Viva il Messico! Ep.#40 – Cancun


Segue da Ep.#39 – Isla Mujeres

Si avvicina il momento del commiato dalla terra messicana. Scatta il conto alla rovescia per il lungo volo, che da Cancun, con i medesimi scali dell’andata (Houston, New York, Milano, Napoli), ci riporterà alle pendici del Vesuvio.
A posteriori, pensare a tutti i luoghi visitati, gli esotici nomi, le antiche vestigia, le foreste tropicali, gli incontri (anche del terzo tipo-maya come nel caso del munaciello a Palenque), mi sovviene la tristezza che tutto finisca a Capodichino.
Ha il sapore della comandata gita fuori porta a Pasquetta con tutti gli altri condannati all’ingorgo di traffico per consumare una grigliata e una lasagna all’aperto.

Bando alle ciance nazional-popolari e al fumo di carni arrostite, proseguiamo nel racconto degli ultimi scampoli di viaggio, che riservano qualche altro particolare interessante e qualche risata.

Biglietto del viaggio di ritorno da Isla Mujeres a Puerto Juarez (Cancun) – Agosto 1999

17° día

Con molta calma lasciamo Isla Mujeres, avendo già idea dell’albergo dove trascorrere l’ultima “folle” notte in Messico, grazie ai consigli del prodigo Jimmy.
Abbiamo scartato l’ipotesi di sistemarci in uno dei grandi e lussuosi alberghi che gli “yankee” hanno costruito nella zona hotelera, una sottile striscia di terra tra il mare caraibico e una laguna, in barba a qualunque principio ecologico e stuprandone la naturale bellezza.

Cancun – la zona hotelera è una sottile striscia di terra tra il mare e la laguna, un luogo incantevole stuprato dal cemento degli alberghi

Il nostro albergo è una piccola struttura situata a metà della Kukulcan Boulevard, l’ampio viale stradale che porta dalla città di Cancun alla zona hotelera.
Arriviamo ben prima dell’ora di pranzo, non è nello splendido stile coloniale di El Meson del Marques di Valladolid, ma comunque è accogliente e dignitoso. Ci appare come una reggia al confronto con la stamberga della Isla.
Si rivelerà ancora di più un’ottima scelta quando ci renderemo conto della massicciata di cemento degli alberghi “yankee” nella zona hotelera.

Per niente attirati di avvicinarsi alla spiaggia così cementificata, al prevedibile bagno di folla, assecondiamo i ritmi messicani che ai quali ormai ci siamo adeguati, nonostante il puntuale quanto vano sprone mattutino del grintoso Frank. Entrati nelle nostre camere, senza nemmeno disfare gli zaini, con molta flemma ci dirigiamo verso la piscina e ci sistemiamo intorno a un tavolino su uno dei suoi bordi. La piscina è deserta.

L’assenza di altra anima viva, contrariamente a quanto accaduto nella stamberga della Isla, ci dà la sensazione di un’inaspettata quanto non ricercata esclusività.

Sul tavolino appaiono prima delle bottiglie di cerveza e di Coca-Cola, poi le carte da gioco: luogo e momento sono perfetti per una sfida del Torneo di Scopone Scientifico!

Il silenzio è interrotto dal fruscio delle carte e dal loro atterraggio sul tavolo, dalle lamentele sulla particolare sfiga della mano di gioco e dai commenti salaci sulle giocate altrui, da qualche improvviso sussulto e tumulto in occasione di una scopa. Nel complesso è una delle giocate del torneo più tranquille in assoluto.

Accade però un increscioso evento che – duole ammetterlo – ho innescato io.

Il gioco delle carte è per me una noia mortale. Le rare volte in cui mi sono veramente divertito si contano sulle dita di una mano alla quale hanno mozzato alcune dita: un torneo di carte francesi – non ricordo il nome del gioco – con due amici e mio fratello a Sabaudia in un lontano e placido mese di settembre; le partite a “Scala Quaranta” con mio papà, zio Gennarino e mio cugino Valentino; il torneo di scopone scientifico durante tutto il viaggio in Messico.

Il mio oggettivo limite è che mi annoio di tenere conto delle carte giocate e perciò incorro spesso in madornali errori di valutazione e giocate al limite del criminale, anche se a me sembrano baciate dall’imprevedibilità tipica della botta di genio.

