Innamorarsi a El Bavón Rojo – In tequila veritas. Parte segunda


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Segue da Ep.#1 In tequila veritas

Vittime ed eroi. Just for one day

Al bancone di El Bavón Rojo.

Cinque tequila dopo…

Sei lì che balli ancora, in mezzo a tutta quella gente. Con il bicchiere vuoto della quinta tequila in mano, rimango incantato a guardare i tuoi fianchi come ondeggiano. Voglio parlare con te, ma la mia bocca è secca. Ho perso la cognizione del Tempo: non so da quanto sono in questa stamberga, com’è che si chiama? El Rojo-qualcosa…L’Oste qui –  entrambe le pupille automaticamente si muovono verso la periferia sinistra dell’occhio verso l’uomo dietro al bancone –  continua a versarmi tequila. “Es hora de llenar el tanque!” mi fa il buon diavolo e giù che versa. Ha capito che non riesco a trovare il modo per sgusciare via dalla mia timidezza e mi sta aiutando. Davvero un buon diavolo! Chissà come è finito in questo buco di posto…Devo trovare una scusa per rivolgerti la parola e passare anche un solo momento vicino a te. Voglio ballare con te, stringerti forte tra le braccia. Muoio sicuramente pazzo se mi lascio scappare questo momento, anche se è destinato a durare solo per questo giorno ormai alla fine.

Io, io sarò re. E tu, tu sarai la regina.

Potremmo rubare il tempo solo per un giorno. Possiamo essere eroi, per sempre. Che ne dici?

Mi rivolgo all’Oste per farmi riempire el tanque per la sesta volta, quando mi accorgo che non è più dietro al bancone. Mi guardo intorno, non lo vedo. C’è molta gente, il locale è pieno, il mio sguardo fa lo slalom tra volti, corpi e gli sguardi degli altri. Li evito tutti, fino a che non mi imbatto di nuovo in lei. Con un’abilità che so di avere al di sopra della norma, sfuggo l’attimo prima che i nostri occhi possano incontrarsi a metà strada. Non sto applicando nessuna tecnica di corteggiamento, non ne conosco e sono troppo timido per metterne in pratica anche una: il risultato sarebbe sicuramente goffo, imbranato, un fiasco totale. Mortificante.

Mentre evito lo sguardo di lei e mi riperdo in mezzo alla folla, mi sento spingere da dietro. Perdo l’equilibrio dall’alto sgabello, il bicchiere mi cade dalla mano, atterra sul pavimento senza rompersi, un tonfo e rotola via, sparisce inghiottito dalla folla di piedi degli altri avventori.

Avrei raggiunto sicuramente il bicchiere sul pavimento se non fosse che una mano mi afferra e mi sorregge sul fianco che stava collassando a terra. Mi giro per ringraziarlo e…è l’Oste.

Mi rimette in piedi, da dietro la schiena sento le sue mani che mi “aggiustano” la camicia e poi mi dà un colpetto, secco, sopra la spalla destra.

“Es ora de…” non fa in tempo a finire, che gli ribatto completando la frase:”…de llenar el tanque!”.

Il mio sorriso ebete alla fine della frase viene annichilito dall’espressione in viso all’Oste. Rimane in silenzio, mi fissa. Mentre scuote il capo, agita il dito indice della mano destra in segno di “no”. Di rimando lo guardo con un’espressione interrogativa. Mi sorride e, rivolgendo lo sguardo tra la folla, mi sussurra all’orecchio:

“È ora che muovi quel culo flaccido di gringo e vai a ballare con quella splendida ragazza”. Faccio per opporre il mio rifiuto, ma aggiunge: “…conosco molto bene quella ragazza. A una certa ora – fa il gesto di guardare l’orologio sul polso, ma non ne porta – va via. E non torna qui ogni giorno. Anzi, non la vedo molto spesso…è splendida, mi sono accorto come la guardi e se ne è accorta anche lei. Vai tu e non aspettare che venga lei da te…Vai tu, ora!”. Nelle ultime tre parole, il tono dell’Oste è mutato: si è trasformato in una perentorietà che non ammette rifiuti, anzi suona come una minaccia. È come se mi volesse avvertire di qualcosa di terribile.

Minaccia o esortazione l’Oste sta cercando di aiutarmi. Non ho più la tequila che mi trattiene, i miei pensieri più restii sono rotolati via insieme al bicchiere, ora mi sento di andare. Sono pronto. Posso essere eroe, anche per un solo giorno.

