Viva il Messico! Ep. #11 – Tulum


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Tulum – uno scorcio del Mare dei Caraibi che bagna le ruinas (il sito archeologico)

5° día: Tulum

Noleggiamo un’auto, una Chevy Monza rossa, una specie di Opel Corsa tre volumi. Il tempo non è clemente: pioggia a scrosci, secchiate d’acqua e schiarite improvvise si alternano per tutta la strada tra Playa e Tulum, una cinquantina di chilometri. Ad agosto, in Messico il clima è molto variabile. Nella stessa giornata può succedere che piova violentemente per poi smettere con le nuvole che scompaiono d’improvviso e lasciano spazio al cielo compatto di azzurro e al sole che incoccia.
Alla guida il gruppo sceglie Lucio.

Itinerario da Playa a Tulum (zona hotelera). Clicca sull'immagine per andare su Google Maps
Itinerario da Playa a Tulum (zona hotelera). Clicca sull’immagine per andare su Google Maps

Arriviamo a Tulum senza problemi e lasciamo la strada principale dirigendoci verso la zona hotelera, che è distante qualche chilometro dal centro della cittadina. Imbocchiamo una strada da fare schifo ai muli! E pure alle capre di alta montagna.

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Fosse stata tutta così…E già si ballava.

Siamo su una strada “bianca”, che non ha mai visto l’asfalto nemmeno in fotografia, ma nemmeno una manutenzione dai tempi dei Maya. La percorriamo a passo d’uomo, timorosi di sfasciare assi, pianale e avantreno a causa d’improvvise voragini nascoste sotto placide pozze d’acqua torbida. Anche le gomme sono messe a dura prova perché se pure eviti la pozza nel dubbio che sia profonda come la Fossa delle Marianne, la parte di strada utile è un lastrico di pietre disconnesse, alcune delle quali di dimensioni di un masso dai bordi taglienti.

Lucio guida con la perizia di uno slalomista di sci e il resto dei caballeros lo supporta come l’equipaggio di una nave in mezzo a un banco di iceberg: tutti con il collo stirato in avanti, gli occhi puntati sulla strada per tutta la sua ampiezza, alla ricerca di uno spazio percorribile o guadabile da un’auto utilitaria con le sospensioni di una macchinina Lego, con il timore che un solo graffio alla carrozzeria ci avrebbe portato a una fine prematura del viaggio a causa dei danni da pagare alla consegna del veicolo a Mérida.

La nostra destinazione è esattamente alla fine di questa strada: Ana y Jose, non un albergo, ma un insieme di bungalow sulla spiaggia, alle propaggini della riserva naturale di Sian Ka’an. Jimmy, il fratellone di Francesco, che già vi era stato, ce lo ha stra-consigliato: rinunciate a qualcosa, ma non rinunciate a un paio di notti da Ana y Jose. Giunti a destinazione, la sfiga del viaggiatore fai-da-te colpisce durissimo. Ci chiedono se avessimo prenotato, naturalmente “no” e, altrettanto naturalmente, la risposta è stata un altro “no”: tutto pieno.

Qualche anno dopo, mia sorella decide di calcare le orme di noi fratelli maggiori in quel dello Yucatan, non perché ammaliata dai nostri racconti, ma solo per sputtanarci per quel mucchio di balle che – ci avrebbe scommesso una discreta cifra – le avevamo raccontato a rullo. Le ho consigliato Ana y Jose e,  nonostante la sua cricca di amici non avesse prenotato, sarà perché parla spagnolo, sarà perché è una bella ragazza, li hanno accolti: ha confermato che è un posto meraviglioso.

Dopo tutta quella strada sconnessa, oltre alla schiena a pezzi, siamo fiaccati anche nel morale. Non c’è tempo da perdere, occorre trovare un’alternativa. Alla cieca.

Ripercorriamo a ritroso un tratto piuttosto breve di strada, ma durato un’eternità, fermiamo l’auto e scendiamo traballanti a causa dei continui sobbalzi, come se avessimo percorso a dorso di dromedario il Deserto del Sahara, dal Marocco all’Egitto. Decidiamo di stabilirci alle cabañas di Osho Maya Tulum.
Signori, l’effetto “milk-shake” o “frappè” svanisce all’istante: è uno spettacolo eccezionale!