Il nostro torneo messicano volge al termine: ultima tappa, ultima “manche”. Particolarmente tirata visto che la differenza di punti non garantisce la tranquillità di aggiudicarsi la vittoria definitiva a nessuna delle due coppie, che – ricordo – sono: Frank e io; mio fratello Lucio e Diego.

Così, durante questa ennesima “manche” densa di tensione e agonismo, tiro giù una carta, con la convinzione che sia una giocata, un tantino folle, ma nella sua “follia”, genialmente spiazzante. Gonfio di orgoglio, calo la carta. Ciò che accade nei secondi seguenti rimane per sempre indelebilmente scolpito nella mia memoria.

L’improvvisato tavolo di gioco è talmente vicino al bordo della piscina, che per tre dei quattro giocatori è sufficiente sporgersi appena dalla sedia per finire in acqua.

Quando calo la fatidica carta, incrocio lo sguardo del mio compagno Frank, sul cui volto appaiono in rapida successione le seguenti espressioni: sorpresa non benvenuta, cupa e profondissima rassegnazione, sdegno ai limiti di una copiosa sputata in faccia, infine un’incazzatura di immani proporzioni che potrebbe di lì a poco finire in rissa.

La mia giocata a membro di cane riesce a fare breccia nella proverbiale pazienza di Frank, che in tutto il viaggio è sbottato un’unica volta per ragioni effettivamente più serie ovvero quando mio fratello gli lanciò un urlo per avvisarlo di un serpente mentre camminava con evidente preoccupazione e circospezione nel rigoglioso sotto-bosco delle ruinas di Uxmal. Il serpente era di pura invenzione, ma Francesco ha rivissuto al ralenti tutta la sua vita in una frazione di nano-secondo (leggi: Terrore strisciante in Ep.#22 – Uxmal…e la Rivelazione di un Antico Segreto).

Realizzo di avere commesso un errore degno del primo DASPO a vita a un tavolo di gioco dello scopone scientifico, quando Frank – nella sua immensa bontà d’animo, pazienza e comprensione – dalla sua posizione seduta si lascia cadere direttamente nelle acque della piscina, piuttosto che infliggermi una pena corporale da lasciarmi qualche segno a imperitura memoria. Senza proferire nemmeno un giusto improperio o una perdonabile bestemmia, lo vedo passare in due secondi netti dalla posizione seduta a quella subacquea.

Quando riemerge, i bollenti spiriti sono placati e, a parte qualche bofonchio, ritorniamo a giocare.
Questa giocata criminale è un degno contributo alla “Classifica della Vongola” che raggiunge il ragguardevole numero di diciotto voci.

A metà pomeriggio, decidiamo di esplorare la zona hotelera per capire dove possiamo andare a cenare, se vi sono opportunità per sperperare gli ultimi pesos e, perché no, trascorrere l’ultima notte messicana nel segno del divertimento sfrenato e della bisboccia.

Appena usciti dall’albergo, notiamo sulla destra poco più avanti una pensilina: è una fermata dell’autobus. Decidiamo perciò di utilizzare questo mezzo più popolare ed economico del taxi.

Mentre attendiamo l’autobus, mio fratello attira la nostra attenzione per la possibile pena inflitta da queste parti ai cosiddetti “portoghesi”, gli indefessi scrocconi di viaggi su qualsiasi mezzo per cui sia previsto il pagamento di un biglietto.

Alle spalle della pensilina vi è una fitta e alta vegetazione su un declivio che, a poche decine di metri di distanza, è lambito dalle acque torbide della laguna.
Nel mezzo della vegetazione, ad appena qualche metro dalla pensilina, vi è un mostro dai denti affiliati, le fauci semi-aperte che identifichiamo come appartenente alla famiglia degli alligatori.

La bestiola è evidentemente provata dal caldo e non sembra interessata alle nostre succulente carni. Sebbene abbia fatto altri viaggi in cui ho avvistato lucertoloni di tale fatta, alligatori, caimani o coccodrilli quali siano, non mi è mai capitato di poterli osservare da così vicino allo stato libero.

