Batmancito [Ep.#40] – Cave canem


Segue da [Ep.#39] – La “strana” coppia

La porta del bagno pubblico si chiude dietro di noi, producendo un rumore ovattato grazie al meccanismo che ne rallenta la chiusura. Ci assale un odore penetrante di un misto di detersivo industriale, stracci umidi, sapone liquido e urina.

Batmancito sistema il cadavere a ridosso della porta per rallentare un’eventuale intruso ovvero, data la situazione di massima allerta nell’aeroporto, un disperato viaggiatore colpito dalla Maledizione di Montezuma.

Il bagno è deserto. Non vi sono finestre. Il nostro uomo è sicuramente in una delle cinque ritirate private disposte lungo la parete sulla sinistra. Sul lato opposto una fila di lavabi e uno specchio unico per tutta la lunghezza del muro: da un rubinetto fuoriesce l’acqua a getto continuo, altri due gocciolano vistosamente, il fondo di un quarto lavabo è solcato da un’incerta linea colore ocra e ruggine che si addensa intorno al foro dello scolo. Sulla parete in fondo vi sono quattro orinatoi che scolano acqua in continuazione. Pezzi di carta accartocciati punteggiano il pavimento.

Non c’è che dire: un vero cesso di bagno.

La prime due porte delle latrine private sono semi-aperte e vi si intravede l’interno: non c’è nessuno. Altrettanto le altre due porte all’estrema destra. L’unica chiusa è quella centrale.

Batmancito mi sussurra in un orecchio:

“En el retrete es donde debe estar.”.

L’uomo-pipistrello va a piantonare la porta dell’entrata principale per chiudere ogni possibile via di fuga; io prendo posizione davanti all’unica porta chiusa, Honda è alla mia destra.

Busso educatamente alla porta. Nessuno risponde.

Batto più energicamente con il pugno chiuso. Due volte.

Dall’interno una voce piuttosto irritata comunica che il bagno è occupato.

Aspetto una manciata di secondi e batto nuovamente alla porta. Un solo colpo, secco. Poi cinque colpi brevi in rapida successione.

“Occupato! Occupato!” si sente un urlo dall’altra parte.

Continuo a battere ripetutamente e violentemente con il palmo della mano sulla porta. Vola qualche bestemmia in uno sguaiato inglese.

La porta si apre.

Appare il nostro uomo, visibilmente irritato, con una mano si tiene i pantaloni appena sopra la cintola e, prima che possa proferire parola, gli comunico con placida calma:

“Disculpe señor, pero mi amigo – indico con la mano Honda – tiene una emergencia. Es muy urgente! Purtroppo non ho con me bustina, segatura e paletta.”.

L’uomo rimane interdetto, scuote il capo, fa due passi indietro come per ritornare a sedersi sulla tazza di ceramica sanitaria e con la mano libera chiude la porta violentemente. Mi avrebbe colpito sicuramente in piena faccia se non mi fossi istintivamente mosso all’indietro.

Con un calcio spalanco la porta, l’uomo ha quasi completato la sua trasformazione in licantropo: con un balzo mi è addosso, il suo peso e l’impatto mi fanno quasi perdere l’equilibrio, faccio alcuni passi indietro, sbattendo violentemente la schiena a un lavello sulla parete opposta.

Cadiamo a terra entrambi.

Ho la peggio: sono sdraiato sulla schiena, le sue fauci giallastre e bavose sono a un palmo dal mio viso. Il dolore alla schiena è lancinante e faccio appello a tutte le mie forze nonché alla Santa Vergine di Pilar per tenere lontano le sue zanne dal mio collo. Il suo fiato nauseabondo mi fiacca più del suo impeto e forza. Pronuncia parole in una lingua sconosciuta, ma non ci vuole tanta immaginazione per capire che mi dà per spacciato e mi sta decantando quanto sia poco ospitale l’Inferno che mi accoglierà a breve.

