DLC cui prodest?


Push to Download Digital Content
Push to Download Digital Content

In materia di videogiochi sul web e sulle riviste, il DLC, ovvero “Downloadable Content” (contenuto scaricabile) è un argomento che riscalda gli animi, divide in fazioni e riporta a becere quanto endemiche diatribe quanto le “console war”: Atari Vs Intellivision, Super Nintendo Vs Mega Drive, PlayStation 4 Vs Xbox One. Il DLC è Il Prescelto per portare il gygabyte-verbo ed evangelizzare il volgo alla Digital Delivery, con i suoi pro e i suoi contro. E questi so’ probbbblemi.

Lascio dissotterrare le asce di guerra agli apocalittici per cui il DLC è il Male, agli entusiasti per cui il DLC è il Bene, all’immancabile stuolo di ignavi per cui “la Tecnologia va avanti” e a quelli che si adeguano per darsi un tono “smart” e sentirsi “à la page”, piatti come una Barbie. Chiaramente mi riferisco all’encefalogramma e non al prosperoso seno, primo responsabile di turbe fanciullesche. Da bimbo, volevo giocare con le bambole, che c’era di strano?

M’interessa più provare a capire cosa c’è dietro questa politica distributiva: a chi giova il DLC?

Si tratta di contenuti aggiuntivi rispetto alla prima pubblicazione di un videogioco, in rari casi disponibili gratuitamente (vedi il recente The Witcher 3: Wild Hunt), nella pratica ormai consolidata sono venduti singolarmente o in un’unica soluzione con il cosiddetto “Season pass”. I DLC vengono pubblicati secondo un piano editoriale, non sempre noto all’inizio, anzi a volte ex abrupto per sfruttare un successo dalle dimensioni non previste (vedi il primo Castlevania: Lords of Shadow).

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Transazione media-per piattaforma digitale nei mercati chiave 2014. Da gamesindustry.biz “EA must lead on digital games transparency”

I DLC ormai fanno parte integrante del business dei videogiochi: i “multiplayer” non ne possono proprio fare a meno (Destiny, Call of Duty, Battlefield e il recentissimo Star Wars Battlefront); i “giochi di ruolo” espandono le avventure del party di eroi come si faceva una volta acquistando le “espansioni” per il master di Dungeons & Dragons; gli “open world” diventano sempre più “aperti”, aggiungendo missioni e obiettivi sulla mappa, con un sistema che ricorda la semina a spaglio; gli “action adventure” non se ne fanno mancare almeno un paio; il riscoperto genere “adventure” (roba diversa dalle avventure ‘punta & clicca’ di Lucas e Sierra) ha trovato slancio nello sviluppo e successo di vendite grazie a una distribuzione a episodi, cioè a DLC; persino uno degli archetipi del videogioco, il “platform” non ha resistito alla malìa del DLC: New Super Luigi U può considerarsi un DLC del titolo di lancio della Nintendo Wii U con l’inossidabile Mario “per la prima volta in alta risoluzione“.

Il DLC incarna la “Digital Delivery” con i suoi pro e i suoi contro.

Per sintetizzare in modo pacato e oggettivo la “questione”, si può affermare che esistono DLC dalla qualità variabile, come per ogni famiglia di prodotto esistente sullo scaffale sia fisico sia digitale; a un estremo vi sono i DLC che rappresentano un arricchimento dell’offerta e del prodotto originale; all’altro estremo i DLC autentici spreco di byte, banda e soldi; nel mezzo, molto più di cinquanta miserelle sfumature di un qualche colore, basta che non sia il grigio che è già una via-di-mezzo di per sé.

