In 1979, it came from within. In 1986, it was gone forever. In 1992, our worst fears have come true. It’s back.
“Alien è tornato!” comunica la “tagline” del film Alien 3, ma è un ritorno che lascia l’amaro in bocca agli appassionati.
Anche nei videogiochi Alien è tornato! Alien 3, il videogioco sviluppato per molti home computer e console, riesce in ciò in cui ha fallito il film: il videogiocatore guida Ripley, armata di tutto punto, facendosi strada nella colonia penale su Fiorina 161, incenerendo e crivellando di colpi gli odiati xenomorfi. Il videogioco, anche se attinge in minima parte al film omonimo, coinvolge e diverte. Probe Software è la società britannica che sviluppa la maggiore parte delle versioni, tra cui spiccano quelle per le piattaforme 16 bit, cioè Sega Mega Drive, Commodore Amiga e Super Nintendo. Quest’utlima è la migliore fra tutte. Per tutti i dettagli leggi pure Escono dai fottuti pixel! Alien 3.
Creatori e consumatori di racconti sospesi
Al pari di altri prodotti e servizi, la campagna di comunicazione di un videogioco è un importante strumento per informare, convincere e – perché no – sedurre il potenziale consumatore affinché si muova all’acquisto.
Questa opera di persuasione fa leva sulla condizione emotiva di chi attende e rimanda agli stati interiori di ansia, speranza e aspettativa. Il videogiocatore è abituato a un modello di narrazione a struttura sospesa: la presenza di una piattaforma gli fa intuire la prossima azione, il salto; allo stesso tempo non conosce nei dettagli quale nemico, ostacolo o altro pericolo lo attenda oltre.
Il videogiocatore nel corso della sua esperienza video-ludica oscilla continuamente tra un’anticipazione di un evento futuro di cui intuisce i dettagli e una previsione in una modalità che non gli consente di conoscere fino in fondo cosa accadrà.
Negli anni Novanta gli editori hanno piena consapevolezza di questa “backdoor” del videogiocatore e per conseguire i propri obiettivi di vendita hanno a disposizione esclusivamente le riviste specializzate. Il potenziale fatturato del singolo videogioco non è tale da permettere gli ingenti investimenti necessari per una comunicazione televisiva. La Rete è ai suoi inizi: il 6 agosto 1991 Tim Berners-Lee pubblica il primo sito web al mondo presso il CERN.
La comunicazione pubblicitaria dunque è concentrata sulle riviste specializzate e si articola come segue: le anteprime, che attirano l’attenzione con l’annuncio della novità e alimentano l’attesa; le recensioni, che pongono fine allo stato di ansia e di sospensione, fornendo informazioni sulle caratteristiche tecniche e i contenuti; il materiale pubblicitario, che favorisce la memorizzazione del messaggio e lo rafforza per persuadere gli indecisi.
In termini meno disincantati, per il videogiocatore la combinazione di anteprime, recensioni e materiale pubblicitario è un volano della sua passione: un’occasione per dare una sbirciata a dimensioni alternative o parallele, un’anteprima dell’incanto e della meraviglia di mondi fantastici, l’aspirazione di replicare il divertimento e la grafica spettacolare dei cabinati in sala-giochi tra le mura domestiche. Con Good Old Games Ads intendo provare a condividerne l’esperienza, sterilizzata dall’ingenuità delle origini e gli echi della nostalgia.
Can you take the terror?
La campagna di comunicazione per il videogioco di Alien 3 segue prevedibilmente la linea di quella cinematografica, tuttavia riserva un paio di sorprese: un colpo di genio con una citazione cinematografica tutta italiana e precorre una tendenza attuale della distribuzione video-ludica nell’espandere l’universo di gioco (e le vendite) attraverso “gadget” e altri media.
Ho perciò raccolto una selezione di anteprime, di recensioni e di materiale pubblicitario, utilizzando una combinazione della mia memoria delle tante riviste, italiane e inglesi, di cui ero un avido lettore, scansioni dalla mia collezione di riviste e scansioni disponibili su Internet Archive, la sezione “Riviste di settore” di DVG, il Dizionario dei Videogiochi e Old Videogames Advertisement.
Ad Alien 3 dedico tre articoli: questo primo alle anteprime, a seguire uno con una selezione di recensioni e l’ultimo dedicato al materiale pubblicitario.
Potrete sopportarne il terrore di leggerli tutti e tre?