Appena finiti a terra, Honda si è subito avventato sul licantropo, ma ha ricevuto una potente zampata che lo ha scaraventato in fondo al locale. Sta ritornando all’attacco, con la coda dell’occhio vedo la sua massa scura avvicinarsi velocemente. Non posso resistere a lungo. Ho appena evitato di un soffio il morso del licantropo al collo; mi ha sfiorato eppure sento il calore e l’umido sotto l’orecchio sinistro: sto perdendo sangue.

Ho ripetutamente scalciato il suo addome, ma non ho sortito effetti a parte un ghigno di sadico godimento. Ha le gengive esposte, i denti aguzzi protesi in avanti, quasi riuscissero a prolungarsi oltre le mandibole, il rumore del morso andato a vuoto schiocca come un potente colpo di frusta. Ho la vista annebbiata, il tanfo del suo alito mi sta facendo mancare il respiro.”.

Ulysses s’interrompe, si versa della cerveza, ne tracanna tutto il contenuto, si versa della tequila, sparge del sale sull’incavo della mano tra indice e pollice, poi afferra uno spicchio di lime, ne succhia il succo e infine lo strofina sui denti. Beve un breve sorso di tequila, poi subito un altro. Appoggia il bicchiere sul tavolo, accende una sigaretta, riprende il bicchiere, scola alla goccia il suo contenuto alcolico e tira profondamente dalla sigaretta.

“Compadres, me la sono vista brutta, davvero brutta. Una morte indegna: morto in un cazzo di cesso pubblico ucciso dall’alito fetido di un licantropo affetto da diarrea.”.

Narciso chiosa: “Gli amici si vedono nel momento del bisogno.”.

Ulysses fa un cenno di approvazione e continua:

“Eso es exactamente lo que sucedió! Se non fosse stato per Batmancito e Honda a quest’ora sareste qui, intorno a questo stesso tavolo, raccontando di quella volta che ‘il povero Ulysses scommise di mangiarsi il cappello e l’Oste glielo fece mangiare tutto per davvero’. Giuro che quando suonerà la mia campana, il più tardi possibile, ma quando dovesse succedere, verrò in sogno a tutti voi e vi darò i numeri da giocare al lotto. Vi ci farò scommettere pure le mutande e non ne uscirà mezzo!”.

Narciso lo incalza:

“Dai Ulì, finisci il racconto! Si sta facendo ora di cena e quei due piccoletti…”

“Ha parlato il gigante.” gli fa eco prontamente Ulysses.

“Ego e Luz ancora non sono tornati – guarda di sbieco l’amico accanto, poi si volta dalla parte opposta verso Tati – e mi sentiranno fino in Belize e pure alle Bermudas quando faranno ritorno. Non tentare di calmarmi o sminuire la mia ramanzina, Tati. Mi sento che verrà su un capolavoro al livello del migliore Oste incainato a bestia.”.

Tati di rimando: “Vale Narciso, vale.”.

Cesar interviene a rassicurare Narciso:

“Tranquilo, oste pequeño, appena Don Nadie ha finito il suo racconto, li vado a cercare, batto ogni strada di questo paese. – si volta verso Diaz –  Sempre che non vi siano altre urgenze, Ispettore.”.

L’approvazione di Diaz non si fa attendere:

“La Policía Federal está siempre al servicio de los ciudadanos.”.

Narciso: “Cesar, ti ringrazio dal profondo del cuore e –anche se non lo avrei mai detto prima d’ora – sono grato a tutta la Policia Federal per tanta abnegazione, però preferirei che non mi chiamassi più oste pequeño. L’Oste è un altro ed è solo temporaneamente assente. L’unico che può darmi del pequeño è solo ed esclusivamente l’Oste. E non senza rischiare di brutto.”.

Cesar annuisce in silenzio. Messaggio ricevuto.

Ulysses batte le mani per attirare l’attenzione e continua il racconto con rinnovata energia.

“Il lupo-mannaro era così pieno di rabbia e assaporava già il dolce sapore delle mie carni a brandelli, che non aveva minimamente notato la presenza di Batmancito. Un errore fatale.

