Lo confesso, sono un violento ed è tutta colpa di Soulcalibur


Sempre sia benedetto il Natale del 1999 quando tutta la famiglia riunita mi regalò la console Sega Dreamcast insieme al videogioco Soulcalibur. Ecco, oltre che confessarvi che sono un violento, ammetto pure che ne sono assai felice.

I miei genitori, pure non negandomi mai nulla dei miei trastulli elettronici, non hanno mai compreso né tantomeno condiviso questa mia passione. Spesso ci siamo scontrati sul tempo che vi dedicavo, sottraendolo a ben più ortodosse e utili attività; la frase “staccati da quel coso, sembri un drogato!” era ricorrente, anche se in oltre cinquant’anni non ho toccato nemmeno uno spinello.

Comprensibile per carità, ma questo conflitto per una passione che sentivo forte deludeva un’aspettativa di un qualsiasi figlio: essere accolto dai genitori nei suoi bisogni, compreso nei sentimenti che prova, nei valori che orientano le sue scelte; in altri termini, essere accettato nel proprio modo di interpretare la realtà quotidiana.

Il regalo della famiglia riunita di quel Natale è perciò uno dei più belli mai ricevuti, non solo per l’oggetto in sé, ma per il significato: finalmente, pure non condividendola, avevano accettato la mia passione, una parte di me, che reputavo importante. Per questo motivo, la Sega Dreamcast, insieme alla Mattel Intellivision, è la console alla quale collego sensazioni, emozioni e ricordi a me assai cari.

Fino a oggi sono sette i videogiochi della serie principale e quattro “spin-off”, ma Soulcalibur per Dreamcast è la versione migliore in assoluto di questo picchiaduro con spade e altre armi bianche, ovvero un genere che ha mosso i primi significativi passi su una PlayStation.

Nel 1995 Battle Arena Toshinden dimostra la forza bruta della grafica 3D della PlayStation, tanto da essere sbandierato da Sony come il gioco “Saturn killer” confrontandolo con Virtua Fighter per la console della concorrenza, la Sega Saturn. Ci si picchiava sugli schermi, ma la concorrenza tra Sony e Sega era una “guerra” senza esclusione di colpi. Anche chi è a digiuno di videogiochi può capire come è andata a finire: oggi possiamo acquistare la Sony PlayStation 5, ma nessuna console Sega. La Dreamcast infatti è stata l’ultima console prodotta da Sega.

Prima dell’estate 1997 è in distribuzione nel Vecchio Continente un altro picchiaduro all’arma bianca per Playstation, Soul Blade, che è una conversione della macchinetta mangiasoldi in sala-giochi dal titolo Soul Edge. Il team di sviluppo della giapponese Namco vi apporta alcune migliorie e aggiunte. La realizzazione tecnica e giocabilità sono eccellenti.

Soul Blade per PlayStation: Heishiro Mitsurugi (a sinistra) e Seong Mi-na (a destra). Le donne non si toccano nemmeno con un fiore, ma se imbracciano minacciosamente un’alabarda cinese…

Di Soul Blade i giocatori di PlayStation ricordano sicuramente lo spettacolare filmato introduttivo in computer grafica, che mi fece raccogliere la mascella da terra: montaggio dal ritmo serrato, grafica che non avremmo mai pensato di vedere in un videogioco (oggi siamo a livelli anche superiori), musica metal-rock e, tocco di classe che oggi potrebbe essere accusato di sessismo, l’apparizione di una discinta pulzella (Sophitia Alexandra).

The legend will never die

È però l’edizione di Soulcalibur pubblicata nel 1998 per Sega Dreamcast che assurge all’Olimpo dei Videogiochi: è il sogno dei videogiocatori finalmente realizzato, giocare a casa come in sala-giochi. La versione Dreamcast è infatti uno dei primi esempi di conversione per una console domestica dalla grafica (e non solo) migliore del videogioco “arcade”.

Soulcalibur è un capolavoro assoluto: è la “killer application” della Dreamcast, è sul podio dei picchiaduro più belli di tutti i tempi e, nella mia personale classifica, è anche sul podio dell’intero genere delle opere dell’ingegno note sotto il termine “videogioco”.