Discesi dall’autobus in un punto in cui vi è una certa concentrazioe di edifici, camminiamo per le strade senza una particolare meta. Con nostra sorpresa le strade sono letteralmente affollate di iguane, più frequenti dei nostri gatti e cani randagi. Non è la prima volta che ci imbattiamo in questi rettili allo stato libero, ma qui la presenza di iguane è l’equivalente a quella dei piccioni a Piazza San Marco a Venezia.

Frank mostra subito un moto repulsivo, i suoi passi si fanno incerti quando in lontananza si para uno di questi animaletti, che hanno la tendenza a muoversi con traiettorie alquanto imprevedibili.
Diego ne approfitta subito con uno dei suoi colpi di genio molesto: emette un fischio e l’iguana, come richiamata da un altrettanto molesto istinto primitivo, scatta repentinamente, puntando in direzione di Frank o incrociandone la direzione dei suoi passi.
Frank maledice Diego a ogni passo, il resto dei compadres in formazione compatta se la ridono sadicamente e senza ritegno alcuno.

E chi non viene con noi a fare baldoria l’utlima notte in terra messicana possa perdere l’ultima corsa notturna dell’autobus sulla Kukulcan Boulevard. In bocca al coccodrillo! Letteralmente.

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13 pensieri su “Viva il Messico! Ep.#40 – Cancun

    1. In quel preciso momento io ho temuto di diventarci io “santo subito”…nel senso che Frank mi avrebbe potuto mandare a raggiungere la Sacra Famiglia e la schiera di cherubini.
      A ricordarla anche io schianto dalle risate e mi fa un gran piacere sapere di essere riuscito a trasmetterla in tutta la sua tragi-comicità.
      A Francesco va eretto un monumento in cui è abbracciato a Giobbe!
      Grazie Butch di essere ancora in viaggio con noi dopo 40 estenuanti puntate.

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    1. Sì, eccezionale il mitico Frank! Data la tensione “agonistica” mi avrebbe sicuramente voluto strangolare. Quando si dice che l’amicizia è nel bene e nel male 🙂
      Le fermate del bus con tanto di alligatore potrebbe essere una soluzione per scoraggiare l’eccessivo affollamento alle fermate. Così le aziende municipalizzate di trasporto pubblico potrebbero dichiarare che il servizio funziona egregiamente. Senza contare che gli alligatori potrebbero essere una soluzione – alquanto drastica invero – per il fenomeno dei “portoghesi”. Non hai pagato il biglietto? In pasto all’alligatore 😉

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    1. Bel coraggio mista a sfrontatezza! Gli alberghi yankee mettono una certa soggezione sopratutto dopo avere girato per il Chiapas. Che scempio! Un posto incantevole tra laguna e Mare dei Caraibi violato così dal cemento è un crimine che va oltre l’ecologia e il turismo sostenibile: chissà come doveva essere senza quei “mostri”? Non lo sapremo mai e nemmeno le generazioni future.

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      1. Già quando ci sono stato io, Cancùn era considerata la perla dello Yukatan. Personalmente non sono riuscito a comprenderne il motivo: era, è e sarà sempre un posto orribile. C’è semplicemente il nulla, la vacuità di un mare e di una spiaggia senza altra ragion d’essere che quella di vetrina narcisa.
        I mega alberghi cattedrali nel deserto sono solo specchietti per le allodole per turisti smaniosi soltanto di starci nel posto che si usa dire alla moda…
        Io e te lo sappiamo che lo Yukatan è altro. E’ stato altro. Oggi sicuramente lo avranno già obliato quello Yukatan, ma esiste ancora nella nostra memoria…….

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        1. Mi ritengo fortunato a esserci stato venti anni fa. Mio fratello, entusiasta quanto me di questo viaggio, vi è tornato 5-6 anni dopo: la riviera Maya era dieci volte più cementificata; quel poco che restava di Playa del Carmen perduto completamente; la zona hotelera di Tulum piena zeppa di alberghi.
          Siamo stati fortunati a potere vedere e portarci un piccolo “pezzo” di quello Yucatàn, sempre con noi.

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          1. Pensa che la stessa sensazione di tuo fratello ce l’ho avuta io nel passare da S. Cristobal a distanza appena di due mesi dalla prima: quello che in principio era un luogo formicolante di vita ed indigeni, era diventato un lindo e vuoto sito turistico con viavai interminabile di bus turistici. E’sconvolgente vedere come lo sfruttamento turistico in quei luoghi proceda alla velocità della luce…

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