Da Breakout a Wizorb. Another ball in my wall


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A volte, per sentirsi di nuovo a casa, non basta bussare alla porta, devi sfondare il muro!

Un muro e una palla. L’inizio di tutto. Fine anni ’70. Estate. Mio padre, mia madre, mio fratello. Mia sorella non era ancora nata. Avrò avuto 8 o 9 anni. Le prime macchinette mangia-soldi con un’anima “bit” che emettevano “bip”. Un suono alieno in sale-giuochi in cui il suono delle palline rimbalzanti nei flipper è ancora sovrastato dal suono di palle battute da stecche di biliardo, sbattute ai quattro lati di un biliardino o rotolanti lungo una pista di bowling. L’odore del fumo di sigaretta misto a sudore erano un’altra costante.

Ricordo l’odore di quella sala-giuochi sul lungomare di quel paesino lontano una dozzina di chilometri dalla nostra meta di vacanze estive. C’era fumo sicuramente, ma nel ricordo non ho mai quel tipico retrogusto acre. Anzi, m’è dolce naufragarvi.

I nostri genitori ci portavano a questa sala-giuochi ogni tanto; era una festa per noi! Mille lire, tutte nostre da potere spendere in una sola volta: ben dieci partite. La gioia e l’esaltazione mi è tuttora percepibile nella sua pienezza quando papà e mamma annunciavano che la sera saremmo andati a “La Bussola”. Noi bambini la chiamavamo così la sala-giuochi, in realtà era il nome della vicina discoteca “per i grandi”; all’epoca una sala-giuochi non aveva un nome, non se ne sentiva il bisogno: sarà per il loro numero così ridotto, sarà che i locali adibiti a questi giuochi non avevano la stessa dignità di altri locali commerciali o per l’intrattenimento.

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Prima di quell’anno fatidico, quando “loro” arrivarono in pace e noi li accogliemmo a cannonate, mio fratello e io spendevamo il nostro intero budget di ben mille-lire in due giuochi.

Il primo era “il gioco del bowling”

(da noi pronunciato “buulingh”), cioè una riproduzione in scala ridotta di un’autentica pista di bowling, con una palla di dimensioni simili a quelle utilizzate nel gioco delle bocce. Coinvolgeva tutta la famiglia con sfide competitive tra noi fratelli; mamma ci incitava e papà interveniva ogni tanto a darci suggerimenti su come tirare la palla, aggiustare la mira, sedare risse per futili birilli e – perché no – fare qualche tiro per suo sollazzo. Di tempo ne è passato, ma ripercorrendo con la tastiera il ricordo e vedendolo prendere forma sullo schermo in una realtà, seppure virtuale,  ma più reale del mondo diafano della memoria, mi rendo conto di quanto ammirassi papà come il più forte giocatore di “buulingh”: il mio idolo, l’esempio da seguire e che, forse, non avrei mai raggiunto e, comunque, mai pensato di superare. Sarà per questo motivo che umilio sempre i miei due nanerottoli a Mario Kart e non gliene lascio vincere una?

United Chicago Coin Bally Ball Bowler. Per noi bimbi negli anni '70, semplicemente il "buulingh"
United Chicago Coin Bally Ball Bowler. Per noi bimbi negli anni ’70, semplicemente il “buulingh”

Il secondo gioco era quello delle “racchette e la pallina”: Pong

I-Pad?...No, I...Pong!
I-Pad?…No, I…Pong!

Lo schermo rimandava un’immagine piatta di un unico colore malato verde oppure di uno spartano bianco su sfondo profondamente nero. Due “paddle”, cioè due manopole rotonde, da girare in senso orario o antiorario, permettevano di interagire con la racchetta che poteva così essere mossa in due direzioni, in alto e in basso, lungo l’immaginaria linea di fondo campo. La pallina, che poi a essere pignoli era quadrata, rimbalzava da un campo all’altro, ribattuta dalle racchette fino a che ce n’è – canterebbe Ligabue – in un’ipnotica danza per i videogiocatori e astanti al suono di ogni “bip” emesso al tocco della “stanghetta”, come la chiamavamo noi. Un flebile “bip” elettronico nel chiasso delle altre macchine d’intrattenimento nella sala-giuochi, ma che di lì a qualche anno avrebbe sovrastato anche il gioioso scampanellio e biri-biri tilt dei flipper.

(cit. Il lungo suono del Biri-Biri di Piero Cavina su www.tilt.it)

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Ma la scimmia del videogiuoco elettronico non si era ancora impadronita di noi, se non quando arrivò il gioco del “muro di mattoni”:

Breakout

Sullo schermo per la prima volta vidi un mondo (di mattoni) a colori, anche se in realtà lo schermo era sempre monocromatico e vi avevano applicato delle strisce di cellophane colorato. Insert coin, dai che inizia, eccoci: fianco a fianco, gli occhi fissi davanti, quattro piccole pupille che guizzavano sullo schermo in sincrono con i rimbalzi e le accelerazioni della pallina, la mano sulla manopola, che cercava di essere altrettanto veloce.