Soulcalibur per Sega Dreamcast

Nessuna delle altre numerose reiterazioni di Soulcalibur – la più recente è del 2018, Soulcalibur VI per PlayStation 4 e Xbox One – ha mai raggiunto la versione Dreamcast nel perfetto bilanciamento della giocabilità e – considerate le caratteristiche della console Sega – nella realizzazione tecnica: una gemma unica, anzi un inestimabile “solitario” incastonato nei ricordi personali delle ennesime mazzate virtuali di noi due fratelli e anche di una nutrita schiera di amici.

La giocabilità di Soulcalibur è immediata, ma non banale o semplicistica. L’accessibilità è il suo punto di forza come lo è per tutti gli “arcade”. In sala-giochi, senza alcuna spiegazione, il giocatore deve essere messo in grado di capire subito il funzionamento del gioco e divertirsi sperimentando. Nel farlo avrebbe speso una fortuna in monete. Il primo “arcade” Computer Space nel 1971 non risultò così immediato ai suoi contemporanei e si stima ne furono distribuite poco più di duemila pezzi, non certo abbastanza per decretarne un successo mondiale; pubblicato ben sette anni dopo, Space Invaders diventa un’icona dei videogiochi e della cultura popolare, che gli vale anche l’esposizione in “A Collection of Ideas” del MOMA.

Street Fighter II, un’altra colonna portante dei picchiaduro e delle nostre risse fratricide, richiede un approccio più “tecnico” rispetto a Soulcalibur e il nuovo arrivato non ha nessuna speranza di uscirne dignitosamente in uno scontro con un esperto: il divario è incolmabile e il divertimento ne risente di conseguenza. 

Soulcalibur, invece, utilizza un sistema di combinazioni dei fendenti, semplici da eseguire, che premia la velocità di esecuzione, il colpo d’occhio, l’anticipo della mossa dell’avversario piuttosto che la tecnica estrema; quindi anche chi non ha mai toccato un joypad, dopo un “acclimatamento” di una manciata di partite, ha buone probabilità di umiliare un avversario più allenato.

Soulcalibur per Sega Dreamcast: (a sinistra) Mitsurugi, il mio personaggio preferito. Ah! Quante mazzate hai dato e quante ne hai prese

Di recente ho provato questa mortificazione, che brucia quanto ai brasiliani il Mineiraço, cioè la sconfitta della propria nazionale di calcio contro la Germania, per un torrenziale 7 a 1, nella semifinale di Coppa del Mondo del 2014 a Belo Horizonte.

Ho inanellato una serie incalcolabile di sfide a Soulcalibur con mio fratello e, sebbene sia trascorso più di un ventennio dall’ultima volta che abbiamo incrociato i joypad, mi reputo più “esperto” dell’amico Fabio, con il quale ci siamo conosciuti molti anni fa proprio grazie ai nostri blog. Sul suo Cornerhouse’s Pub ha pubblicamente confessato di avere la stessa predisposizione alla violenza a causa di un caposaldo dei picchiaduro, Tekken 3 per PlayStation.

Fabio ha accettato un invito a casa mia per una serata da trascorrere secondo il fantozziano rito per i mondiali di calcio: “Frittatona di cipolle, familiare di birra gelata, tifo indiavolato e rutto libero”. Sostituite al “tifo indiavolato” e alla “partita di calcio”, chiacchiere sulle passioni comuni, rogne della vita quotidiana a granella e sessione di videogiochi.

La sfida a Soulcalibur ha visto una manciata di primi scontri in cui ho ottenuto una facile vittoria, ma appena Fabio ha preso letteralmente il ritmo, il pestaggio dei miei personaggi è stato feroce e sistematico come una “pulizia etnica”. Ho accolto gli sberleffi di Fabio con nonchalance. La prossima volta che ci vediamo, si va a cena fuori.

