Viva il Messico! Ep.#33 – Gringos a San Juan Chamula


Segue da Ep.#32 – Da San Cristobal a San Juan Chamula

Dopo il sermone, riceviamo da Mercedes il via libera per gironzolare per lo zocalo e il vicino mercato, non senza le ultime indicazioni di “buona creanza”; in altri termini ci fa capire che siamo “turisti” e siamo bene accetti se ci adeguiamo a certe regole:

  • gli indigeni non amano essere fotografati, ci invita quindi a non andare in giro a scattare foto;
  • se vogliamo visitare la chiesa, le fotografie all’interno sono tassativamente vietate; chi contravviene a questa semplice regola viene “accompagnato” fuori dalla città e – ci fa capire – che non si strapperà le vesti per aiutarci a ritornare a San Cristobal, anzi dovremo cavarcela da soli.

A giudicare dal tono perentorio della nostro Cicerone in gonnella e dai frequenti incroci con veicoli “pick-up” dell’esercito messicano armati di tutto punto, i turisti dallo scatto compulsivo qui hanno vita breve. Nessun turista giapponese avvistato. Ci sarà un motivo.

Per comprendere lo spirito di “ospitalità” degli abitanti di Chamula, è significativo l’aneddoto raccontato dalla stessa Mercedes.

Un ragazzino indigeno si rivolge a un turista tedesco apostrofandolo come “gringo”, il tedesco risponde al ragazzino puntualizzando:
“No soy gringo, soy aleman”.
Il tedesco nel volersi distinguere da uno “yankee” ha commesso un grave errore: il termine “gringo” non equivale ad “americano, statunitense”, ma a “straniero”.
A Chamula siamo tutti considerati “stranieri” e, in quanto tali, si applica la tipica diffidenza di una comunità chiusa nei confronti degli estranei.

La chiesa di San Juan Chamula o – meglio – il tempio è la prova del sincretismo religioso, che Mercedes ci ha illustrato nella cabaña. Tiene a precisare che la chiesa c’è, ma i preti sono stati invitati ad andare via molto tempo fa.
Qui la religione è infatti il prodotto della mescolanza dell’evangelizzazione del XVI secolo con credenze religiose maya pre-ispaniche.
Mercedes spiega che i santi presenti nella chiesa sono venerati e pregati come alter-ego moderni delle divinità maya. Pertanto gli indigeni pregano apparentemente San Isidro, il santo protettore dei raccolti, ma in realtà si rivolgono a Yum Kaax, dio del grano e del mais.
La chiesa è un luogo moderno per svolgere gli antichi rituali: invece della caverna o del tempio a gradoni, oggi si usa la chiesa.

San Juan Chamula, la chiesa [foto by RedBavon]
Il tempio di San Juan Chamula è molto particolare: il contrasto tra esterno e interno spiazza.

Lo stile architettonico dell’esterno è tipicamente coloniale, le pareti sia all’interno sia all’esterno sono intonacate di bianco, alcuni filari di bandierine colorate dipartono dalla cima del tetto fino a terra.
All’interno la percezione di essere in un luogo “fuori dal nostro tempo” è tangibile: le tradizionali panche per sedersi e pregare sono assenti, i credenti si siedono e si inginocchiano sul pavimento, coperto di fronde di pino, davanti a file di candele di differenti colori.

Mercedes ha spiegato che le candele sono di differenti colori non per ragioni estetiche, ma secondo gli specifici rituali che stabilisce il curandero.
Le famiglie, infatti, si rivolgono ai curanderos in caso di problemi di salute, afflizioni psicologiche o di “malocchio”; questi “uomini della medicina” prescrivono rimedi e rituali con candele di colori e dimensioni specifici, petali di fiori o, in casi estremi, anche il sacrificio di una gallina, da sgozzare durante il rituale in “chiesa”. Desta comunque meraviglia la presenza anche di bottiglie di Coca-Cola, come offerta votiva.
Mercedes ci riferisce che le famiglie, in caso di problemi gravi, nonostante le limitate risorse economiche, possono perfino indebitarsi per acquistare le salvifiche candele.

Camminare all’interno del tempio è straniante: ci si sente di troppo in mezzo alle famiglie indigene, inginocchiate sul pavimento, intente a fare aderire al suolo le candele con la cera fusa, a bere tazze di posh, un aguardiente artigianale a base di canna da zucchero e fermentazione del mais, mentre intonano preghiere nella loro antica lingua, lo Tzotzil.

