
Musica e Videogioco si incontrano in mezzo a un bailamme di fuoco e alieni
Xenon 2 Megablast , sviluppato da The Bitmap Brothers e pubblicato da ImageWorks nel 1989, è uno sparatutto a scorrimento verticale, tradizionale nella sua assenza di trama e un’ambientazione genericamente fantascientifica: l’unico obiettivo è lo sterminio indiscriminato di qualsiasi cosa si muova sullo schermo.
Il giocatore manovra l’astronave Megablast in ambientazioni organiche e metalliche, sovraffollato di entità dichiaratamente ostili. Il concetto dello sparatutto è molto simile al gioco della “palla avvelenata”: se ti colpisce la palla, “muori”. Negli sparatutto, il concetto è portato all’estremo: con qualunque cosa entri in contatto, muori.

Unica caratteristica distintiva nella meccanica di gioco rispetto agli altri sparatutto dell’epoca è la possibilità di invertire la direzione dello scorrimento dello schermo per un periodo limitato.
Il contatto con lo scenario non è letale se non quando si rimane incastrati in alcuni vicoli ciechi, bastardamente disseminati nei livelli. In certi punti, infatti, lo scenario presenta un bivio e una delle opzioni può terminare in un vicolo cieco. Tirando indietro la leva del joystick salviamo l’astronave, che altrimenti finirebbe schiacciata contro lo scenario dall’ineluttabile movimento di scorrimento verso l’alto.

Nulla di nuovo sul fronte artistico: seppure la grafica sia citata a esempio di eccellenza dell’epoca, il tema organico-metallico è ormai ampiamente sdoganato da R-Type della giapponese Irem dal 1987.
Altrettanto tradizionale la possibilità di aumentare la capacità di fuoco dell’astronave grazie a dei potenziamenti, ottenibili in due modi: sparando a delle capsule fluttuanti nello scenario oppure acquistabili presso un negoziante di una razza aliena imparentata al Predator e, tuttavia, dalla tirchieria tipicamente umana. La moneta di scambio sono i crediti, che appaiono sullo schermo dopo avere distrutto un’ondata di nemici. Le autentiche motivazioni di una qualsiasi guerra sono sempre economiche, anche nei videogiochi.

L’accumulazione dei crediti e l’acquisto dei potenziamenti sono essenziali per giungere alla fine dei cinque livelli di Xenon 2.
Non vi attendete un finale degno di tanta umanitaria missione ed epocale fatica: dopo avere sconfitto l’ultimo boss, una mostruosità meccanica che occupa quasi tutto lo schermo e vomita proiettili come un ubriaco rigetta al termine di un banchetto nuziale, il momento della verità è arrivato, ti aspetti un finale epico e gratificante e ottieni…dico solo che con tutta evidenza non c’era più spazio sul floppy disk.
A ogni livello successivo gli avversari diventano più ostici da abbattere e aumentano anche il volume di fuoco. Pertanto il potenziamento dell’astronave del giocatore è un elemento essenziale per potere proseguire nel gioco. Per bilanciare il livello di difficoltà, gli sviluppatori devono, perciò, curare in maniera certosina la frequenza e la tipologia di potenziamenti e dei crediti necessari per acquisirli, che vengono rilasciati dalle ondate di avversari abbattuti.
Xenon 2 fallisce nel bilanciamento di tale aspetto: il livello di difficoltà schizza oltre il confine della frustrazione e dell’umana portata, a meno di essere affetti da disturbi psicologici nella sfera del perfezionismo patologico.
Un’evidenza del mancato bilanciamento è nel fatto che, a un certo punto di un livello avanzato, se non si hanno abbastanza crediti per acquistare determinati potenziamenti, è inutile proseguire: senza tali potenziamenti, il volume di fuoco sviluppato è equiparabile alla cerbottana che spara palline di carta. In questo caso, non c’è nulla da fare se non iniziare dal primo livello.
L’elevata difficoltà è intenzionale e sbandierata nelle pubblicità come elemento qualitativo a conferma di un’azione di gioco serrata come negli “arcade”:
XENON II: HARD, fast COIN-OP QUALITY
Con tutta probabilità gli sviluppatori erano consapevoli di avere calcato la mano: ogni livello presenta ben sei punti di “riavvio” (“restart”) che, alla distruzione dell’astronave, consentono di iniziare da un punto intermedio e non tutto da capo.
Nella successiva conversione per PC di Xenon 2, premendo il tasto “F7” nel menu di selezione del tipo di grafica e, durante il gioco, il tasto “i” , si abilita un trucco che rende indistruttibile l’astronave del giocatore. Premendo nuovamente il tasto “i” l’astronave ritorna a essere distruttibile.

