We can be heroes, just for one adventure game


“Ho sempre pensato che il futuro della narrativa sarebbe stato su un computer. Ho previsto che i videogiochi per computer avrebbero superato la cinematografia e tuttora penso che vi è un enorme potenziale nei giochi basati sulla narrativa, se correttamente realizzati. Prendere parte a una storia è più eccitante che assistervi dall’esterno. Phantasmagoria è stato il primo passo nella direzione di quel futuro in cui credevo. Sono deluso che l’abbiamo fatto saltare in aria con Phantasmagoria II e sparato sulla categoria.”.

I always thought the future of storytelling was on the computer. I predicted that computer games would be bigger than films, and still believe there is huge potential with story-telling games – if done correctly. Watching a story from the inside is more exciting than from the outside. Phantasmagoria was a first step towards where I thought the future was. It’s disappointing that we blew it with Phantasmagoria II and shot the category.

Questa è la dichiarazione di Ken Williams, fondatore di Sierra On Line insieme alla moglie Roberta, dopo il cocente insuccesso di Phantasmagoria II, un film interattivo pubblicato dalla Sierra nel 1996. I film interattivi sono in auge nei primi anni Novanta grazie all’utilizzo della tecnica del “Full Motion Video” (FMV) che permette di utilizzare attori dal vivo e ambientazioni digitalizzate, invece della computer grafica. I film interattivi avrebbero dovuto raccogliere il testimone dalle avventure grafiche ed essere il trampolino verso un futuro in cui il videogioco sarebbe stato il medium ideale per raccontare una storia.

Fu un tipico caso di infatuazione per una nuova tecnologia, peraltro non ancora abbastanza matura, dimenticandosi che – come scrisse Bill Gates – “content is king” (cit. “Content is king, 1° marzo 1996, Bill Gates). Le cause del declino delle avventure grafiche alla fine degli anni Novanta sono molte e, a mio avviso, quella principale è il venire meno dell’attenzione ai contenuti da parte degli editori a favore di una nuova tecnologia alla quale dedicarono la maggiore parte delle risorse economiche, peraltro assai rilevanti, esponendosi così a un rischio dell’investimento assai più elevato.

Tuttavia, una parte di quanto previsto da Ken Williams è accaduto: il giro d’affari dei videogiochi ha superato da molti anni il cinema, la musica e l’home-video messi insieme. Per tutto il resto, la questione è ancora aperta: la dignità culturale del medium è ancora lontana da quella del cinema e la comune percezione tende a riconoscervi un disvalore.

La delusione di Ken Williams è ancora più comprensibile alla luce del grande successo del primo Phantasmagoria, pubblicato appena l’anno precedente. Nonostante il “polverone” sollevato da moralizzatori e censori a causa di una scena di stupro (non esplicita) e di abbondanza di scene truculente, il gioco vende un milione di copie! Potete leggerne tutti i dettagli in: Chi ha paura dei videogiochi? #5 – Phantasmagoria.

Phantasmagoria I: la scena di stupro che fece scandalo

It’s disappointing that we blew it with Phantasmagoria II and shot the category.

Nell’ultima frase, Ken Williams si sente addirittura responsabile di avere affossato il genere dei film interattivi e delle avventure grafiche, che tanto lustro ha dato alla sua azienda. Non si è sbagliato di molto.

Negli anni Ottanta e Novanta, Sierra On Line e LucasArts sono gli editori di riferimento delle avventure grafiche. All’inizio degli anni Novanta la “filosofia” delle due aziende è nettamente differente: nei giochi Sierra non è raro che il giocatore perda un oggetto essenziale per procedere nella storia o il protagonista muoia per motivi anche imprevedibili. Nei giochi LucasArts raggiungere il finale è una garanzia: il protagonista non può morire (salvo rare eccezioni) e il giocatore può sempre tornare sui suoi passi per ottenere un oggetto essenziale per risolvere un’enigma.

Nel 1998, due anni dopo Phantasmagoria II, le parole di Ken Williams trovano conferma. Grim Fandango, pubblicato da LucasArts, riscuote i favori della critica, ma è un insuccesso di vendite: è il primo gioco di LucasArts a non realizzare profitti.

Dopo Grim Fandango, LucasArts e Sierra annullano le avventure grafiche in fase di sviluppo, decretando di fatto il declino di questo segmento di mercato. Da genere quasi onnipresente nei cataloghi degli editori e una pubblicazione a ritmo serrato da parte degli editori di riferimento, si passa a pochi titoli pubblicati con il conta-gocce.

Nel 1999 Gabriel Knight 3: Blood of the Sacred, Blood of the Damned è l’ultima avventura grafica pubblicata da Sierra.

Gabriel Knight: Sins of the Fathers. La pagina pubblicitaria comuica che non si tratta di un gioco per bambini

Creato da Jane Jensen, il primo Gabriel Knight (1993) è uno dei titoli più rappresentativi del genere delle avventure grafiche, al pari del citatissimo The Secret of Monkey Island di LucasArts. I motivi sono però completamente differenti: I protagonisti, lo squattrinato investigatore Gabriel Knight e la sua assistente Grace Nakimura sono personaggi complessi e sfaccettati, la loro relazione è una sotto-trama nel racconto, che è un crescendo di atmosfere angoscianti e colpi di scena, dialoghi coerenti e mai forzati con punte di ironia dissacrante.

Jane Jensen è una scrittrice che ha utilizzato il nuovo medium senza banalizzare l’intreccio narrativo ed è riuscita con successo a instaurare un rapporto di empatia tra personaggi e giocatore.

Inoltre, le tre avventure della serie rappresentano tre differenti approcci tecnologici al genere: la prima pubblicata nel 1993, Sins of the Father, ha un’impostazione grafica in 2D e un’interfaccia standard, basata su testo e icone.

Gabriel Knight: Sins of the Fathers

Il secondo capitolo The Beast Within (1995) è un film interattivo.

Gabriel Knight:The Beast Within

Il terzo capitolo, Blood of the Sacred, Blood of the Damned, che ho terminato al tempo della sua pubblicazione (1999), utilizza la grafica poligonale con efficacia.

