Riavvolgi e gioca: Alien 3


Se si chiede degli anni Novanta a una vecchia cariatide dei videogiochi come chi scrive, la risposta è: sedici.

Sedici bit declinati secondo varie forme: Commodore Amiga, Sega Mega Drive, Super Nintendo, per citare le più diffuse piattaforme di gioco domestico in Italia negli anni Novanta.

I sedici bit rappresentano un deciso balzo in avanti del videogioco domestico non soltanto dallo scontato punto di vista tecnologico, ma sopratutto in termini di esperienza del fruitore e di mercato.

Il videogioco domestico, intrufolatosi alla fine degli anni Settanta sotto o accanto alla televisione del salotto grazie alla società statunitense Atari, nei primi anni Ottanta viene già considerato dai benpensanti come l’ennesima moda passeggera e dato per defunto. Nel 1985 la società giapponese Nintendo distribuisce negli Stati Uniti una console 8 bit, la Nintendo Entertainment System (NES): il successo è tale che Nintendo diventa sinonimo di “videogioco” per il ventennio successivo.

La naturale evoluzione tecnologica negli anni Novanta si traduce neI doppio dei bit e il conseguente miglioramento di potenza computazionale, grafica e suono. Migliora anche l’interfaccia: il “joypad”, introdotto da Nintendo con la NES, assume forme più ergonomiche e si arricchisce di quattro pulsanti, aumentandone così le opportunità di interazione.

L’aumentata complessità e interazione gestibile dai sedici bit crea nuove opportunità di raccontare storie e aumenta la varietà delle forme narrative.

Per il videogioco domestico dell’epoca i parametri di riferimento sono due:

  • dal punto di vista tecnologico ed estetico, i cabinati nelle sale-giochi (“arcade” in inglese)
  • dal punto di vista narrativo, il cinema

I videogiochi “arcade” sono ancora il riferimento in termini di eccellenza grafica, tuttavia in termini di esperienza, le piattaforme domestiche iniziano a essere un passo avanti, sopratutto grazie agli home computer che rendono possibile l’affermazione di nuovi generi, come i giochi strategici, le simulazioni e le avventure grafiche.

Al videogiocatore non basta più il divertimento puro dell'”arcade”, ma inizia a sentire l’esigenza di essere parte, anzi protagonista di un racconto, di una storia.

Il cinema è un medium per raccontare storie e, come i videogiochi, utilizza immagini in movimento e suoni per aumentare l’immedesimazione e generare empatia. Fino dalle sue origini il videogioco si è ispirato al cinema. I primi videogiochi “tie-in”, ovvero ispirati a un film con concessione dei corrispondenti diritti d’autore, appaiono già nel 1982 per la console Atari VCS e Mattel Intellivision: Raiders of the Lost Ark, The Texas Chainsaw Massacre, Star Wars: The Empire Strikes Back, Tron: Deadly Discs, Tron: Maze-A-Tron, E.T. the Extra-Terrestrial e Alien.

Durante gli anni Novanta i “tie-in” sono sempre più popolari e il genere più adottato è il gioco di piattaforme a scorrimento laterale.

Tuttavia, i videogiochi “tie-in” hanno una reputazione di scarsa qualità: E.T. l’Extra-Terrestrial per Atari VCS è addirittura citato come una delle cause della grave crisi dell’industria dei videogiochi del 1983.

La scarsa qualità è riconducibile alle seguenti cause: l’acquisto della costosa licenza cinematografica riduce drasticamente le risorse economiche destinate allo sviluppo; gli sviluppatori non dispongono del tempo sufficiente a causa della necessità di rispettare la data di pubblicazione in contemporanea con quella del film; la tecnologia disponibile limita l’adattamento della trama dell’opera originale in una forma interattiva.

Nonostante tale reputazione dei “tie-in”, il legame di sviluppatori e videogiocatori ad Alien è forte fino dalle origini.

Nel 1982 si contano almeno tre giochi che vi si ispirano:

Alien per Atari VCS si avvale della licenza cinematografica, tuttavia, joystick o tastiera alla mano, è chiarissima l’ispirazione al film degli altri due videogiochi senza licenza.

