GTAttila, flagello diDDdio!


No, non sono stato io, non c’entro nulla…io non ci volevo venire in questo blog

Onda sonora consigliata: Remember the Name (Fort Minor)

Qualche giorno fa, ero a curiosare in una catena di noleggio e vendita di film e videogiochi, scorrevo con lo sguardo le confezioni di videogiochi sullo scaffale come la cassiera passa al supermercato i pacchi di pasta e i barattoli di conserva al lettore ottico. Copertine, titoli e prezzi si mischiavano nel cervello  in un caleidoscopio di immagini, lettere e numeri, che venivano registrati e confrontati con quelli dei siti di commercio online, fornitori ufficiali della mia dose mensile di videometadone. Più implacabile del T-1000 in Terminator!

Nell’esercizio di questo voyeurismo (ognuno ha le sue perversioni), ero ormai prigioniero della frustrante sensazione vedere-e-non-(trovare da)comprare, quando la mia attenzione viene attirata da un simpatico siparietto tra mamma sull’abbondante quarantina e dodicenne figlio paciocco.

Mamma, alludendo a un gioco oggetto del desiderio del bimbo sbavante: Ma è violento? <tono minaccioso misto a rimprovero> Perchè se è violento, non te lo compro!”.

Bimbo, senza scomporsi e con un’aria ingenua e al contempo professionale come da scafato venditore porta a porta di aspira-polveri : No, mamma, è un gioco di macchine, tu scegli l’auto e giri per la città, fai le missioni…è figo!”.

L’espressione nello sguardo del bimbo era quella tipica dei cani con palla in bocca che vogliono giocare e ti guardano con gli occhi pieni di tenerezza, la coda che mulina all’impazzata nell’aria e sembra dirti “Eddai!Eddai!Eddai che ci divertiamo!Eddai!”.

La mamma, per niente intenerita (con molta probabilità i cani li odia), guarda il bimbo con una diffidenza che l’italiano medio non riserva nemmeno allo sconosciuto per strada che gli offre un I-Phone da 600 euro al prezzo di soli 100 euro perché, con tutta probabilità, lo ha appena rubato (ma è ricettazione!). La mamma rigira tra le sue mani la confezione del gioco come un artefatto alieno caduto da un UFO proveniente da Betelgeuse, la gira sul retro – il marketing dell’editore del videogioco qui si gioca tutto – e continua a non capire di cosa si tratti. La mamma non ci capisce nulla di videogiochi e nulla possono fare capire quelle quattro piccole foto e una descrizione da bignami in carattere troppo piccolo anche per i suoi occhiali.

Sbuffa spazientita, maledicendo tra i denti ‘sti giochini, butta un occhio al sottoscritto che era accanto, percepisco che le è baluginata l’idea di chiedere un consiglio, io ho un sussulto, sto per intervenire con un sermone del tipo: Signora miabbbella, senta un po’, tutti i videogiochi sono di fondo violenti. I bambini non si divertono se non possono sfasciare, fare esplodere, creare casino…è eccitante…è fico!…Glielo compri e stia con lui un po’ a guardare mentre gioca, magari spiegandogli dove è il bene e dove è il male..

La mamma, quasi avvertisse il pericolo dell’imminente logorroico pistolotto sfugge il mio sguardo come la mangusta sfugge il morso del cobra, inquadra sulla copertina il bollino PEGI che riporta “18(anni)” e Zzzac! Azzanna dietro al collo il serp…bambino: E’ violento! Non te lo compro.Il gioco è Grand Theft Auto IV, conosciuto più semplicemente come “GTA IV”.

GTA IV

“GTA” indica una serie che inizia nel 1997, anche se è solo nel 2001 con il terzo episodio su PlayStation 2 che viene raggiunto il successo: 11,6 milioni di pezzi venduti. “GTA IV”, nello specifico, ha venduto oltre 14 milioni di copie milioni di copie tra PlayStation 3 e Xbox 360; valutando che sono circa 74 milioni il totale venduto di PlayStation 3 e Xbox 360, il risultato eclatante è che un giocatore su cinque possiede questo gioco.

Un successo planetario anche grazie alla ribalta dei mass media (persino i telegiornali in prima serata!) che ne hanno strombazzato la notizia dell’uscita perché “videogioco dalla violenza inaudita”, un po’ per sbattere il mostro in prima pagina e un po’ per un coscienzioso servizio pubblico (?!) di mettere in guardia i genitori dal pericolo che corrono i figli.