Potrei chiuderla qua e invece scalpitano falangi, falangine e falangette sulla tastiera perché non m’interessa l'”Effetto”, ma risalire alla “Causa”; una volta trovata la causa, sarà più facile trovare l’antidoto, per una reazione efficace o un modo per cambiare le cose…o arrendersi: “This is 4Players” oggi, ma ieri era – per chi se lo ricorda – “Non sottovalutate la potenza di PlayStation”. Il videogioco per noi è una passione come altre o più arricchente di altre; per le aziende è bu$in€$$. Non sottovalutate mai la loro potenza.

Tutto quello che volevate sapere si Videogiochi e non avete mai osato chiedere
Tutto quello che volevate sapere si Videogiochi e non avete mai osato chiedere

Metto giù un’idea, chiaramente filtrata dalla mia esperienza e pertanto opinabile, anzi la condivisione e l’esposizione al pubblico web-ludibrio è proprio per l’accozzaglia – sempre sia  benedetta – di lagne, magagne e rogne pronte a essere accettate(*) nell’apposito spazio dei commenti. (*)“Accettate” = essere accolte con l’accetta, se sei un troll o hai dimenticato la creanza che ti hanno insegnato mamma e papà.  

Ho acquistato alcuni DLC, non ne sono un particolare sostenitore poiché, piuttosto che spendere della vile quanto sudata pecunia in un “more of the same”, qualche mappa o livello in più, preferisco:

  • puntare sugli “indie game” a prezzi onesti o in offerta stracciata nei vari Humble Bundle o in promozione sui network delle console  (di recente, Never Alone per PlayStation 4)

oppure

  • qualche titolo vecchiotto, che non rientra nell’hype o nella tripla “A” o che ha raccolto pareri discordanti.

Il sommelier assaggia tanti vini per affinare il palato.

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Indovinate chi sono le mucche?

Ciò che non mi garba è che il DLC è utilizzato dalle software house per “mungere la vacca”. Il DLC in quanto “digitally delivered” non è di tua proprietà: se chiude il server, sparisce senza nemmeno potergli dire addio. In passato, potevi inserire la cartuccia fino a che la console non si fosse stancata di una vita da circuito integrato. Tuttavia, non è un discorso “si stava meglio, quando si stava peggio” o “nostalgia-nostalgia-canaglia”: è oggettivo, legato al medium.

Il medium evolve e sarebbe auspicabile che si lasciasse la libertà di scelta al fruitore. In realtà la distribuzione digitale viene imposta da esigenze di riduzione dei costi e massimizzazione dei profitti, non da un’esigenza del consumatore. Niente di nuovo, è già successo ai libri e agli e-book.

Il mercato degli e-book in Italia registra un aumento della “produzione” a incrementi percentuali a due cifre (bella forza, il libro stampato nasce “digitale” nel suo pdf ad alta definizione), i volumi di vendita sono risibili e la quota di mercato è una percentuale che puoi indicare con una mano con due dita mozze.

Diverso il mercato dei Videogiochi:  oggi l’industria dei videogiochi fattura immensamente di più rispetto ai tempi delle cartucce; il fatturato ha superato da diversi anni quello di cinema, musica e home video messi insieme.

È sufficiente leggere le statistiche di copie vendute dal franchise Call of Duty, uno degli spara-tutto in prima persona di più grande successo: nel 2011 il record di vendite con oltre 26 milioni di copie di Modern Warfare 3 e oltre 24 milioni di Black Ops 2 (cit. Statistic Brain Research Institute); nel 2015 Black Ops 3, l’ultima iterazione del franchise, ha fatturato in 72 ore la cifra di 550 milioni di dollari!

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Digitale VS Fisico. Percentuali delle vendite digitali sul totale 2013-2014 Da gamesindustry.biz “EA must lead on digital games transparency”

I tempi sono cambiati, ma il lupo non ha perso il vizio, anzi ne ha fatto virtù.