Gabriel Knight 3: Blood of the Sacred, Blood of the Damned

Oggi sicuramente appare obsoleta, ma per l’epoca, pure non essendo “lo stato dell’arte”, risultava adeguata e non una scelta posticcia per cavalcare l’onda della nuova grafica tridimensionale. Non intralcia lo scorrere della narrazione, preserva lo stile di gioco e ne aumenta l’immedesimazione.

May the FARCE be with you! Space Quest IV prende in giro Star Wars

Menzione d’onore va alla serie Space Quest, che si fa beffe della fantascienza di Star Wars e Star Trek, si diverte parodiando gruppi musicali famosi e note aziende come McDonald’s, Microsoft, Toys “R” Us. Quest’ultima e la band degli ZZ Top chiamarono in giudizio Sierra.

Space Quest I – Citazioni a ruota libera: una band (ZZ Top?) suona in un bar che mi ricorda la scena di un film (la cantina del primo Star Wars)

Il nome del protagonista è già tutto un programma, Roger Wilco: ha origine da “Roger, Will Comply” (abbreviato in “Wilco”); in italiano si traduce in “Ricevuto, passo e chiudo”. Nei panni di Roger Wilco, un tipico personaggio “sfigato” senza speranza, ci ritroveremo invischiati in assurde storie al cui termine riusciremo a salvare l’universo per pura casualità.

Pubblicità del primo Leisure Suit Larry

La serie di Space Quest si articola in sei capitoli pubblicati tra il 1986 e il 1995 (e un “remake” del primo capitolo in VGA nel 1990).

Leisure Suit Larry in the Land of the Lounge Lizards. La pagina pubblicitaria del primo capitolo della serie che ebbe il coraggio di vincere il tabù del sesso nei videogiochiIn tema di “sfigati” e di umorismo, è d’obbligo citare Leisure Suit Larry che, sebbene abbia sempre venduto meno delle altre serie di Sierra, è diventata famosa perché il tema principale è un autentico tabù dei videogiochi: il sesso.

Certo che ce ne voleva di fantasia per volere censurare questo gioco. Eppure Sierra ebbe qualche difficoltà nella distribuzione

Il sesso non è mai esplicito ed è affrontato con ironia e umorismo. Protagonista è Larry, un goffo omino dall’ego smisurato, che tampina delle donne avvenenti per convincerle a passare una notte “indimenticabile” in sua compagnia: è specializzato nel collezionare “buche”.

La serie di Larry conta sette avventure pubblicate tra il 1987 e il 1996. Almeno altri due capitoli sono stati pubblicati negli anni Duemila, ma non sono stati all'”altezza” di Larry. Nel 2013 è stato pubblicato Leisure Suit Larry Reload, un “remake” del primo capitolo.

A questa schermata del primo Police Quest manca solo il bibitone di caffè e la scatole zeppa di ciambelle

Police Quest è, come suggerisce il titolo, una serie di avventure di tipo investigativo, realizzate con la collaborazione di ex-poliziotti. Pure seguendo il canone standard delle “avventura punta e clicca” contemporanee, introduce un concetto nuovo: la simulazione del lavoro di poliziotto, in cui il giocatore deve fare utilizzo del buon senso e dell’istinto di buon investigatore, piuttosto che della pistola. Sono quattro le avventure poliziesche pubblicate tra il 1987 e il 1993.

 

Quest for Glory: So You Want to Be a Hero. il titolo originale “Hero’s Quest” per ragioni legali fu cambiato.

Quest for Glory (in origine il titolo era Hero’s Quest), pubblicato nel 1989, rappresenta un primo tentativo di mescolare il genere dell’avventura con quello del gioco di ruolo. In un certo senso, Sierra considerava i giochi di avventura e i giochi di ruolo come cugini stretti: in entrambi i generi, il giocatore interpreta il ruolo di un personaggio per progredire in una storia.

I giochi di ruolo, in particolare i primi giochi di ruolo per computer (CPRG), tendono a concentrarsi sul combattimento e offrono più libertà rispetto ai giochi di avventura, in cui la progressione è lineare e legata alla soluzione di enigmi. Di contro, i giochi di ruolo hanno un forte limite nella caratterizzazione dei personaggi, le cui caratteristiche non sono altro che un elenco di statistiche numeriche alle quali è assegnato un nome.

Quest for Glory riesce a raggiungere l’obiettivo di mescolare i due generi. Il giocatore può scegliere il proprio personaggio tra tre classi: un guerriero, un mago o un ladro. Durante il gioco al personaggio si presentano enigmi e soluzioni differenti secondo la classe scelta. Il giocatore sperimenta così parti differenti della storia principale.

Quest for Glory 1: quale eroe vuoi essere?

In altri termini si tratta di un primo esempio di giocabilità non lineare, fortemente incentrato sull’esplorazione e la scoperta. Pertanto è possibile terminare il gioco, senza avere sperimentato tutto l’intreccio: è infatti tecnicamente possibile terminare il gioco raccogliendo circa 200 su 500 punti totali. Ciò che può apparire un limite, è invece un incentivo a rigiocarlo con un’altra “classe”, a vivere un’altra avventura.

Le “missioni per la gloria” (per la serie: non è necessario tradurre sempre in italiano i titoli, anche dei film) sono pubblicate in cinque capitoli tra il 1989 e il 1998. Immancabile la revisione grafica del primo capitolo con grafica VGA.

L’originale King’s Quest per IBM PCjr

Infine, la serie King’s Quest, al cui primo capitolo si attribuisce il merito di avere introdotto la grafica animata nel genere. Il giocatore finora aveva di fronte a sé un testo e alcuni comandi da digitare o al massimo un’immagine statica come esemplificazione della situazione descritta nel testo. In King’s Quest i personaggi possono muoversi dietro e davanti agli oggetti nello scenario, che è disegnato in prospettiva, dando così l’illusione dello spazio 3D.

Il primo King’s Quest. Si respira l’aria bucolica della Contea. Mai fidarsi.

La prima versione di King’s Quest fu commissionata da IBM per mostrare la superiorità grafica del nuovo IBM PCjr, un computer importante per IBM perché si trattava del loro primo PC per un’utenza domestica. L’inesperienza del colosso informatico in questo mercato e la concorrenza di Apple II e Commodore 64 fecero sì che il PCjr ebbe una vita assai breve: dal marzo 1984 a maggio 1985. Il PCjr fu un colossale fallimento commerciale e le vendite di King’s Quest furono di conseguenza assai deludenti.

