Le tavole fuorilegge della convivenza videoludica – Tav. #3


Non si vince nulla. Anzi, come al solito, dei soldi ce li rimettete di sicuro.

ovvero dieci piccole cose da sapere quando il joypad è conteso da un bimbo e un adulto (anagraficamente dovrebbe esserlo…)

 

 

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PEGI, chi era costui?

Nella decisione di acquisto, il bollino PEGI è stato sempre come Carneade: chi era costui?

PEGI ovvero “Pan-European Game Information” (Informazioni paneuropee sui giochi) è un sistema di valutazione supportato dall’industria dei videogiochi, apparso per la prima volta sulle scatole nel 2003 con l’obiettivo di orientare la decisione degli adulti nell’acquisto di un videogioco per un minore. Per grazia di Dio non è emanazione di associazioni di genitori o altri super-enti per la salvaguardia del bambino, il PEGI è un’esigenza dell’industria di pararsi il di-dietro nei confronti di questi ultimi.

All the colors of PEGI

Le etichette recanti il numero sono stampate sul frontespizio della copertina e non sono una combinazione del Super Enalotto, bensì indicano l’età minima consigliata. Le altre etichette con una simbologia “parlante” sono presenti sul retro della confezione e indicano i motivi per cui un gioco è stato classificato come adatto a una certa età. Da sinistra a destra in figura sono: linguaggio scurrile, discriminazione, droga, paura, gioco d’azzardo, sesso, violenza e gioco on line con altre persone.

L’adolescente, per natura amante della trasgressione, si fionda sul titolo vietato alla sua età, l’adulto in un afflato di protezione e puritanesimo lo vieta senza “se” e senza “ma”. Risultato: la serie più venduta di tutti i tempi è GTA, cioé Grand Theft Auto. Il più recente, GTA V ha un PEGI 18, motivazioni: “violenza”, “linguaggio scurrile” e “gioco on line”; in realtà, è presente anche droga, sesso e discriminazione.

Retro della copertina di GTA V per PlayStation 4. Tutto sommato un gioco quasi da educande…

Agli occhi dell’adulto videogiocatore con prole il PEGI assume il seguente significato:

N.C. ovvero il “Non Classificato” di retaggio scolastico, evitato come un appestato; ottimo per intrattenere i figli piccoli.

 

Trascurabile: lo gioco con una mano legata dietro la schiena e un occhio bendato; ottimo per intrattenere i figli ancora piccoli, ma che non vogliono essere più chiamati così.

Accettabile: ci può scappare una partitella con i figli più grandi. Un fulgido esempio di genitore “presente”.

 

Sfidante: adesso gli faccio vedere io chi comanda a casa (zona divano/televisione). È probabile che l’adulto soccomba miseramente.

 

Roba per grandi. Adesso si inizia a ragionare: statene fuori, questa gioco è mio e ci gioco solo io. Sciò! (espressione aulica per invitare a liberare lo spazio situato al di sotto dell’organo genitale maschile, normalmente occupato dai testicoli)

Donkey Kong Tropical Breeze, PEGI 3. Moltiplicate per 10 le Avemmaria e i Pater-noster di penitenza per le imprecazioni che lancerete.

Attenzione! Il PEGI ha le sue trappole. Donkey Kong Tropical Breeze per Wii U, un gioco di piattaforme, zompi, rotola, raccogli-banane e altre amenità tipiche del genere in cui un idraulico italiano è il re indiscusso, ha un PEGI 3, pertanto è considerato adatto a tutta la popolazione abile a un joypad a partire dai tre anni in su. Tuttavia, la difficoltà di questo videogioco è tale che “linguaggio scurrile” e “violenza” sono effetti più che probabili verso:

  • quanto presente sullo schermo, basta che si sia mosso o non l’abbia fatto. Una scusa qualunque va bene.
  • l’eventuale compagno di gioco dimostratosi meno abile.
  • il joypad, il cui rovinoso quanto liberatorio lancio potrà essere inserito come nuova disciplina olimpionica negli eSports.

Insomma il PEGI aiuta chi non toccherebbe un videogioco nemmeno con una pertica lunga due metri e lo salva da imbarazzi quando ne è costretto all’acquisto. Un videogiocatore non fa mai caso al PEGI e io sono cresciuto senza particolari traumi – c’è chi sostiene il contrario – anche quando il PEGI non esisteva. Di fatto, la grafica sempre più foto-realistica e, grazie alla crescita dell’età media del videogiocatore, la presenza di  temi adulti nei videogiochi ha spinto l’industria a un’autoregolamentazione.

Autoregolamentazione che anche i genitori si impongono quando le tenere creaturelle ti tirano dal profondo colorite espressioni che, pronunciate dal proverbiale scaricatore di porto, ne profumerebbero l’alito di un gradevole sentore di petali di rosa e mughetto. Legittimo e sacrosanto esercitare un’attività di vigilanza affinché i bambini non vengano a contatto con questa zozza società de’ magnaccioni prima che abbiano uno straccio di difesa o capacità di discernimento.