The Last of Us (Naughty Dog, Sony, giugno 2013), che ho amato e finito d’un fiato, ha fatto incetta di premi nel 2013 ed è un esempio di come si muova l’industria: il finale di The Last of Us è stilisticamente perfetto, coerente, ma “aperto” e ruffiano, come in uso in molti film per potere dare un seguito se il primo ha successo al “box office”. Ai titoli di coda, sono rimasto con quell’atavica sindrome del videogiocatore di arcade (quale ero io): “un’ altra partita e poi smetto” (e via di gettoni).

Subito accontentato nel febbraio del 2014, quando viene pubblicato il DLC Left behind: poco più di due ore di campagna in single player al prezzo di 14,90 euro, davvero costoso in relazione al tempo necessario per portarlo a termine e considerando che l’avventura principale (12-15 ore) si trovava in vendita ormai tra i 25 e 30 euro. Pubblicato, in seguito, come contenuto “stand alone” per PlayStation 4 a dieci euro (meno quel centesimo che te ce puoi comprà ‘na sciocchezza), l’ho acquistato in promozione a cinque euro; dopo avere terminato questo scampolo di avventura confermo che cinque euro sia un prezzo onesto e coerente rispetto ai contenuti e, pertanto, il prezzo che mi sarei aspettato fin dalla sua prima pubblicazione.

Non bastava il pistolotto sui “Remastered“, ora anche i DLC?

Non si vuole demonizzare il contenuto distribuito digitalmente di per sè, ma considerata la crescente importanza per il mercato in termini di fatturato e ricavi, si chiede agli operatori di settore semplicemente maggiore trasparenza sia nel piano editoriale sia nella politica di prezzi. Maggiore trasparenza nel piano editoriale che preveda DLC a pagamento solo per vere e proprie aggiunte o espansioni, come accadeva nel 1989 con Baldur’s Gate:Tales of the Sword Coast o ancora i due Falcon Mission Data Disk.

Nella politica di prezzi la trasparenza è essenziale: l’edizione digitale presenta prezzi identici a quelli della copia fisica, sopratutto al lancio del prodotto. Certo la distribuzione fisica è concentrata in pochi grandi rivenditori con negozi proprietari o in franchising e quindi il loro potere negoziale è elevato: si scoraggia così l’acquisto digitale a favore di quello fisico.

Che qualcuno di buona volontà mi spieghi perché dovrei pagare lo stesso prezzo se devo rinunciare al disco, alla scatola, avere una connessione a banda larga, una carta di credito nonché pregare che tutto fili liscio nel trasferimento di una decina di gigabyte o giù di lì.

Infine, sempre sui prezzi, c’è una vecchia e malsana abitudine: la sostituzione del simbolo “$” con “€”. Pertanto, venti dollari diventano venti euro, ma non è raro assistere a qualche ritocco verso l’alto. In passato, ciò era comprensibile per tasse doganali o costi d’importazione con le copie fisiche provenienti dal Giappone o dagli USA, ma l’edizione digitale – a giudicare dai vari tentativi di “Google Tax” e simili – riesce a eludere totalmente o parzialmente anche il sistema fiscale.

Ma se vi sentiste turlupinati, presi in giro, in alcuni casi al limite della legalità, non fosse per certe clausole che devi accettare per forza, non vi ribolle il sangue nelle vene? Non tentereste una reazione? Quantomeno un’educata quanto circostanziata lamentela.

Ciò che accade ai danni del consumatore per i “giochini”, accade in altri mercati per altri prodotti: libri, film e musica sono sulla stessa banda…di trasmissione. La distribuzione è sempre più digitale e ho la sensazione che ci stia sfuggendo dalle dita.

Il mercato dei videogiochi, per quanto relativamente recente, grazie alla Digital Delivery, presenta un numero di abusi ai danni del consumatore con la tendenza a un preoccupante aumento: prodotti pieni di bug, peraltro noti allo sviluppatore ed editore; conseguenti release al “Day One” con contestuale patch, anche di svariati gigabyte (e chi non ha una connessione veloce si tiene il prodotto difettoso); prodotti “early access” mai terminati: un sistema diabolicamente geniale per cui paghi per essere nell’élite dei primi utilizzatori, entri in “god-mode” e ti senti importante perché il tuo contributo è essenziale (sindrome da Populous), in pratica sei un beta-tester a costo zero per la software house, che per giunta si finanzia e non è detto che rilascerà mai il prodotto terminato; la piaga del “free to play”, espressione che avrebbe necessità di virgolettare il virgolettato, tante e tali sono le modalità per spillare soldi con le micro-transazioni.