King’s Quest I è stato oggetto di un numero di remake e riedizioni. come pochi tra i videogiochi. Così appariva in origine.

Il successo giunse grazie a successive conversioni per le piattaforme più diffuse, perfino per la console Sega Master System. Non fu pubblicata mai una versione per il diffusissimo Commodore 64 a causa delle inadeguate caratteristiche grafiche e di memoria.

King’s Quest I nella sua edizione in grafica VGA

King’s Quest racconta di un regno fantastico, Daventry, e delle avventure della famiglia reale attraverso due generazioni, luoghi fantastici, streghe e maghi malvagi come avversari. I temi tipicamente “fantasy” dimostrano l’influenza dei giochi di ruolo nello sviluppo dei videogiochi, in particolare di Dungeons & Dragons creato da Gary Gygax e Dave Arneson. Il medium è asssai giovane: Space Invaders giunge nelle sale-giochi statunitensi nel 1979, solo cinque anni prima di King’s Quest. In così poco tempo, il videogioco subisce un’importante evoluzione: un modo nuovo di “raccontare”.

I always thought the future of storytelling was on the computer.

“Ho sempre pensato che il futuro della narrativa sarebbe stato su un computer”. Ken Williams ci aveva visto giusto.

Il genere delle avventure grafiche è un elemento di rottura: nei videogiochi “arcade” conta l’abilità con il joystick e tasti e la memorizzazione dei “pattern” dei nemici; nelle avventure grafiche l’azione è limitata ed è al “servizio” della narrazione. Il videogiocatore che acquista un’avventura grafica vuole mettersi alla prova con la soluzione degli enigmi e farsi coinvolgere in una storia.

L’ottavo e ultimo capitolo utilizza la grafica 3D. Tribolato nello sviluppo, il passaggio al 3D non fu accolto nel migliore dei modi

Al primo King’Quest, che conta una decina tra conversioni e riedizioni, dal 1984 alla fine del 1998, si aggiungono altri sette capitoli. Questa serie è certamente quella che ha contribuito maggiormente a consolidare la reputazione di Roberta Williams e di Sierra.

We can beat them, forever and ever
Oh, we can be heroes, just for one adventure game

Volete sperimentare questa prima forma di narrativa e interazione?

Se avete un PC, mettete da parte un euro, un solo misero euro e nel prossimo post vi indicherò come investirlo per essere degli eroi, anche per una sola avventura.

43 pensieri su “We can be heroes, just for one adventure game

  1. Me lo ricordo Phantasmagoria, ma soprattutto ricordo i CAPOLAVORI della Lucas Arts, che rappresentarono (se ben ricordo… io non sono uno “storico” come te) l’autentica svolta nel panorama videoludico. Sam&Max, Zac McKracken, Indiana Jones, Maniac Mansion (oltre ai titoli da te già citati), giusto per ricordare qualcosa di indelebile e che mi viene in mente adesso al volo mentre sto/starei lavorando :-). A proposito di “svolte” non posso dimenticare neppure il mitico Leisure Suit Larry. Gli altri che citi saranno stati sicuramente dei titoloni, ma sinceramente non sono entrati a far parte della mia folta schiera di videogiochi preferiti. Ciao caro.

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    1. LucasArts e Sierra erano i leader assoluti delle avventure grafiche, ve ne erano altri britannici e francesi ma la produzione a nastro di avventure grafiche si deve a LucasArts e Sierra, che come scrivevo avevano “filosofie” differenti. LucasArts è forse rimasta più nei cuori dei videogiocatori perché la loro produzione era del tipo “comedy adventure” ed erano molto meno punitive degli errori rispetto a Sierra. Ma è una questione di approccio diverso delle due aziende al modo con cui volevano fare vivere l’avventura ai giocatori. Ci sarebbe da scrivere un altro post su questo argomento. Tu mi provochi 😂. Questo excursus storico rientra nel mio cianciare delle potenzialità della narrativa bei vidoegiochi e per dare a chi non si è mai avvicinato una possibilità di sperimentarlo spendendo un misero euro, come leggerai nel post che seguirà a breve. Quindi puoi recuperare…😜

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  2. Un articolo molto interessante e approfondito dove hai detto anche una cosa molto giusto su i motivi per cui le avventure grafiche non hanno più avuto successo: si sono basati più sulla tecnologia che sul contenuto. Una cosa vera che succede ancora oggi di tanto in tanto, anche se ormai si è capito l’importantaza sia di una storia valida che di un gioco che ti permetta di fare molte cose. Comunque il mondo del videogioco ha ancora strada da fare, ma sono sicuro che un giorno verrà considerato come opera d’arte.

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    1. In merito alle cause del declino delle avventure grafiche i fattori sono diversi: il cambiamento del mercato verso titoli d’azione (considera un certo Tomb Raider che è stato pubblicato nel 1996) e una diffusione delle console (PlayStation su tutte); i costi di sviluppo aumentati e maggiore rischio di “cannare” un gioco e chiudere bottega. C’è tanta “letteratura” in merito. Io sposo la teoria di Gates: se il contenuto è scialbo, anche se l’estetica è sbalorditiva, l’esperienza è scialba. A maggiore ragione, se il fulcro di un gioco è raccontare una storia. Vale lo stesso discorso per un film o un libro.
      Se il videogioco verrà considerato “opera d’arte” è una materia spinosa quanto una foresta di cactus. Ne ho scritto tempo fa. È talmente soggettivo e il videogioco è talmente al di fuori della “salotto buono” quanto delle chiacchiere al bar che personalmente ritengo sia un obiettivo marginale (se non una “guerra persa”, almeno nel corso della mia vita, forse le prossime generazioni). Ciò a cui tengo è però rivendicare la stessa dignità di altri media. Mi infastidisco quando chi non ha mai toccato un joystick nemmeno con un bastone, giudica e pontifica il disvalore della mia passione. In questi casi, mi parte la Smart bomb! 😂😂😂

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  3. Amico mio, come ne abbiamo già chiaccherato, io sono di formazione SCUMM la parte Sierra l’ho sempre lasciata perdere specie alle medie perché molte avventure erano in inglese e a quel tempo non avevo minimamente la capacità di affrontare un gioco in idioma d’albione. Da adolescente ovviamente la serie di Larry mi aveva sempre incuriosito e a suo tempo Phantasmagoria l’ho sempre trovato incredibile.