In realtà, il videogioco e Internet sono i nuovi concorrenti dei media tradizionali: ogni ora passata ai videogiochi o su Internet è un’ora sottratta alla visione dei programmi televisivi (e una capacità di attrarre pubblicità e soldi sempre minore). Quindi se un minore commette un crimine e gioca alla PlayStation (il 90% dei minori gioca ai videogiochi), il suo comportamento violento è immediatamente correlato ai videogiochi. Ora, converrete che la violenza giovanile è influenzata maggiormente da fattori come status socio-economico, difficoltà scolastiche, scarse relazioni genitori-figli, legami sociali deboli. Temi un po’ più complicati da affrontare piuttosto che censurare tout court la fruizione di un videogioco: ottenere consensi è più facile.

Non nego che GTA IV sia un gioco dai contenuti adulti: il protagonista di ogni episodio di GTA è una mezza-calzetta di criminale, che deve farsi “strada” nella malavita organizzata, portando a compimento missioni di vario genere per la città, scontrandosi con le gang rivali, guadagnando così soldi e reputazione. Per spostarsi nella città, è consentito “prendere a prestito” qualsiasi veicolo e guidare fino a destinazione dove si dovrà portare a compimento una delle tante missioni di questo gioco. “No, mamma, è un gioco di macchine, tu scegli l’auto e giri per la città, fai le missioni…è figo!” il bimbo quindi non aveva detto proprio una bugia alla mamma, piuttosto aveva omesso qualcos(in)a.

Forse ho preso in “prestito” l’auto sbagliata…

Tuttavia, GTA è una storia non più violenta di quella di un film come “Romanzo Criminale”, tanto per non giocare facile con il confronto con qualsiasi film d’azione americano.

Provate a cercare sulla locandina o poster di “Romanzo Criminale” un bollino “Sconsigliato ai minori di 18 anni”: i contenuti e il messaggio un po’ romantico dei banditi della banda più spietata degli anni ’70 è decisamente più negativo e disturbante di un GTA qualunque. Dal sito dell’editore del libro “Romanzo Criminale”, da cui è tratto l’omonimo film e una serie televisiva, si legge sulla scheda:

Tre giovani eroi maledetti, che hanno un sogno ingenuo e terribile.

Eroi?! Lascio al vostro buon senso valutare quanto sia educativo il messaggio, confidando che lo sia un tantinello più “buono” di chi ha scritto quella sinossi.

GTA è una delle prime serie a utilizzare con efficacia e successo la struttura cosiddetto “sandbox” (sabbionaia), cioè una struttura aperta delle missioni che possono essere eseguite in un ordine deciso, con una certa discrezionalità, dal giocatore. Si dà l’illusione di libertà, a scapito di un maggiore rischio di perdersi lungo la trama , che comunque è presente. La giocabilità, “libera” dalla linearità imposta dai programmatori, viene percepita come più interessante, varia e, ciò che interessa più di tutto, divertente. E’ un bel gioco, ha ragione il bimbo.

GTA IV è un bel gioco perché gli autori hanno creato un equilibrio tra missioni con obiettivi prestabiliti e simulazione, inteso come spazio per sperimentare. La Rockstar Games ha sviluppato GTA avendo ben presente che il Videogioco è un medium partecipativo (al contrario di libri, TV e Cinema) e, perciò sono gli stessi autori che devono incoraggiare i giocatori a esplorare, provare strade alternative, in una parola, partecipare alla costruzione della storia.

Spesso, il linguaggio del cinema e dei libri per raccontare una storia male si applica ai videogiochi, quindi gli autori hanno deciso di assumersi un bel rischio, cioè di perdere il controllo creativo sulla propria “creatura”: hanno realizzato un mondo, fissato alcuni confini e regole, poi hanno avuto fiducia nelle capacità creative del giocatore e gli hanno affidato la propria “creatura”. Quale genitore si assumerebbe il rischio di perdere il controllo sulla propria creatura? E voi vi fidate delle capacità creative dei vostri figli? Insegnategli nuove strade, nuovi modi di sperimentare la propria creatività ed emotività, insieme ai libri, insieme al cinema, al teatro, ai concerti.