Come consumatori siamo trattati come “bestiame”, magari fossimo solo “mucche da mungere”, qui siamo proprio al macello. Come “consumatore” di un qualsiasi prodotto o “utente” di qualsiasi servizio mi attendo di essere trattato con serietà.

In particolare, nei videogiochi multiplayer on line i cosiddetti “Season Pass” aggiungono, durante il ciclo di vita del prodotto, una serie di contenuti (…eliminati apposta dal prodotto originario?) e pacchetti “premium” di armi, equipaggiamenti e altre scorciatoie per rendere più facile la vita sia in “single player” e, sopratutto, in “multiplayer”.

Quanto è accaduto in una delle mie rare sessioni multiplayer a un Call of Duty a casi è emblematico.

Sto percorrendo una mappa  in modalità multiplayer, cercando di capire quale sia il “Sacro Graal” che milioni di giocatori hanno trovato nel multiplayer di Call of Duty. Mi aggiro con la spocchia di un Terminator sceso per la sesta volta in terra, armato – per par flagellum – di un Uzi nella destra e un Uzi nella sinistra; a un certo punto, un malcapitato spunta quasi dal nulla, esattamente sulla mia linea di tiro.

Gli scarico entrambi i caricatori in un orgasmo (molto veloce eh) di pallottole e fuoco purificatore; tuttavia l’effetto è quello di sparare palline di carta con la cerbottana a un tank T-90 di tosta fabbricazione russa. Così, il tipo – legittimamente alterato da cotanto schiamazzo per nulla – con tre rapidi passi mi raggiunge e infila un rudimentale coltello tra spalla e collo, producendomi, oltre che un istantaneo quanto mortificante “game over”, anche una “combo” di maledizioni e bestemmie contro “questa generazione di ccciofani” e il conseguente “down” di rassegnata consapevolezza di “essere ormai vecchio per queste cose”.

Cercando di capire cosa avessi sbagliato, dando le colpe al router (o “routter” per il lag accusato), ho cincischiato per i menu e così scopro il ben-di-Dio che puoi comprare con la vile pecunia: basta pagare e diventi un T-90. Vengo allora preso da un istinto brutale e compulsivo: compro tutto, ritorno lì e gli faccio un cuBBo così!

No, mi riprendo dall’ira funesta e mi ricompongo. Non è la maturità dell’età a portare a più mite consiglio, ma un concetto assimilabile al “Fair play”. Risuonano le parole di mio fratello ai tempi delle sfide a Sensible Soccer (Amiga, 1992), Street Fighter II Turbo (SNES, 1993) o Soul Calibur (Dreamcast, 1999):

“Tu sei un <epiteto colorito>! Ti sei letto le istruzioni! Dimmi quale è il comando! Non vale, ti sei letto il libretto!”. (cit. mio fratello)

Non svelerò mai se mio fratello avesse ragione, però una cosa certamente l’ho imparata: nella sfida, per quanto possa essere spietata, non puoi rinunciare a essere leale.

Vincere con un sotterfugio non ti rende immortale come Ulisse, ma ti restituisce la misura di quanto tu possa essere vigliacco; volevi mostrare di essere il più forte, invece sei riuscito a mentire addirittura a te stesso e dimostrare quanto sei pusillanime, soprattutto a te stesso.

L’industria fa i suoi interessi, ma è realmente ciò che vogliamo per la nostra passione?

Cui prodest?

DLC o DLWC questo è il problema?
DLC o DLWC questo è il problema?