In Soulcalibur trova applicazione la parità di opportunità senza necessità di “quote rosa”: le ragazze picchiano come fabbri

Le recente tenzone con Fabio ha rinsaldato ancora di più l’idea di quanto sia inappropriato l’ormai sdoganato termine “retrogaming” che si affibbia a qualsiasi videogioco con qualche anno sui byte. Il termine dovrebbe essere lo stesso che si utilizza per i film e i libri: un “classico”, un’opera che non deve mancare nell’esperienza del fruitore.

Incrociare i joypad con Fabio a Soulcalibur è stata l’esatta replica delle sfide fratricide di oltre un ventennio fa.

Battle one, FIGHT!

Grazie all’immediatezza del gioco, anche uno scampolo di tempo era utile per fare scattare la rissa con la proposta apparentemente innocua di “partitella a Soulcalibur?”.

Lo svolgimento della serie di duelli ha una sequenza tipica: uno dei due contendenti inanella una serie di vittorie con un personaggio; l’avversario, nel tentativo di interrompere il “flow” delle combinazioni di colpi (in gergo dei picchiaduro note come “combo”), cambia personaggio. I combattenti infatti hanno a disposizione un numero di colpi differenti e lo stile di combattimento varia sensibilmente secondo le armi che brandiscono.

La selezione dei personaggi in Soulcalibur è il tipico assortimento di “tamarri” videoludici. Ognuno ha armi e “combo” differenti

Utilizzo il termine “flow”, mutuandolo dal gergo del rap, poiché i combattimenti di Soulcalibur sono assai simili alla fluidità ritmica con la quale il rapper scandisce le rime all’interno delle proprie metriche.

I duelli sono un’alternanza di “flow” di combo dei due combattenti e quello che riesce a mantenere il suo “flow” più a lungo, si aggiudica la vittoria.

In Soulcalibur “L’attacco è la migliore difesa” non è un vecchio adagio, ma l’approccio corretto. La parata è utile non per evitare che il colpo avversario faccia danni, ma se riesce a interrompere il “flow” dell’avversario ed è seguita da una combo di contrattacco che impone il proprio “flow”.

Il mio personaggio preferito è Mitsurugi, un samurai ispirato a un personaggio storico, diventato leggendario, vissuto in Giappone tra il 1584 e il 1645, Miyamoto Musashi. Come altrettanto è chiara l’ispirazione al personaggio impetuoso e lunatico di Kikuchiyo, interpretato da Toshiro Mifune nel film I Sette Samurai di Akira Kurosawa.

Le combo di Mitsurugi in rapida successione sono una goduria per quanto sono devastanti

La mia combo preferita con Mitsurugi è una successione rapida di Heaven dance e Half Moon slice con effetti devastanti sull’avversario e, soprattutto, sulle capacità di auto-controllo dell’ira del mio compagno di mazzate virtuali (e non) di sempre, mio fratello.

Continuando con il parallelo musicale, dopo un certo numero di duelli in sequenza, quando un giocatore prevale sull’altro, Soulcalibur diventa un “dissing“, termine che nel gergo hip hop indica un brano o una rima, realizzati allo scopo di denigrare intenzionalmente o insultare un altro artista. Lo scontro di rime è una valvola di sfogo che, a eccezione del caso di omicidio di Tupac Shakurper, è utile per dirimere delle divergenze di punti di vista. Per dirla con Jay-Z: “è solo wrestling”.

Il “dissing” di Soulcalibur viene scandito al ritmo dei fendenti, delle parate e delle combo insieme agli sfottò, agli sberleffi, alle imprecazioni e un assortimento di coloriti epiteti che fanno da tappeto sonoro. Il momento in cui può deflagrare la rissa non è però nell’arena durante i duelli con le armi e le parole.

Al “You win” scatenate l’Inferno

Cit. Massimo Decimo RedBavon

Nonostante la violenza trovi sfogo nelle sonore mazzate sullo schermo, il momento più pericoloso, che può innescare una spirale fratricida per i soliti futili motivi, è alla fine della sfida.

Alla fine della sfida in cui vince chi si aggiudica due vittorie su un massimo di tre duelli, una voce sintetizzata proclama in tono solenne “You win!” mentre il personaggio vittorioso si esibisce in una serie di pose.

Questo momento di apparente tregua è il più pericoloso della sessione di gioco!