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Gioco della Settimana enigmistica messicana: trova la cabaña.

I bungalow (o cabañas) sono situati sulla spiaggia, a ridosso di una duna dalla cresta appena accennata; sono immersi nel verde di una vegetazione lussureggiante, posti a una giusta distanza gli uni dagli altri, fanno molto effetto “Doctor Livingstone I presume”.
Le camere completano il quadro alla “Livingstone, suppongo”: letti a una piazza e mezza, una zanzariera li sormonta e circonda; sedie, tavolini e il resto dell’arredamento in vimini; l’alto soffitto intrecciato di travi di legno e foglie di palma.

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Foto tratta dal sito web attuale. Non è molto cambiata…A parte i prezzi schizzati in alto.

Il bagno è davvero spazioso, la pianta è a emiciclo, delimitato da un muro tutto curvo, che non arriva a unirsi al tetto, lasciando così uno spazio aperto – verso l’esterno e senza vetri – a mò di un’unica, lunga e stretta finestra disposta all’altezza degli occhi di una persona di medio-alta statura: mentre ti fai la doccia, sembra di stare nel mezzo della vegetazione di quel giardino naturale; quando vai in bagno, puoi rimirare la vegetazione intorno…Come pure rischi che qualcuno dall’esterno possa vedere le tue smorfie quando sei “in seduta”.
Ma poco importa: qui ci sentiamo un tutt’uno con la Natura, l’Uomo finalmente in armonia con i suoi simili e il resto del creato. Sì, perché non ve l’ho ancora detto, ma dal nome avreste potuto capirlo, Osho Maya Tulum è un luogo dove si praticano Yoga, massaggi aiurvedici, Reiki e altre pratiche orientali dagli effetti ritempranti e riconcilianti. Love, love, lovvvv…Pis-end-lov, Osho Maya Tulum traspira ricerca di armonia e rilassamento da tutti i granelli di sabbia corallina e foglie di palma.

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Ok ora di accendere le candele…Dove ho messo l’accendino?

Il ventilatore sul soffitto e i vari interruttori posti all’entrata della cabaña ci danno comunque conforto che la notte si potrà dormire (il caldo umido può farti impazzire) e già pregusto di vergare il diario di viaggio mentre tutti ronfano. Mi sbaglio di brutto: non c’è elettricità e ci vengono graziosamente fornite cannele, cannelott’e lumine che fanno molto “Due di novembre”. Per chi non conoscesse l’idioma napoletano, insieme alle chiavi, riceviamo candele e un certo numero di lumini, per illuminare al calare del sole la nostra cabaña, immersa in cotanta cornice caraibica per un’atmosfera dal mix di sicuro impatto: una parte di avventura,  due parti di relax, romanticismo a granella.

Farsi la doccia al primo calare della sera a lume di candela è un’esperienza, farsi la barba è pericolosissimo.
Non c’è il telefono in camera, noi non abbiamo cellulari, alla bisogna un telefono è alla reception. C’è l’acqua calda. Unico comfort non indispensabile viste le temperature.

Ricercando oggi l’allora essenziale e abbordabile Osho Maya Tulum scopro che è diventato una lussuosa e costosa sistemazione dall’altisonante nome: Maya Tulum resort-Yoga Spa.

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Uno scorcio della spiaggia di Tulum

Il mare è bellissimo. Cozumel ci aveva stupito, Tulum non è da meno. Ha le sue insidie: emergendo da un tuffo in profondità, per un nonnulla evito una collisione con un pellicano che vola a pelo d’acqua. La mia testa è dura, ma il lungo becco del pellicano in planata di certo mi avrebbe infilzato il cranio come s’infilza lo stecchino decorato con l’ombrellino cinese nell’oliva disossata.