6 pensieri su “DLC cui prodest?

  1. Tu sai che io non so essere equilibrato su questo tema. è un po’ come chiedermi quali sono le tue canzoni preferite dei Beatles ovviamente tutte! Con lo stesso impeto mi disgustano i DLC come Avril Lavigne che suona i Metallica o come disgusto me stesso per aver dato via la ps2 a quei maledetti di gamestop. Prima dei DLC il problema sono i bug io non tollero di spendere 70 euro per poi essere costretto a intasare la mia adsl come il GRA anello interno direzione laurentina alle 8 di mattina perchè il gioco si deve aggiornare. Si fotta. Mi ricordo che quando usciì Jedi Knight uscii poco dopo anche l’espansione Misteri dei Sith su CIDDI non da scaricare su CIDDI spesi volentieri la mia paghetta per comprare quell’espansioni. e ci misi mesi per superare il primo livello perchè come un niubbo non trovavo l’uscita. Sono vecchio, o sto invecchiando male dimmi quel che vuoi, ma quel marchio che tutti denigrano perchè ha la grafica Old Gen è l’unica cosa che mi da ancora soddisfazione di un mercato che per me ha ben poco ormai da dire!

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    1. Caro Mastro, ho provato a essere equilibrato per dare a chi legge la possibilità di farsi un’opinione o quantomeno di prendere spunto per andare ad approfondire e farsi un’idea propria…E magari venirla a spiattellarla qui nello spazio dei commenti.
      Tu, abituato ai fumi del grog, sai leggermi tra le righe e mi dai il “la” per liberare la furia berserk. Nello spazio dei commenti nessuno può sentirti urlare.
      Ho la certezza – quel prurito persistente sotto i polpastrelli non mente mai – che a breve verrà fuori un altro mio post da questo tuo intervento in tackle – d’istinto e cuore – senza badare se prendo palla o giocatore. Quando il gioco si fa duro, è meglio munirsi di parecchi gettoni. Condivido quasi tutto e sappi che sei andato a segno con la citazione dell’espansione di Jedi Knight. Ho anche io il Cd, ancora custodito nel suo jewel box ricevuto in “omaggio” con la Orchid Voodoo 3DFX. Era però solo una sorta di demo, un numero limitato di livelli. L’ho ripreso su Steam ed è invecchiato, forse come te e me, non proprio benissimo. Il “quasi” non è perchè tu sia diventato vecchio – se ancora ne parli così hai una passione ancora giovane dentro – ma perchè questo mercato (per me, passione non negoziabile e senza prezzo) ha, secondo me, ancora moltissimo da fare e da dire. Continuo a comprare su gog.com vecchi giochi per vecchi videogiocatori, cassette e repliche di console, aspetto l’edizione fisica di ciò che viene pubblicato a puntate in DLC, rinuncio ai DLC per un indie sconosciuto. L’importante è avere la possibilità di scegliere, non essere costretti da non precisate “scelte di mercato”, tema che è il filo conduttore sia di questo post sia di quello sul “falso dilemma digitale”.
      Quando non avrò più la libertà di scegliere, vorrà dire che sarò troppo vecchio per “queste cose”. Ma quando non c’è più libertà di scegliere, non è solo questione di essere vecchi – che tutto sommato hanno poco ancora da sopportare – ma vuole dire che “i giochi” sono finiti anche per i giovani.

