Onda sonora consigliata: Figli di Annibale (Almamegretta)
[…] noi siamo tutti quanti figli di Annibale, capelli neri, figli di Annibale, la pelle scura, figli di Annibale, con gli occhi neri, figli di Annibale, meridionali figli di Annibale, sangue mediterraneo, figli di Annibale, sangue mediterraneo, figli di Annibale.
Figli di Annibale, sangue di Africa […]
Questo viaggio non inizia da una stazione o da un aeroporto, ma da una canzone.
Questo viaggio non inizia da una stazione o da un aeroporto di partenza, ma dalla sua destinazione.
Dall’Africa.
Da dove il cartaginese Annibale partì con un esercito di africani, valicò le Alpi con tanto di elefanti al seguito e inflisse a Roma una delle più devastanti sconfitte di tutta la sua gloriosa storia. “Figli di Annibale” è il titolo di esordio del mini album che nel 1992 rivelò il particolare talento degli Almamegretta e cioé di riuscire con successo a filtrare le influenze musicali da ogni parte del mondo attraverso la lingua e le melodie napoletane.
“Africa, Africa, Africa” ripete più volte all’inizio di questa canzone la voce di Raiz. Con la sua modulazione mediorientale evoca con rara efficacia un potente richiamo atavico, denso di mistero e di irresistibile magnetismo.
Siamo in Africa. Dopo un viaggio durato più di ventiquattro ore, siamo in Zimbabwe.
Appuntamento all’aeroporto di Fiumicino al banco “Avventure nel Mondo” alle ore 12:10, sbarco a Victoria Falls alle ore 13:00 del giorno dopo, finalmente a destinazione!
Victoria Falls è la prima e unica tappa in Zimbabwe. Dopo la visita alle cascate che danno il nome a questa cittadina, viaggeremo attraverso il Botswana e infine vi faremo ritorno per imbarcarci nell’aereo che ci riporterà in Italia.
All’arrivo, il primo problema: tutta l’attrezzatura da campeggio, incluse le essenziali tende, non è giunta a destinazione. Oltre ai bagagli personali, abbiamo con noi soltanto un sacco a pelo, ma dormire all’aperto in Africa non è consigliabile a meno di volere proporsi come portata della cena di una iena o di un leone oppure condividere lo scomodo giaciglio con qualche serpente di passaggio.
Il problema è assai grave e rischia di mandare in malora il viaggio. Tuttavia, non disperiamo e confidiamo che nei due giorni di permanenza a Victoria Falls l’attrezzatura da campeggio venga recuperata e, seppure in ritardo, consegnata.
Tra i bagagli dispersi vi è anche la nostra scorta personale di farmaci e il minimo occorrente per il primo soccorso. Nonostante il mio suggerimento di distribuirli nei nostri grandi zaini a spalla, la mia compagna ha preferito raccoglierli tutti in una piccola borsa, che è stata caricata in stiva. Non si tratta di attirare la sfortuna, ma di previsione dall’esito talmente scontato che i “bookmaker” non l’avrebbero nemmeno quotata. La soddifazione del “te l’avevo detto!” è assai magra poiché insieme ad aspirine, cerotti e disinfettanti, è andato perduto anche un farmaco essenziale per qualsiasi viaggio e ancora di più in questo nel cuore dell’Africa: Imodium.
Essere costretti da un’impellenza fisiologica nel mezzo della savana e, magari durante la buia notte, non è più una questione di imbarazzo, ma un tangibile rischio di incontri pericolosi con la fauna alla ricerca del proprio pasto serale; i cespugli, nostrano tipico riparo di fortuna, sono da evitare: turbare il riposo di un serpente noto anche come “Sette passi” non è salutare. Il Mamba nero è infatti così chiamato poiché, dopo il suo morso, hai appena il tempo di fare sette passi, il veleno entrato in circolo provoca la paralisi degli organi vitali e tanti cari saluti a questa valle di lacrime.
Siamo in tredici: Antonio e Manuela, Marco, Elisabetta e Giulio, Claudio, Patrizia, Cetty, Angela, Adele, Ezio, Manuela e io. Tredici viaggiatori, tredici come quelli della Disfida di Barletta, anch’essi di fronte a una sfida di un viaggio con tanti dubbi e incertezze e che inizia all’insegna della sfiga. Il numero “13” dopotutto porta fortuna solo in Italia.