Le affinità tra un film di criminali&(poca)polizia e GTA IV possono continuare con la sinossi sul retro della copertina del videogioco, che leggono solo i genitori, zii e nonni. I ragazzi già sanno tutto. Cito testualmente:

Che significato ha oggi il sogno americano? Per Niko Bellic, appena sbarcato dall’Europa, è la speranza di poter sfuggire al suo passato. Per suo cugino, Roman, è il desiderio di trovare fortuna a Liberty City, via d’accesso al paese delle opportunità. Mentre sprofondano in un mare di debiti e vengono trascinati nel mondo criminale da una serie di imbroglioni, ladri e sociopatici, i due scoprono che in una città che venera soldi e status sociale la realtà è molto diversa dal sogno: un vero paradiso per chi li ha, ma un inferno per chi ne è sprovvisto.”

Niko Bellic, il protagonista di GTA IV

Insomma, io alla fine ho ceduto e ho acquistato per diciotto euro GTA IV – Episodes from Liberty City così sono pronto a un’unica grande storia da sperimentare tutta d’un fiato insieme al primo GTA IV (ora in edizione Classic anche sugli scaffali italiani a un prezzo ragionevole cioè trenta euro) e voi? La volete dare una mano a questo immigrato dell’Est a realizzare il “sogno americano”?

No? Avete un cuore di pietra.

Allora avete giocato troppo a qualche videogioco violento.

Mi congedo con un urlo: “Hadoken!” (e questo ve lo cercate su Google)

(sand)Box di approfondimento: se il mio sproloquio vi è sembrato fazioso allora vi suggerisco una tesi CONTRO che può suonare così “Videogiochi+bambino=Natural Born Killer”. Chiaramente, non vi rendo la cosa facile: è in inglese.

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7 pensieri su “GTAttila, flagello diDDdio!

  1. Interessante! Non sono del tutto d’accordo che libri (soprattutto) e cinema (tv meno, anche se, in qualche misura…) non siano “partecipativi”, sono dell’idea che ognuno legge un libro diverso e vede un film diverso e che siano un fortissimo stimolo alla creatività e alla sperimentazione dell’emotività (ma anch’io sono faziosa!) 🙂 Detto questo, da profana ho sempre pensato che la demonizzazione totale dei videogiochi fosse un tantino esagerata e che comunque l’equazione gioco violento = futuro criminale non fosse credibile (per carità, può anche succedere ma come dici tu, i fattori sono tanti e ben più complessi, se uno già è su quella strada può anche leggersi un romanzo della Christie o guardarsi “arsenico e vecchi merletti” e trarne buone idee…). Confesso che non avevo neanche pensato che giocare significasse combattere lo strapotere televisivo. Ci penserò, potrebbe essere un altro motivo per cambiare almeno in parte idea. Cercherò di trovare il tempo per allenarmi coi ragazzi, tra scrittura, lettura, casa, lavoro… no, ma dico, quelli che guardano anche la tv come fanno? 😀

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    1. Cinema e libri non sono “partecipativi” nel senso che la storia è già decisa dagli autori e lo spettatore non può fare altro che infilarsi in quel tunnel e seguirlo fino alla fine. Una volta “uscito”, alla fine del libro o del film, potrà prendere direzioni diverse secondo quanto ha capito, sperimentato, sentito, conosciuto; dipende dal l’approccio, dagli specifici momenti e da “come siamo”. È vero che ognuno leggendo lo stesso libro, legge un libro “diverso”: frequente è la delusione di vedere rappresentato in un film il “proprio” libro.
      I VG si differenziano perché, sopratutto nei sandbox o open world o, ancora di più, negli MMO, la storia non è obbligata o, meglio, non è tutta “dritta” fino alla fine. Persino in uno sparatutto dell’epica 16bit c’erano percorsi diversi…e non intendo una diversa struttura e scelta del “livello”, ma i pattern per salvare la scorza dell’astronave e il tuo alter ego. Ti sparerei un paio di link, ma ti grazio;)
      Quando i VG si sono fatti più complessi, le possibilità del giocatore di prendere le redini della storia e costruirsene una parte da solo sono aumentate. Tuttavia, c’è sempre un limite tecnico e non è libertà totale, oppure questa libera la trovi in giochi come Minecraft ma a scapito di una linea narrativa che è assente.
      Il vulnus dei VG è la linea narrativa, la complessità dell’intreccio, le sfaccettature dei personaggi: se scegli di raccontare, difficile è creare una giocabilita’ complessa. Se scegli di raccontare qualcosa di interessante e complesso, non puoi cedere libertà di muoversi al giocatore. Deve potete seguire il filo o più fili fino alla fine del tuo racconto e perderlo o ritrovarlo, secondo quanto sei riuscito a trasmettere. I VG sono un ibrido come linguaggio, se iniziano a copiare tendenzialmente è disastro. Devono parlare la propria lingua e, come i bambini, a volte non li capisci. Ma – l’ho imparato dai miei due nani – hanno una logica loro!

