Racconto sfocato


Times Square, New York (foto by RedBavon)
Times Square, New York (foto by RedBavon)

Domenica, tardo pomeriggio. Seduto sulla poltrona di un treno Milano-Roma. Venerdì ero a Milano per lavoro, ho trascorso sabato e domenica in compagnia di mia sorella che abita in questa città.

Decisamente meno rintronato rispetto all’andata grazie alle abbondanti dieci ore di sonno, sono seduto sulla Poltrona numero Ventisei della Carrozza numero Dodici. Un forte senso di déja vu mi assale. Mi scorre veloce addosso come il paesaggio oltre il finestrino.

Con la coda dell’occhio percepisco lo scorrere veloce del paesaggio. C’è aria di baruffa tra nervi ottici e cervello. I nervi gemelli dicono: “Guarda, ci stiamo muovendo!”, il cervello prima li rassicura che siamo immobili, poi gli ricorda che il compito di “guardare” è di loro competenza e infine li schernisce consigliando una visita dall’oculista.

Questo treno non fa più “dudumdudum-dudumdududum”, emette un sibilo molto simile a un aereo in rullaggio sulla pista.

Dal mio instabile punto d’inquadratura, non riesco a cogliere i dettagli oltre il finestrino. Davvero veloce questo treno, troppo veloce. Sul paesaggio è sovrimpresso l’effetto di sfocatura tipico dell’immagine in movimento e ripresa da un punto fermo.

Per via di questa sfocatura molti dettagli sembrano “sbagliati” e anche il paesaggio nel suo insieme appare “sbagliato”. “Sbagliato”, surreale, misterioso.

Nella scia sfocata tutte le forme appaiono mescolate, i dettagli che avresti potuto notare vi si confondono. Tutti gli elementi del paesaggio perdono d’importanza per dare importanza al tutto. Tutti gli elementi si mescolano, anche le informazioni non necessarie e superflue.

D’improvviso incapace di affermare nulla di preciso su quelle immagini, mi assale una sensazione di incertezza, di effimero e provvisorio.

Immagini dai contorni sbavati, l’impossibilità di prendere una posizione precisa,  i miei pensieri sono impegnati a un gioco simile all’unico che mi piace tra i tanti della Settimana Enigmistica: “Trova le differenze”.

Resto immobile come un felino in agguato nell’ombra che aspetta la preda. Mi guardo intorno nella carrozza.

Dopo un rapido censimento dei posti “pieni” e “vuoti”, scandaglio alla ricerca di un dettaglio che faccia la differenza, che mi riporti nel pieno della capacità di affermare qualcosa di preciso sulla realtà.

Nell’anonimato di individui chiusi nei loro silenzi bombardati di musica da cuffiette saldate ai timpani, delle loro cercate solitudini rintanati in nascondigli di giornali, libri o schermi di telefoni, tablet o computer, si fa largo il timore di avere smarrito un qualsiasi appiglio alla realtà.

La notte è la mia salvezza.

È calato il buio. Una leggera torsione del busto, sono rivolto al finestrino. Tutto è ammantato di scuro. Dal distacco dalla realtà diparte una scheggia vagante, al contatto m’insinua un pensiero sbagliato: non è buio, ma è opera di un dispettoso folletto che ha dipinto di nero la parte esterna del finestrino. Una frazione di secondo in bilico sul burrone della follia è sufficiente per trasmettermi un senso di vertigine. Devo trovare un punto saldo e recuperare stabilità: la lastra di vetro del finestrino è perfetta. Vi appoggio la fronte e la spingo fino a farne toccare la superficie anche alla punta del naso.

Oltre il finestrino, il paesaggio continua a scorrere veloce, ma è svanito l’effetto magnetico quanto destabilizzante delle sue non numerabili sfocature. Il buio ha inghiottito tutto. Gli occhi provano a mettere a fuoco dettagli non visibili, ottenendo di ritorno diafane ombre dai contorni immaginati.

Roteo gli occhi in alto, rimbalzando più volte lo sguardo da destra verso sinistra e viceversa, alla ricerca dell’immagine confortante della Luna. Deve essere il novilunio.

In assenza della luce della luna, il manto nero è compatto e viene occasionalmente squarciato per pochi attimi, senza alcun preavviso, da una scia di luci, seguita da un forte rimbombo dello spostamento d’aria compressa tra un treno che incrocia il mio in direzione opposta.

Una voce si diffonde nella carrozza: annuncia l’imminente arrivo alla stazione di destinazione. Il treno rallenta.

Il paesaggio dovrebbe essere ritornato al suo posto nella realtà. Con questo buio posso solo tirare a indovinare.

Un distante baluginio delle luci della città mi strappa un invisibile sorriso come l’annuncio festoso del Natale alla vista dei primi alberi addobbati di piccole luminarie colorate.

Il treno rallenta ancora. Non c’è più traccia di buio. Le luci artificiali illuminano a giorno la stazione. Gli altoparlanti annunciano gli arrivi e le partenze.

Il treno si ferma, ma ora è tutto il resto che si muove intorno.

Il brulichio di formichine umane all’esterno, gli occupanti della Carrozza numero Dodici riemergono dai loro loculi e si preparano a scendere, assiepandosi nel corridoio.

Sono arrivato. Fine del viaggio. Fine di uno sfocato racconto.