Batmancito afferra il licantropo per il collo come fa una lupa con il proprio cucciolo, ma non con la stessa attenzione e dolcezza. Con l’altra gli serra le mandibole in una presa così stretta che riesco a udire lo stridio dei denti costretti in uno spazio diventato improvvisamente troppo piccolo per contenerli tutti.

La presa è talmente stretta che la testa del licantropo è immobile, nonostante sia evidente che stia cercando di divincolarsi con tutte le sue forze. Le braccia mulinano invano nell’aria, prova con le zampe posteriori a calciarlo via, ma l’uomo-pipistrello schiva ogni colpo.

Honda sopraggiunge e affonda il suo morso sul fianco sinistro. Batmancito produce una torsione del collo e della testa della bestia mannara verso di sé, scaraventandola a terra sulla schiena e l’addome rivolto verso l’alto. Posso rialzarmi, se solo riuscissi il resto del mio corpo a farlo. Rotolo sul mio fianco, allontanandomi dal mio avversario, che si è alzato nuovamente e fronteggia Honda. Batmancito si è fatto da parte: ha lasciato a Honda l’onore di finire il licantropo.

La cieca furia della lotta tra Honda e il licantropo ancora mi fa gelare il sangue. Sebbene ferito e fiaccato nell’impeto, il lupo-mannaro è ancora terribilmente tenace e forte: con un solo morso può troncare la testa all’avversario. La sua reazione è prevedibile per via della sua natura di lupo: reagisce solo se circondato, quando è messo alle strette.

Honda lo carica con l’ampio e possente pettorale nel tentativo di scaraventarlo a terra così che il ventre sia esposto e vi possa affondare i denti per sviscerarlo a morsi. La manovra ha successo la prima volta, ma il licantropo è ancora nel pieno delle forze e si libera dalla presa. I successivi assalti frontali falliscono poiché il lupo-mannaro sferra delle zampate micidiali di fronte a sé: mira sempre alla testa e al collo del cane. Non è agile come il cane, è più possente, sconta però una maggiore rigidità del tronco. La sua tattica consiste nello scivolare sul fianco dell’avversario vibrando micidiali colpi per poi scannarlo con zanne e artigli.

Il mio sguardo si posa sui suoi artigli: rilucono di un brillio sinistro e immediatamente un brivido percorre tutta la mia schiena dolorante. Rabbrividisco al pensiero delle conseguenze che avrebbe un solo colpo di quegli artigli portato a segno.

Honda allora cambia strategia: finta l’assalto frontale iniziando la sua corsa, attende che l’avversario porti il colpo, scarta il fendente artigliato, vi passa sotto o lateralmente quindi lo azzanna alla schiena o all’inguine. Ripete questa manovra una seconda volta e una terza. L’avversario è sempre più innervosito dai suoi colpi andati a vuoto e il sangue che fuoriesce dai morsi del cane inizia a fiaccare le sue energie.

Honda carica ancora. Il lupo-mannaro piega le ginocchia e si porta alla stessa altezza del cane in corsa, incrocia due zampate con un movimento che disegna nell’aria una “X”  nel tentativo di intercettarlo in un mortale abbraccio o, quantomeno, di chiudergli lo spazio per l’eventuale finta laterale. Honda non si fa sorprendere: spicca un balzo e atterra proprio alle sue spalle, il licantropo riprende la posizione eretta, ma non fa in tempo a voltarsi che Honda gli è addosso.

Addenta ripetutamente il lupo-mannaro fino a che non ottiene una presa salda, allora torce la testa per meglio strappare e non molla finché il tessuto non cede e si lacera, spargendo fiotti di liquido ematico.

Il lupo-mannaro vacilla. Honda, le fauci ancora serrate nelle carni del lupo, torce la sua grossa testa da un lato e dall’altro, tira, torna a torcere, affonda: è una maschera di sangue. Il sangue sgorga come l’acqua che torna a scorrere attraverso il tubo appena liberato da un tappo; non riesco a capire come Honda riesca ancora a respirare.

