficile per la vita umana. Senza la necessaria consapevolezza, è un’ambiente che non perdona certe nostre abitudini. La nostra guida Nick è una fonte di informazioni, ma anche di utili ed essenziali raccomandazioni: mai allontanarsi dal gruppo; mai scendere dal camion durante le escursioni; mai tentare di avvicinarsi a un’animale anche se si ritiene di essere a una distanza di “sicurezza”; mai portare cibo in tenda; assicurarsi di chiudere la tenda per bene durante la notte. La parola “sicurezza” è quantomeno un concetto da rivedere significativamente.

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Antonio sotto un baobab. Aiuta a ridimensionarsi in questo ambiente.

Nel caso si dovesse uscire dalla tenda durante la notte per espletare impellenti bisogni fisiologici, occorre portare con sé una torcia (che fa parte dell’attrezzatura personale raccomandata), illuminare davanti a sé i propri passi, evitare cespugli o anfratti poiché la nostra naturale ricerca di riservatezza e intimità potrebbe recare disturbo a quella di un serpente chiamato “sette passi”: tanti sono i passi che ti rimangono su questa terra dopo il morso di un mamba nero. Vi assicuro che il messaggio è arrivato forte e chiaro alla mia vescica, prima che al cervello: non ho mai avvertito l’impellente bisogno durante nessuna delle notti trascorse sotto la tenda.

A  tale contrastata sensazione di “estraneità” e a tratti di “pericolo”, si aggiunge la meraviglia della vista di tanti animali: il primo avvistamento è stato quello delle giraffe.

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Poi gli elefanti, che in Botswana conta il numero di esemplari più alto di tutta l’Africa.

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Se ti fissa e scuote la testa, è il segnale di alzare i tacchi. L’elefante raggiunge una discreta velocità nonostante la mole: copre undici metri in un secondo ed è capace di una velocità di quaranta chilometri orari.

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E ancora struzzi, impala, kudu, gnu, facoceri, bufali, un leopardo, avvoltoi, vari uccelli, un coniglio. La vista di un coniglio tra elefanti, giraffe e predatori come iene e leoni, ci lascia interdetti: cosa ci fa un coniglio in un’ambiente così ostile? Gli conferiamo il titolo di animale più “sfigato” della savana.

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Riuscire a distinguere il leopardo è stato particolarmente arduo. Grazie agli obiettivi fotografici e alla perizia di Antonio e Marco, nella foto seguente è possibile vederne la sagoma.

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L’emozione si ripete a ogni avvistamento: densa di attesa quando si scruta l’orizzonte alla ricerca di un movimento, scossa da un sussulto del contatto visivo, la mano corre alla macchina fotografica o alla telecamera per immortalare “la preda”. Infine, avvertiamo un senso di ebbrezza, un’euforia, un benessere tipico del rilascio di adrenalina, premendo il pulsante dello scatto o quello della registrazione.

A volte, metto via la telecamera perché mi sembra di perdere la “scena” reale. Siamo così abituati a vedere la realtà attraverso uno schermo che diventa reale solo attraverso questo filtro. Spengo la telecamera e mi godo lo spettacolo della Natura. Nulla di comparabile a quanto si può vedere nel migliore dei documentari: per quanto siano meravigliose e dettagliate queste immagini rappresentano tuttavia una vista parziale da una posizione distante nonostante possano essere così ravvicinate, impossibili in un safari. Un documentario sta al safari come il teatro sta alla vita reale.

Gli animali sono in piccoli gruppi o anche isolati. Immaginavo mandrie intere, branchi a perdita d’occhio, un movimento sincopato di gazzelle saltellanti in ogni direzione al sopraggiungere di un veicolo. Più sono scarse e concentrate le fonti d’acqua, più è alta la concentrazione di animali. In Botswana, vi è abbondanza di fonti d’acqua, distribuite per tutto il territorio perciò gli animali sono altrettanto distribuiti. La differenza sostanziale con i safari in Kenya o in Tanzania è nella concentrazione di animali: se volete vedere a perdita d’occhio grandi branchi di zebre e gnu oppure se volte assistere a una scena che sembra tratta dai libri di Esopo, il leone che si abbevera accanto alla zebra, dovete andare al cratere di Ngorongoro in Tanzania; qui potrete avvistare più facilmente uno dei “Big Five” che in Botswana è rarissimo, il rinoceronte.