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    1. Se eri di formazione SCUMM difficilmente avresti gradito l’approccio Sierra, non tanto per l’interfaccia, quanto per la dinamica di gioco, decisamente differente. Se non salvavi almeno tre posizioni differenti rischiavo di finire in un “vicolo cieco”. Si moriva tanto che Dark Souls è un gioco per educande. Nei giochi LucasArts era rarisissimo. A mia memoria ed esperienza solo in Indiana Jones e The Dig si rischiava (poco) di lasciare questa valle di pixel. Spesso i sostenitori di LucasArts – in quelle “flame war” inutili – sostenevano che i giochi Sierra fossero di qualità inferiore per questo motivo.
      Sierra spaziava molto di più in vari generi di avventura, dall’horror al comedy, dalla simulazione al fantasy. Inoltre Quest for Glory è uno dei primi esempi di non linearità che ancora oggi non è stato pienamente raggiunto. Non mi si citino gli “open world”, che annacquano la storia fino a perderne il filo in miliardi di sotto-quest. Questa non si chiama “non linearità, ma “caciara” 😂😂😂

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  4. Attendevo un tuo articolo a tema videogiochi ormai da troppo tempo… ed eccolo qua. Un enciclopedico ed esaustivo viaggio indietro nel tempo. Anche io, come molti dei tuoi commentatori, ho sempre avuto una propensione verso le avventure Lucas, ma non ho disdegnato qualche incursione in casa Sierra (se non vado errato anche la serie Gobliiins era loro ), ma anche Westwood e Revolution.
    Pensare però che le avventure grafiche punta e clicca sono morte e sepolte è un errore.
    Anzi sono vive e vegete e nel panorama indie godono di ottima salute. Poi basti pensare al successo di Thimbleweed Park del buon Ron Gilbert (a proposito proprio in questi giorni ha rilasciato un mini gioco gratuito su Steam, provatelo soprattutto per i titoli di coda 😉 )

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    1. Hai ragione. Era tanto che non scrivevo di videogiochi. Ci ho messo anche un po’ perché volevo fare un excursus che non fosse solo “storico” (ce ne sono in giro a bizzeffe e di più dettagliati) ma che comunicasse l’evoluzione della narrativa interattiva. Sierra non è stata la prima, ha raccolto il testimone dalle avventure testuali di Infocom, ha il merito di avere gettato le fondamenta per la narrativa interattiva, che oggi ha assunto nuove e più sofisticate forme di espressione. LucasArts anche vi ha contribuito significativamente, ma la sua produzione è più specializzata nel “comedy”; Sierra si è cimentata invece in tantissimi generi.
      Tanti sono stati gli sviluppatori negli anni Ottanta e Novanta: i 3 giochi della serie Gobliiins erano sviluppati dalla francese Cockel Vision che Sierra acquistò. Pensa che una delle mie prime avventure che ho terminato è stata proprio di Cockel Vision: Ween: The Prophecy per Amiga.
      Hai citato Westwood e Revolution Games, aggiungo in ordine sparso, ICOM, Access, MicroProse, Interplay, Core Design,Legend; le francesi Delphine Software, Infogrames, Cryo Interactive, gli spagnoli Pendulo Studios, perfino le giapponesi Sega e Konami. Con alti e bassi hanno prodotto avventure che rispecchiano realtà culturali differenti, che spesso erano differenti anche nell’esperienza. Voglio dire: al netto di interfaccia ed enigmi in cuii Lucas e Sierra hanno fatto scuola, un’avventura di sviluppatori francesi aveva un “retrogusto” particolare, un’identità propria. Come succede nella cinematografia, riesci a riconoscerne spesso l’origine per un insieme di dettagli dalla caratterizzazione dei personaggi alle situazioni.

      Le avventure grafiche non sono morte? Mio caro, devo darti una brutta notizia 😉 Per certi versi, sono morte. Anche se c’è stata una ripresa grazie agli indie che hai citato e sopratutto a Telltale Games (che però è defunta di recente), sono lontani i fasti di Sierra e LucasArts: oggi sono un prodotto di nicchia che può garantire la vita a un indie o essere un riempitivo di catalogo digital delivery per un editore principale. Un investimento limitato, non certo da “tripla A”, rappresentano un potenziale profitto a fronte di un invesitmento ridotto. Le avventure non sono più prodotti “tripla A” ad eccezione di rari casi come le “avventure” di Eric Chani (che ha alle spalle Sony) e Life is Strange (che pure è un outsider, in cui all’inizio era considerata come una produzione “indie”). Era tanto che non scrivevo un commento lungo un post 😉
      Spero di non averti ammorbato.

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      1. Sicuramente, le avventure grafiche non sono più all’apice delle preferenze dei videogiocatori, ma rispetto ai primi anni 2000, la produzione è diventata smodata (magari sarà più limitato il consumo, in proporzione).
        Certi sottogeneri, come le visual novel, i giochi a ricerca di oggetti e le escape room, si sono ritagliati delle nicchie abbastanza comode e gli aspiranti creatori apprezzeranno la relativa “facilità” di creazione e l’esistenza di dozzine di strumenti (a volte fatti per altro) utili a realizzarle.

        È un genere che si è evoluto in diverse direzioni, complice l’avanzamento tecnologico, e che ha subito valanghe di contaminazioni da altri generi.
        Più che altro, si è limitato il ricorso al sistema punta e clicca, esplorando altre strade, ma le classiche avventure grafiche le si fanno ancora.