Da una ricerca a posteriori, ho scoperto il motivo per cui vengono usate le fronde di pino per coprire il pavimento: il pino è considerato un albero sacro e i credenti si avvicinano a Dio sia attraverso il suo albero sacro sia attraverso la luce delle candele.

Il fumo all’interno del tempio è prodotto sia dalle candele sia da una resina vegetale fossile, il copale, che viene bruciata come nelle nostre chiese vi è l’usanza di bruciare l’incenso. Nei mercati di San Cristobal sono molti diffusi i venditori di pietre dure, in particolare di ambra, che è la stessa resina fossile del copale ma di età geologica maggiore, quindi più preziosa. La pietra d’ambra, in virtù di questa maggiore antichità, racchiude spesso un organismo fossilizzato: questa macabra presenza, magari di un piccolo insetto, ne certifica l’autenticità e ne aumenta il prezzo.

Mio fratello ne è stato irrimediabilmente attratto, distinguendo – non so in virtù di quale titolo accademico in gemmologia – tra copale, ambra autentica e volgare plastica ambrata. Frank descriverà le nostre tragicomiche scorribande ai mercati di San Cristobal in uno dei prossimi episodi.

San Juan Chamula [foto by RedBavon]
Usciti da questo portale spazio-tempo, ci dirigiamo verso il mercato.
Qui oltre a svariate derrate alimentari, cotte o da cucinare, i banchi offrono abiti tradizionali, coperte e souvenir. Questi ultimi spesso rimandano al movimento neozapatista noto come Ejército Zapatista de Liberacion Nacional (EZLN) e alla figura del subcomandante Marcos, la cui influenza qui è chiaramente fortissima.

Si spiega perciò la presenza dell’Esercito Messicano in assetto da guerra, a bordo di veicoli “pick-up”. Non ne comprendevo allora l’autentico motivo e la collegavo alla presenza di posti di blocco militare anche in Yucatan e alla pessima fama di cui godevano. L’unico autentico pericolo da noi percepito durante il viaggio era rappresentato proprio da questi posti di blocco.

Ho approfondito in seguito e la ragione è la seguente: siamo giunti in Chiapas nella seconda quindicina dell’agosto 1999, sono trascorsi meno di due anni dal massacro di Acteal (22 dicembre 1997) in cui sono state uccisi 45 civili, tra cui bambini e donne incinte, tutti di etnia totzil, in un’incursione armata da parte di un gruppo paramilitare identificato come Mascara Roja. Il fatto che il locale presidio dell’esercito messicano non sia intervenuto durante l’assalto durato svariate ore ha fatto sorgere sospetti di complicità del governo messicano ai danni di questa piccola comunità indigena, peraltro dichiaratamente pacifista. La tensione in Chiapas rimane ancora molto alta e, in particolare, in queste zone rurali.

In questo scenario mistico e tendente al “rivoluzionario”, ci coglie un afflato di ribellione al buon senso e rispetto delle sane regole del viaggiatore. Infischiandocene della risicata scorta di farmaco anti-diarroico, accettiamo l’invito di un venditore di platano fritto ad assaggiare questo cibo di strada. Se frigge, sicuramente ha raggiunto i cento gradi, perciò accettiamo il rischio di incorrere nella maledizione di Montezuma e conseguente “benedizione” del Dio Liquados (al cui culto mio fratello si è votato). Ottimo e senza conseguenze indesiderate.

E chi non viene con noi a sfidare a basket i messicani di Chamula possa spendere tutto il suo patrimonio e aprire un mutuo trentennale per le candele occorrenti a scacciare il malocchio che gli sto mandando. Tiè!

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13 pensieri su “Viva il Messico! Ep.#33 – Gringos a San Juan Chamula

  1. Sapevo bene che la gente del luogo non ama farsi fotografare. La cosa mi incuriosisce. Come mai? In certe culture si dice che le foto intrappolano l’anima, quindi è per questo che non vogliono farsi fotografare o il motivo è un altro.
    La chiesa è veramente bella, da un senso di sicurezza e bellezza.