31 pensieri su “Racconto sfocato

    1. OnPaoloBbello, in una società che sembra premiare la velocità in tutti i campi come se fosse garanzia di efficienza ed efficacia, stressando i limiti sempre un po’ più avanti, a mio avviso tende a perdere il “gusto” dei dettagli. I dettagli possono essere superflui, ma a volte è lì che si cela la “differenza” che conferisce un valore aggiunto, che arricchisce. I dettagli diventano un’inutile complicazione, una diluizione eccessiva del “brodo”, ostacolo a un’altra tendenza quasi ossessiva, cioè quella della semplificazione.
      È anche vero che la vita e con essa le attività umane (s)corrono avanti – la metafora del treno veloce l’ho trovata particolarmente adatta – e, forse, l’unica nostra scelta possibile è quella di dove fermarci, la nostra “stazione” di destinazione (non intendo quella “definitiva”).

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    1. Premesso che rispetto l’interpretazione di chi legge, anzi mi piace quando differisce dalla mia, a onore del vero questo racconto trae solo spinto da un viaggio in treno. Peraltro un viaggio in treno di molto tempo fa, rivisto e immaginato in tutt’altro modo. Intendo che prende spunto dal lungo racconto del vero viaggio in treno che trovi al link del “deja vu”. Il treno è piuttosto una metafora (vedi anche la risposta al commento di Paolo). In conclusione, l’intento di questo mentecatto scrivano è più che raccontare un viaggio, è di dipingere un quadro la cui cornice è il finestrino. Come ci si pone davanti a un dipinto così ho immaginato che il lettore guardi “fuori” dal finestrino. L’effetto che produce in chi guarda/legge – unico e differente per ognuno – sono immaginate (ed esemplificate) da ciò che scrivo quando mi rivolgo all’interno della carrozza (una metafora di ciò che può sentire dentro). Spero di non essere pedante in questa non richiesta spiegazione. Ti ringrazio per avermi dato l’occasione per raccontare un po’ di più della genesi di questo piccolo quadro sfocato.

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  1. calma e sangue freddo. non sei ancora diventato pazzo. quel che ti è successo deve essere senz’altro il frutto di almeno una o più delle seguenti esperienze:

    1 stavi sulla tazza del cesso. te stavi a sforzà troppo (consiglio per il futuro: prugne secche) e wuoà!… hai semplicemente avuto un attacco di panico. allora hai cominciato senza accorgertene a fare lunghi respiri, ma dato che gli effluvi che potevi respirare in quel momento non erano dei migliori… sei andato momentaneamente in coma.

    2 complimenti! hai scoperto un barlume della vera realtà che viviamo. ti sei accorto di un’anomalia. difatti devi sapere, caro Neo, che siamo tutti come mucche da allevamento. il nostro pianeta è stato colonizzato secoli fa da degli spietati alieni che mentre ci costringono in una realtà virtuale di loro creazione, ci leccano il sudore dai piedi di cui vanno ghiotti. ma ora tu lo sai. e dovrai svegliarti. e per farlo, dovrai cercare un certo Morpheus il quale ti spiegherà come riuscire a metterti il talco ai piedi pur continuando a dormire, in maniera da far morire l’alieno che ti nutre mentre ti lecca i piedi. così avrai le mani… pardon… i piedi liberi per agire, liberarti e far ribellare l’intera razza umana!

    3 hai avuto una visione sull’orrore. no panic: finché non cadrai in uno stato di stupore, non assumerai una posizione fetale e non comincerai a succhiarti il pollice, chuthu non tornerà completamentamente in questa dimensione. ma qualora ciò accadesse, lancia un dado da cento e incrocia le dita. se esce un numero da 1 80, te se inchiappettano. se esce un numero tra 81 e 99 verrai risucchiato in un mondo antropofago in cui i dinosauri e il titanic convivono serenamente. se esce 100…beh, amico mio, sappi che quello che accadrà non può essere spiegato con comuni parole umane. posso solo dirt… blurp!

    Ps: molto bello davvero il racconto 😉

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  2. cribbio! dimenticavo la quarta possibilità!
    4 un velocista mascherato ti ha risucchiato nella forza della velocità per prendere il suo posto là. ora sei condannato a rimanere lì finché un altro velocista mascherato non si scambierà con te. nel frattempo, mettete comodo. hai un mucchio di tempo a disposizione laddove il tempo è infinito. ti suggerisco di cominciare a fare le parole crociate..
    😉

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    1. Molto interessante le realtà alternative che suggerisci.Ne aggiungo due:
      5) ho assunto a mia insaputa sostanze psicotrope, aggiunte nel caffè preso al bar della stazione, graziosamente fornite da Ferrovie dello Stato per lenire il disagio dei viaggiatori causato dai puntuali ritardi.
      6) ho dimenticato a casa di mia sorella gli occhiali.
      Grazie ancora per le realtà alternative.

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  3. NO ma… mannaggialapaperaetutteleochetteinfila! Cosa mi ero giocata????
    Chiedo scusa e perdono mio Oste…
    Quando si dice ” la destinazione vale più del viaggio” ma a noi che amiamo osservare ogni granello di polvere, ecco che questa cosa ci destabilizza. Anche se ci fosse l’amore della vita e di tutte quelle future ad attendere al binario, non credo di poter vivere bene quella velocità. Peccato.

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      1. A me succede che devo per forza mettere le cuffie e allontanarmi da quella velocità con un ritmo che sia quantomeno umano. A quella velocità, se dovessi fare tutto il viaggio guardando fuori dal finestrino credo che il non ci sarebbe più spazio per i santi in cielo!

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