Alien per Atari VCS è un mediocre emulo di Pac-Man: un tipico “tie-in” che spreca il potenziale della licenza cinematografica. Gli altri due titoli riescono a trasmettere con maggiore successo l’atmosfera ansiogena del film.

Alien per Atari VCS. Oddiomamma, Pac-Man! L’hanno mangiato gli alieni!

Tra il 1984 e 1987 per gli home computer più diffusi, Commodore 64, ZX Spectrum, Amstrad CPC ed MSX vengono pubblicati quattro videogiochi, uno ispirato ad Alien e tre ad Aliens. Nel 1990 Konami distribuisce il cabinato Aliens, uno sparatutto a scorrimento laterale, che in alcune sezioni muta la visuale in terza persona, ma non viene realizzata una conversione per il mercato domestico.

Nel 1992 i videogiocatori attendono il “tie-in” di Alien 3 almeno quanto gli appassionati del film attendono il ritorno di Ripley.

Sono cinque anni che un videogioco di Alien è assente da qualsiasi piattaforma domestica e, grazie alle migliori potenzialità grafiche e sonore delle nuove piattaforme 16-bit, ci si attende un “tie-in” letteralmente da paura.

Nel 1992 sono nel pieno degli studi universitari e il mio portafogli è cronicamente a corto di fruscianti banconote. Oltre alle uscite serali con gli amici, a drenare denaro è anche la mia situazione sentimentale: sto con una ragazza che abita a Roma e il fine settimana ci incontriamo a turno nelle rispettive città: la trasferta, tra biglietti del treno e movida romana, è una mazzata alle mie già assai precarie finanze. Procurarmi la dose di metadone video-ludico è dunque un lavoro di alta finanza.

Con un mix di operazioni commendevoli (drastica riduzione degli acquisti di fumetti), operazioni di una certa opacità (“cresta” sui resti della spesa e rastrellamento di monete lasciate in giro dai miei genitori per casa e in automobile) e regali di non poi così vile pecunia in occasione di compleanno e festività, riesco periodicamente a procurarmi una dose di metadone video-ludico. Perciò, a fronte di una “lista dei desideri” che supera di gran lunga la lunghezza media di un compito in classe di italiano, l’acquisto di un videogioco non è mai d’impulso e al “day one”. L’acquisto è sempre una scelta assai ponderata, frutto di una mediazione tra le mie preferenze, le recensioni di riviste specializzate italiane e inglesi, la disponibilità di un titolo piuttosto che un altro sullo scaffale dei negozi a causa di una distribuzione lacunosa e afflitta da una “pirateria” endemica.

Nei primi anni Novanta i negozi specializzati in videogiochi sono rari, la grande distribuzione è inesistente, i videogiochi, sopratutto per le console, si vendono nei negozi di giocattoli. I videogiochi per home computer vengono acquistati dai negozianti per arredare le vetrine: la maggiore parte delle volte che ho varcato la soglia di un negozio per chiedere il prezzo di un videogioco originale, la risposta è sistematicamente una proposta di una copia-pirata. In pratica non esiste ancora una consuetudine distributiva del videogioco e con essa una dignità perfino come bene di consumo: se è su supporto copiabile, è la norma offrire una copia sebbene ricada nell’illegalità; se la copia è più difficile e costosa, come nel caso delle cartucce per le console, il videogioco è considerato un giocattolo.

La vendita per corrispondenza è un’alternativa piuttosto consolidata con pagamento contrassegno, molto pubblicizzata sulle riviste, ma è penalizzata da un servizio postale indecente: il rapporto tra lettere e pacchi spediti e persi, si aggira intorno a una percentuale imbarazzante; i tempi di consegna sono più capricciosi di Zeus infoiato per una ninfa di un ruscello o un boschetto scelti a caso.

I prezzi dei videogiochi non sono mai stati “popolari”. A onore della verità, i prezzi dei videogiochi per Commodore Amiga sono invece accessibili anche per le mie martoriate finanze: tra le diciottomila e le venticinquemila lire per le linee più economiche di U.S. Gold, Gremlin, Ocean; tra le quarantamila e le settantamila lire per i videogiochi di marchi più blasonati come Cinemaware, Psygnosis, Microprose, Electronic Arts, LucasFilm, Origin Systems. Il prezzo è mediamente corrispondente alla qualità del gioco e dei contenuti della confezione.