Il licantropo prova a liberarsi dalla morsa allungando i suoi arti verso il cane, ma non ha più le energie: la presa gli scivola, il corpo del cane è flessuoso. Sembra che lotti con il fantasma di un’anguilla. Infine gli cede una gamba, rovina con il ginocchio a terra e a stento riesce a tenersi in equilibrio con l’altra gamba piegata ed entrambe le mani poggiate a terra.

Con le ultime forze rimaste emette un verso che non appartiene al regno animale, almeno al regno animale di questo mondo. Il raggelante ululato gli si soffoca in gola in un gorgoglio di sangue, parole maledette, tessuti lacerati. Honda gli è balzato sulla cresta del dorso, l’impatto e il peso del suo corpo ha definitivamente fatto perdere l’equilibrio all’avversario, che è caduto a piombo sul pavimento. Il dorso del collo si presta a un’ottima presa ed è la sede dei centri nervosi: Honda vi affonda le sue zanne continuando lo scempio delle carni del lupo-mannaro la cui pelliccia ormai si è tinta di un rosso scarlatto. È il colpo letale.

Il lupo-mannaro è riverso sul pavimento, vi resterebbe immobile se non fosse scosso dalla furia di Honda che continua a lacerare, azzannare, mordere, tirare. Batmancito mi raggiunge. Sono ancora dolorante e stento a restare in piedi: mi appoggio a lui e trovo finalmente un po’ di sollievo. Entrambi abbiamo timore ad avvicinarci a Honda: attendiamo che sollevi lo sguardo e incroci il nostro.

“Cave canem” sussurro tra me e me.
“Cave Canem” ripeto ad alta voce.
Batmancito mi guarda con espressione interrogativa.
“È latino, l’antica lingua di un grande popolo che viveva nei luoghi di origine dell’Oste, di Narciso e di molti dei compadres. Cave canem significa Cuidado con el perro.”.
Batmancito, lo sguardo fisso sullo smembramento in corso, mormora:

“Cave canem. Esa es la verdad.”.

Non so quanti secondi o minuti siano trascorsi prima che Honda fosse stanco di quel bagno di sangue: mi sono apparsi interminabili.

Quando siamo entrati il bagno appariva un vero cesso, ora è un autentico mattatoio.

La caccia è terminata. L’Oste è vendicato. Possiamo tornare alla taverna. Finalmente a casa.

Lycantropi non requiescant in pace.”.

Continua a  [Ep.#41] – I conti non tornano (quando li fai senza l’Oste)

giaguaro-pipistrello-maya

37 pensieri su “Batmancito [Ep.#40] – Cave canem

      1. Farà finta di arrabbiarsi, metterà su una sceneggiata napoletana con Narciso, con tanto di volo di piatti e imprecazioni assortite, poi si accenderà un sigaro con la sua solita flemma, ammorbando l’aria con una pestilenziale cortina fumogena, e si ritirerà sull’amaca sogghignando. Me lo vedo come fosse qui ora 😊

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                1. La stai leggendo e un po’ l’hai scritta anche tu. La Taverna, in particolare il suo retrobottega, l’amaca, l’episodio dell’incanto dell’Oste per il tramonto. Wiakiki, mutanda fiorata, infradito e mare turchese, questa è la mia “acqua” in cui sguazzerei felice.

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                    1. Non hai tutti i torti e sai quanto mi basti una refola per issare il fiocco e lasciarmi trasportare da quella bava di vento qualsiasi sia la sua direzione e senza nessun porto sicuro in vista.
                      Come raramente mi accade, ho puntato decisamente la bussola verso Batmancito. Sto puntando all’Oste. Questo racconto deve portare da qualche parte entro l’estate. Il tempo corre, i giorni passano, gli eventi si succedono e i personaggi fanno cose-vedono gente. Sento pressante l’esigenza di dare una voce all’Oste. Mi chiama. E io non riesco a fare altro che ascoltarla. (hai per caso un nominativo di un buon psichiatra?)