Mentre mi faccio largo tra la folla, mi accorgo che il gruppo musicale su un palco improvvisato ha iniziato a suonare una canzone. Vedo l’Oste scendere dal palco poco prima che il gruppo musicale inizi a suonarla. Giurerei che mi stesse guardando mentre diceva qualcosa all’orecchio della cantante. Sarà la tequila o sarà questo luogo, stasera sono facilmente impressionabile

I, I will be king
And you, you will be queen
Though nothing, will drive them away
We can beat them, just for one day
We can be heroes, just for one day

Diavolo di un Oste! Ma come ha fatto? Sono le mie parole di poco fa, ma erano solo nella mia testa. Questo posto è strano. E di una cosa ormai sono certo: la tequila non c’entra.

And you, you can be mean
And I, I’ll drink all the time
‘Cause we’re lovers, and that is a fact
Yes we’re lovers, and that is that

Al termine di questi versi, mi appare d’improvviso la ragazza, di fronte. Impossibile fuggire, evitarla. Eppure l’avevo intravista nemmeno due secondi fa e sembrava più distante, tra noi c’erano almeno una dozzina di persone. Si è materializzata di fronte a me. L’unico modo per evitarla è mollargli un destro in piena faccia e scappare.

Though nothing, will keep us together
We could steal time, just for one day
We can be heroes, forever and ever
What’d you say?

I due si fissano, immobili, l’uno di fronte all’altra. Il tempo scorre al ralenti. Se ne accorge solo l’Oste. Un ralenti in cui gli occhi dei due si raccontano tutto di loro e il niente intorno a loro.

Qualcuno potrebbe definirlo “l’attimo durato un’eternità” ma non è vero. Durò una manciata di secondi, ma furono sufficienti e intensi. Sparirono tutte le persone intorno, il vociare, l’agitarsi di braccia e gambe, i visi, i rumori. In lontananza, ovattata, quasi un’eco lontana, tuttavia nitidamente percepibile, la musica di questa canzone.

I, I wish you could swim
Like the dolphins, like dolphins can swim
Though nothing, nothing will keep us together
We can beat them, forever and ever
Oh, we can be heroes, just for one day

Si accolsero senza dire nulla tra le braccia, l’uno dell’altra. I corpi si strinsero in una morsa morbida e dolce. L’uomo ricevette di primo impatto un brivido freddo: il corpo di lei, nonostante il caldo soffocante all’interno del locale, gli sembrò innaturalmente freddo. L’abbraccio sprigionò poi un calore, un unico calore come se fosse generato da un unico corpo, fatto dell’unione di lei e di lui. Restarono così: abbracciati. Ballarono.

I, I will be king
And you, you will be queen
Though nothing, will drive them away
We can be heroes, just for one day
We can be us, just for one day

L’uomo decise infine di rompere gli indugi. Spazzò via ogni esitazione, ogni dubbio, ogni remora. La timidezza fu un ricordo lontano appartenuto a un altro uomo. Iniziarono a parlare. Sempre stretti. Ogni tanto riprendevano fiato per guardarsi di nuovo negli occhi. Brevi raffiche di parole, a volte, le une sulle altre, una risatina, un sorriso e l’altro continuava da dove l’uno aveva interrotto. Cosa si stessero dicendo nessuno lo sa. Di certo nulla di importante, eppure per lo strano effetto delle farfalle quando volano nella pancia, parole che verranno ricordate per sempre da chi le ha pronunciate e a chi erano rivolte.

I, I can remember (I remember)
Standing, by the wall (by the wall)
And the guns, shot above our heads (over our heads)
And we kissed, as though nothing could fall (nothing could fall)
And the shame, was on the other side
Oh, we can beat them, forever and ever
Then we could be heroes, just for one day

L’uomo ebbe una scossa. Interruppe ciò che stava dicendo alla ragazza e si ammutolì.

D’improvviso ricordo: è quella canzone di cui parlavano al bancone quei due, il “Duca” e Peter, con l’Oste!  Quella canzone scritta dal “Duca”, che Peter ha interpretato e pure un terzo, “Freddy” mi pare si chiamasse. “Guns shot above our heads”  implora la sua amata, la sua “regina”, di non andarsene, di non scegliere la via d’uscita più facile, di lottare perché “We can be heroes, just for one day”…”Eroi, anche per un solo giorno”. Ora capisco quella luce che guizzava negli occhi verdi dell’Oste quando ne parlava.

“Cosa succede?” chiede la ragazza, muovendo appena in un sussurro le labbra sottili eppure terribilmente voluttuose. L’uomo avrebbe giurato che non aveva visto muoversi le labbra, ma aveva sentito perfettamente la domanda, come se fosse stata comunicata direttamente al suo cervello.

“Nulla, mia cara…Non mi hai detto ancora il tuo nome…”

“Luna”

“Allora Luna che ne dici se…andiamo via di qui?”