All’epoca dei 16 bit l’elevata difficoltà era un aspetto tipico del videogioco. Anche a difficoltà “normale” spesso gli ultimi livelli erano sfidanti e mettevano a dura prova il rispetto del secondo comandamento “Non pronunciare il nome di Dio invano”. Gli sviluppatori giapponesi ne erano fini cesellatori, degli autentici equilibristi tra la raffinatezza del Pinturicchio e il sadismo del Marchese De Sade.
Nella maggiore parte dei videogiochi nipponici la difficoltà si traduce in un fertile, per quanto impegnativo, “sbaglia e ritenta” (ritornato in auge di recente con la serie Dark Souls della giapponese From Software). Nei videogiochi occidentali è spesso frutto di un errore di progettazione, se non addirittura è un espediente per aumentare la durata del gioco.
Menace e Blood Money della britannica Psygnosis, sparatutto per Amiga altrettanto osannati dalla stampa, avevano fallito in questo aspetto essenziale. I migliori sviluppatori di sparatutto occidentali erano tedeschi, che non a caso si ispiravano fortemente ai giapponesi: Denaris era un clone di R-Type, in Apidya era evidente l’influenza di Gradius.

Non v’è dubbio che Xenon 2 è una punta di eccellenza nella tecnica audio-video dell’epoca e la stampa accoglie questa seconda incursione nel genere sparatutto dello sviluppatore britannico (il primo Xenon è del 1988) con un raro e unanime consenso: Xenon 2 raccoglie voti tra il 94 e il 97 su 100.

Il motivo di tale plebiscito per un uno sparatutto, non esente da pecche nel bilanciamento della difficoltà, ha una spiegazione che esula dal medium videogioco come potenziale di intrattenimento e rientra invece nel videogioco inteso come industria e potenziale economico.
Xenon 2 è, infatti, il casus belli di un confronto economico tra due diversi sistemi produttivi ed economici: quello occidentale, a guida britannica e statunitense, contrapposto a quello nipponico.
Gli sviluppatori occidentali lavorano prevalentemente per home computer, ormai di esclusiva produzione statunitense quali il Commodore Amiga e l’Atari ST. L’Europa ha perso questo “treno”: terminato il ciclo di vita dello ZX Spectrum, la britannica Sinclair non era riuscita a ripeterne il successo con il QL; l’olandese Philips aveva aderito allo standard informatico MSX, nato e diffusosi discretamente in Giappone, raccogliendo nel Vecchio Continente grami risultati.
In Giappone, sede di Nintendo e Sega, a parte la citata diffusione di home computer MSX (Machines with Software eXchangeability), si sviluppa prevalentemente per console.
Sono i videogiochi che fanno vendere l’hardware, perciò il confronto tra gli sviluppatori occidentali e quelli giapponesi non è per la “gloria” della migliore programmazione o della migliore grafica: chi produce i migliori videogiochi, acquisisce le quote più ampie nel mercato dell’hardware.
I ricavi dei produttori di home computer sono proporzionali alle unità vendute e altrettanto importante è la riduzione di costo per le economie di scala. I produttori di console hanno un ulteriore e più consistente fonte di profitto dal numero di cartucce prodotte per conto degli altri editori di videogiochi (c.d. “third parties”, terze parti): per ogni cartuccia prodotta per la propria console percepiscono dagli editori un compenso fisso (c.d. “royalty”). È quindi evidente quanto i giapponesi spingessero sullo sviluppo del software per le console, mentre gli occidentali, privi di questo sistema di “royalty” sulle cartucce, dovevano spingere al massimo per vendere il “ferro”.
Come si può notare dalla seguente tabella, estratta da Videogame Sales Wiki, nel 1994 gli home computer hanno perso il confronto con le console come piattaforma di riferimento per i videogiochi nel mercato meno importante ovvero l’Europa. Ancora più ampio è il divario nei mercati principali degli Stati Uniti e Giappone.
Oltre alla pubblicità, un perfetto strumento per promuovere le vendite è la stampa di settore, poco professionalizzata e, specialmente in Italia, con la tendenza a considerarsi “elite” rispetto al popolo “ignorante” dei videogiocatori.
I giovani redattori sono inclini a creare grandi aspettative (c.d. “hype”) con annunci sensazionalistici, spesso disattesi o ridimensionati al momento della pubblicazione; si entusiasmano per una grafica sfavillante (a danno della giocabilità) o si sbrodolano in tecnicismi come l’enumerazione dei livelli di parallasse (tecnica per simulare la profondità degli scenari bidimensionali).
Rileggere oggi una testata italiana come TGM (acronimo per The Games Machine), all’epoca tra le più vendute, è la prova che “non si stava meglio, quando si stava peggio”. È la prova che ogni afflato nostalgico, per quanto significativo a livello personale, è fuorviante e distorcente nella rivalutazione del passato, soprattutto in materia di videogiochi, così dipendenti dalla tecnologia anche per i contenuti oltre che per gli aspetti tecnici.
Xenon 2 è un tipico esempio di questo esercizio di nostalgia nostalgia canaglia. Tuttavia, ha dei meriti, non per le sue qualità di intrattenimento, ma nel più ampio senso del medium.
Xenon 2 è rappresentativo di quella rara capacità di visione di The Bitmap Brothers, supportata da un marketing attento alle esigenze dei clienti-obiettivo, altrimenti assente nell’industria del videogioco dei 16 bit, almeno fino alla geniale campagna pubblicitaria (solo negli Stati Uniti) di Sega ai danni di Nintendo: “Genesis does what Nintendon’t”.