Muovermi – sì, perché io “ero la racchetta” – a destra e a sinistra, ribattere la pallina, distruggere quel muro per vedere cosa ci fosse oltre…In realtà, non un granché: un’altra schermata con un altro muro, game over.

I primi vagiti dei nostri avatar. Senza Breakout e ciò che seguì, Avatar di James Cameron sarebbe stato un film, prodotto da Bollywood, ambientato in un futuro prossimo sulla Terra, sulla discesa della divinità avente lo scopo di ristabilire il Dharma.

Le sfide con mio fratello erano serrate, ma questa volta ci univano per battere la macchinetta “infernale”: quelle dieci partite erano diventate venti per il semplice motivo che, mentre uno teneva la manopola, l’altro partecipava, dava suggerimenti, faceva il tifo e sbraitava. Le risse per futili birilli sarebbero state di lì a poco sostituite dalle risse per futili palline.

Mac F9 and fast forward

Avanti veloce. Oggi.

L’avevi dimenticato nell’hard-disk, acquistato “in blocco” con altri software indie in una di quelle offerte che non ti sembravano vere visto il prezzo. “Pay what you want” Paga quanto vuoi. All’inizio scettico, Humble Bundle era già stato citato da qualche rivista e in giro per la Rete, ma fino che te lo raccontano…Allora crederci non costa nulla. Quando però ti ritrovi davanti allo schermo l’offerta che ti spiattella a meno di due euro una mezza dozzina di videogiochi, fosse solo che te ne incuriosisce uno, scatta la molla di acquisto e download compulsivo, nonostante l’amletico enigma che tormenta il moderno navigante: “mi fregherà i soldi dalla carta di credito?”

Così in un pomeriggio di calura estiva, cincischiando tra menu, cartelle e sottocartelle, è lui che si ricorda di me. Mi viene incontro con il suo nome: Wizorb. Mi riporta in mente un capolavoro su Amiga, Wizball e un altro gioco, misconosciuto ai più, che gustai fio in fondo con soddisfazione che ancora ricordo, Wizard Warz.

Oscure citazioni o memorie barbose per i più, per me mnemonica istantanea di rara efficacia sintetica e rappresentativa di un ben preciso momento della mia vita: il 1988, da un paio di anni il tanto agognato trasferimento con la famiglia a Napoli (ritorno dopo oltre 17 anni di lontananza, manco fosse il popolo di Israele attraverso il Sinai…), l’Università, i nuovi compagni, i nuovi studi. Una persona consapevole che doveva prepararsi a cambiare, a essere diverso, a reagire a cose nuove e diverse. C’era del sano fermento nell’aria e non era solo quello del luppolo e sua bevanda derivata, che pure abbondava durante le serate di quel periodo.

La memoria corre veloce e clicco senza neanche accorgermene sull’icona di Wizorb. Niente di più sbagliato. Non c’entra nulla con Wizball nè con le guerreZ tra i maghiZ. La memoria però non si è fermata e ha continuato ad andare indietro: alla prima schermata del gioco mi ritrovo catapultato alla fine degli anni ’70.

Wizorb è un tributo a Breakout e ai suoi emuli successivi, rubacchiando qui e là idee già viste in passato (Arkanoid, Taito 1986) e ampliandole in un contesto concettuale, estetico e sonoro simile a un gioco di ruolo giapponese anni ’90, che trovarono massima espressione su Super Nintendo con Illusion of Time, Secret of Mana e Zelda A Link to the Past. La memoria sta facendo gli straordinari…E’ ormai un saliscendi su una montagna russa che ti porta in alto con i ricordi dei migliori momenti e poi giù quando realizzi che quei momenti non ci sono più né potranno ritornare.

The Legend of Zelda? No, Wizorb, un clone di Breakout
The Legend of Zelda? No, Wizorb, un emulo di Breakout

Gli sviluppatori, Tribute Games, non potendo riproporre l’idea semplicistica del muro e della pallina, si sono ispirati all’ottima idea di implementare il gioco con varianti e power-up, già agli albori in Super Breakout, ma egregiamente arricchita da Taito alla fine degli anni ’80 con Arkanoid: hanno inserito elementi del genere RPG con tanto di incantesimi nel gioco del “muro e della pallina”, dei “mattoncini”, del “rompiblocchi”, che non è un genere, ma è una forma preesistente e primitiva di gioco, un archetipo. Il gioco della palla lanciata contro un muro per poi riprenderla senza farla ricadere, magari cantando una filastrocca, imparata dai nonni, oppure in una delle sue infinite varianti. Mai tirata una palla contro un muro? 