Anteprime
Le anteprime sono un carburante eccezionale per fare montare l’attesa e con essa il potenziale della domanda del prodotto; la cosiddetta “hype” è uno strumento di marketing di estrema importanza per i videogiochi, poiché sono prodotti con un ciclo di vita brevissimo e le vendite nelle prime settimane sono cruciali per decretarne il successo o meno. Negli anni Novanta le riviste di videogiochi svolgono questo compito, più o meno influenzate dagli editori di videogiochi.
Gli editori provvedono a fornire alle redazioni delle riviste il materiale essenziale: foto delle schermate del gioco, immagini, caratteristiche tecniche, descrizione del progetto di sviluppo. data di prevista pubblicazione. Le redazioni hanno ben poco margine di manovra, è un lavoro di “cucina” redazionale. Facilmente prevedibile un generale tono enfatico. La macchina dell'”hype” è avviata. L’attesa si gonfia come un impasto a lievitazione naturale, ma non è detto che sia altrettanto “digeribile”.
Di seguito alcune anteprime, consultabili su Internet Archive.
Rivista K n. 33 – Novembre 1991 (3 pagine)
Dall’anteprima apparsa tra le pagine di K, la più diffusa rivista italiana dedicata ai videogiochi per home computer insieme a The Games Machine, si può notare quanto le informazioni interessanti per il videogiocatore sono diluite in tre pagine, occupate da foto del film, dense di imprecisioni, svarioni cinematografici e perfino “spoiler” della trama del primo film. Il tutto espresso in una zoppicante lingua italiana. Con tutta probabilità è una traduzione male eseguita di un articolo della rivista britannica Ace (Advanced Computer Entertainment) con cui K aveva un accordo di utilizzo dei contenuti.
È un concentrato di ignoranza cinematografica tale da fare rivoltare nella tomba la buonanima del Morandini: dal film di James Cameron intitolato “Alien 2” al “facehugger” tradotto in “abbrancatori” di facce, dagli xenomorfi chiamati “insettoidi” e “insettoni” all’alieno sbarcato con Ripley che “è tutto occupato a fagocitare e “imballare” i prigionieri”.
La “perla”, un colpo di invenzione dalla comicità involontaria, è che i detenuti della colonia penale su Fiorina 161 “infestati da malattie e disgustosi a vedersi, sono stati rapati a zero per sconfiggere la virulenta epidemia di pidocchi che li ha colpiti”.
Ai videogiocatori, in mezzo a questa “macelleria” cinematografica e della madrelingua, vengono elargite informazioni più o meno precise: lo sviluppatore è Probe Software, che ha collaborato a stretto contatto con 20th Century Fox e sta sviluppando il videogioco a partire dalla versione per Sega Mega Drive; sarà un gioco d’azione e saranno presenti le armi viste nei precedenti film, “lanciafiamme, granate fucili al plasma” (che l’iconico “pulse rifle” è un fucile a impulsi temo sia una questione di lana caprina per il redattore).
Le ambientazioni saranno per lo più al chiuso e rispettose dei toni scuri del film, come è oscura la sua descrizione della struttura dei gioco: “ciascuno degli otto livelli principali del film corrisponde nel videogioco a modificazioni di carattere grafico”. Traduci dall’italiano-anglofobo all’italiano: i livelli del gioco sono otto e ogni livello graficamente si ispira alle ambientazioni del film”. Una cosa è chiara: per passare al livello successivo si dovrà affrontare una “Madre Aliena”. In inglese è “Queen” e non si capisce perché non si possa tradurre con “Regina”.
Una delle componenti più importanti per il videogiocatore è la grafica del gioco, ma sono solo tre le immagini del gioco a corredo di questo sfoggio di ignoranza cinematografica (e non solo): uno sprite dello xenomorfo, i “frame” di animazione dello stesso sprite e un’immagine statica in primo piano dello xenomorfo, che è poco rilevante perché tipicamente utilizzata nella schermata del menu di inizio gioco o del “game over”. Tanta “avarizia” è però da attribuire all’editore e al fatto che nel novembre 1991 il gioco doveva essere all’inizio dello sviluppo. Il materiale grafico poteva oggettivamente essere scarso.
Altra informazione assai rilevante è la data di pubblicazione: prevista “all’inizio del prossimo anno”.