Il “sì” della ragazza non arrivò mai alle orecchie dell’uomo perché gli fu sufficiente il largo sorriso degli occhi e delle labbra di lei, che lo precedettero di una frazione di secondo. L’uomo prese la  mano di lei nella sua e si rivolse verso l’uscita, facendosi largo con l’altro braccio tra la folla che ballava sulle note finali della canzone

We can be heroes
We can be heroes
We can be heroes
Just for one day
We can be heroes

Mentre camminano l’uno di fianco all’altro, un gruppo di giovani appena entrati, ma già alticci, cercando di guadagnare la zona sotto il palco dove la gente balla, si trova davanti ai due e li investe. La presa delle due mani cessa di legarli, vengono separati per quella manciata di secondi mentre il gruppo passa insieme al chiasso e all’odore di sudore che si porta dietro.

L’uomo si ritrova solo in mezzo ai tavoli, alle persone, alle sedie Si guarda intorno, Luna non poteva essere finita lontana. Lo assale la stessa sensazione di quando aveva messo piede per la prima volta a El Bavón Rojo. Lo assale un atroce dubbio: “E se avessi sognato tutto?!?”. Lo smarrimento gli fu addosso, ne fu imbevuto come il sudario di umidità che permeava qualsiasi essere o cosa in questo luogo dimenticato da Dio.

L’uomo viene salvato dal baratro della follia in cui si sta precipitando grazie all’incontro con lo sguardo di Narciso: distante, nei pressi della parete alla sua sinistra, il piccoletto biondo e boccoluto lo fissa con un’espressione tra la preoccupazione e un’affettuosa premura. Come se gli stesse per volere dire qualcosa…Poi percepisce la voce dell’Oste dalla parte opposta di Narciso. Si gira nella sua direzione e vede l’Oste accanto a Luna. Le sta parlando molto da vicino. Il viso è quasi premuto sul suo in un atteggiamento quasi di minaccia. Le sta dicendo qualcosa, impossibile capire con il chiasso e la musica, la cantante che ormai è alla fine della canzone, il tintinnio di bottiglie e bicchieri, qualche piatto frantumato, sedie che si ribaltano o vengono trascinate sul pavimento con fastidioso stridore. Muove un paio di passi nella loro direzione. Ma un altro gruppo di persone, appena entrate nel locale, impedisce di raggiungerli.

Ora però è più vicino e riesce a percepire sprazzi della conversazione. Piuttosto sembra un monologo dell’Oste. Luna fissa l’Oste, per niente intimorita: un cenno del capo o un movimento delle palpebre, inequivocabili segnali di avere ricevuto il messaggio, ma non un solo gesto del resto del corpo.

Ora riesce anche a distinguere il tono dell’Oste: è perentorio, a tratti minaccioso, senza alcun tentennamento. Non gli era sembrato un tipo così risoluto al bancone o mentre chiacchierava con gli altri avventori.

Gli viene di balzare sul posto dove sono i due, in soccorso di Luna. Lo avrebbe fatto sicuramente in altri momenti e circostanze, ma non ora. Qualcosa lo trattiene. Così resta lì ad ascoltare, cercando di affinare l’udito e selezionare i suoni, escludendo quelli che non gli interessano.

Ciò che riuscì ad ascoltare furono brandelli di parole e frasi, ma alcune dell’Oste a Luna lo colpirono in particolare modo. “Ricorda… …[omissis] patto …[omissis] …ospite…[omissis]…sacro……[omissis] è un mio ospite…” e ancora qualcosa di più compiuto “tu puoi entrare qui perché ti ho lasciato entrare io. Tu hai chiesto, io ti ho dato il permesso…”, “non puoi…[omissis] da qui la cena”, “ricorda …[omissis] ti vengo a prendere …[omissis] sole …[omissis]…bruciare [omissis] e sai che ci riuscirò”.

L’Oste si accorge di me e mi sorride. Non riesco a vedere il suo viso girarsi di nuovo, che è di nuovo fisso su Luna. Li raggiungo. Appena in tempo per ascoltare Luna ringraziare l’Oste e, segnata sul viso senza possibilità di sbagliare, trasparire un’espressione di rassicurazione. Che fierezza nel viso di Luna! Sembra una regina!

L’Oste non le ricambia il sorriso e annuisce velocemente con un movimento appena accennato del capo. I suoi occhi si staccano da Luna solo il momento di rivolgermi un largo sorriso, un forte abbraccio che mi coglie di sorpresa e mi fa traballare l’equilibrio. Le sue ultime parole sono “mi casa es tu casa”, pronunciato con un tono di chi ci crede e lo professa, non di chi lo legge da un cartello prestampato o lo ha imparato a memoria come slogan. Lo ringrazio di cuore, ma in fretta perché, dopo quella scena, ho premura di portare via Luna da qualsiasi situazione potenzialmente pericolosa. Non ho salutato Narciso, ma nell’uscire ho avvertito i suoi occhi seguirmi. Come pure, gli occhi dell’Oste seguire entrambi. El Bavón Rojo, che posto!…Credo che lo ricorderò per sempre.