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      1. Credo ci sia sempre bisogno di una linea, una storia, una trama, chiamiamola come vogliamo. Tutti amano le storie, in un altro post hai parlato di fiabe e del loro essere “senza età” e a quel punto hai sfondato una porta che era già spalancata 🙂
        Una storia è una traccia dalla quale si parte per poi leggerla, proseguirla, interpretarla, giocarci, “farla tua” e cambiarla. In questo senso capisco quello che dici, più la trama è ben delineata minore è la libertà di muoversi, ma alla fine credo che la differenza non sia così tanta. Lo vedo dai miei figli, il grande un po’ meno, ma tutti e due in realtà trattano le storie (tutte, quelle dei libri, dei film, dei videogiochi e persino quelle di certe terribili “telenovelas” da ragazzi) come se fossero pongo, materiale su cui lavorare e da cui prendere quello che serve, tralasciando il resto.
        Credo che il problema fondamentale non siano né la tv (certo, ci sono dei programmi spaventosamente beeceri) né i videogiochi o altro, ma la solitudine in cui bambini e ragazzi si trovano. Mi hanno colpito alcune cose nei tuoi post, genitori che non sanno niente dei giochi utilizzati dai figli, bambini chiusi in camera loro a giocare tutto il giorno… sono queste le immagini che forse creano panico. Però è difficile fare il passetto in più e rendersi conto che sono cose su cui ognuno di noi può intervenire. Basta agire, chiedere, interessarsi, parlare (coi figli intendo, prima di tutto).
        Per farti un esempio (poi vado che devo appunto lavorare), qualche tempo fa mio figlio si è messo a guardare uno di quei programmi spaventosi appunto, sai quelli dove fanno vedere operazioni a cuore aperto. parassiti, malattie e cose varie. Roba che il mio istinto di madre si sarebbe messo a urlare a squarciagola e gli avrebbe probito la tv per un mese. Ma lui era estremamente concentrato. Mi sono seduta lì vicino (non sempre lui apprezza, ma questa volta decisamente sì) e abbiamo cominciato a parlare del cuore, del sangue e del suo rapporto vita/morte, del fascino e del timore che ci suscita sapere “come siamo fatti”. Tutte cose che mi ricordo bene, a tredici anni se sei un minimo incline alla curiosità e alla meraviglia (e lui per fortuna lo è) sono estremamente importanti. Sono stata felicissima di averlo fatto. Se avessi ceduto al primo impulso penso che avrei semplicemente spostato il problema, lui avrebbe guardato anche di peggio, di nascosto, tra sensi di colpa e senso malriposto di qualcosa di “brutto” e “tabù” di cui non si deve parlare. Mi viene da dire che a volte sembra più facile proibire che fermarsi a parlare di argomenti impegnativi. E invece, se si fa quel piccolo sforzo iniziale, tutto poi diventa meno traumatico e più affrontabile.

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        1. Sacrosante parole che se non le avessi scritte tu, le avrei volute scrivere io!
          La solitudine e la censura sono da evitare come la peste. Altrimenti la peste poi ci coglierà sicuramente.
          Capisco che è più sbrigativo mettere il nano molesto davanti a uno schermo e lasciarlo un po’ a cuocersi le idee. Ma non è questo il mestiere del genitore o di un qualsiasi adulto.
          Bellissimo il racconto della tua esperienza condivisa con tuo figlio (io non ce la farei perché svengo alla vista del MIO sangue…)
          Con i miei nani – sotto l’occhio preoccupato della madre – ho iniziato a fare lo stesso con i VG. I libri e i film non destano sospetti. Eppure alcuni libri e film nascondono trappole.
          Mi metto sul divano a giocare con loro, spiego e gli insegnò a cooperare, sebbene sia inclini naturalmente alla rissa per futili motivi. È un’occasione per metterlo alla prova, una simulazione: come il gioco per i cuccioli di leone o tutti gli altri animali.
          Il problema è che oggi mi escludono: papà quando è difficile, giochi tu.
          Io sono un videogiocatore, toglimi il joypad e mi hai tolto le ali per volare, il pongo per plasmare.
          Temo dovrò fare un’azione di forza: “basta! I Videogiochi fanno male! Scio’! “;)

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