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    1. Sai che è una sensazione piacevole leggere questo commento. Percepisco partecipazione, coinvolgimento nel tuo pre-vedere i futuri eventi. Chiaramente ci hai preso.
      Mi vedo a buttare giù il prossimi capitoli e il lettore dietro di me che sbircia, assiste dal vivo alla creazione della nuova parte del racconto. Ti dirò che mi mette anche un certo peso addosso: una responsabilità verso il lettore. Non deluderlo, dargli ciò che si aspetta e al contempo spiazzarlo, sorprenderlo, non dargli mai la sensazione che già ha capito tutto.
      Grazie per il tuo divino supporto. È prezioso e stimolante.

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      1. Zeus

        Ormai questa storia, Batmancito, è diventata una parte integrante dell’esperienza blog su WordPress. Leggere la storia, commentarla, anticipare e prevedere è qualcosa che funziona come “comunità”.
        Ovvio, la responsabilità c’è: scrivere per sé, ma essere capace di intrigare gli altri (e dal numero di like direi che sei messo bene). Sorprenderlo, ma non spiazzarlo con cose “troppo incredibili”.
        Ci vuole gusto, perché anche un racconto fantastico ha bisogno di regole.
        Io ti supporto e, non voglio fare i classici complimenti di rimando, ti ringrazio. Perché? Perché da un tuo racconto è nato INFIERNO e, da quella prima prova (ancora incompleta per voi lettori), sta nascendo INFIERNO II. Una grande, grande avventura.

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        1. Infierno per me è un motivo di orgoglio (quello buono) e di soddisfazione. La soddisfazione di un bambino che ha piantato un seme. E ora ammira una bellissima pianta che cresce rigogliosa. Quando sarà abbastanza alta, ci sdraieremo insieme sotto la sua ombra e ci scoleremo la nostra cassa di cerveza ben fria. Chiaramente una cassa a testa.
          Narci’ vide ‘e juca’ co’ o’ pallone cchiu’ lla’…facce sta’ quiete!

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          1. Zeus

            La “prima stagione” (eheh) di Infierno è direttamente influenzata dal tuo racconto Batmancito, nella “seconda stagione” ci saranno avvenimenti che porteranno nuove rivelazioni (ahahahaah – effetto suspance).
            Intanto pubblico tutto Infierno 1 e vedo la reazione della gente che legge 😀

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    1. Mi dai l’occasione di parlare un po’ più approfonditamente di Honda.
      Cane misantropo, deluso dagli esseri umani, ha scelto di recuperare la sua natura selvatica.
      Una scelta sofferta, Honda aspira a essere un cane “normale”, amato e coccolato da una famiglia e restare nella loro casa fino alla fine dei suoi giorni.
      Quando ha incontrato l’Oste, ha deciso di concedere all’uomo (e a se stesso) un’ultima occasione.
      Perciò ha scelto un solo uomo: l’Oste. E la taverna con i suoi compadres sono il suo ultimo banco di prova, la sua famiglia, la sua casa. Non può perdere quest’ultima occasione e perciò è disposto a difenderla con tutte le sue forze e anche al costo della sua stessa vita.
      Honda è il cane che non ho mai avuto, è il cane libero e che ha scelto liberamente di vivere accanto a un essere umano. Non è stato scelto da un essere umano, non è servo del suo “padrone”, non è uno strumento per soddisfare l’esigenza umana (per quanto legittima) di avere una compagnia. Honda è un’ideale. Honda è il mio modo di amare i cani e di mostrare la mia riconoscenza. E come recitava il titolo di un film di Don Bluth: “Anche i cani vanno in Paradiso”. E io ne sono fermamente convinto.
      Che dici? Gliela daresti una carezza a Honda ora? 😂

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  1. Un abbraccio a Honda, di tutto cuore. E non m’importa se m’insanguina. Mi sono sempre fatta infangare dai cani, e qualche volta anche mordere, per gioco, perchè la mia pelle è più sottile della loro… cosa che inutilmente ripeto al gattone mio attuale convivente.
    Grazie, Red. Avanti così.

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