Fuori da El Bavón Rojo, immersi nell’oscurità della notte, rischiarata solo da lampi delle luci del locale, il gringo e Luna restarono l’uno di fronte all’altro immobili al centro della strada. Non un’anima passava o si sentiva. Sembrava che la notte li avesse risucchiati tutti e fossero rimasti solo loro due.

Il gringo disse: “Ti guardo negli occhi e mi sento morire. Se tu fossi all’Inferno, morirei se lasciassi che io ti salvi. Mi perdo, mi metto da parte, mi dimentico di me. Non sono perduto se tu resti con me”.

Si baciarono in un lungo abbraccio di labbra, mani, braccia e corpo.

Questi furono attimi che durarono un’eternità!

Quando riemersero da questo bacio, solo per riprendere fiato, le mani di entrambi si ritrovarono e, strette, li condussero lungo la strada, fino a che non sparirono nel buio della notte.

We’re nothing, and nothing will help us
Maybe we’re lying, then you better not stay
But we could be safer, just for one day
Oh-oh-oh-ohh, oh-oh-oh-ohh, just for one day

Epilogo:

Il gringo e Luna, mentre si baciavano, non erano soli…

continuA e finisce: IN TEQUILA VERITAS – EPILOGO

Onda sonora consigliata: Heroes nella struggente versione orchestrale scritta e interpretata da Peter Gabriel

29 pensieri su “Innamorarsi a El Bavón Rojo – In tequila veritas. Parte segunda

    1. Inchino doppio perché a questa tornata di parole in libertà vigilata, c’è parecchio zampino di Narciso. Sarà più evidente nell’Epilogo come pure la spiegazione di quel testa-a-testa tra l’Oste e la splendida ragazza…non tutto ciò che appare, è come appare.
      Muchas Gracias senorita

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    1. Ti è garbata la colonna sonora? È iniziato tutto ascoltando la canzone del Duca. Ho immaginato una storia e mi è venuto naturale ambientarla nella stamberga dell’Oste…
      Monili d’argento servono a poco, beh hai capito…nell’Epilogo si svelerà un particolare che renderà il finale ancora più romantico, con un pizzico di ironia.
      Grazie di essere ritornata a El Bavon Rojo,Mela.

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      1. E me lo chiedi? Avevo cinque miti musicali e in poco tempo ne ho persi quattro…..il quinto non lo dico per scaramanzia.
        Io non ritorno, ci sono sempre ma se mi nascondo ci vuole un po’ per scovarmi. La taverna è piena di posticini scuri e sicuri in cui stare rintanata 😉

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              1. È un piccolo adorabile vulcano sempre acceso ma lo tengo d’occhio con affetto.
                Narcì non è carino mettere la polvere di habanero sulle pale del ventilatore…. sì lo so che poi l’oste inizia a starnutire come un mantice ed è divertente ma non facciamolo arrabbiare troppo… piuttosto è rimasta un’enchilada? Ho un po’ di appetito.

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                1. Un vecchio trucco degli osti malandrini per fare venire sete ai clienti…Quante volte gliel’ho detto a Narciso che questa è una ditta seria…mi risponde che lo fa per mettere un po’ di pepe all’atmosfera, altrimenti ‘sto posto sembra un mortorio. Che devo fare? So’ ragazzi. Lasciamoli divertire.
                  Accomodati Mela, stasera siam solo noi…siediti dove vuoi, io ti raggiungo con le enchiladas e voglio esagerare ci aggiungo: rodajas de cebolla e queso Cotija espolvoreado. Ci vuoi su anche la crema de leche?

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                    1. Tesò! Tiè, miettete la mia parannanza, perché Narciso con il dulce de leche riesce a fare degli affreschi intorno addosso e intorno a sè che nenache TatinaBella riuscirebbe a dipingere con i suoi colori magici!
                      Io intanto vado…Allora vediamo…Latte cell’ho, Azucar cell’ho…i baccelli di vaniglia freschi freschi me li ha portati proprio ieri l’amico Juan…ma dove li ho messi…

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                    2. [Si sentì una ventata d’aria calda, più calda se possibile di quella all’interno del locale. I tre sapevano che quel “phon” veniva dalla porta aperta da qualcuno. Nessuno dei tre alzò la testa dal dulce de leche. Solo l’Oste, senza girarsi, degnò di una qualche attenzione l’avventore] “E’ chiuso! Torna domani! C’è un festa privata…Tutto pieno. Lo siento”

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