Ci teniamo in piedi sui fumi dell’eccitazione e, così anestetizzata la stanchezza e rimandata la soluzione di quelle due inezie di problemi del “dove dormiremo e come mangeremo”, decidiamo di lasciare gli zaini e bagagli assortiti alla “reception” dell’albergo per ripartire subito sulle orme di David Livingstone, che tra il 1852 e il 1856 esplorò queste terre e fu il primo occidentale a posare gli occhi sulle cascate Mosi-oa-Tunya, alle quali diede il nome dell’allora Regina britannica, Victoria.
Una parte del nostro gruppo decide per una gita in barca sul fiume Zambesi; il resto si dirige di nuovo verso l’aeroporto. Schizofrenia?
No, non è tra i rischi per la salute segnalati in Zimbabwe. Vogliamo sorvolare le cascate Vittoria con uno di quei trabiccoli a elica che chiamano “aereo turistico”. Ecco, quest’ultimo per alcuni potrebbe rappresentare un serio rischio per la propria salute.
Nonostante negli ultimi due giorni siano state più le ore in volo che con i piedi a terra, gli ulteriori venitcinque minuti in aria, ovvero la durata prevista della trasvolata alle cascate e – speriamo – ritorno, non ci fanno desistere e così, caricati su due Cessna, si decolla di nuovo.
Dall’alto, lo sguardo spazia su un panorama di terre brune e brulle. Ogni refola di vento fa traballare l’aereo. Il rumore del motore rimbomba nella cabina. Sembra di essere su un trattore con le ali.
Nella terra si aprono, come ferite profonde, delle spaccature tortuose.Il fiume Zambesi vi scorre dentro.
Poi, d’improvviso avvistiamo del fumo fuoriuscire dalla terra.
Infine una distesa d’acqua che precipita in una lunga e profonda fenditura del suolo. Uno strapiombo che fa impressione anche dall’alto.
Mosi-oa-Tunya, “il fumo che tuona”. Le cascate!
Una lunga fenditura della terra “fuma”, il fiume per tutta la sua ampiezza vi precipita. Romba, schiuma, romba, schiuma. Migliaia, milioni, miliardi di piccole gocce vengono schizzate in alto, oltre la fessura.

Il sole, rifrangendo i suoi raggi su questo muro di gocce, crea un arcobaleno che si sposta lungo tuttta la fessura, percorrendola ora in una direzione ora in quella opposta. E così di seguito, ancora, di nuovo. Come una pallina in una partita di tennis, l’arcobaleno rimpalla da un estremo all’altro.
Lo spettacolo dall’alto mozza il fiato e non sto nella pelle per la visita al Parco di Mosi-oa-Tunya, prevista per domani.
La videoclip che ho montato dieci anni fa ha purtroppo una qualità dell’immagine inferiore a quanto oggi sia possibile ottenere dalla medesima compressione di YouTube, tuttavia restituisce un’idea della sua spettacolarità e incontenibile bellezza. Capirete il motivo per cui è chiamata Mosi-oa-Tunya, “il fumo che tuona”.
Una volta atterrati, è l’ora di riposarci. All’arrivo in albergo però il concetto di “sistemazione spartana” supera la consapevolezza di avere scelto la formula di “Avventure nel mondo”. Più che “alberghetto” – come da definizione del materiale illustrativo del viaggio – è un campeggio con alcuni “bungalow”. Una sistemazione che perfino gli spartani avrebbero definito “fin troppo spartana”.
Appena entrati in stanza, dietro una tenda che – si immaginava – celasse un’accogliente doccia o tazza di ceramica sanitaria (secondo le più urgenti necessità del momento), c’è invece una finestra. La stanza non è fornita di bagno. D’altronde, si sa, nei campeggi i bagni sono in comune.
Non è una scarsa inclinazione ad adattarsi, perché durante il resto del viaggio le occasioni non sono mancate. Piuttosto, dopo una trasvolata così lunga, l’esigenza di chiunque è rilassarsi un po’ e dare riposo alla carcassa e alla mente. I bagni in comune non sono affatto un luogo per rilassarsi o trovare un po’ di intimità.
Estraggo dallo zaino l’occorrente per l’agognato ristoro e mi incammino verso un edificio che, per le sue dimensioni e aspetto esteriore, stona con il contesto immerso nel verde del curato giardino, che a sua volta contrasta con l’esterno: le strade di Victoria Falls restituiscono un quid di trascuratezza con una dominante sabbiosa e secca. I miei pregiudizi sui bagni in comune trovano triste conferma.