Il vincitore infatti dà fondo al suo repertorio di sberleffi e sfottò in un “flow” da un autentico “Master of Cerimonies” della presa in giro. Il perdente non sempre accetta le “forche caudine” come i Romani, soprattutto se è al terzo o quarto personaggio che cambia senza avere ottenuto una vittoria.

Capitavano giornate “no” in cui il “flow” di mio fratello era inarrestabile, qualsiasi personaggio scegliessi. In questi momenti, al mio confronto il Giobbe di biblica pazienza era un “black bloc”.

La voce sintetizzata esclama “You win!” ed è un attimo che si scateni l’inferno al di qua dallo schermo

Lo ammetto, ogni tanto nel traffico metropolitano, vengo sopraffatto dall’irrefrenabile istinto di uscire dall’auto e, come Mitsurugi, stretta nel pugno l’affilatissima Shishi-Oh, tagliare in due la portiera dell’automobilista che imperterrito parla al telefono cellulare e se ne infischia di rispettare la fila, i semafori o segnalare cambi di direzione eseguiti senza debito preavviso. Sì è vero, mi viene il forte desiderio di tirarlo fuori dall’abitacolo con una presa in perfetto stile di Lei Wulong, proiettarlo sull’asfalto una decina di metri più in là e finirlo incenerendolo con uno Shakunetsu Hadouken di Ryu.

Sì, lo ammetto, ogni tanto, mi scatta la “viuuuulenza” (cit. Diego Abatantuomo in Eccezzziunale… veramente ), sarà che ho giocato troppo a tutti questi videogiochi così violenti, anche se le uniche “vere” botte in cinquanta anni me le sono date con un mio amico d’infanzia durante una partita di calcio nel cortile sotto casa.

Viuuuulenza! (Diego Abatantuomo in Eccezzziunale… veramente, 1982)

Per chi, nonostante tutto questo sproloquio o a causa proprio di questo sproloquio, avvertisse un prurito alla punta delle falangi, un brivido lungo tutta la schiena, dal coccige alla base della nuca, e si sentisse pronto a emulare le gesta di  – mischiando a piacimento – Bruce Lee e Jackie Chan, Charles Bronson e Clint Eastwood, Bud Spencer e Terence Hill, ha tutta la mia comprensione e approvazione.

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34 pensieri su “Lo confesso, sono un violento ed è tutta colpa di Soulcalibur

            1. Per me che sono una schiappa a calcio – come abbondantemente raccontato tra queste pagine – la prima ipotesi è un incubo di sicuro. La seconda meno, ma comunque fonte di frustrazione. A questo punto, leggo “drummer” nella tua firma…hai a disposizione una batteria? Non c’è nulla di meglio di una bella sessione di batteria! Vicinato escluso.

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                1. Eh guarda io che amo ascoltare musica (in stereo) e film (In Dolby Atmos o similari) a un volume tipo concerto o sala cinematografica devo purtroppo mediare con il vicinato e mia moglie. Utilizzi una stanza Insonorizzata o suoni in un bunker anti-atomico 😜? Nel primo caso sono interessato a capire come hai insonorizzato.

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                  1. La stanza è diciamo sonorizzata, suona bene ma esce tutto praticamente.
                    Ho avuto fortuna. Madre e nonna al piano superiore super tolleranti e vicini appassionati.
                    (ps nei video si vede bene la sala, e sinceramente le soluzioni casalinghe di insonorizzazione non sono un granché).

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                    1. Ora sono tra i tuoi seguaci 😉 Appena ho un po’ di tempo calmo, spulcio il tuo blog.
                      PS: quindi l’unica soluzione è fare in modo di rendere “super tollerante” mia moglie o completamente sorda. Più facile la seconda. Ha natali romani, ma la famiglia di origine materna è del Trentino. I bisnonni tedeschi. Mia moglie è “crucca inside” 😉

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                    2. La consorte è già sfinita da questa mia passione che tende a occupare spazi alla Fantozziana maniera di quando al ragionier Ugo venne il leggerissimo sospetto che la moglie lo tradisse con il panettiere. Volume a palla quando sono solo a casa e sto.