Per la prima volta, infatti, per la musica di un videogioco viene coinvolto un compositore che è al di fuori del mondo dei giochi per computer: Bomb The Bass, nome d’arte di Tim Simenon.
Pubblicizzato sia nel titolo sia sulla copertina del videogioco così come in tutte le recensioni, Megablast, il singolo di Simenon, è composto attorno a un “riff” tratto dalla colonna sonora del film di John Carpenter, Assault on Precinct 13 (in Italia, Distretto 13 – Le brigate della morte).
I primi chip sonori sono molto limitati nella gestione del numero di canali e la riproduzione si basa su poche tonalità ed effetti sonori sparsi. Le musiche dei videogiochi per i primi home computer, a causa anche lo scarso spazio disponibile sui supporti, risultano gracchianti e fastidiose all’orecchio dell’ascoltatore, soprattutto se non coinvolto nel videogioco.
L’introduzione, prima del chip SID nel Commodore 64, poi del chip Paula nel Commodore Amiga, ridefiniscono la qualità dei suoni e della musica riprodotti da un computer. Nasce la “chiptune”!
In un prossimo articolo della rubrica Bit+Beat descriverò l'influenza della "chiptune" sulla musica elettronica e l'impatto emotivo sui videogiocatori.
Il brano Megablast in Xenon 2 è uno degli esempi di questa rivoluzione in corso: il suono erompe dai chip del computer attraverso le casse della televisione, il videogiocatore ne viene sorpreso per la qualità audio pressoché indistinguibile da quella che è abituato ad ascoltare da uno stereo portatile o da una trasmissione radiofonica o televisiva.
Il colpo di genio di The Bitmap Brothers è la scelta di un brano che l’anno prima si è imposto come grande successo “hip-hop”, ma anche nel mercato musicale di massa.
L’album in cui appare per la prima volta Megablast è Into The Dragon, pubblicato nel 1988, è il primo album di Bomb the Bass ed entra nella Top 20 UK (al 18° posto) e ben tre canzoni entrano nella Top 10 (fonte: Official Charts.com), restando in classifica tra le dieci e le dodici settimane.