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      1. Condivido ciò che dici però proprio per le azioni che compi (compri su Gog vecchi titoli, piuttosto che finanzi baldanzosi indies) che mi fai capire che il mercato mainstream, così come lo intendono EA, Ubi e le altre spennapolli ha esaurito il suo “secsapill” per noi. Ieri ho visto un video di Uncharted4 diobò che bello per gli occhi. Ma poi c’erano più sequenze precalcolate che momenti reali di gioco. Ho finito da poco Binary Domain mi è piaciuto ma anche li: Mi stavo guardando un film e ogni tanto mi capitava su premete assiduamente il pollice sul plasticoso pad. Ora ho iniziato Red Dead Redemptions sembra gagliardo anche più di GTA (di cui non sono mai stato un fan -mi perdo nei vari “openuorld”) ma tutto questo per dire però che si sono sfizi ma “casseruola” Yoshi Island per SNES è insuperabile dopo vent’anni. Bello ancora da vedere. Per quanto riguarda la scelta, beh ovvio che è indispensabile per poter vivere questa passione nel modo che più ci aggrada, che nel mio caso si traduce anche nel convincere il mio cognatino di quattordici anni il famoso pollofifo che comprarsi ogni anno i COD e gli AC non serve a nulla e che può provare titoli diversi. Missione fallimentare perchè i suoi eroi (gli iutuber, che sciocco che sono a credere ancora che batman sia un figo) giocano solo a quello. 😀

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        1. Raccolgo e provo il rilancio perchè la chiacchierata è di quelle sane in cui le voci e gli sguardi dei due interlucutori si inseguono, si accavallano, brindano, Osteee portace n’antra bira…s’infervorano, si accalorano e – perchè no – ci si mandano a vicenda, ci ridono su e…Osteeee!
          Su EA e Ubisoft, nonchè sui titoli che hai citato la pensiamo nel medesimo modo, a parte che per Binary Domain spenderei qualche parola di più: se l’avesse sviluppato Epic con la forza del marketing Microsoft, sarebbe stato acclamato quanto Gears of War. Da diversi anni, però, di marketing Sega non ci ha capito ‘na…Nomen omen.
          Il discorso dei giovani rampolli della famiglia videogiocante mi intriga parecchio. In sintesi: iniziare con Pong, Breakout, Space Invaders, farsela addosso per avere sentito una specie di “roar” (lletteralmente) in Advanced Dungeons & Dragons sull’Intellivision, perdere l’artcolazione della mascella davanti alla schermata del castello di Defender of the Crown per Amiga, vedere nascere Mario e Sonic, ti dà il tempo e gli strumenti per capire, gustare e selezionare. Chi è nato già con gli ultimi COD e gli AC non ha avuto modo di allenare la fantasia, di costruire il proprio mondo intorno ai blocchi di pixel e poi sui triangoli dei poligoni in wireframe e poi sulle texture spalmate come una qualsiasi crema di formaggio a tuo gusto su una fetta di pane.
          COD per me è il primo con l’epico attraversamento del Volga, sembrava che stare dentro al film “Il giorno più lungo” o lo sbarco di “Salvate il soldato Ryan”, solo che eri russo. COD 2 è stato il gioco che ho comprato con la Xbox360…insomma, sono ricordi, emozioni. Se passi il tuo tempo sulle mappe multiplayer, temo che la fantasia che puoi scatenare è nell’ordine di quella di quando giocavi a “nascondino” e “ruba bandiera”.Io comunque ci provo sempre:il primo gioco che faccio vedere ai figli dei miei amici o conoscenti (e ai loro genitori) è Flower. 😉