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    1. Non saprei dirti il motivo, non abbiamo fatto domande, ma ritengo che sia un senso perso di sana “timidezza” e riservatezza, che la società modernizzata – non ultimo a botte di selfie e vite sovraesposte minuto per minuto sui social – abbiamo del tutto perduto. Se qualcuno all’improvviso mi scattasse una foto, io gli chiederei il perché e non so se gradirei le sue motivazioni. Con la scusa di “portarci un ricordo” o immortalare un particolare momento ce ne sbattiamo di chiedere il permesso. Fino a che si fotografano cose, monumenti, luoghi o edifici non vedo un problema, ma la macchina fotografica rivolta verso uno sconosciuto da uno sconosciuto, è un occhio invadente.
      La chiesa all’esterno sembra una come tante nel tipico stile coloniale; all’interno – oltre al fumo delle candele – si respira un’aria di misticismo primigenio, tocca corde dimenticate, e l’effetto è straniante, di forte contrasto: stride infatti la consapevolezza di rituali inutili ai fini di guarigione psico-fisica e figuriamoci salvifiche dal malocchio; stride che le candele siano costose rispetto allo status economico della popolazione. Molto simile agli oggetti preziosi e d’oro donati alle statue dei santi e delle madonne come ex-voto per un “miracolo” o grazia ricevuti.
      Sicuramente per la popolazione la chiesa è fonte di sicurezza; per i turisti è – nella migliore delle ipotesi – un viaggio a ritroso in un tempo dimenticato; nella peggiore, una curiosità folcloristica. Ecco penso che spinga a vietare la fotografia all’interno della chiesa sia una necessità di evitare che i turisti la considerino come una curiosità folcloristica quando per loro è un credo saldo e collante di questa comunità. La stessa lingua totzil (che identifica anche una delle numerose etnie indigene) è un segno di appartenenza e di distinzione dalla cultura messicana, vista come discendente da quella ispanica e quindi di uno straniero, se non di un invasore.
      Nella “cartolina” del canyon del Sumidero ci troverai anche un cenno storico che ti fa comprendere come l’opposizione al governo messicano, così forte in Chiapas e che ha trovato nell’EZLN la più recente espressione, risale addirittura ai tempi dei Conquistadores. Può sembrare ai nostri occhi resistenza alla modernità, tipica testarda chiusura di una comunità rurale e montana (come accade anche da noi), tuttavia è una lettura in parte errata: è il forte senso di appartenenza a un’antichissima cultura e la granitica volontà di preservarla, nonostante l’invasione sia ormai consolidata. Gli antichi avi di queste genti reagirono in modo assai più drastici ai tempi dei Conquistadores. Quando ne leggerai sono certo che ti sarà più chiaro.

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    1. No, le poche foto fatte sono tutte di esterni e non molte di più di quelle tre che ho pubblicato. Eravamo “gringos” e lo capivi senza che te lo dicessero.
      C’è stato un accordo tra EZLN e governo messicano, ma ci sono state a più riprese reciproche accuse di non rispettarlo. Considera che il Chiapas è in origine uno Stato indipendente e dopo una votazione popolare – non ricordo l’anno – entrò a fare parte del Messico, invece che del Guatemala. L’autonomia del Chiapas è radicata dalle origini in questo territorio e popolazione, non è un’invenzione politico-economica come certe nostre.

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  2. Riguardo alle foto: quand’ero a Hayderabad, in India (Andra Pradesh), In visita allo zoo, una famigliola locale, madre, padre e due bambini vestiti con gli abiti della festa, ci ha chiesto con molta cortesia se potevano farsi una fotografia con noi. Eravamo in quattro del nostro gruppo
    chiaramente occidentale (Western, per loro), e abbiamo accettato con altrettanta cortesia, e la cosa ci ha divertito. In tutto il mese passato li non abbiamo visto altri occidentali…

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    1. Ne ho letto degli specchi e del motivo per cui sono lì, ma non li ricordo, non saprei dirti se ci fossero, non ne ho minima traccia di questo particolare.
      Mi sono meravigliato di quanti dettagli siano affiorati nel leggere gli appunti di Frank, ma questo deve essere uno di quelli persi.

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  3. Dalle tue parole m’è sembrato d’esserci ancora in quella chiesa, così mi sono venuti in mente gli specchi sulle statue dei santi. Ho rivisto gli indios inginocchiati tra gli aghi di pino, con a lato le bottiglie d’aranciata e coca cola a pregare…

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    1. Mi e vivida più di tutte la sensazione di essere di troppo, una sensazione di “estraneità” che si aggiungeva a quella nuova della consapevolezza di essere “gringo”. Hai presente quando entri in una grande cattedrale per visitarne le bellezze architettoniche, ma è in corso un funerale? Ecco, senti forte di essere invadente ed esci.
      I particolari così sono sfumati, diluiti nella memoria e affiorano solo grazie alla straordinarietà del contesto: gli indigeni che pregano inginocchiato davanti alle file di candele e bottiglie di bevande che a casa mia erano riservate alle feste, il sommesso pregare in una lingua ascoltata per la prima volta, lo “scrocchiare” delle foglie di pino sotto i piedi, l’odore di fumo. Delle statue dei santi e degli specchi invece il ricordo è sprofondato in abissi irraggiungibili della memoria. Vai a capirne il motivo.
      Chamula è in fondo una concessione al turismo sia per farne conoscere la loro diversità sia per motivi economici visto che le condizioni di vita mi sono sembrate le più povere in tutto il viaggio.