Discorso completamente differente per i videogiochi per le console: i prezzi si attestano intorno alle centomila lire, riducendosi via via nel tempo, ma comunque rimanendo intorno alle cinquantamila lire. Le motivazioni sono tecniche e di mercato: la cartuccia è più costosa da produrre di un floppy disk; inoltre, le terze parti devono pagare un importo intorno ai dieci dollari per ogni cartuccia prodotta alle società proprietarie delle console (Nintendo e Sega), mentre per i videogiochi per home computer non esiste questa pratica commerciale; la “pirateria” nel mercato delle console esiste, ma è assolutamente marginale. Le console vantano titoli esclusivi (Sonic per Sega e Mario per Nintendo, per citare i più noti) e conversioni da “arcade” di qualità mediamente eccellente, perciò al videogiocatore, tipicamente ossessionato dal “quasi uguale al bar”, si applica il vecchio adagio “o mangi la minestra o salti dalla finestra”.

Inoltre, con la distribuzione di Mega Drive e Super Nintendo appare il fenomeno dell’importazione parallela. Alcuni intraprendenti negozianti importano dall’estero i videogiochi che non vengono distribuiti in Italia applicando prezzi che avrebbero fatto provare un minimo di vergogna anche a un incallito usuraio: ho assistito alla richiesta di centocinquantamila lire per una cartuccia di un gioco di ruolo giapponese, chiaramente senza uno straccio di traduzione e quindi giocabile pestando tasti a caso e con tutta probabilità rimanendo intrappolati nel menu delle opzioni iniziali o in quello dell’inventario.

L’acquisto di un videogioco per console è per me quindi un autentico lusso e solo a quei titoli di assoluta qualità che non vengono convertiti per home computer o la cui conversione è di qualità mediocre o pessima.

Sul piccolo schermo “The Bitch is back!

ll film delude le aspettative, il videogioco no.

La genesi del film è stata molto travagliata, la critica e il pubblico riservano al film un’accoglienza – nel migliore dei casi – tiepida; l’adattamento video-ludico ha buone probabilità di essere disastroso.

Lo sviluppo del videogioco per tutte le piattaforme domestiche più diffuse è affidato a Probe Software, una veterana dei “tie-in”, con risultati alquanto altalenanti, perciò il nome Probe Software associato ad Alien 3 alza il mio livello di attenzione al portafoglio.

Lo sviluppo avviene principalmente su due piattaforme: Super Nintendo e Sega Mega Drive; quest’ultima è la base delle altre per Amiga, Sega Master System, Sega Game Gear e Commodore 64. Le differenze sono sensibili: seppure condividano Ripley come personaggio giocabile, l’ambientazione della colonia penale sul pianeta Fiorina “Fury” 161, la presenza di xenomorfi e di un assortito arsenale, sono due esperienze di gioco differenti.

Le versioni per Mega Drive e Amiga appartengono al genere “run and gun” in cui il giocatore deve condurre Ripley attraverso dei livelli in successione, superando piattaforme e sparando agli xenomorfi: si tratta di un genere piuttosto inflazionato nei “tie-in”.

La versione Super Nintendo appartiene invece al genere “metroidvania” dal “level design” più complesso: il giocatore esplora un’ampia mappa interconnessa acquisendo l’accesso a nuove sezioni grazie a terminali di computer, che comunicano le missioni disponibili. Gli obiettivi delle missioni presentano una certa varietà: dalla distruzione di uova aliene alla riparazione di tubi o scatole di fusibili, dalla sigillatura di porte al salvataggio dei detenuti. A rendere i sei livelli di gioco non esattamente una passeggiata di salute sono vari tipi di xenomorfi che potranno essere uccisi grazie a un generoso armamentario a disposizione fin dal primo livello: fucile a impulsi, lancia-granate e lanciafiamme.

[Alien 3 SNES] Pronto a friggere un paio di uova

Quale versione scegliere?

Alien 3 per Mega Drive è un “run and gun” di buona fattura, ma sa di “già visto, già giocato”; Alien 3 per Amiga è un adattamento da Mega Drive e non sfrutta – se non nel migliore comparto sonoro e musicale – le peculiarità della macchina Commodore.