Assai improbabile, un mese o due dalla pubblicazione e le immagini a disposizione sono quelle mostrate? Improbabile anche per quanto citato nell’articolo “il codice è ancora alle prime fasi di sviluppo”. La prima è la versione per Genesis (Mega Drive nel resto del mondo), distribuita negli USA nel mese di ottobre 1992 e in Europa a maggio 1993. La versione per Commodore Amiga è del novembre 1992.
Rivista GamePro n. 36 – Luglio 1992 (3 pagine)
L’anteprima della rivista statunitense GamePro per la versione Genesis è di tutt’altro livello rispetto alla precedente. Gioca a favore anche la data dell’articolo che è a ridosso della pubblicazione inizialmente prevista per il mercato americano, cioè “estate 1992” (slittata al mese di ottobre): schermate e struttura di gioco sono ormai allo stato definitivo.
Alla consueta introduzione dei film, dalla narrazione precisa e coinvolgente, seguono invero poche informazioni del gioco, a parte che i livelli non sono otto, ma quindici. Il ricco corredo di schermate colma la lacuna del testo e mostra la qualità grafica. Non che faccia gridare al miracolo, ma è sufficiente per tenere alta l’attenzione e le intenzioni di acquisto.
Interessante notare il “box” dedicato ai fumetti di Alien della Dark Horse Comics. Negli USA nel 1992 i videogiochi e i fumetti sono già percepiti come parti di un universo espanso.
D’altronde negli USA, a partire dalla fine degli anni Ottanta, si registra un'”immigrazione” di molti autori inglesi che, insieme a una nuova generazione di autori statunitensi, producono fumetti ancora oggi molto apprezzati quali The Dark Knight Returns (DC Comics, 1986), Watchmen (DC Comics, 1986-1987) e Sin City (Dark Horse Comics, 1991-1992).
In Italia assistiamo a un autentico fenomeno di massa con Dylan Dog (1986), all’esordio di Sergio Bonelli Editore nella fantascienza con Nathan Never (1991) e, finalmente, alla diffusione di serie autonome con personaggi femminili come protagonista, Legs (1994) e Julia (1998). Inizia anche una larga distribuzione di manga giapponesi.
Tuttavia in Italia fumetti e videogiochi sembrano appartenere a due mondi (e mercati) differenti.
Rivista Mean Machines n. 22 – Luglio 1992 (due pagine)
Mean Machines, rivista britannica dalla vita breve (ventiquattro numeri dal 1990 al 1992), nata come inserto della famosa CVG (Computer and Videogames), il marchio editoriale video-ludico più longevo al mondo, dedica ad Alien 3 l’anteprima più ricca di informazioni: nelle due pagine, dalla composizione “colorata” e dinamica, un tratto tipico delle riviste britanniche, descrive cosa aspettarsi dal gioco per Mega Drive, il tipo di azione, di armi, gli scenari, la qualità grafica. Ne enfatizza gli elementi salienti, consentendo al lettore di avere un’idea del “gameplay”. Decisamente lo “vende” bene.
Rivista CVG Computer+Videogiochi n. 20 – Ottobre, novembre 1992 (un “box”)
L’ultima anteprima, anche in ordine cronologico, è di C+VG (Computer e Videogiochi), rivista del Gruppo Editoriale Jackson, che ha acquistato i diritti di utilizzo della più venduta rivista video-ludica al mondo, CVG britannica.
Un’anteprima imbarazzante: anche in questo caso, l’italiano è crocifisso da una traduzione pedestre dall’inglese; le poche informazioni elargite come scaglie finissime di pregiato e costoso tartufo bianco di Alba comunicano al lettore che il gioco non segue la trama del film e che “assomiglia paurosamente al gioco di Terminator”, anzi sembra nettamente migliore. The Terminator è un gioco per Sega Mega Drive, sviluppato dalla stessa Probe Software, che raccolse pareri estremamente contrastanti: 100 su 100 della redazione statunitense di GamePro; 78 su 100 di Electronic Gaming Monthly; 47 su 100 di Mean Machines. Un criterio di paragone davvero utile.
Da un testo così succinto il redattore riesce tuttavia a tirarne fuori una “perla”: “i proiettili vengono allegramente distribuiti a raffiche sulle inermi bestioline quasi indifese.”.
A parte che, dopo l’incontro con gli xenomorfi, non ho più visto sorridere Ellen Ripley, ma gli xenomorfi sono inermi? Non lo sono nemmeno come “sprite” nel gioco.