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      1. La tua stessa sensazione l’ho potuta sperimentare in diverse occasioni. E nonostante avessi imparato a parlare il messicano ed il suo gergo per cui alcuni mi scambiavano persino per un indigeno. Una volta, per es a Palenque, quando, dopo essere stati al cinema, le stavo accompagnando a casa. Ad un certo punto abbiamo incrociato un campesino che, nonostante l’ora tarda, stava tornando dal campo. Questo ha cominciato ad inveire contro las putas mexicanas que se van juntos con el gringo. La violenza, la rancorosità del tono mi hanno dato la misura di quanto fosse colma la misura in quei luoghi. Era, se non ricordo male nel, 1988. Qualche anno dopo sarebbe arrivato l’Ezln.
        Altra situazione fu quella in cui stavo viaggiando da Tuxtla Gutierrez, capitale del Chiapas, a Puerto Escondico. Sul bus carico di campesinos, ad un certo punto un tizio cominciò a dire: “guardate amici, come questi gringos possono viaggiare liberamente qua da noi. Noi, se l’avete visto, a Tijuana a Mexicali, El paso… ci danno la caccia con gli elicotteri peggio che gli animali. La gente aveva cominciato a guardarmi storto. Effettivamente, in tv, in quel periodo facevano vedere le scene di caccia all’indocumentados sul confine tra i due paesi. E non potevo che starmene zitto, per la verità profonda che emergeva da quelle parole: il viaggiare è classista, se hai i soldi e sei turista sei accolto. Se cerchi una nuova possibilità, allora ti si dà la caccia peggio che a un cane rabbioso. Certo, fa specie ancor di più se si pensa che eravamo nell’84 sotto il regna di Reagan l’ex attore assurto a presidente.
        Per fortuna che qualcuno si mise dalla mia parte, comprendendo che non ero un turista e che il mio viaggiare con essi non era altro che il mio desiderio di conoscere e comprendere. Così si aprì una discussione in cui partecipai spiegando le ragioni per cui non mi ritenevo un gringo. E che c’era una bella differenza tra chi ha in mano il potere e chi, come me, conta meno del due di picche a briscola quando la briscola non è picche.
        I messicani la rivoluzione ce l’hanno nel sangue ed il desiderio di giustizia è fortissimo. Non per nulla il potere deve ricorrere spesso alla violenza ed alle stragi, alleandosi pure con narcotraficantes e Yankees. Non c’è altro modo per tenere a bada questo popolo meraviglioso.

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        1. Concordo sull’assurdità di dare la caccia a chi viaggia per cercare una vita migliore, lasciando la propria terra per un futuro che ormai disperano di potere ottenere. Il contrasto è evidente con noi viaggiatori per turismo.
          Certo è invece sproporzionato il rancore di entrambi i tuoi incontri: perché prendersela con un individuo che non può essere considerato il rappresentante ne’ il sostenitore (a priori) di un tale operato? Per fortuna hai trovato persone più raziocinanti e moderate.
          Studiando un po’ di storia di queste terre durante la stesura di queste cartoline mi sono accorto di quanto poco ci venga insegnato a scuola: a parte i Conquistadores e come facilmente abbiano distrutto questa civiltà. Si omette che se Montezuma per un marchiano errore apri’ le porte agli Spagnoli, la resistenza indigena in altre parti ci fu e fu fiera. Ho come la sensazione – mia lettura personale – che questa esperienza sia rimasta nella memoria collettiva sotto forma di un senso di impotenza (e conseguente rivolta continua) contro i poteri forti, spesso corrotti come citavi: il governo messicano come quello statunitense.
          Anche in Yucatan ho trovato molta “ostilità” nei confronti dei soli yankee, che arrivano a frotte a Dicembre. Il ragazzo incontrato a Merida, Francisco, mi diceva che alzavano i prezzi in maniera oscena per “mazzolare” gli yankee in quel periodo.

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