Il mitico Frank si staglia come un bronzeo maya in concorrenza con quelli nostrani di Riace
Il mitico Frank si staglia come un bronzeo maya in concorrenza con quelli nostrani di Riace

La spiaggia bianchissima si estende a perdita d’occhio, punteggiata da cabañas e palme; la presenza di esseri umani è rarefatta e dispersa. Il luogo è l’ideale per le coppie in cerca di solitudine e mare nonché per singoli in cerca della propria essenza mistica o qualunque cosa il Reiki, l’Optimum Balancing e lo Yoga, che qui si praticano, vogliano farti “scoprire”. Io vedo positivamente i massaggi svedesi e lo shiatsu…Ma in realtà la Natura di questo luogo ha già tutto ciò che serve per rallentare e recuperare il proprio senso del Tempo.

O’MiracoloO’Miracolo!

E’ rarissimo, ma anche se sei un fervido miscredente, agnostico o convinto ateo, a volte sei involontario testimone di un miracolo. E non puoi negare l’evidenza, quantomeno hai l’obbligo di iniziare a porti delle domande. Ebbene, sulla spiaggia di Tulum, Diego, Lucio e io siamo stati testimoni di un miracolo.

Il cane è il migliore amico dell’uomo. Non è sempre vero provando a invertire la frase. Frank non è il migliore amico del cane. Diciamo che prova un senso di fastidio, ribrezzo, repulsione, ansia nei confronti di una nutrita schiera di animali a quattro zampe, bipedi e striscianti. No, l’ornitofobia non ce l’ha.

Il cane per Frank non è un amico. Eppure, sulla spiaggia di Tulum succede O’MiracoloO’Miracolo!, uno di quelli che si urla con le braccia alzate verso l’alto (cit. Lello Arena e Massimo Troisi)

Frank inizia a camminare solitario sulla spiaggia, lo osserviamo allontanarsi sempre più dalla nostra posizione strategica a presidio dell’Ozio: stravaccati su un’amaca all’ombra di un’improvvisata tettoia di foglie di palma. Ogni tanto si china e raccoglie una conchiglia o una roccia di corallo, ci giochicchia un pò, poi – chissà raggiunto da quale pensiero – la scaglia con forza nel mare. Riprende lemme a camminare. Il luogo trasmette l’armonia della Natura, che cozza violentemente contro ciò che sei abituato a vedere e i ritmi che sei costretto a sostenere. L’armonia della Natura è così evidente, così semplice da raggiungere, che tu vuoi farne parte per forza.

Osho Maya Frank
Osho Maya Frank

Riprendiamo le nostre “attività”, cioè il nulla: io butto giù qualcosa sul diario, mio fratello e Diego hanno trovato la loro dimensione: Reiki, no; Yoga, no; Optimum Balance, nemmeno; fancazzeggio Andante moderato ma non troppo. Ogni tanto guardiamo Frank, che non accenna a tornare indietro. Qualche parola di preoccupazione affiora nei nostri discorsi. Poi accade d’improvviso.

Un cane nero di discrete dimensioni appare quasi dal nulla. Scodinzolando viene in direzione nostra: in mezzo però c’è Frank. C’è solo lui e il cane. Noi siamo lontanissimi: nemmeno Usain Bolt lo salverebbe. Il cane punta Frank e gli va decisamente incontro. Frank immobile, forse paralizzato.

Ci guardiamo intorno per vedere se in giro ci sia la padrona. Il nulla. Sarà un cane autoctono, selvatico e utilizzato per cacciare gli alligatori, presenti in buon numero nella vicinissima riserva naturale? Ommadonna.

Il cane ormai è a meno di un metro da Frank, rimasto infisso nella sabbia, forse nel tentativo di simulare un palo di palafitta. Al massimo, il cane avrebbe alzato una zampa e segnato il territorio. Intanto io prego: Frank, ti prego, non ti dare alla scomposta fuga ora, perché è la mossa giusta per diventare cibo per il molosso nero.

Il cane è a venti centimetri da Frank. Frank si muove: si china verso il cane e inizia ad accarezzarlo. Il cane ricambia e i due iniziano a…A…Eeeeeeeeh!?!…A giocare insieme.