La versione per Super Nintendo stacca le concorrenti sia dal punto di visto tecnico sia di esperienza di gioco.

Le cartucce per Super Nintendo però sono mediamente più costose di quelle per Mega Drive. Sulle riviste dell’epoca la versione Mega Drive è pubblicizzata dai negozi di vendita per corrispondenza a un prezzo di novantanovemila lire, quella per Super Nintendo sfiora le centoventimila lire, al quale aggiungere spese postali e di contrassegno. Non resta che attendere qualche mese e poi girovagare per le strade della mia città, Napoli, alla ricerca di una copia a un prezzo che usualmente si riduce nel tempo.

Le mie peregrinazioni alla ricerca dei videogiochi si concentrano principalmente nella zona del Vomero: un paio di negozi di giocattoli e un paio di negozi più specializzati nella vendita di home computer e videogiochi. L’assortimento nei negozi di giocattoli lascia a desiderare, è più ampio nelle altre due rivendite, ma comunque è sempre assai limitato rispetto al bengodi recensito sulle pagine delle riviste specializzate o pubblicizzato sulle stesse pagine dai rivenditori per corrispondenza.

Una volta messo da parte il contante per l’acquisto, la ricerca dell’agognato videogioco nei negozi assomiglia a una battuta di caccia: potresti anche non imbatterti mai nella tua preda. A volte la fortuna ti arride inaspettatamente: mi è capitato di imbattermi nel videogioco che cercavo a un prezzo onesto esposto nella vetrina di una tabaccheria e di un negozio di elettrodomestici.

L’acquisto della mia cartuccia di Alien 3 ricade nella serendipità: la fortuna di fare per caso inattese e felici scoperte, mentre si sta cercando altro. Sono in giro per il Vomero in prossimità di Piazza Medaglie d’Oro, in una zona più distante dalle mie “battute di caccia” al videogioco. A un tratto noto un’insegna, un piccolo negozio senza vetrine. Varco la soglia della porta a vetri e mi ritrovo in mezzo al mio scatolame preferito: videogiochi. La superficie risicata trabocca di videogiochi per console e home computer, due ragazzi addetti alle vendite chiacchierano di videogiochi con un paio di altri ragazzi, che – a giudicare dal tono amichevole e appassionato – devono essere clienti abituali.

Incredibile, non soltanto ho scovato un negozio specializzato, ma anche gestito da appassionati come me!

Qui ho trovato una copia di Alien 3 per Super Nintendo a un prezzo non di certo “popolare”, ma sensibilmente inferiore rispetto al resto delle offerte: settantamila lire.

La mia copia di Alien 3 per Super Nintendo, Acquistata a Napoli, scovata in un negozio al Vomero, al prezzo di 70.000 lire (circa 35 euro)
“3 volte la suspense, 3 volte il pericolo, 3 volte l’orrore…”. L’unico vero “orrore” era accorgersi di avere speso una barca di quattrini per un gioco che era una ciofeca. Non è il caso di Alien 3.

Alla prova del joypad, Alien 3 non fa rimpiangere le settanta banconote da mille lire.

Il primo impatto è quello che nel marketing viene definito “effetto Wow”: stupore, supera le aspettative, con un persistente senso di meraviglia.

L’impatto grafico è eccellente ed è nettamente superiore alle schermate della versione Mega Drive e Amiga viste sulle riviste: ricrea le ambientazioni di Alien per quanto ci si può attendere da una piattaforma sedici bit. La colonna sonora si ispira a quella del film e contribuisce a creare una coerente atmosfera. La palette di colori è ricca, una gioia per gli occhi con effetti eccellenti di nebbia e pioggia. In movimento è uno spettacolo: le animazioni di Ripley e degli xenomorfi sono fluide, le armi danno soddisfazione, dalla raffica del fucile a impulsi al suono “thud” dello sparo del lancia-granate, e – autentico tocco di classe – gli effetti di luce sullo scenario e sugli oggetti quando si usa il lanciafiamme.