Perciò il PEGI, finora mai preso in considerazione, può diventare una salvezza, anche se sulla confezione è stampato “PEGI 3”, in cui l’unica forma di violenza ammessa è quella usata schiacciando le piccole bolle di plastica del pluriball o quella presente nei cartoni animati di Wile Coyote e Tom & Jerry.

Il PEGI 18 assume un altro significato: non va giocato quando ci sono bimbi in giro. Da cui discende la quarta regola fuorilegge della convivenza videoludica e cioè:

non è importante come si videogiochi, ma è importante che si videogiochi.

Vai all’indice delle 10 Tavole fuorilegge della Convivenza videoludica’

 

 

 

Q4

19 pensieri su “Le tavole fuorilegge della convivenza videoludica – Tav. #3

    1. Io sono onnivoro. Me ne strafotto del PEGI. Ci sono capolavori per tutte le età, anzi ti dirò di più: il videogioco non ha età. Solo una piccola parte di videogiochi non è adatta ai più piccoli e ha bisogno di una supervisone di un adulto (non censura)
      Questa mia lettura del PEGI è una provocazione. Vedi poi quello che scrivo su Donkey Kong…

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    1. Non ti venderò mai la sabbia o alcunché visto che sono una discreta frana a “vendere” anche il “prodotto” che conosco meglio, cioé me stesso. Gongolo però del fatto che riesca a trasmettere la mia passione, l’onestà delle mie intenzioni e idee. E’ un gran bel risultato per chi scrive. Grazie mille.
      Sul PEGI avrai notato che sono un po’ critico sul fatto che possano riempire di bollini una confezione solo perché devono venderlo a chi non ne sa nulla e non gliene frega nulla. E’ come se sulle locandine dei film iniziassero a sparpagliare avvisi sul contenuto che devi aspettarti. Quando ero piccolo c’era ancora l’avviso “Vietato ai minori di 14 anni”, ma al cinema ci vai perché hai preso informazioni prima e pensi che ti interessi anche solo dal titolo. Discorso lungo, però voglio dire che il simbolo del ragno indicante la paura non è proprio azzeccato perché io non ho paura dei ragni e nemmeno i miei bimbi….
      La simbologia PEGI è da prendere con le proverbiali “pinze”.
      La percentuale di videogiochi per adulti secondo fonti PEGI è solo il 4% del totale, mentre quelli classificati PEGI 3 e PEGI7 sono il 60% del totale. Insomma c’è poco da temere da un videogioco…

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  1. Alla fine il PEGI dovrebbe essere solo un riferimento, non una regola. Francamente non capisco cosa cambi realmente tra uno Street Fighter (PG 12) e un Tekken o Soul Calibur (PG 16), capisco un Mortal Kombat vietato ai minori che effettivamente è ben diverso dalle versioni 2D di una volta ma negli altri che cambia? Il realismo della grafica? Penso che anche un bambino più piccolo possa giocarci in tutta tranquillità.
    Così come altri titoli, Assassin’s Creed credo sia un pelo esagerato con il PG 16 o forse addirittura 18, non è la stessa violenza che si vede in un God of War.
    L’importante è starci vicino ai figli e magari fare da filtro. Io penso che farò così in futuro.

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    1. Esattamente così: l’importante è stare con i propri figli e non abbandonarli davanti a una televisione o un libro. Coivolgerli e, se sono presenti dei “passaggi” più complessi (e non intendo solo nella giocabilità) dare spiegazioni. E’ un modo come un altro per avere un’occasione di condivisione e scambio su un “terreno” a loro più congeniale: il gioco. Invece di censurare, preferisco – nei limiti della loro attuale capacità di comprensione – spiegare quale è il bene e quale è il male.
      Il PEGI anzi è a volte agisce da moltiplicatore delle vendite: proprio perché è vietato. E alla fine i genitori stremati, capitolano. A volte pensano che un videogioco è un “giochino” e che male può fare? Watch Dogs per esempio ha un sacrosanto PEGI18 visto che, tra i tanti temi adulti, c’è anche la tratta dei bambini.

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    2. Secondo me, il pegi 18 di Tekken è dovuto alla storia: e più sciocca di quelle di Street Fighters 😛
      Ora scappo, prima che un Mishima a caso mi inserisca nella tradizione di famiglia del lancio dei parenti dal crepaccio 😛

      Scherzi a parte, forse considerano che SF abbia un elemento fantastico più marcato (in Tekken, i personaggi che scagliano energia o fiamme sono un po’ più rari) e dunque pensano che SF possa confondere meno, dato che a oggi, gli hadoken non li vedi andando al mercato… detto ciò, se pegi 12 significa “per dodicenni”, sottovalutano molto i dodicenni, a sconsigliare loro Tekken.

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      1. Tekken veramente è 16+ probabilmente per il semplice motivo che ti dai mazzate, anche se poi non vi sono immagini cruente come in MK. Mi sembra davvero esagerato in questo caso. Nemmeno ritengo che possa stimolare aggressività in un minore di 16 anni. Il PEGI è da prendere con le classiche “pinze”.