Frank raccoglie da terra una noce di cocco e la lancia, il cane gliela riporta. Giocano, giocano e si divertono! Diventano così amici che la padrona, un molosso anche lei, di terra tedesca, spunta alle nostre spalle e richiama il fido animale, preoccupata che Frank volesse rapirle il cane. Sembra un’esagerazione, ma ce n’è voluto perché il cane ritornasse dalla padrona: non ne voleva sapere se non fosse per lo stesso Frank che lo ha riportato, lanciandogli la noce di cocco sempre più vicino la padrona.

Il cane, il migliore amico di Frank. Almeno quel giorno a Tulum.

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Il cane nero (amico di Frank), mio fratello ed io. All Dogs Go To Heaven

L’amaca amica

Dopo bagno e passeggiata sulla battigia tra coralli e noci di cocco (e qualche bottiglia di plastica), pausa sotto l’ombra delle palme e ritorno a casa-base, dove mi aspetta un’amaca come una mamma che allarga le braccia al bambino che le corre incontro e le si getta in grembo.

L’amaca è quanto di meglio l’uomo abbia inventato per riposarsi: lasciarsi cadere su quella maglia di iuta, che si richiude sul tuo corpo avvolgendolo morbidamente, una leggera spintarella produce un dondolio che risulta assolutamente letale per qualsiasi sorta di “attività”: leggere o scrivere non sono però una cattiva idea. Concilia abbastanza.

Dopo la doccia a lume di candela e avere scoperto di avere come vicino di porta un bel granchione rosso grande quanto una padella, ci avviciniamo alla grande cabaña sul mare, che è adibita a ristorante, facendo un errore che pagheremo con il nostro sangue…Letteralmente.

Vestiti di bermuda e magliettina a casaccio – perché i lumini sono di atmosfera per la coppia, ma per noi quattro compadres della Pietà e della Misericordia si traducono in un brancolare nella semi-oscurità – scopriamo che il luogo ameno e paradisiaco è infestato da frotte di bastardissimi mosquitos, cioè zanzare, cui il nostro Autan, spruzzato anche in generose dosi, fa un’emerita pippa.

Il risultato è che la vera cena è servita alle zanzare e siamo noi.

Un geco a cena

Il ristorante, davvero molto bello, è una grande cabaña di pianta circolare con un piano sopraelevato, sormontata da un altissimo tetto di legno e foglie di palma intrecciate; le pareti di roccia corallina con effetto “roccia viva” e tutte finestre intorno, ognuna illuminata da una plafoniera a sfera. Il ristorante è l’unico luogo dove viene utilizzata l’energia elettrica.

Sotto ogni luce, si posiziona un geco, talmente immobile che all’inizio viene da pensare che sia una decorazione particolarmente ben fatta; mi accorgo quasi subito che il geco è vivo, ma non vegeto, semplicemente gestisce meglio di me l’adrenalina: una falena svolazza con rotta totalmente random, quando viene attirata dalla luce della plafoniera, vi si dirige con un assetto di volo da pilota ubriaco in avvicinamento alla pista di atterraggio. E’ felice, senza pensieri, ma andrà sicuramente a schiantarsi: si schianterà felice. La decorazione a forma di geco si muove, velocissimo, solo la testa: sotto i miei occhi, lì dove c’era un’allegrotta falena, ora ci sono solo due resti di alucce, che in morbida spirale cadono verso il pavimento.

Il geco ha cenato, ora è il turno nostro. Sdraiati sulla sedia (è una sorta di sedia a sdraio in piccolo), ci sorbiamo una cena non eccezionale, buttiamo giù un paio di hornitos (tequila reposada), un flan (crème caramel) e iniziamo un mitologico (e ci sta tutto!) scopone, vinto dall’ormai collaudata coppia Frank-Claudio, che rifila un sonore “3-0” a Lucio e Diego.

Stairway to Cabaña

Ora di andare a nanna, altro non si può fare: le coppie stanno ormai avviluppati nei rituali di amore e accoppiamento di atavico retaggio; i single si godono la pace notturna nella solitudine, le famiglie devono mettere a letto i creaturi e il cane.