Gli animali del “Big Five Game” sono il leone, il leopardo, il rinoceronte, l’elefante e il bufalo. “Big Five Game” è un’espressione coniata dai cacciatori per indicare i cinque trofei più difficli da ottenere, gli animali più difficili da cacciare. Mutuata dalla caccia, il termine oggi viene utilizzato per indicare gli animali che non devono mancare durante un safari fotografico.

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Percorriamo la savana a bordo di camion, che fa “poco safari e molto sfollati” con tanto di materassi in bella vsta e cibo stipato in scatoloni sotto i sedili. Anche questo ultimo aspetto stride con l’immaginario. Alla fine dei conti, questa soluzione di “trasporto collettivo” ha i suoi punti a favore: siamo tutti insieme, seduti in una posizione più alta e più sicura di una jeep. Più “proletario”, ma senza rinunciare all’efficacia.

Nick invece risponde al mio immaginario: settanta anni, un viso vissuto che trasmette esperienza, inglese di origine, africano dentro. Bianco, il naturale pallore, arrossato dall’esposizione al sole africano spunta dalla capigliatura e la barba canuta, le mani grosse e forti trasmettono sicurezza e protezione come quelle di un papà per il figlio piccolo. Ci racconta di avere vissuto solo cinque anni in Europa, gli altri sessantacinque in Africa, tra Swaziland e Botswana. Si vede lontano un miglio che è un malato conclamato e portatore sano del Male d’Africa. A settanta anni non appare stanco del suo lavoro di guida e “ranger”: è cortese, nella norma di un inglese (quando è sobrio); è socievole, nella norma di un inglese (quando non è sobrio). Nick partecipa alle nostre chiacchiere, anche quando virano al cazzeggio estremo.”Nick, uno di noi”, ma la verità è che io vorrei essere come lui.

Sfollati al tramonto

Al tramonto, ritornati al Savuti camp site, mentre ci apprestiamo ad allestire le tende e il fuoco, attraverso le chiome dell’acacia, il sole saluta dipingendo la savana di colori che virano a un confortante colore rosa.

Trascorso un solo giorno nella savana e ho già chiari i sintomi del “Male d’Africa”.

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Nel prossimo episodio, a zonzo per la savana fino alle Gubatsa Hills dove vi sono antiche pitture rupestri del popolo San (più noto con il nome di Boscimani), ma al ritorno al campo c’è da rimboccarsi le maniche: la “dura vita”, a tratti comica, del campeggio in savana.

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20 pensieri su “Viaggio in Botstwana #9 – Savuti camp site, all’ombra di un’acacia

  1. Eh no! Non solo il racconto, ma anche le immagini mi stanno gasando tantissimo. Sembra che in questi luoghi si possa vedere veramente una parte della natura del luogo, una natura ancora libera e selvaggia. un giorno abbraccierò un baobab, ho sempre adorato quell’albero.

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    1. Assolutamente selvaggia, con pochi, pochissimi compromessi nelle sole aree di campeggio come le colonnine per il rifornimento acqua e i bagni comuni, ma anche quelli a volte sono sul “selvatico” andante per via della scarsa manutenzione. Per l’abbraccio al baobab ho seri dubbi che potrai riuscirvi 😜. Se non sono alti come quello in foto, ve ne sono alcuni larghi il doppio. Trasmettono secolarità quanto, se non più, dei monumenti della Roma Antica.
      Se ami i baobab, Savuti è il luogo giusto, così pure come viaggiando in direzione di Moremi Gate nei pressi degli stagni degli ippopotami (ci “andremo” tra un paio di giorni).