All’interno, l’ampio locale presenta sulla destra una fila di piccole porte che danno accesso ai servizi igienici, sulla sinistra una fila di tendine che celano altrettanti piccoli ambienti adibiti a doccia. La sensazione complessiva è di scarsa manutenzione e trascuratezza. Quantomeno la riservatezza è salvaguardata.
Le ritirate sono in condizioni, sia funzionali sia igieniche, non accettabili: uno scarico su due funziona. In quelli non funzionanti ci puoi leggere – tuo malgrado – i valori delle transaminasi dell’utilizzatore precedente.
Entro nella doccia, scostando una tendina che potrebbe risalire ai tempi di Livingstone, e mi accorgo che le pareti sono punteggiate da un numero impressionante di zanzare. Se ti pungessero tutte insieme, la malaria è l’ultima delle preoccupazioni: ritroverebbero un corpo prosciugato di ogni goccia di sangue, roba da fare accapponare la pelle anche Bela Lugosi in arte il Conte Dracula.
Aggiungete al mio disagio, anche una paura: non ho fatto la profilassi anti-malarica per una serie di motivi e, principalmente, perché durante la stagione secca le zanzare non rappresentano una minaccia. Grossolano errore: alle cascate Vittoria l’acqua c’è in tutte le stagioni.
Durante tutto il resto del viaggio, anche nel mezzo della savana, non ho rilevato la presenza di zanzare e nemmeno di insetti in generale. Non ho contratto la malaria.
Impossibile rinunciare dopo due giorni di viaggio, ho fatto la doccia più veloce della mia vita!
Nel prossimo episodio, non mancate la galleria fotografica della gita fluviale sullo Zambesi. Non avendovi partecipato, non posso descriverla, ma le foto sono straordinarie! Le parole sarebbero comunque di troppo.
dopo l’annuncio non ho letto più nulla e pensavo che tu avessi rinunciato. Invece no. Splendido il video. Tutto tuo o prelevato dalla rete?
Un viaggio avventuroso iniziato sotto auspici per nulla buoni. Poi in 13 come i classici commensali.
L’approccio di certo non è dei migliori ma poi…
alla prossima – si spera più ravvicinata
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Il video è tutto montato sul girato e foto mie personali. Le foto anche sono scattate dalla mia mano. Non credo di dovere attingere alla Rete poiché ho una quantità smisurata di foto tra quelle mie e di altri compagni di viaggio.
Nel prossimo episodio vedrai la mano del fotografo professionista, Antonio.
Purtroppo il tempo a disposizione è scarso e non riesco più a dedicarmi al blog con la stessa frequenza del passato ne’ a leggere i blog che continuo a seguire. Porta pazienza.
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Porto pazienza. Mi era sembrato che quelle dopo l’atterraggio fossero diverse dalle prime.
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Non posso importare tutte le foto nel blog altrimenti ne occupo lo spazio in un attimo e non mi va di ridurre la risoluzione a scapito di colori e dettaglio. Già una parte era appoggiata al mio account Flickr, che però si rifiuta di farmi accedere con qualsiasi tipo di credenziali anche dopo il reset. Ho dovuto per forza creare un altro account Flickr. Quindi vedrai foto che sono linkate ai due account Flickr. Se ci clicchi, apri la foto nel suo formato originale e sei su Flickr.
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ho capito. Flickr l’ho abbandonato
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Bello, una curiosità. Guardavo una foto di Welcome in Zimbabwe. Come è passare questi valichi confinari? Sono puntigliosi, lasciano passare senza cura, ci vuole il visto.. Bello, complimenti!
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Considera che siano dei turisti occidentali, è percepito come un “turista ricco” quindi non c’è quest’ansia del controllo. L’unico puntiglioso controllo è di tipo sanitario. Mi spiego: fanno passare veicoli e passeggeri su delle pedane imbevute di disinfettante. Questo tipo di controllo c’è anche quando passi da un parco a una zona abitata. Ci è successo anche nel mezzo del Botswana. Si pagano i visti di entrata e uscita come in altri Paesi e si paga anche l’entrata nei parchi.
Spero continuerai a seguire anche solo per le foto straordinarie che restituiscono più delle parole la bellezza di luoghi, persone e animali.
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Grazie della spiegazione 🙂
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