La notte è bellissima: un cielo stellato con tanto di Via Lattea, che offusca con le sue stelle e pianeti la volta celeste. Questo spettacolo ci fa capire che è altamente improbabile che siamo soli nell’Universo e che, se ancora gli alieni non si sono palesati, è perché ci hanno schifato; le cabañas sono immerse nel buio e solo la luce tenue di una fiaccola illumina il viale principale del resort; il suono del mare e di qualche strana bestia sono la colonna sonora della notte. Tutto muy romantico. Il problema di tale sperpero di romanticismo (almeno nel nostro caso) è che, in mezzo alle tenebre, trovare la nostra cabaña n. 23 è come avventurarsi nella giungla di notte senza portarsi appresso neanche l’accendino. Ci soccorre un garzone del resort che ci salva dal peregrinare nella notte grazie a una torcia (elettrica!) con cui ci illumina la via per casa.

L’afa è decisamente insopportabile: se sei nel letto sotto la zanzariera, soffri il caldo; se vai fuori la zanzariera, diventi cibo per le zanzare. A peggiorare lo stato del nostro riposo, già compromesso dalle nottate “brave” al Capitan Tuttix, ci svegliamo al sorgere del sole a causa delle tendine davanti le finestre, evidentemente, in carta velina e del verso degli animali più assurdi che, da queste parti, sono tutti mattinieri quanto il nostrano e bestemmiato gallo.

In fondo a questa strada, un po’ più avanti, ci attende la riserva naturale di Sian Ka’an, un luogo che ho consigliato a tutti come imprescindibile in un viaggio nello Yucatan. Nel consigliare l’itinerario del viaggio in Messico agli amici stretti, li ho minacciati di togliergli il saluto e la pluriennale amicizia, se solo avessero pensato di non andare a Sian Ka’an. E’ un’esperienza unica.

Chi non viene con me a Sian Ka’an è un Quetzalcóatl!
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Sian Ka’an – Dove la laguna incontra il Mare dei Caraibi

<- Ep. #10 – Intervallo e addii

Ep. #12 – Da Sian Ka’an a Pez Maya->

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Onda sonora consigliata: Cielito lindo di Quirino Mendoza y Cortés

Ay, ay, ay, ay, canta y no llores
porque cantando se alegran
cielito lindo los corazones

20 pensieri su “Viva il Messico! Ep. #11 – Tulum

    1. Grande Frank! Eh eh per quello sto riscrivendo il nostro viaggio. È metadone 😉
      Sarebbe bellissimo rifarlo tutti e 4 insieme! Ma visto come siamo combinati e’ come se le Isole Faroe vincessero il Campionato del Mondo…
      Hai letto il fatto del cane…Te lo ricordavi?

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    1. Nulla se non ci foste stati voi. Quel viaggio va oltre l’immaginazione più fervida.
      Grande tu che non ti sei fatto prendere dal panico…saremmo tornati in patria con tutti gli “onori”, la fanfara e il Presidente della Repubblica ad aspettarci all’aeroporto…È una bella bandiera tricolore sul tuo feretro 😉

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    1. Concordo cara tiZ! Non potendoli fare ogni anno, bisogna impegnarsi a non perderne il ricordo, che non ha a che fare con il fattore “nostalgia nostalgia canaglia”. Piuttosto intendo che bisogna contrastare la routine, che spesso appiattisce tutto e occorre conservare viva la memoria di questi viaggi ed essere pronti a rinnovarla per quanto ti hanno arricchito. E’ come una pianta che ti dà dei frutti o fiori, fosse solo per riconoscenza le dai l’acqua, le togli le foglie secche, la curi. Ecco, occorre prendersi cura della nostra memoria di questi viaggi. Come mia abitudine, parlo del “viaggio” in un post del videogioco Journey: Life is (a) Journey. Uso il videogioco come spunto per parlare di altro;)
      La citazione di Steinbeck con cui esordivo in questo post è più efficace per sintetizzare questo mio sbrodolamento alla tastiera (non riesco a perdere questa abitudine):“People don’t take trips… trips take people”.Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone.