[Alien 3 SNES] L’effetto nebbia è notevole

A causa delle limitazioni della tecnologia, non possiamo ancora parlare di “immersione”, ma grazie a una struttura “metroidvania” ben implementata, ci va vicino. L’esplorazione degli scenari non è mai noiosa e non si riduce al solo “corri e spara”. la raccolta di munizioni, la chiusura di porte, il salvataggio dei detenuti, i vari tipi di xenomorfi con i loro differenti “pattern” di attacco donano varietà all’esperienza e non rendono le missioni soltanto un “compitino” per completare il livello.

L’esperienza di gioco è più vicina ad Aliens, piuttosto che ad Alien 3. Da quest’ultimo riprende le ambientazioni della colonia penale e la Ripley con il capo rasato. Tuttavia, considerato che il terzo film mi ha deluso e lasciato parecchio amaro in bocca, mentre ritengo i primi due film degli assoluti capolavori, tale scelta è alla fine un pregio.

Qualcuno nel tuo condominio potrà sentirti urlare

Alien 3 per Super Nintendo non è esente da difetti.

Negli anni Novanta i videogiochi sono decisamente più difficili rispetto alla media odierna. Non necessariamente un difetto per me poiché, data la cronica carenza di pecunia, la maggiore difficoltà si traduce in gioco più duraturo. Il bilanciamento dei livelli di difficoltà è però essenziale per evitare che l’esperienza si traduca in frustrazione. Il videogioco è pure sempre una forma di intrattenimento che ha come scopo il divertimento e la gratifica di compimento.

In Alien 3 per Super Nintendo il bilanciamento della difficoltà ha il suo tallone di Achille nel “respawn” degli xenomorfi: è continuo, senza alcuna pausa.

Non è possibile “ripulire” una certa zona di uova e xenomorfi per concentrarsi nell’esplorazione: ne uccidi uno, riappare un altro immediatamente. Particolarmente irritanti e fonte di frustrazione sono i salti sulle piattaforme, che peraltro richiedono una precisione certosina. Il numero dei miei improperi e coloriti epiteti rivolti allo schermo aumenta esponenzialmente in occasione del salto sulle piattaforme: spicco il salto e, a metà della parabola o – peggio – nel momento in cui sto per atterrare, appare uno xenomorfo che al contatto, non solo riduce il mio livello di salute, ma mi fa ricadere in basso, costringendomi a rifare un lungo percorso, sempre sotto l’attacco incessante degli xenomorfi, per ritentare lo stesso salto.

Un secondo difetto consiste nell’assenza di coerenza tra storia e “level design”. Sebbene la struttura “metroidvania” sia ben congegnata, in Alien 3 non è alla pari dei migliori esponenti di questo genere. L’esperienza di gioco è positiva, più ricca di un “run and gun” o di un gioco di piattaforme, tuttavia si avverte ancora la primigenia spinta a “finire il quadro” – per dirla alla maniera dei primi videogiochi – piuttosto che essere parte di una storia e, durante il gioco, via via disvelarne l’intreccio.

Un ultimo difetto è da considerare se invece di “riavvolgere il tempo”, si gioca ad Alien 3 oggi per la prima volta e con le aspettative e le abitudini di gioco di oggi.

I livelli sono un dedalo di corridoi, piattaforme, tubi di manutenzione, stanze e aree all’esterno della colonia: disegnare una mappa diventa un’esigenza di sopravvivenza.

Come giocatore di Dungeons & Dragons e videogiocatore dei primi giochi di ruolo, disegnare una mappa per me è parte del divertimento, perciò quando ho giocato per la prima volta ad Alien 3 mi sono reso conto che disegnare una mappa mi avrebbe evitato ore di “passeggiate” per i male frequentati e insalubri ambienti di Fury e, sopratutto, un discreto numero di vite perse a causa dell’incessante assalto degli xenomorfi.

La mia mappa di un livello di Alien 3. Disegnare una mappa è parte del divertimento o una noia mortale? Oggi probabilmente la seconda opzione, ma nel 1992 era essenziale per la soravvivenza, aumentava il senso di “immersione” e della scoperta

Sia sempre lodato l’inventore della mappa automatica implementata nei videogiochi da qualche generazione a questa parte, tuttavia se siete abituati a questa”comodità”, in Alien 3 senza armarsi di foglio e matita, il rischio di perdersi è elevato con conseguente aumento del livello di frustrazione e numero di bestemmie. Gli xenomorfi escono dalle fottute pareti, ma dalla vostra bocca anche le bestemmie potrebbero venire ancora più fottutamente fuori.