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        1. Condivido caro Conte, condivido. Quando in Occidente è andato in declino l’avventura grafica, in Giappone vi è stato un aumento della produzione di avventure ispirate ai manga (le c.d. visual novel), le simulazioni di appuntamenti e i cosiddetti “eroge (giochi a tema erotico). In Occidente è “sopravvissuta” sotto forme semplificate. I “Walking Simulator” per esempio sono sicuramente un’evoluzione dell’avventura grafica, così come molti altri generi hanno un debito di riconoscenza verso questa prima forma di narrativa interattiva.
          Il discorso è quanta delle potenzialità di cui parlava Kevin Williams nella dichiarazione a inizio post, è diventata realtà? Ci abbiamo perso o ci abbiamo guadagnato nel passaggio in 3D?

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            1. E qui volevo portarti! Il giocatore di avventure grafiche si è quasi estinto. Fatto analogo è accaduto per le mie amate simulazioni di volo. Quando si è affermata la grafica 3D e la possibilità di costruire mondi realistici il videogioco ha virato verso l’azione, relegando le avventure grafiche in una nicchia, che fino a metà degli anni Duemila assomigliava paurosamente a un “loculo”. È il consumatore che ha cambiato preferenze e l’industria gli ha dato una spinta o ha semplicemente dato ciò che desiderava la massa. Non tutto è venuto per nuocere. Il potenziale narrativo in realtà era ancora vivo e vegeto: ha trovato nuove e più sofisticate forme. Penso a Journey, l’ultimo God of War e Death Stranding e a una valanga di altri.

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              1. Non credo che il genere sia destinato all’estinzione: quei giochi vengono ancora prodotti, ma si parla di una sacca di fruitori che si è ridotta.
                Considerato che sono giochi brevi da completare (di solito siamo sulle dieci ore, un po’ di più con quelli a episodi) e relativamente economici da produrre, probabilmente avranno un ritorno sufficiente a permetter loro di esistere.
                Al di là degli sviluppatori indie, che probabilmente permetteranno di mantenere un “ecosistema” ludico variegato 🙂

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                1. Per “estinzione” intendevo il giocatore che non demorde se si trova in un vicolo cieco, che fa le ore piccole per provarle tutte, che va a letto con il tarlo di quell’enigma rognoso e si risveglia con un’idea per risolverlo. Temo che i giocatori così siano ormai rari e comunque d’età avanzata. Dubito che oggi un ragazzo delle medie trovi attraente questo tipo di giochi. Telltale riuscì a inserire un po’ di azione e a semplificare gli enigmi attirando nuovamente giocatori al genere. Purtroppo, per una serie di motivi, dipendenti anche dal mancato rinnovamento delle meccaniche così semplificate, ha portato alla chiusura della società che ha dato un contributo significativo a riportare le avventure sugli scaffali, digitali o fisici che siano.
                  Sono convinto ed è questo anche lo spirito di questo post che le avventure continueranno ad esistere, ma sotto altre forme.

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                  1. Se si parla dell’estinzione del giocatore duro e puro… può essere.
                    Io non lo sono, per dire: quando gioco un gioco (scusa il… gioco di parole) voglio divertirmi, ma certi enigmi delle avventure grafiche sono tutti incentrati sulla sfida cervellotica, lasciando zero spazio al divertimento. O sulle lungaggini.
                    Dal lato cervellotico, porto a esempio Dracula 3: nell’ultimo terzo della storia, c’erano solo degli enigmi matematici piuttosto tosti e lunghi, più – se ricordo bene – una sfida a una pseudo-morra contro un tipo (dunque, c’era un elemento casuale, dovevi fare metagioco e capire lo schema di scelte del tizio). Io odio rifare troppe volte un passaggio di un gioco, ho perso interesse in modo inesorabile.
                    Per le lungaggini, ti cito Syberia: in un punto, vedo una bottiglia che era palesemente da raccogliere, ma non l’ho potuta prendere. Attraverso schermate su schermate, per diversi minuti, finché incontro un personaggio che vuole quella bottiglia…
                    Avrei dovuto fare tra i sette e i dieci minuti di andata e ritorno per prendere la bottiglia e portarla. Mi sono rifiutato e ho disinstallato il gioco: queste cose mi fanno sentire preso per i fondelli, le trovo una mancanza di rispetto nei confronti del giocatore (magari, con un viaggio rapido, li avrei perdonati, gli sviluppatori. Ma non mi è parso che fosse possibile).
                    Quindi, a volte, è una questione di selezione naturale: un gioco deve essere divertente, non solo sfidante, e se mi riempi l’esperienza di enigmi matemaGici complessi e robe snervanti (e i labirintoni finale, non dimentichiamoli! Persino la Jensen ne è dipendente, è uno dei pochi difetti del suo approccio al game design) non trovo strano che un giocatore preferisca sfondare mostri con spadoni ignoranti lunghi come lampioni o sparare ai nazicomunisti spaziali in un FPS generico.
                    Comunque, in assenza di un’indagine di mercato su un aaaaaaaampio campione, non possiamo dare nulla per scontato, magari ci sono più giovani masochisti di quanto pensiamo

                    Riguardo a Telltale, non ho giocato molto: Il lupo tra noi (lo traduco perché… boh) e Il trono di spade. Entrambi con gravi difetti, specie il secondo. Anche alquanto truffaldini nello spacciare il contributo del giocatore come determinante nello sviluppo della storia… il lupo ancora ancora si salva (pur avendo notato come certe sessioni di “premi veloce il tasto” fossero truccate) ma il trono… ca…voletti, quello sì che era un caso da manuale di “master che imbroglia”!
                    Diciamolo: bisogna promettere solo ciò che si può mantenere.
                    Comunque, Telltale ha riaperto i battenti: il secondo del lupo dovrebbe essere in lavorazione, con un motore grafico diverso e, forse, in un’unica soluzione e non a episodi.

                    https://www.google.com/amp/s/www.tomshw.it/videogioco/the-wolf-among-us-2-serie-completa/%3famp