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        1. Mi spiace che tu abbia trovato la lettura infarcita di “tecnicismi”, che tendo a ridurre al minimo, poiché prediligo trasmetterne l’esperienza la mia passione, le emozioni. In parte comunque ti sono arrivate: Soul Calibur, al di là delle qualità tecniche, fu infatti una pietra miliare nell’accettazione familiare di questa mia “insana” passione.

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  1. Denis

    Ho la versione jap del Dreamcast è pure il film I sette samurai ( dura più di 3 ore ), è il 2 su Xbox.
    Soul Edge l’ho ricordo in sala giochi, ma su Ps1 non era la stessa cosa.
    Anche la versione di Super Street Fighter 2 del Dreamcast è un’ arcade perfect

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    1. La mia è PAL anche se la JAP mi ha sempre attirato poiché mediamente l’usato giapponese è assai meno caro e vi sono alcuni videogiochi mai importati come il tuo Super Street Fighter 2 Turbo. Al momento però ho lasciato perdere l’idea. Ci sarebbe anche una modifica che rende possibile leggere le immagini dei GD-Rom da scheda SD e la sostituzione della scheda dell’output video in HDMI. Va modificata anche la PSU. Una gran bella modifica, ma anche parecchio costosa.
      Le differenze tra Soul Edge (arcade) e Soul Blade (PS1) sono parecchie perciò su PS1 non era la stessa cosa nel senso che la versione PS1 era nettamente superiore all’arcade, immagino. Vedi qui la lista di aggiunte e migliorie:
      https://en.wikipedia.org/wiki/Soul_Edge#PlayStation

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  2. Denis

    Ho la modifica con disco boot Utopia, anni fa dalla Polonia ho preso un convertitore Vga-Hdmi ma non legge tutti i dischi.
    Su Soul Edge hai ragione, ma ricordo Tekken 3 che era migliorato su Ps1 anche li la versione jap girava più veloce e gli omini più grandi, ma ci voleva la modifica e per forza un cavo rgb.

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    1. GDEMU è la modifica di cui parlo. Si tratta di una scheda di simulazione dell’unità ottica e il montaggio non è alla portata dei neofiti. Nulla di trascendentale ma rischi di fare danni se non hai un minimo di abilità e conoscenze tecniche. Inoltre va cambiata anche la PSU interna perché non essendoci più lettore occorre erogare meno energia. Utopia, oltre a essere sviluppato venti anni fa, è un’altra cosa: permette di riprodurre le copie “pirata” di giochi su disco. Il convertitore di segnale da VGA a HDMI non fa altro che convertire il segnale VGA (massima risoluzione 640×480 per a Dreamcast). Non so se il tuo adattatore processa l’immagine con upascaling ma di solito i risultati sono mediocri in termini di qualità video. Non tutti i giochi – in verità la gran parte – sono programmati per la risoluzione VGA e per questo motivo alcuni giochi non li visualizzi a schermo. Dipende quindi dal segnale originario VGA e non dall’adattatore. La migliore soluzione per la qualità video Dreamcast a basso costo rimane la VGA Box collegata a un vecchio monitor o il segnale RGB collegato a un CRT o a un LCD con l’OSSC. Io ho adottato quest’ultima soluzione. Esiste comunque una soluzione più costosa e complessa nel montaggio ed è la scheda HDMi montata all’interno dello chassis.
      Le versioni Jap di PS1 (come di tutte le console Jap e USA) girano più veloci perché il formato è NTSC che ha un numero di framerate superiore al PAL. Tipicamente le versioni PAL di conversioni frettolose di giochi NTSC presentano delle bande nere sopra e sotto l’area di gioco. Il cavo RGB, che è poi la migliore soluzione di video output per PS1 anche per le console PAL, è necessario se hai solo il cavo RF che uscendo con segnale PAL non ti permette di visualizzare nulla. Anche con il cavo composito riesci a giocare con una console NTSC e gioco NTSC.
      A mio avviso, da come hai descritto, i personaggi sembravano più grandi perché erano semplicemente “spalmati” su un’area di gioco più ampia del PAL, cioè senza le due bande nere.