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      1. Anche io ho ricordi bellissimi di certi viaggi, di certe notti nei sacchi a pelo, solo che la memoria trattiene la sensazione di gioia, di scoperta, quel trovare se stessi che fa la persona che sei oggi ma non quel benessere che ti fa vivere, per un po’di tempo, il rientro alla quotidianità, al tran tran, al non aver più tempo per te e per i tuoi pensieri…

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        1. Permette un pensiero poetico…
          Vero. Ma ho trovato rigenerante il riportare nero su bianco le sensazioni, ma anche le più minute, le più idiote (come la Classifica della Vongola), i particolari apparentemente insignificanti, ma ugualmente importanti come i “pezzi” di colore “celeste compatto” del un cielo in un puzzle di 10.000 pezzi. In alcuni casi, le ho riscritte, conservandone lo spirito intatto; riscriverle in una forma diversa per rendere meglio un’espressione per forza tirata via dalla fretta o da condizioni non ideali per la scrittura (per il diario del Botswana scrivevo su un camion aperto in mezzo a vento, sabbia e continui sobbalzi della sterrata in mezzo alla savana).
          Quando parlo di rigenerazione intendo non solo per le sensazioni del viaggio in sè, ma anche valore aggiunto per la nostra quotidianità e rivalutazione di ciò che, per tantissimi, è la grandissima parte del loro tempo. Io mi ritengo fortunatissimo ad avere fatto certi viaggi, non ho girato il Mondo, ne ho visto delle piccole parti, ma mi hanno fatto crescere a una potenza logaritmica. Non ho mai amato i “diari”, non ho mai tenuto un’ agenda, sbaglio i giorni dei compleanni dei miei cari (a volte sbaglio anche la mia età), con il Tempo – e qui in giro ne trovi parecchio – ho un rapporto strano, quasi d’insofferenza. Quando viaggio, scrivo quello che io non chiamo “diario”, ma un rotolo di carta igienica…Nel momento del bisogno, quando serve, uno strappo, un pensiero e via!
          E chest’è!
          citazione che avrai senz’altro riconosciuto;)

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          1. Hai ragione, e perdonami non intendevo sminuire, difatti credo che quelli che ho fatto io non sono paragonabili a quelli che leggo attraverso i tuoi occhi , le tue parole.
            Rimpiango di non aver potuto fare certe esperienze, spero di farle un giorno.. per ora “schiatto” di invidia 😉

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  1. Sminuire? Perdonarti? E per cosa, cara mia. Ogni tuo contributo è fertile per me. Anzi mi hai dato modo di illustrare lo spirito dei miei racconti di viaggio. L’invidia in questo caso è una cosa sana. Io oggi partirei subito e invidio chi è in viaggio a vedere qualche altra parte del mondo;

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  2. Mi restano impresse tante immagini. E quel cielo stellato, la via lattea in grado di fare luce. Le candele e le fiaccole. Il senso di stare in paradiso, che riesci a trasmetterci (mosquitos permettendo). E Frank che fa il palo nella sabbia… (esilarante). Cosa si saranno detti, lui e il cane, in quei pochi secondi, prima di iniziare a giocare?… E condivido il sentimento di tiZ: invidio questi bei ricordi, la bella esperienza di viaggio vissuta in compagnia di amici cari. Ma il tuo è soprattutto un invito a fare altrettanto. Prima o poi…

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    1. Hai colto uno dei tanti messaggi che sto lanciando un mare in altrettante bottiglie. Arriverò alla fine con la cirrosi epatica.
      Si può fare! Direbbe il Dr.Frankenstein in quel capolavoro di Mel Brooks!
      Cosa si sono detti Frank e il cane rimane un mistero anche per noi, che glielo abbiamo chiesto ma Frank è stato sempre vago, misteriosamente vago. Più avanti, per Frank questo viaggio prenderà decisamente una deriva mistica, abbiamo sempre preso questo particolare del cane come un presagio mistico, preparatorio, della Rivelazione che Frank avrà.
      Ti assicuro che Il grintoso Frank non ha nessuna confidenza con i cani, ancora oggi. E con le iguane che c’erano in giro come gatti randagi, il buon Frank era uno spasso a vederlo zigzagare e fare perdere la sua traccia, anche se poi le iguane lo ignoravano totalmente.
      Peccato che Frank non riesca a intervenire, lo ha fatto una volta e ne sono già terribilmente felice, felicissimo!
      Poi ci sei tu, che ormai sei uno di noi!