Per raccontare questa mia storia, mi sono ispirato al vecchio registratore a cassette: ho spinto il tasto “rewind” e poi il tasto “play”. Mi auguro che abbiate apprezzato questo viaggio nel tempo, facendo attenzione a evitare la nostalgia canaglia come la piccola Newt fuggiva gli xenomorfi. Se avete gradito, battete un colpo nello spazio dei commenti, così da riavvolgere il nastro un’altra volta e giocare insieme voi al racconto di un’altra mia storia di videogiochi.

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11 pensieri su “Riavvolgi e gioca: Alien 3

  1. Splendido articolo, complimenti, anche se non ho mai giocato ad Alien 3 mi hai riportato alla mia infanzia e alla caccia ai giochi per Megadrive che non costassero un rene! Molti li ho comprati dalle riviste, dove c’erano le pagine pubblicitare dei negozi che li spedivano, con tanto di liste dei giochi disponibili.

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    1. Grazie! Anche io ho acquistato dalle rivendite per corrispondenza, di solito quando ormai erano trascorsi diversi mesi dal “day one” e i prezzi diminuivano. Tra questi venditori ricordo: la Lago, una delle prime distribuzioni in assoluto in Italia, specializzata in videogiochi per home computer (devo avere da qualche parte un loro catalogo, che sfogliarlo era “sognare a occhi aperti”); Computer One di Bologna (acquistati la mia Super Nintendo); infine un negozio a Via Vitruvio a Milano di cui non ricordo il nome, che è stato il primo dal quale ho acquistato per corrispondenza. Ricordo che chiesi il permesso a mia madre di acquistare alcuni videogiochi per Intellivision che costavano solo trentamila lire. Quando arrivò il postino a casa per consegnarli e riscuotere il pagamento in contrassegno, sembrava fosse arrivato Natale in anticipo! Di passaggio da Milano per partire per la Gran Bretagna (viaggio studio di un mese con la EF School), mi ci recai di persona come una sorta di pellegrinaggio a un luogo, se non sacro, quantomeno “mitologico” ;). Vi acquistai Advanced Dungeons & Dragons: Treasure of Tarmin per Intellivision. Era l’estate del 1984. Mentre ti scrivo, mi è venuto in mente che questo meraviglioso videogioco potrebbe essere protagonista della seconda puntata di questa nuova rubrichetta, Riavvolgi e Gioca…

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  2. Ero talmente “stregato” dal mio amatissimo Amiga, da non considerare nemmeno lontanamente altri tipi di macchine da gioco. Le console ? pianeta assolutamente sconosciuto e lontanissimo dalla mia orbita (come le donzelle, del resto). Sapevo delle “cartucce” solo perché il Commodore 64 offriva questa possibilità e per noi, giovanissimi giocatori incalliti, era semplicemente spettacolare poter fare un piccolo gesto e poter giocare subito, anziché guardare il contatore del registratore a volte scorrere inesorabilmente (“31, 32…..40… niente, mi sa che non ha CARRICATO”). Poi il mercato pirata, a cui anche tu fai riferimento, faceva addirittura NASCERE i negozi. Attività commerciali che avevano le copie legali solo per metterle nella vetrina, mentre dentro c’era ampia attività di spaccio di floppy disk da 3,5″. Quanti avanti e indietro con la vespetta. Mentre altri pomiciavano io pensavo all’espansione per Kick-Off ! 🙂 Ciao !