Alla fine degli anni Ottanta, la scena “hip-hop” e “dance” è in fermento poiché i gruppi musicali si battono non incrociando le rime e le note, ma nelle aule dei tribunali, muovendo reciproche accuse di plagio e utilizzo di parti di canzoni già pubblicate.
La crescente popolarità della musica “house” è evidente nelle classifiche all’inizio del 1988: molte canzoni di questo genere diventano grandi successi, come House Arrest di Krush, Rok da House di The Beatmasters e Beat Dis di Bomb the Bass.
Beat Dis e Megablast vengono suonate al massimo volume dai diffusissimi “boombox”, noti anche come “ghetto blaster”, i tipici stereo portatili con altoparlanti integrati strettamente legati alla cultura hip-hop americana e diventati determinanti nell’ascesa di questo genere musicale.
The Bitmap Brothers affidano a un’autorità nella musica per videogiochi, David Whittaker, la conversione del brano di Bomb the Bass e il risultato è un eccellente adattamento grazie a campionamenti di qualità, che non sfigura al confronto con la riproduzione da un “ghetto blaster”.
L’effetto sui videogiocatori è devastante: abituati ad ascoltare campionamenti di bassa qualità e ripetitivi “loop” di percussioni ed effetti sonori simulati, è sbalorditivo l’ascolto di Megablast come se riprodotta da uno stereo .
L’ultimo tocco di classe di The Bitmap Brothers è la scelta di utilizzare la canzone come parte del titolo e del gioco stesso: Xenon 2 Megablast è il titolo completo e Megablast è il nome dell’astronave pilotata da giocatore.
Xenon 2 Megablast è un tale successo che viene convertito per: Sega Mega Drive e Master System, Atari ST, Acorn Archimedes, PC MS-DOS, Game Boy, CDTV.
Ricordo da piccolo di aver giocato a qualche cabinato che aveva similitudini con Xenon 2. Adoro come i giochi su caninato avessero un certo tipo di difficoltà e adoro le sfide. Questo gioco non l’ho mai provato ma un pensierino vorrei farlo.
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Lo sparatutto è la pietra angolare dei Coin-op! Da principio Pong e Break Out, poi arrivò Space Invaders e ne seguirono molti altri e in quasi tutti si “sparava”. Puoi trovare Xenon 2 nei siti di “abandonware” facilmente (anche se non so quanto sia legittimo). Senza installare nulla puoi giocarlo da browser su Internet Archive a questo link:
https://archive.org/details/msdos_Xenon_2_-_Megablast_1990
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Bellissimo post!!!
Tanti spunti di cui parlare… quello della difficoltà nei videogiochi e di come si è evoluta nel tempo per esempio è un tema su cui si potrebbero scrivere libri!
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Sulla difficoltà nei videogiochi e come può essere utilizzata per creare determinate dinamiche e stati d’animo nel giocatore, non posso che consigliarti caldamente, il post con il poco elegante titolo: Dark Souls, Bloodborne, Demon’s Souls e li mejo mortacci loro
Vale la pena anche di leggere lo spazio dei commenti.
Poi potrei anche accennarti a quando ho scoperto all’epoca dei 16 bit di essere affetto da un raro caso di ‘glossolalia bestemiatrix’ ovvero bestemmiare in lingue sconosciute sia a te, sia al resto della popolazione del pianeta, citando divinità in testi apocrifi che il Necronomicon al confronto è il Manuale delle Giovani Marmotte. Ti risparmio e solo sotto tua espressa dichiarazione di volerlo leggere te ne riporto i link.
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Letto, goduto, e commentato! :–)
Grazie! Bella la glossolalia bestemiatrix… X–D
Un amico bestemmiava (di solito cose fantasiose con la Madonna) ad ogni morte di SuperMeatBoy. Alla fine del gioco si è reso conto che sapeva il numero esatto di bestemmie dette, visto che il gioco conta quante volte muori. Almeno se devi andare all’inferno sai precisamente perché!
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Di sicuro non finisci nel girone dei bari o dei bugiardi 😂
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L’ho amato alla sua uscita, ma successivamente gli ho preferito Apydia, Project X e R-Type 2.
Ad Apydia ci gioco ogni tanto persino adesso.
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Apydia poteva per davvero dimostrare che su Amiga si poteva giocare a shump dello stesso livello delle migliori produzioni giapponesi. Project X, a mio parere, rientra tra i sopravvalutati, ma all’epoca ti lasciava di stucco (qui in giro trovi la recensione del suo seguito X-2 per PlayStation). R-Type 2 venne sviluppato da Arc Developments, che ci prendevano parecchio con le conversioni da coin-op (non come la Tiertex), mancavano alcuni armi, ma nel complesso era un’ottima versione.
Ripubblicato su PlayStation insieme al primo in R-Types è un must.
Il bello degli shump – a eccezione dei bullet hell – è che li giochi d’istinto: come li giocavi da adolescente così li giochi oggi.
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Non ci ho messo Agony che aveva una colonna sonora stupenda, però aveva dei colori che mi mandavano in confusione visto che i nemici avevano spesso lo stesso colore dello sfondo. Ed è un vero peccato perché dal punto di vista sonoro e grafico era veramente bello.
Tutto vero quello che dici, però adesso muoio molto più facilmente di un tempo. 😛
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Agony mi lasciò di pietra quando iniziò a suonare il pianoforte nella schermata iniziale. Ne scriverò nel prossimo post dedicato alla musica “chiptune”. Come shump l’ho adorato e terminato, anche se – come descrivi anche tu- sono andati al risparmio sui colori degli sprite dei “nemici”. Il gufo che si comandava (o era una civetta?) era magnificamente animato. C’era di meglio in giro come varietà di gioco, ma fondali e musica erano fuori parametro. E all’epoca ci bastava poco per saltare sulla sedia ed entusiasmarci. La musica era veramente eccezionale.
Sì è vero che oggi “muoio” più spesso, ma per grazia del DioBit hanno imparato a inserire i “continue” e i livelli di difficoltà più umani.
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