Bentornati a The Legend of Breakout...Ehm Wizorb
Bentornati a The Legend of Breakout…Ehm Wizorb

Wizorb ha tutto ciò che avreste desiderato ai tempi di Breakout e non avreste mai osato chiedere: una modalità “Storia”; un’estetica curata secondo i canoni della “pixel art”, dai colori vibranti e dai dettagli neanche immaginabili alla fine degli anni ’70; un assortimento di pixel-nemici secondo le radicate classi pixel-sociali, cioè carne-da-macello, mini-boss e boss, affrontabili in arene di crescente difficoltà nella migliore (e prevedibile) tradizione dei giochi arcade, che scandisce il ritmo e i tempi dell’interazione ancora oggi; i controlli del mouse sono sufficientemente reattivi, sebbene in precisione millimetrica e accelerazioni “a strappo” il paddle sia un’altra cosa; livelli bonus e segreti a guarnizione di una produzione “artigianale”, nel senso contrapposto alla serializzazione industriale, e coerente con lo spirito ispiratore.

Wizorb è divertente, dalla durata più che adeguata a un prezzo davvero contenuto (€.2,99), impegnativo e stimolante con vari livelli di difficoltà disponibili nonché è “single player”, cioè potete tranquillamente giocarvelo da soli, nei momenti da “giro dei pollici” o “scimmia attaccata sul groppone”, senza essere sempre connessi, “Always Online (but never available)” o dovere essere costretto a interagire con qualcuno lontano magari a migliaia di chilometri. Il noto problema del XXI secolo…la comunicazione, che Corrado Guzzanti spiega molto bene:

“Se io ho questo nuovo media, la possibilità cioè di veicolare un numero enorme di informazioni in un microsecondo, mettiamo caso ad un aborigeno dalla parte opposta del pianeta , ma il problema è .. aborigeno ma io e te che cazzo se dovemo di!?!?!”

Se siete mai rimasti appiccicati al paddle del cabinato di Breakout al bar o in sala-giochi, poi a Super Breakout e, ancora, passato pomeriggi e nottate ad Arkanoid sull’Amiga, non avrete di che lamentarvi della difficoltà nel colpire quegli ultimi dannatissimi due – dico due – blocchi, pregando al contempo che la pallina, ormai lanciata a smodata velocità, non punti verso la nostra “racchetta” così all’improvviso e con un’angolazione così beffarda il cui algoritmo può essere opera solo un team di schizofrenici malati di flipper ed esperti di informatica quantistica. Chi descrive questa sensazione come frustrazione e sconsiglia questo gioco, non ha mai provato abbastanza gli illustri precedenti. Se vi mancava tanto Arkanoid, fiondatevi su questa opera indie che celebra il gioco “dove devi rompere il muro dei mattoncini” e lo arricchisce con una sapiente direzione artistica dal gusto retrò. Non esistono checkpoint ogni due-per-tre, avere un pizzico di fortuna con i rimbalzi aiuta, ma la pratica e la perseveranza elargiscono ricompense e soddisfazioni un po’ alla volta.

La pratica e la perseveranza elargiscono ricompense e soddisfazioni un po’ alla volta, proprio così come le persone importanti della mia vita mi hanno insegnato per oltrepassare ben altri e impegnativi “muri”.

Bentornato a casa, Claudio. La prossima volta, però, basta bussare alla porta…Non c’è bisogno sfondare il muro e parcheggiare l’auto in salotto.

E anche questo giocattolo in soffitta non ci vuole proprio andare.

Onda sonora consigliata: i bip di una volta di Atari VCS 2600

 

4 pensieri su “Da Breakout a Wizorb. Another ball in my wall

  1. Corrado

    ..nostalgia pervade le tue parole, nobile scrittore…un pò mi hai contagiato, anche se non ho mai avuto tutta questa familiarità con i video-giochi. Ma questa amena sala-giochi che descrivi era nella Pontina Provincia situata?

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  2. Corrado

    Fui comunque un abituale frequentatore di bowling, qui a Roma, in anni molto più tardi (avevo circa 30 anni): andavo a quello di Viale Regina Margherita (vicino casa-Cimbelli) o a quello di Ciampino; ma – soprattutto – al “Brooswich” (mi pare così si chiamasse), in zona Flaminio. Le piste erano bellissime ed altamente tecnologizzate (immagino come potranno divenute essere oggi): queste di cui hai pubblicato la foto sono assai più “vintages”: epperò, proprio per questo, hanno il loro fascino. Davano l’idea di un accesso al progresso che, pur essendo appena accennato, pareva pienissimo. Uomini di antica data come noi possono comprenderlo.

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