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                    1. Di giovani giocatori “sadomasochisti” (ma non saranno d’accordo ed è comunque una definizione di “scorciatoia”) ce ne sono: i soulslike hanno fatto la fortuna di From Software che erano anni che sfornava capitoli di Armored Core. Io li ho giocati tutti ma, pure avendo dedicato un discreto numero di ore non vado avanti di molto. Subentra la frustrazione di cui parli e li abbandono. Il giocatore-tipo delle avventure grafiche (sopratutto Sierra) è quello che invece non si stanca di quanto hai descritto. Poi ci sono avventure con enigmi che si integrano nella storia e altri buttati a spaglio di agricola usanza. Quando affermavo che le avventure grafiche sono praticamente estinte è perché il mercato, i giocatori sono cambiati. I “duri e puri”, lo zoccolo duro dei giocatori di avventure grafiche si sono assai ridotti nel numero rispetto ai “tempi d’oro”. Quando LucasArts pubblicò Full Throttle incorse in critiche in merito alla “facilità” degli enigmi tanto per dire quanto i giocatori di avventure grafiche fossero “duri e puri”. Io invece lo ho apprezzato moltissimo per questa sua relativa minore “difficoltà”.
                      Ho giocato a parecchi titoli di Telltale, il “lupo” è stato il primo. Ho apprezzato anche qui delle meccaniche (per quanto molto semplificate rispetto alle avventure grafiche) che permettono una fruizione della storia senza eccessive interruzioni a cause di vicoli ciechi, back-tracking o cervellotici enigmi. Concordo sull’imbroglio delle scelte del giocatore che influenzano la storia. A causa dello scarso tempo a disposizione, ne ho apprezzato la struttura a episodi e la possibilità di non perdere il filo della storia tra una sessione e l’altra. La meccanica è però sempre la medesima e non è stata rinnovata. E non è stato rinnovato in tanti anni nemmeno il motore grafico che non è certo allo “stato dell’arte”. I giochi di Eric Chani invece hanno investito quantomeno in una impianto estetico e audio impressionante.
                      Telltale oggi non è la stessa: esiste solo il suo marchio. Alla fine del 2018 hanno dichiarato bancarotta e licenziato tutti i suoi dipendenti. Un’altra società ha rilevato il marchio e gran parte delle licenze ed IP. Hanno terminato lo sviluppo di The Walking Dead the Final Season con una trentina di ex-dipendenti. Telltale è sopratutto una brutta storia di immobilità nella visione del mercato, debiti e gestione malaccorta.
                      Continueranno a proporre la struttura a episodi, ma hanno dichiarato che tutti gli episodi saranno pronti al lancio del primo. Il motore grafico dovrebbe essere l’onnipresente Unreal Engine.

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                    2. Direi semplicemente che anche il genere è cambiato (non so se siano mutati prima i giochi o i giocatori). È lo stesso che accade con ogni genere o brand: si evolve.
                      Per esempio, nemmeno i giochi di Zelda sono sempre uguali, anzi: dai primi (e già i primi due erano molto diversi tra loro) si è rafforzata la narrativa e anche il gameplay è mutato molto.
                      Lo stesso vale per i picchiaduro (prima dal dueddi al treddi o finto tale, poi con l’aggiunta di concerti RPG, o la diluizione degli scontri nella storia – come i rullacartoni di Persona o l’ultimo Mortal Kombat, in due modi totalmente diversi).

                      Gli approcci originali sono stati per lo più cambiati in favore di soluzioni più funzionali, vuoi perché è migliorata la tecnologia e si possono rappresentare più situazioni e in modo diversi, vuoi perché è aumentata la qualità della progettazione.
                      In assenza dell’una e/o dell’altra, si torna a battere le vecchie vie (indie che si fanno le ossa).

                      Io più che un’estinzione ci vedo un’evoluzione: si tiene quel che funziona, si cambia il resto in base al risultato che vuoi ottenere 😉

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                    3. Si assolutamente, “estinzione” è un termine che ho usato un po’ per provocazione. Mi pare abbia funzionato 😜. Ne è venuto fuori un bello scambio. Le “avventure grafiche” hanno ceduto il passo nella loro forma originale e tipo di interazione passando attraverso i film interattivi e oggi verso forme ibridate con altri generi (i Walking simulator prendono a prestito la visuale in prima persona degli FPS). Non sono per il “si stava meglio quando si stava peggio”, lo sai.
                      In questo senso conoscere l’origine e la sua storia, aiuta ad apprezzare di più quanto oggi esiste e magari a chi non ha potuto partecipare a questi pionieristici momenti viene la voglia di installare una “vecchia” avventura grafica che altrimenti sarebbe dimenticata a causa della sua evidente obsolescenza. Grazie Conte per i tuoi generosi commenti!

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      2. Ma che ammorbato, è sempre un piacere leggerti, sei una fonte di conoscenza videoludica incredibile. Come scrive anche Conte Gracula, certamente la golden age delle avventure punta e clicca non sarà più ripetibile ed il mercato è ormai una nicchia relegata alle produzioni indie (tranne rare eccezioni che hai già citato). Ma credimi che il mercato non è morto e vorrei dimostrarlo. Mi hai dato lo stimolo per scriverne un post. A presto

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        1. Ottimo. Attendo il post. Metti in link anche qui quando hai pubblicato così chi vuole può approfondire o sentire un’altra campana.
          —-
          PS: quando si parla di “storia”, per giunta di videogiochi, io già vedo gli sbadigli oltre lo schermo 😜

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  5. Interessante articolo, sono nato nel 1980 e il periodo delle avventure grafiche l’ho vissuto in pieno, anche se ero scarsissimo mi davano emozioni uniche, finite poche iniziate tantissime e senza mai alcun rimpianto!
    Ultimamente, da nostalgico, mi sono avvicinato al mondo delle avventure testuali, anche loro passate molto di moda ma che mantengono sempre una nicchia dura di appassionati e alla fine ho scoperto anche i MUD (una follia per pochi).
    Mi piacerebbe tu che cosa ne pensi in merito, considerando anche l’annosa questioni che è stata più volte tirata fuori tra contenuto e supporto perchè secondo me l’avventura testuale è un estremo può far riflettere.