Gli xenomorfi, bestioline? Nessuno xenomorfo ispira un diminutivo affettuoso.
Gli xenomorfi, quasi indifesi? Non mi vengono più le parole, anzi ne avrei ma rischio il DASPO dal Paradiso.
Rubo la battuta a Vasquez, mentre emula il gesto di sparare:
Escucha, muchacha, io ho bisogno de sapere una sola cosa: donde està…il redattore.
Nel prossimo episodio di Good Old Games Ads: Alien 3, le recensioni
Ti ringrazio per questo nuovo viaggio, che replicherò sul blog alieno dopo il precedente 😛
Sulla questione linguistica mi sento di essere meno critico sulle scelte lessicali del primo articolo da te citato, che sicuramente non usa un linguaggio “da rivista” ma forse è una scelta per essere vicino ai “giovani” lettori, perché immagino desse per scontato che all’epoca solo i giovani avessero interesse nell’argomento.
Nell’universo di Aliens il tono è colloquiale, i colonial marine chiamano le creature “bug” quindi non vedo perché noi non dovremmo chiamarli con un ricercato “insettoidi” (cioè “a forma di insetto”, il che è decisamente vero) o un più colloquiale “insettoni”, visto che Hudson usa “granchiacci”. Anche se Cameron ha poi rinnegato la sua idea, per via del fratello militare, i colonial marine da lui creati sono informali, sarcastici, caciaroni e “sfottoni”, quindi trovare degli equivalenti italiani che rendano quel modo di parlare mi sembra una buona idea.
Lo stesso dicasi per “facehugger”, che non è un termine ufficiale proprio perché è uno sfottò, una presa in giro: nessun film alieno lo usa perché sarebbe ridicolo in una scena di tensione gridare all’abbrancatore di facce! 😀 E’ un termine usato dietro le quinte del primo film ma che è sempre rimasto “apocrifo”, in un certo senso, finché a forza di usarlo tra fan è entrato nelle descrizioni tecniche ma raramente nelle opere narrative. Il problema è trovare un’espressione italiana che rispetti quel buffo nome, il che suona strano – chiamare cioè una cosa terribile con un nome buffo – eppure è quello lo spirito del facehugger. Stringifaccia? O magari Soffocotto? 😀
Per finire, onestamente non prenderei il Morandini come esempio di buone recensioni cinematografiche 😛
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Caro Lucio, sono assai felice del tuo commento, che smorza i miei toni e mi dà la possibilità di ampliare il tema con un “dietro le quinte” del mio vissuto, che mi ha permesso la selezione di questo materiale e, sopratutto, di riuscire nel mare magnum della Rete a trovarne l’evidenza per sottoporla all’attenzione e – spero – a qualche riflessione personale del lettore.
Il “taglio” dichiarato da principio è un racconto sterillzzato dalle ingenuità delle origini e dalle blandizie nostalgiche. Per coerenza, ho letto quanto riportato dalle riviste con un minore grado di “comprensione” o, se preferisci, di maggiore severità.
Ho un debito di riconoscenza verso le riviste italiane, inglesi e statunitensi, che leggevo con avidità e che in parte ha contribuito ad affinare il mio senso critico e il mio stile ironico.
Non posso però tacere sul fatto che l’editoria di questo settore era inadeguata, piagata da una generale improvvisazione, da una scarsa considerazione del lettore e dall’utilizzo della lingua italiana sì informale, ma anche “crocifissa” (TGM era decisamente di tono “cazzeggione” rispetto a K che cercava di conservare toni più “maturi”).
In alcuni casi si giungeva anche alla supponenza a scapito delle informazioni rilevanti. TGM e Consolemania raggiungevano dei picchi assurdi con “recensori” che si atteggiavano a “star” e scrivevano testi di puro “cazzeggio” infischiandosene di fornire informazioni.
In quegli anni mentre i videogiochi e i videogiocatori “crescono” – questi ultimi anche anagraficamente – l’editoria rimane immobile negli stilemi del videogiocatore mediamente “bimbo-minchia” o “nerd” (quando era un termine inequivocabilmente spregiativo).
Può anche essere una scelta basata sull’età adolescenziale del “target”, ma negli anni Novanta tra i lettori vi è una folta schiera tra i venti e i venticinque anni, cioè i videogiocatori dei primi cabinati, di Atari VCS e Intellivision (tra questi c’ero anche io). Peraltro questa parte di lettori iniziava a essere, anche se limitatamente, il decisore dell’acquisto.