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  2. Come ti scrivevo altrove, io sono sempre stato negato per i giochi elettronici. Non mi sono mai piaciuti, forse perché appunto non ero granché capace, o forse viceversa, comunque non li ho mai praticati. E anche con i figli speravo di tenerli lontani. Non mi piacevano quei bambini asociali, chiusi nei loro game boy, isolati dal resto dei ragazzini. Fino ad una decina d’anni di mia figlia (la maggiore) dicevo con orgoglio che casa nostra era denuclearizzata, esente dai giochi elettronici. Poi cedemmo sulla WII….e fu la fine! Devo dire che lei in effetti siamo riusciti ad immunizzarla, ci ha sempre giocato molto poco, il fratello minore (ora sedicenne) invece è assolutamente patito, direi quasi dipendente. Dalla WII siamo passati alla Play Station, prima solo con i vari FIFA e ora con quei giochi assurdi in cui bisogna ammazzare, sparare, rubare e compiere le peggiori nefandezze possibili. Il tutto on-line con gli amici di classe o con perfetti sconosciuti. Dopo questo articolo sono andato a verificare e in effetti sono tutti PEGI18.
    Come avrai capito la mia avversione verso questo tipo di passatempo è cresciuta parallelamente alla passione di mio figlio. Che tra l’altro non prende in mano un libro ma anche un fumetto neanche sotto tortura, aumentando la mia frustrazione. Però proprio la mia smodata (e tutt’ora intatta) passione per i fumetti mi fa pensare che in fondo poi, tra un fumetto Marvel in cui l’eroe ammazza e spappola avversari e questi tipi di giochi, non è che ci sia poi tutta questa differenza. Io continuo a preferire la lettura, ma forse è semplicemente una modalità diversa di esprimere e di vivere certe emozioni.
    In ogni caso molto utile questo decalogo!

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    1. Innanzitutto grazie per questo bel commento, personale, denso di spunti e da un punto di vista diverso. Passione per i fumetti e passione per i videogiochi (io le ho entrambe, ma per questioni di tempo e spazio ho dovuto fare una scelta che è ricaduta sulla seconda) rappresentano un modo diverso di fruizione. Cito sempre un passaggio di J.R.R. Tolkien in Albero e foglia. I bambini – sostiene Tolkien – non possono essere considerati una singola classe di esseri umani dai gusti simili. Alcuni bambini nascono con un appetito naturale per la meraviglia, mentre altri non ne sono dotati; per i primi questo appetito naturale non diminuisce con l’età, a meno che la società non insegni a reprimerlo o a “sublimarlo”.
      Questo appetito per la meraviglia può trovare soddisfazione nei fumetti, nei libri, nei videogiochi…
      I videogiochi sono un medium giovane, più “interattivo” e – se vuoi – più facile dei tradizionali ed è naturale che i ragazzi ne siano attratti. La passione tende a essere totalizzante e può portare a estremi. L’alienazione di cui parli non è però causata esclusivamente dal medium, ma da altri fattori concomitanti e – a mio avviso – più gravi.
      Se mi isolassi a leggere tutto il giorno Proust, Kafka o Pirandello, non sarei additato dai miei genitori come un “asociale” perché il medium “libro” ha una valenza di “cultura”, di “utilità formativa”; al videogioco non la si riconosce. Quando scrivo di videogiochi in queste pagine non manco di rivendicare per un buon Videogioco pari dignità di un buon libro, di un buon fumetto, di un buon film, di un buon album musicale.
      Comprendo la tua avversione e mi compiaccio della tua conclusione. Non è da tutti. Non ho intenzione di “evangelizzare” nessuno, ma rifiuto una ghettizzazione, sia come concetto in sé sia perché spesso proveniente da persone che non conoscono bene il Videogioco. Se non conosci bene un tema, non puoi permetterti di criticarlo o addirittura demonizzarlo; accetto il confronto, ma privo di pregiudizi, proprio come hai fatto tu in questo commento.
      Mi permetto di suggerirti la lettura di questo mio vecchio post: Videogiochi, nemico pubblico?.
      A parte le mie considerazioni personali, vi cito dati, fonti e altri articoli, possibile spunto di approfondimento.
      Sono contento che questo racconto ironico sulla mia passione e la sua “convivenza” con le responsabilità di essere papà possa addirittura essere utile. Un risultato sperato, non scontato. Ironia della sorte: da un racconto scritto sul (video-per-)gioco, se ne trae qualcosa di utile.
      A presto e spero in altri tuoi commenti sulle prossime tavole fuorilegge.

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  3. Con Donkey Kong hai vinto! 😁 Hai proprio ragione, dovrebbero tener conto conto delle imprecazioni del videogiocatore, non solo le parolacce dei personaggi.
    C’è questo vecchio gioco (per bambini) di cui ho parlato recentemente, che mi ha fatto tirare giù tutti gli dei di tutte le religioni! Se ti capita leggi solo l’ultima parte 😉 (magari lo hai già fatto).

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  4. The Butcher

    E divertente vedere come la gente pensi ancora che il PEGI classifichi anche il livello di difficoltà di un gioco (oltre che l’età consigliato per giocarci). Per dire, Rayman ha un PEGI 7 eppure è incredibilmente complesso e io ci ho perso una marea di tempo per completarlo al 100%.

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