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    1. Innanzitutto benvenuto! Questo è il tuo primo commento.
      Io sono più vecchietto, sono del 1968, tuttavia le avventure testuali erano per pochi anche all’epoca. La barriera dell’inglese era forte poiché non tutti (incluso me) avevano una conoscenza così approfondita per leggere le schermate densissime di testo senza dovere consultare ogni due per te un voluminoso dizionario.
      Per esempio ricordo benissimo le avventure della Magnetic Scrolls per Amiga. Guild of Thieves e Knight Orc, che già avevano una schermata grafica erano davvero indigeste, considerando anche il resto dell’offerta videoludica che tra grafica, audio in stereo e un bel po’ di azione era assai più attraente.
      Le avventure testuali richiedono uno sforzo in più rispetto a quelle grafiche a causa della diversa interfaccia: il parser richiedeva di entrare nella logica degli sviluppatori. Una sorta di codice interno che una volta metabolizzato ti permetteva di immergerti in universi ricchissimi di dettagli (molto più delle avventure grafiche). Se non riuscivi a entrare in questa “logica” era fuori senza complimenti. Una barriera altissima, superabile solo perché non vi era moltissima alternativa. Se penso a certe interfacce dei primi giochi Psygnosis per Amiga mi si accappona la pelle al pensiero di quante ore ci ho perso. Ma di tempo all’epoca ne avevo tanto e l’offerta videoludica (anche per motivi economici personali) era assai ridotta.
      Importante è il contenuto, ma anche come viene reso accessibile secondo le aspettative del fruitore, che cambiano nel tempo. La tecnologia sicuramente è un fattore di influenza significativa: basti pensare a come si è evoluta la veste grafica dei siti web. In conclusione (si fa per dire perché ce ne sarebbe da scrivere) le avventure testuali sono il primo tentativo di dimostrare la potenzialità narrative dei vidoegiochi; contenuti del tutto simili per quantità e qualità a un libro, con il plus di “esserci dentro”, di parteciparvi dall’interno e non dall’esterno. Tuttavia l’interfaccia rappresentava una forte barriera all’ampliamento dei suoi consumatori, che via via sono migrati ad altri generi quando hanno fatto capolino sul mercato. I coniugi Williams sono stati i primi a capire questo cambiamento e hanno creato prima una serie di avventure di passaggio come Mistey House per poi giungere a King’s Quest.

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  7. Scusa per non essermi presentato ma ti seguo da molto tempo senza aver notato, effettivamente, di non aver mai commentato prima d’ora 🙂
    Molto interessante il taglio evoluzionistico tecnologico che hai dato alla questione ed è sicuramente un aspetto fondamentale ed interessante soprattutto per quanto riguarda l’industria del videogioco, almeno quella che conta, che fa girare i soldi. Anche se potrei non essere d’accordo con quella che così sembrerebbe una naturale evoluzione, quasi obbligata, da un livello più basso: avventura testuale, a quello più alto e nobile: avventura grafica; non sono convinto sia così lineare il passaggio.
    Negli utlimi tempi, credo sia interessante notarlo, si è assistito ad un cambio di prospettiva dell’avvetura testuale, da avventura grafica limitata dalla mancanza di immagini a, come è spesso chiamata attualmente, narrativa interattiva, vista quindi come evoluzione della più classica narrativa.
    Sembra quasi che l’avventura testuale stia uscendo dal dominio del videogioco per entrare nel dominio della lettura.
    Hai ragione nel dire che è comunque un argomento molto complesso.
    Grazie per la risposta e complimenti per il blog, a presto 😉

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    1. Scuse non necessarie, figurati! L’evoluzione del genere “avventura” è frutto di un’evoluzione tecnologica e di interfaccia. In merito ai contenuti, ciò non significa necessariamente che le avventure grafiche siano “migliori” di quelle testuali. Migliorata è sicuramente l’accessibilità per una parte più ampia di videogiocatori.
      L’avventura testuale è molto più vicina in termini di narrativa a un libro, più complessa e interattiva di un libro-game, che è un genere ibrido tra libro e gioco (di ruolo).
      A mio parere, la barriera linguistica insieme alla comprensione di un “parser” impatta significativamente sul potenziale di mercato e diffusione. Le avventure testuali utilizzano la lingua inglese densa di sfumature e vocaboli anche ricercati. Aggiungi che oggi ha successo una comunicazione basata sull’instant messaging e una schermata di testo di un’avventura produce l’effetto “carica di celerini con manganello su una folla di manifestanti”.
      I videogiochi si sono adeguati a questa tendenza di “semplificazione”, non soltanto nell’interfaccia, ma anche nei contenuti e nell’accessibilità o curva di apprendimento. Per certi versi è un miglioramento, per altri meno. Sono scomparsi o ridotti a “nicchia” generi come le simulazioni di volo e altri mezzi militari (e i voluminosi manuali che li accompagnavano), la difficoltà media di un gioco permette a tutti di terminarlo senza troppe frustrazioni da “trial & error” (tanto care all’avventura). Insomma, le avventure testuali, per il fatto di essere similari a un libro, hanno subito, più brutalmente e repentinamente, lo stesso destino commerciale dell’editoria, che è in declino da anni. Tuttavia, pure rientrando – usando la tua espressione – nel dominio della lettura, per me restano dei videogiochi, una delle prime forme che ne ha espresso il potenziale narrativo.

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      1. Sull’impatto della lingua inglese non sono molto daccordo più che altro perchè ormai e da parecchi anni ci sono fior fior di avventure grafiche basta ricorda L’avventura nel Castello di Colombini che ha fatto letteralmente storia. Anche sul parser c’è stato sicuramente un miglioramento anche se capisco che se si è proprio a digiuno di avventure testuali lo scoglio iniziale è abbastanza grosso. Ultimamente poi le nuove avventure grafiche stanno scoprendo altri tipi di tecnologia basata più sulle pagine web che semplifica molto ma a me sono indigeste perchè sono un feticista della tastiera :).
        Su tutto il resto non posso che darti ragione il mercato va da una parte, le avventure grafiche da tutt’altra. Mi piace molto la tua presa di posizione nel vederle ancora come videogiochi, posizione che faccio assolutamente mia; forse il mercato (quel pochissimo che prova ad esserci) purtroppo non è della nostra stessa idea… e forse nemmeno i nuovi videogiocatori. 🙂