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    2. Caro Paolo, il tarlo che mi hai messo mi ha spinto a chiedere a Francesco l’oggetto del “colloquio” con il cane. Qui la risposta che riporto da WU:
      “Con il cane ci siamo capiti con uno sguardo d’intesa….del tipo passeggiamo ? …ok andiamo !!
      Un abbraccio grande…..mitico red bavon….dobbiamo farci una vacanza insieme 😘😘😘😘”
      Questo racconto sta dando i suoi frutti…non è solo realtà virtuale 😉

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      1. Momenti epici. Come in un film di Sergio Leone. La ripresa leggermente rallentata. Un fischiettio di sottofondo. Il respiro di voi spettatori sospeso. Potete sentire il vostro battito, e il ritmo dell’onda. La spiaggia, sabbia bianca, abbagliante. Di schiena la camicia spiegazzata e svolazzante di un uomo in bermuda. Frank (anche senza sigaro va bene). Un cane nero, sbucato dal nulla. Una vera e propria macchia di pece su quello sfondo sfocato bianco. A sinistra, di fianco a loro, una mare smeraldo che con il suo costante sciabordio non allenta la tensione.
        L’uomo e il cane, immobili, che si fissano, a cento passi di distanza…
        Grande Frank! Bella questa voglia di partire ancora! Un’esigenza da assecondare… (e stavolta chiamiamo in causa Salvatores…)

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        1. Magnifica scena! E adesso ci metto del mio sperando che Mel mi ispiri:
          I due, l’uomo e il cane si guardano. Si fissano in momenti rubati all’Eternità. L’uomo diffida del cane, in barba ad atavici retaggi che suggellano da tempi antichissimi che “il cane è il migliore amico dell’Uomo (e l’Uomo non è amico di nessuno)”. Il cane con il suo istinto naturale percepisce questa diffidenza. I due si guardano in…cagnesco.
          Poi accade. Un fermo immagine che interrompe ex abrupto lo scorrere del Tempo, sebbene lento nel ralenti.
          I due, in sincrono, si accorgono di avere una cosa in comune, una fratellanza naturale.
          Frank è ricoperto da una fittissima peluria su tutto il corpo, una foresta pilifera intricata quanto la giungla alle spalle della duna di bianca sabbia corallina. Pelo dappertutto, a eccezione della testa. Una sorta di segno, forse un “eletto”, ma la Rivelazione è ancora lontana dal palesarsi.
          Il cane coperto da un manto di pelo nero, colore pece delle notti senza luna, viene scosso dall’emozione della fratellanza ritrovata e…scodinzola.

          Una voce da dentro Frank lo avvisa come Luke Skywalker nella folle corsa nel canalone della Morte Nera:”Frank, stai attento, Frank stai attento al cane nero davanti a te!”. Frank sorride dentro e risponde senza muovere un labbro:”Cane? Quale cane?”
          Il cane è ormai ai piedi di Frank e l’uomo si inginocchia, sebbene una recente operazione al ginocchio suggerirebbe di non farlo.
          Il Paradiso naturale si completa con il ritrovato Eden tra l’uomo e il cane, che ora si avviano lungo la battigia, il cane avanti l’uomo, sospinti in avanti solo da una noce di cocco fino a che non raggiungano l’origine del cielo.
          Qualche testimone della scena riferisce di avere assistito all’incontro di due divinità: il dio Canecoatl, simbolo dell’Amicizia, e il dio Uxmal, ma questa è un’altra storia.

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