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  3. Denis

    Ok grazie, c’è l’ho il cavo rgb per il Dreamcast , ma in Italia non esistono le ciabatte che lo leggono, si su Ps1 il ntsc gira a 25 fotogrammi al secondo e 60 hertz, infatti il Gamecube aveva il selettore mi sembra schiacciando B, ma non ricordo bene.
    Mentre a un Ps2 che ho dovuto aprire perchè si era bruciato il laser, ho preso il seriale del laser e lo fatto arrivare dalla Cina l’unica cosa e che c’è da fare 2 saldature ma non sono pratico e li ho un cavo component che usavo su Lcd, ma la Ps2 aveva gia nell’impostazioni i 16:9 ovviamente si vedono di più i poligon spoglii, ma non saprei dove mettere un vecchio televisore catodico.

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    1. Le “ciabatte” sono la morte del segnale video. Se desideri un’immagine decente mai usare le “ciabatte” multi-scart. Le ciabatte multi-scart non sono mai RGB, convertono il segnale in composito. Per qualunque segnale in output che converti, se non è passante per un componente che è studiato per quel tipo specifico di conversione video, otterrai uno schermo nero o – al meglio – l’effetto che chiamo “marmellata spalmata di pixel”. Come ti consigliavo nel commento prima, se hai l’esigenza di collegare con cavo RGB la Dreamcast a un LCD, consiglio l’OSSC, che sta per Open Source Scan Converter. A questa pagina trovi molte utili informazioni che spiegano come funziona un segnale RGB e cosa fa l’OSSC: https://www.retrorgb.com/ossc.html

      Non mi andrei a impantanare nella framerate e nella frequenza di aggiornamento. Intervengo altri fattori come la scansione progressiva/interlacciata, le portanti dei segnali video, l’interpolazione, ma andiamo in un territorio di tecnicismi. Di fatto l’occhio umano percepisce immagini statiche non oltre i 20 Hz, mentre per quelle in movimento esiste un’abbondante letteratura per la quale a frequenze di aggiornamento più alte l’immagine in movimento è percepita più fluida (è improprio parlare di “velocità”, è la fluidità che fa percepire migliore l’immagine in movimento). Tuttavia non è un dato scolpito nel marmo perché la percezione visiva è altamente soggettiva. A mio avviso questa storia dei giochi NTSC più veloci (in realtà più fluidi) è una “menata” delle “console war” dai tempi dei 16 bit. La differenza è davvero minima a meno che la conversione da NTSC a PAL è fatta con i piedi.

      Il segnale progressivo Component è il segnale migliore per una PS2. Puoi modificare l’aspect ratio a 4:3 nelle impostazione della PS2 se hai un CRT a 4:3, ma è utile solo se utilizzi un vecchio CRT a 4:3, che però è raro che presenti un input component (in Europa non era diffuso e prevaleva l’input Scart, spesso solo composito (da qui tanti che pensavano di giocare con cavo RGB che invece la TV convertiva in composito)
      Può essere utile sapere che anche la PS2 può essere collegata all’OSSC con il cavo Component visto che oggi le TV presentano solo HDMI e gli adattatori economici in commercio sono da evitare se desideri l’immagine migliore possibile (nei limiti chiaramente della PS2). Ho ancora un Toshiba 32” con input component e ti assicuro che come si vede la PS2 su questa TV non c’è convertitore che tenga. Non c’è nulla da fare se l’output video è studiato per un determinato formato, la conversione tira fuori degli artefatti o comunque non ricrea lo stesso “feeling” dell’originale come era stato progettato.

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  4. Mitsurugi, col calcio in avanti seguito dal colpo di spada dall’alto, mito! Ho letteralmente consumato soul edge, meritevole anche di avere una trama tra le più interessanti viste in un picchiaduro (i finali che potevano “finire male” erano eccezionali). Il dreamcast non ce l’avevo, ma avevo soulcalibur II (o era il III? la memoria mi difetta…) sulla ps2 e ho consumato un bel po’ anche quello…
    Adoravo Cervantes, ma devo dire che il migliore da usare forse era proprio mitsurugi.