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        1. Di avventure italiane testuali non ne ho mai provate (mea culpa). La questione è per forza di cose legata alle vendite. Se girano soldi, le società investono, la tecnologia fa passi in avanti (e non solo dal punto di vista grafico e audio) e si sperimentano nuovi modi di interazione. Faccio un esempio che non è legato apparentemente alle avventure grafiche: God of War. Da “affetta-tutto” dei primi capitoli a un’avventura con una narrazione in cui il giocatore decide lo svolgersi degli eventi, arricchita da un legame padre-figlio che è particolarmente empatico. Ecco questo è un selenio in cui le decantate potenzialità narrative del medium trovano una delle più efficaci espressioni. E il “contorno” tecnico è di assoluto livello.
          Quindi non tutto va in direzione opposta nel mercato sempre più spinto verso l’“action” e il multiplayer (che non amo se non in rare occasioni, come Journey e Death Stranding). A mio avviso è proprio l’attuale modo di concepire il multiplayer (detti “universi persistenti”) che è agli antipodi della narrativa. Anche Bungie ha fallito nel l’integrare un filo narrativo coinvolgente nel suo universo persistente con entrambi i Destiny. Li ho giocati entrambi con tante aspettative e l’esperienza non è lontanamente paragonabile a The Last of Us, God of War o Death Stranding. Segnalo un esempio di ottima narrativa nei due capitoli di Ori, che è un platform emozionante. Sto giocando il secondo capitolo e non delude le alte aspettative dopo il primo eccezionale capitolo. Anche se può apparire come una forzatura, io intravedo in questi esempi il lascito dell’avventura testuale e grafica: l’obiettivo di raccontare una storia dall’interno è ancora – canterebbero i Simple Minds – “alive and kickin’”

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          1. Sono totalmente fuori dalle nuove dinamiche videoludiche, conosco pochissimo di quello di cui stai parlando ma la tua compentenza e la tua passione fa veramente voglia di ritagliersi del tempo per riprendere a giocare 🙂
            Mi fa molta tristezza leggere… “io intravedo in questi esempi il lascito dell’avventura testuale e grafica” perchè le dai come cosa morta; purtroppo, ed è questo il peggio, penso tu abbia ragione anche se forse, ma potrebbe essere solo una mia illusione, qualcosa da dire ancora lo avrebbero.
            Grazie per la bella chiacchierata!

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            1. Non volevo farti rattristare, leggila come un’esasperazione del concetto, una provocazione che intende essere “fertile”. E’ un mio stile e so che può spiazzare, ma se leggi lo scambio con il buon Conte Gracula, si è riusciti a tirarne fuori delle opinioni e considerazioni che non avevano trovato spazio nel post. Scrivo “lascito”, che non è una donazione testamentaria, ma quel patrimonio di insegnamenti e di esperienze per cui si aspira a essere ricordati dai propri cari, una forma di immortalità insomma.
              Gli autori “indie” hanno dato prova che, disponendo di risorse limitate, l’avventura grafica ha il potenziale per esprimere la propria creatività e generare un impatto empatico sorprendente rispetto ai valori tecnici: To The Moon e il secondo capitolo Finding Paradise sono degli esempi fulgidi. Se non hai letto le mie ciance entusiaste su questi due giochi, batti un colpo che incollo i link.

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  8. La mia tristezza era chiaramente molto figurata, tranquillo 🙂 Le due recensioni me le vado a recuperare molto volentieri. Probabilmente le avventure testuali sono un sottobosco ancora più sottobosco delle avventure grafiche indie. Il mio darti ragione era sull’attuale interesse suscitato nei nuovi giocatori praticamente pari a zero e capisco benissimo che difficilmente ci possa essere un cambio di tendenza. Sono il primo a notare quanto l’avventura testuale più di quella grafica sia invecchiata con molto fatica. Io personalmente, pur notandone i numerosi litimi non riesco a non vederne anche il fascino che io, come ripeto, trovo anche semplicemente nell’essere costretto a interagire esclusivamente con la tastiera (vabbè si sta superando anche quello ma faccio finta di nulla). Negli anni 2000 si è assistito ad un ritorno di fiamma e un relativo aumento di risorse in internet che facevano ben sperare mentre ora sembra che la situazione sia molto più stagnante con il solo sito OldGamesItalia a cercare di portare avanti questo genere di giochi.
    Forse per il momento c’è solo da prendere atto che si tratta di un genere che ha avuto semi rigogliosissimi ma che ha più poco da dire relegato praticamente all’hobbysmo più puro.

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    1. Io ho giocato poco, come avventura testuale (ahimè, non ricordo nemmeno i titoli!) perciò ti chiedo: nelle avventure più recenti di questo genere, si è cercato di inventare qualcosa di nuovo?
      Non parlo della storia, ma della struttura e del gameplay.
      Se questi elementi sono rimasti invariati per decenni, può essere che il genere abbia visto scarso rinnovo del parco di giocatori (situazioni insolite nella storia potrebbero non bastare, per vivacizzare degli schemi visti troppo spesso).

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      1. Anche io non gioco a una testuale dai tempi dell’Amiga (e già erano grafico-testuali). In tempi recenti ho provato qualche titolo Infocom (ti segnalo The Lurking Horror ispirato agli scritti di Lovercraft), ma mi sono puntualmente arenato in alcuni punti e sono stato “distratto” dal ben del DioVideogioco che gira tra console e PC. A GC la risposta che è sicuramente più aggiornato e “ferrato”.

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      2. Chiarisco subito che non sono un esperto di avventure grafiche ma ultimamente ho scoperto, anzi riscoperto una certa passione nei loro confronti.
        Si tratta di un genere veramente minimale quindi gli elementi su cui innovare non sono moltissimi anche se qualcosa si è fatto. Rispetto alle evventure iniziali si è cercato di renderle meno frustranti solcando una scia seguito anche per le avventure grafiche. Sono inoltre stati sviluppati anche “linguaggi” più evoluto per gestire meglio il parser e i movimenti. A parer mio l’innovazione più importante è stata quella che ha portato le avventure su browser o cellualre cercando di eliminare l’interazione tramite tastiera; come già detto non sono un amante di questa scelta ma è certamente un’importante cambio di impostazione. Se foste interessati a vedere come sta andando il “mercato” segnalo questo sito https://www.oldgamesitalia.net/if-italia-avventure-testuali che è praticamente il punto di riferimento più importante in italia di avventure testuali con all’interno una grande quantità di giochi sia vecchi che nuovissimi.

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