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  2. Se la memoria non mi tradisce, la prima espansione che ho mai acquistato fu “Cleopatra” relativa a quella perla di city builder che era Pharaon (ah, i gloriosi anni di Sierra!). Era una scatola con tanto di manuale di istruzioni. I tempi oggi sono cambiati e vedo nel futuro dell’industria videoludica solo il digitale. Credo che ci porteremo dietro il supporto fisico per un’altra generazione, poi – forse – si aprirà l’era dello streaming (quantomeno su console). Sempre più spesso acquisto in digitale. All’inizio Steam sembrava un prodotto del demonio ma, sopratutto qualche anno fa, il risparmio era enorme. Con il passaggio al mondo console col tempo ho cominciato ad approfittare di saldi e affini, con tanti saluti al day one e all’opera di beta tester non retribuito, visto anche il vistoso calo di prezzo che subisce un titolo nell’arco di soli 3-4 mesi. La nostalgia per i cd ormai l’ho sepolta e so che quell’era ormai appartiene al passato. La chiusura dei server e la potenziale impossibilità di giocare ad un titolo tra x anni si scontra col fatto che, ad oggi, un titolo versione 1.0 su cd é spesso quasi ingiocabile, afflitto da bug e cali di prestazioni anche pesanti (ed ecco le corpose patch day one e tutte le patches seguenti). Cosa me ne farei di un cd che ha un contenuto monco e spesso difettoso non aggiornabile? Per quanto riguarda i dlc, non posso che concordare sul fatto che spesso sia un modo per spremere il consumatore ma, evidentemente, c’è chi non ci pensa troppo a spendere e spandere su contenuti aggiuntivi. È anche vero che occorre fare un distinguo. Hai fatto l’esempio di the Witcher 3: ha due espansioni che insieme regalano 30 ore di gioco in più con una qualità pari (e talvolta superiore) al gioco base! Sulla politica dei giochi ad episodi, sono allergico a queste operazioni: aspetto che la cara telltale finisca la stagione e solo dopo, magari in sconto, giocarmi l’avventura tutta d’un fiato. Altro esempio é la Paradox che, come ne abbiamo già parlato, fa calare abbastanza rapidamente il gioco base e sforna espansioni (più o meno corpose ma che incidono sul gameplay), facendo cassa (ma al contempo garantendo il supporto al prodotto anche dopo 3-4 anni). Sulla politica EA e Ubisoft c’è davvero poco da dire e se alla faccenda dlc aggiungiamo la questione loot boxes, ci sarebbe da parlarne per ore.

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    1. Visto che tiri in ballo i gloriosi tempi della Sierra e il tuo primo data disk o expansion disk (oggi DLC), mi hai fatto ricordare del mio primo: Falcon Mission Disk 2, che conteneva un discheto e una nuova campagna per la simulazione su cui ho spiccato i primi voli. il mio nick ha un’origine similare alla tua: è l’unione del soprannome de più famoso asso dell’Aviazione con il mio cognome (nell’About trovi qualche dettaglio in più oltre alla mia facciaccia brutta)..
      Il discorso CD utile come sotto-bicchiere e Doenload sempre aggiornato non fa una piega. Da questa generazione di console è proprio così, anche se in realtà è il multiplayer che ha imposto questo andazzo, oltre al neta-testing che è ormai un costo eliminato dalle software-house.
      Tuttavia, non tutte le produzioni sono così fallate al day one tanto da non potere essere giocate.
      La digital delivery ormai è inarrestabile, lo streaming arriverà, anche se dopo la batosta presa da Microsoft al lancio della prima XBox One, dovranno pensarla molto meglio e sopratutto avranno bisogno che la banda sia diffusa dovunque.
      il fatto che alcune produzioni utilizzino ancora il disco anche se il massimo degli introiti ormai lo realizzano in digitale, mi fa pensare che vi siano ancora grosse sacche di consumatori che non acuistano il digitale. Un po’ come accade a chi non usa la carta di credito. Il mercato dell’usato ancora alimenta il supporto fisico e sono convinto che i relativamente bassi prezzi del digitale non rlo rimarranno se sparisce il supporto fiisico definitivamente. La digital delivery è più un’esigenza dell’industria, meno dell’utente (iin particolare, se non ha una connessione veloce): l’industra salta il canale di intemediazione, risparmia costi losgistici e di spedizione, incassa subito. Puoi capire quanto risparmi e gli enormi vantaggi finanziari per l’azienda.Non soddisfatte, si sono inventati i “loot box”, che è stata talemte evidente come truffaldineria che si sono affrettati a tirarla via da Star Wars Battlefront II.
      Grazie per avere accettato l’invito a leggere e parnlarme+

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