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  2. Ribadisco il concetto già espresso. Il racconto non è una semplice enunciazione di posti, animali e sensazioni ma è la storia di un romanzo vissuto in prima persona accompagnata da splendide immagini.
    Potrebbe nascere un bellissimo romanzo di viaggio come quelli di Terzani o di Kerouac o Cohello ma forse ne ho dimenticati altri di più famosi. Facci un pensiero

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    1. Inutile dirti che questo commento mi fa in piacere immenso. Hai citato Kerouac che amo immensamente. Hai colto lo spirito in pieno. Non amo i diari nel termine stretto, ma gli appunti di un diario possono diventare un racconto. Fossamaronna riiuscissi a scrivere un romanzo “on the road”. Per ora provo a portare a termine al meglio questo “racconto di viaggio” per strade accennate nella terra sabbiosa della savana. Magari una futura evoluzione potrebbe essere come è accaduto per il viaggio in Messico e Batmancito (a cui sto lavorando). Grazie.

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            1. Sì tutto ok, anche se sono ancora a casa. Attendo la richiamata al lavoro, pensavo di tornare già questa settimana, ma a quanto pare se ne parla forse ai primi di maggio.a salute dei miei familiari e mia però è a posto. È la mia salute mentale, già alquanto compromessa, che sta scricchiolando 😜

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  3. Ciao, Red! sciaguratissimo Red, dovrei dire. Ma la colpa non è tua. Mi sono salvata tutti gli articoli e commenti sul viaggio, per leggerli di seguito, e già sapevo chi mi avrebbero fatto pizzicare il naso, e mi avrebbero fatto venire violenti attacchi di, diciamo, invidia? Ma anche no, perchè leggendo, guardando e ascoltando mi sembrava di esserci. Grazie, Red. Anche se mi hai piantata in mezzo alla savana per tornare ai tuoi amatissimi videogiochi…. D’altra parte io nella savana ci sto benissimo, credo… Attendo il seguito con impazienza, anche se continuo a leggerti su qualunque argomento ti stuzzichi le falangi… Buon proseguimento!

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    1. Iniziavo a sentire la mancanza dei tuoi commenti, non già perché sono generalmente carburante per il mio serbatoio dell’auto-stima, ma perché sono l’unica “prova” che ancora frequenti questa webbettola. Me ne rallegro assai. “Sciaguratissimo” poi mi ha fatto sorridere di una soddisfazione altrimenti fuori posto. Eh sì sono sciagurato (e molto) se ciancio alla mia età di videogiochi, lo so 😂😂😂. Ma era tanto che mancavo a questo appuntamento. Lo sai, io scrivo secondo come tirano le falangi. Pensa che ho anche già in bozza la continuazione della “scampagnata” nella savana, manca qualche ritocco, un paio di zebre e leoni e pure il leocorno e la selezione di foto con un criterio che non sia alla “m’ama, non m’ama”. Giurin giurello, ci lavoro e vengo a riacciuffarti nella contado africano.
      Lo so, seguirmi è come lottare contro il singhiozzo: non sai mai quando arriva il “colpo”, ma sai che arriva. Porta pazienza che il tempo è sempre un gran tiranno tra scuola online (sto ripetendo due classi di terza elementare), lavoro da casa a intermittenza (due giorni in cassa integrazione, tre giorni di Smart working) e l’ordinaria gestione della casa. Arrivo, arrivo e mentre mi aspetti, mi raccomando di non dar(ti) da mangiare agli animali.

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        1. Come il leopardo che abbiamo avvistato: se ne stava spaparanzato tra l’erba alta, mentre un mucchio di turisti in distanza si dava un gran da fare con macchine fotografiche e binocoli. Quando ha iniziato a camminare se ne andava leeeebto, leeeento. E dire che è l’animale più veloce da quelle parti. Adeguiamoci ai ritmi della savana: lentezza, l’assoluta assenza di frenesia.

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