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    1. Caro mio, ho saltato il Commodore 64 proprio a causa del registratore a cassette: abituato con le console, trovavo insopportabile i tempi di attesa e soprattutto l’incertezza del buon fine del caricamento del gioco. L’Amiga è un’altra storia. Innamoramento a prima vista. Leggevo la rivista Commodore Gazzette fantasticando di potere acquistare l’Amiga 1000 (esteticamente uno dei computer più belli di sempre). Il sogno divenne realtà con l’Amiga 500, dopo un’aspra “lotta” con i miei genitori e grazie alla sensibile riduzione di prezzo (se non ricordo male intorno al milione di lire). L’Amiga è stata una macchina meravigliosa. Anche io vi sono legato. Senza l’Amiga non avrei potuto sviluppare la curiosità per l’informatica, capire come funziona e si programma un computer, insomma sarei un tipico utente medio, che al primo intoppo non saprebbe dove mettere le mani. Inoltre, la mia conoscenza dell’inglese si arricchita notevolmente grazie alle simulazioni, ai giochi di ruolo, a quelli strategici, alle avventure prima testuali e poi grafiche. Non c’era uno straccio di traduzione né del gioco né dei manuali (e cene erano di corposi); oggi leggo di videogiocatori che gridano allo scandalo perché un gioco non viene tradotto in una lingua, che per quanto possiamo amarla, comunque è parlata da sessanta milioni di individui, cioè pari a circa lo 0,8% della popolazione mondiale. I videogiochi Amiga avevano una loro identità: era infatti percepibile la loro provenienza. I britannici, gli statunitensi, i francesi, i tedeschi. avevano un proprio modo di interpretare il videogioco, esattamente come succede nella cinematografia. E i giapponesi? I giapponesi avevano il dominio incontrastato sulle console (che erano di casa): avevano una marcia in più, soprattutto sulle conversioni arcade. Non c’è nulla da fare, se volevi giocare a una conversione da arcade “quasi uguale al bar”, l’unica via era giocare su console. Motivo per il quale acquistai la Sega Mega Drive e infatti i primi due videogiochi – al di là di Altered Beast incluso nella confezione della console – sono stati due conversioni: Super Monaco GP (il cui cabinato mi ricorda le sfide a suon di gettoni e sberleffi con i miei amici durante una vacanza in Sardegna prima di avventurarci nella movida serale) e Strider, la prima vera “killer application” per la macchina Sega. E qui “cascava” l’Amiga come casca l’asino nel vecchio adagio. La versione Amiga di Strider, esaltata da tutte le riviste dell’epoca, comparata a quella della Mega Drive era una ciofeca immonda. L’Amiga era fenomenale se il videogioco veniva sviluppato sfruttando le peculiarità della macchina Commodore; purtroppo ha sofferto, nei primi anni di conversioni sciatte dal meno performante Atari ST e, con l’avvento della Mega Drive, di conversioni al minimo sindacale da questa console. Nei primi anni Novanta iniziò a fare capolino sul mercato un inaspettato concorrente: il PC. Di gran lunga più costoso, ma quando vidi giocare The Secret of Monkey Island e Wing Commander sul PC di un mio amico, capii che l’Amiga era giunta al capolinea.

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      1. Credo che la tua conclusione corrisponda perfettamente anche con la mia storia anche se, in questo momento, ho solo il dubbio che non fu tanto il Pc a far mettere da parte il mio Amiga 2000 (con annessa espansione acquistata per far girare meglio l’innovatissimo “I Play 3D Soccer”), ma la PlayStation. Girava voce che era possibile modificarla e che il mercato pirata sarebbe stato ugualmente fiorente. E così fu, anche se io, per principio, ho sempre e solo comprato giochi originali (…). In ogni caso, ribadisco un concetto espresso da quando ti conosco: Amiga nel cuore. Altro che PlayStation o Xbox. L’Amiga con la rivoluzione che si è portata appresso, con le sue bellissime forme (come dici anche tu. E poi la versione 2000 era un desktop !), con i maledetti piolini delle porte joystick che saltavano e andavano saldati e con i joystick stessi che volavano via pur essendo bel saldi sulle scrivanie (“ste ventose fanno cagare”). Che tempi !

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    1. Grazie a te tesoro. Ci sei sempre e mi dai sempre una pacca sulla spalla. Purtroppo è un periodo intenso tra lavoro, studio e famiglia e il tempo per scrivere scarseggia. Tuttavia, sappi che il desiderio di scrivere arde ancora tra queste dita e quindi a presto!

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  3. Che dire? Me lo0 sono sciroppato tutto senza perdere uan virgola. Mi ha appassionato il tuo fervore nelle spiegazioni mai banali mai contorte. Lucide e sintetiche. Non sarei stato paziente nel disegnare mappe e percorsi. Avrei giocato d’impulso e dopo poco avrei messo via tutto.

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  4. Pingback: Riavvolgi e gioca: Alien 3 (guest post) | 30 anni di ALIENS

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