Questa inadeguatezza, percepita già allora, mi spinse a cercare in edicola le riviste britanniche e statunitensi, che – nonostante i dazi e tasse di importazione – erano meno costose di quelle italiane: 5.000 lire il prezzo medio delle riviste italiane, 3.500 lire la britannica CVG.
Non che le riviste estere fossero esenti da difetti, ma quanto meno erano “sul pezzo”, con anteprime autentiche e con una vista più ampia sul mercato.
Nel prossimo episodio dedicato alle recensioni, riporto il caso di un lettore ventitreenne che dimostra quanto l’editoria avesse, al di là delle scelte di linguaggio informale e competenza – nel caso di specie – cinematografica, una vaga idea del concetto di coerenza della linea editoriale, che è una cosa grave perchè mina alle sue fondamenta la fiducia del lettore e la credibilità della testata.
In ogni caso mi sono divertito a rileggere queste anteprime e inevitabilmente mi sono chiesto cosa mi spingesse a cercare spasmodicamente le riviste in edicola all’inizio di ogni mese e leggerne avidamente i contenuti nonostante le evidenti lacune. Ne ho sorriso e ho assaporato un retro-gusto agrodolce di quella canaglia di nostalgia di “quei bei tempi spensierati”. Perciò, anche se non ci sono andato leggero, ho cercato di mantenere un filo ironico e strappare un sorriso anche al lettore,
Spero di avere trasmesso questo misto di ingenuità e di consapevolezza insieme.
—
PS: la scelta di citare buonanima di Morandini non è stata dettata da un giudizio sulla sua reputazione di critico cinematografico, ma per via dei “Dizionari dei film” che portano il suo nome, ormai come marchio. Come si cita l’Artusi per la cucina. Non ho mai acquistato un “Morandini”, me ne regalò uno una mia cara amica, ma l’avrò sfogliato distrattamente un paio di volte e mai utilizzato per scegliere un film da vedere.
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Probabilmente negli stessi anni io tribolavo per avere informazioni cinematografiche, in un mondo editoriale in cui il qualunquismo e il vuotismo regnavano incontrastati. E pensare che in quei primi Novanta c’erano anche riviste dedicate all’home video, ma i testi erano devastanti. Era davvero difficile trovare una “trametta” o una recensione che non contenesse sfondoni. E non parlo solo di giornalisti improvvisati: sulla locandina della videocassetta di “ALIENS” il pianeta dove si svolge il film è scritto Archeron, con la “r”: se addirittura le fonti ufficiali sono così cialtrone, figuriamoci cosa aspettarsi dal tutto il resto…
Dal vivo non ho mai conosciuto nessuno che dedicasse ai videogiochi più di un blando e distratto interesse, quindi non ho idea dell’età media di chi acquistava le riviste all’epoca, ma anche vent’anni mi sembra un pubblico giovane. Pensa oggi cosa scrivono quelli che si rivolgono ai ventenni: non mi pare sia cambiata molto la situazione 😛
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Ciao! Riesci a sempre a farmi sorridere. Scusa il ritardo….impegni assortiti mi costringono a leggerti un po’ a singhiozzo. Comunque dai tuoi articoli si può costruire una buona storia del videogiochi in Italia, che unisce all’ironia e alla leggerezza dell’esposizione una solida preparazione e critica… questo detto dal di fuori. Grazie sempre!
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Sei sempre fonte di soddisfazione! Alleggerire con qualche punta di ironia è nella mia intenzione di scrittura all’origine: il tema può infatti oscillare tra il “cui prodest” e il “vecchio barboso” con il rischio di annegare nella nostalgia-canaglia anche per gli appassionati, figuriamoci per chi non lo è. Quando scrivo di videogiochi lo faccio sempre come se avessi di fronte chi ne a digiuno e mostra un po’ di curiosità invece di farmi un’espressione di compatimento.
Quando termino di scrivere, non so se sono riuscito a non ammorbare il lettore. Grazie per avermi dato una conferma di essere riuscito a onorare la tua curiosità e tempo. È una bella pacca sulla spalla, ti assicuro! Grazie e, in effetti, qualche giorno fa, scorrendo qualche post di questa webbettola, pensavo che mancavi da un po’ da queste parti. Bentornata e come dice sempre un mio vecchio amico Oste: mi casa es tu casa.
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