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    1. Soul Edge è stato proprio un fulmine a ciel sereno. Battle Arena Toshinden non mi aveva convinto più di tanto. Altro che “Saturn killer”! il vero “Saturn killer” fu il marketing Sony in uno stato di grazia e spietatezza insieme da applausi. Soul Edge invece fu la classica novità che non ti aspettavi, anzi…che ti saresti aspettato da una nuova console. Mitsurugi è il combattente più equilibrato e anche più facile da “interpretare” per i niubbi. Voldo era l’opposto. Mi hai fatto ricordare che Voldo veniva utilizzato da mio fratello e io quando volevamo umiliare definitivamente l’altro. Sopraggiunta la noia dopo una serie ininterrotta di vittorie con un personaggio, per umiliare l’avversario sceglievamo Voldo per dimostrare che anche con quello stravagante personaggio riuscivamo a vincere. In realtà è da leggere anche come un’inconfessabile apertura per rimettere in gioco l’avversario. Un gesto di generosità, va 😉 Se poi però vincevi anche con Voldo, beh puoi immaginare che gli sfottò salivano al livello “leggendaria presa per il culo di durata epocale”.
      Entrambi pubblicati per PS2, ma Soulcalbur III in esclusiva PS2, mentre il secondo capitolo anche per Gamecube e XBox. Posso darti degli indizi per capire quale dei due. Soulcalibur II si differenziava per ogni piattaforma introducendo un personaggio giocabile specifico:
      – Heihachi Mishima (da Tekken) per PS2
      – Link (da The Legend of Zelda) per GameCube
      – Spawn (dai fumetti di Todd McFarlane) per Xbox

      Se non c’era tra i personaggio giocabili il boss finale di Tekken, allora è Soulcalibur III. Altro indizio: in Soulcalibur 3 potevi cambiare personalizzare l’aspetto dei personaggi e c’era una modalità ibrida tra RPG e strategico.


      PS grazie per avermi fatto ricordare il particolare “utilizzo” di Voldo. Lo inserirò nel post.

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  5. letto fino in fondo senza perdere una lettera o un’immagine. Gioco di coppia mi pare d’aver capito o sbaglio?
    Beh! tu hai trovato terreno fertile nel fratello.
    Insomma un bel gioco, pardon videogioco, dove vince chi picchia più duro.
    Negato al joystick o joypad sono tagliato fuori.

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    1. Gioco che dà il meglio (e tira fuori il peggio dei giocatori) in modalità “uno contro uno”. Può essere giocato anche contro la CPU ma gli sfottò sono arte integrante del divertimento. Potrai essere negato con il joypad ma Soulcalibur non è complesso come per esempio Street Fighter II. Basta prenderci un po’ la mano ed entrare nel “flow” e i risultati arrivano.

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    1. È a prova di niubbo 😜 Qualche sera fa ho avuto la balzana idea di una sfida online a Killer Instict. Al di là di match making fatto con i piedi, che ha selezionato uno sfidante con il doppio del livello di esperienza del mio, ho preso una legnata mortificante, L’avversario ha inanellato una serie di combo senza che potessi oppure una counter decente. Per grazia di Dio ho escluso là chat vocale 😂😂😂. A cinquant’anni passati devo smettere di giocare con “sti giochini (giammai! 😜)

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            1. Se è per questioni di età anche io il primo. La conversione dell’arcade, sviluppata da Rare e annunciata per la nuova e imminente console Nintendo 64, non fu mai pubblicata. Apparve invece come conversione esclusiva per SNES (che ho) e GameBoy. Per SNES vendette a carrettate. Non ebbe però lo stesso successo nelle nostre sfide fratricide. Troppo complessa la meccanica basata su combo e breaker. Se volevamo menarci usando tecniche complicate preferivamo Street Fighter II Turbo sempre per SNES.
              Per la cronaca il secondo arcade ricevette finalmente la conversione per N64 con il nome Killer Instinct Gold. Con l’acquisizione di Rare da parte di Microsoft, KI è entrato nel suo portafoglio di franchise.

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