Chi ha paura dei videogiochi? #12 – Grosso guaio a Vice City


La serie Grand Theft Auto, a partire dal terzo episodio, ha inanellato un successo commerciale dietro l’altro e, con tutta probabilità, tanta popolarità tra i videogiocatori ha attirato l’indignazione di un insieme eterogeneo di esponenti politici, associazioni a vario titolo, codazzo di giornalisti ed “esperti”, che per l’approccio intransigente tipico del puritanesimo e del metodismo, non esito a definire come Esercito della Salvezza 2.0.

L’aumento di insicurezza sociale provoca l’indignazione morale e l’adozione di strategie precauzionali e repressive al manifestarsi di nuovi fenomeni per i quali non è possibile operare confronti storici. Il tema dell’insicurezza viene amplificato dai media. Tale interazione tra opinione pubblica, istituzioni e media crea la tipica situazione di panico morale.

L’accresciuta percezione di insicurezza, anche in presenza di un decrescente tasso di criminalità, è imputabile alla rarefazione delle relazioni sociali, all’indebolimento dei legami sociali, alla crisi della partecipazione politica e delle forme di rappresentanza. Tuttavia, si ricade nell’errore di individuare un gruppo, che a causa di un certo comportamento, viene considerato una minaccia dei valori e degli interessi della società; tale comportamento viene rielaborato in maniera stereotipata dai media e la conseguente semplificazione induce alla confusione tra  condizione di un individuo e il suo comportamento: chi gioca ai videogiochi con contenuti violenti, compirà azioni violente.

La serie Grand Theft Auto sembra essere fatta apposta per confermare questa semplificazione e, infatti, ogni pubblicazione di nuovo capitolo si rivela un’autentica calamita di rogne assortite. Tuttavia, sembra che anche il vecchio adagio “A cavallo bestemmiato luccica il pelo” sia cucito addosso a questa serie: ogni capitolo ha un successo di vendite senza precedenti.

GTA III è stato bersaglio di accuse di istigazione alla violenza; il capitolo seguente, GTA Vice City, pubblicato nel 2002, vi aggiunge anche quelle di discriminazione razziale; nel 2005, a un anno dalla sua pubblicazione, GTA San Andreas completa il “fil rouge” di rogne con distribuzione di materiale pornografico non dichiarato.

Nel dicembre 2003, Grand Theft Auto: Vice City è al centro di un fitto “fuoco incrociato” della comunità haitiana e cubana americane: l’accusa allo sviluppatore del videogioco, Rockstar Games, e all’editore, Take Two Interactive, è di incitazione all’odio razziale.

Il nuovo episodio di GTA è ambientato in Vice City, una città di finzione ispirata a Miami, la cui mappa si estende per ben trentadue chilometri quadrati e comprende due grandi isole e tre di minori dimensioni, collegate fra loro da un sistema di ponti. La popolazione è costituita da un’importante comunità di immigrati caraibici e latino-americani.

La mappa di Vice City

Il protagonista della storia è Tommaso “Tommy” Vercetti, un italo-americano, nato a Liberty City (la città di GTA III), e diventato fin dall’adolescenza affiliato del più importante dei clan malavitosi della città, i Fiorelli. Tommy ha evidentemente la stoffa del criminale e scala rapidamente i ranghi della “famiglia”.

Tommy Vercetti nella sua poligonale veste

Nella vita reale l’espressione “Largo ai giovani!” suona come uno stonato ritornello cantato in una landa desertica; nella vita virtuale di un videogioco l’effetto è il medesimo. Il boss Sonny Fiorelli vede nell’appena ventenne Tommy una minaccia e così decide di sbarazzarsene: incarica ben undici scagnozzi di tendergli un agguato, ma Tommy, all’oscuro del tradimento, li uccide tutti e, a causa di questo massacro, viene arrestato.

Qui inizia la storia di Vice City.

Dopo 15 anni di prigione, Tommy ha intenzione di recuperare il tempo perduto con gli interessi.

Dopo avere scontato quindici anni di prigione, senza avere mai tradito la “famiglia”, Tommy Vercetti è di nuovo in libertà. È il 1986.

L’anno è un importante tassello dell’ambientazione e della storia, poiché Vice City si ispira alla Miami degli anni Ottanta, crocevia strategico di tutta la distribuzione negli Stati Uniti per i narcotrafficanti del Sud America. Negli anni Ottanta Miami non era una città sicura.

Il film Scarface (1983) e il protagonista Antonio “Tony” Montana, in una delle più famose interpretazioni di Al Pacino, sono un riferimento utile per comprendere sia la Miami degli anni Ottanta sia l’atmosfera che Rockstar Games ha voluto ricreare in Vice City. I riferimenti al cinema spaziano da Il Padrino, a Le Iene, da Carlito’s Way a GoodFellas (Quei Bravi Ragazzi).

Tony Montana è chiaramente la fonte di ispirazione di Tommy Vercetti e, non a caso, l’attore che dà la voce a Tommy nel gioco è Ray Liotta, uno dei protagonisti del film Quei Bravi Ragazzi.

Quei Bravi Ragazzi (GoodFellas). Da sinistra a destra: Joe Pesci, Robert De Niro e Ray Liotta.

Le fonti di ispirazione sono ad autentici “mostri sacri” del cinema e Rockstar Games si è impegnata duramente per rendere Vice City un universo credibile e coinvolgente.

Vice City, infatti, si distingue rispetto a GTA III per un contenuto assai più ricco:

  • oltre novanta tracce per un totale di nove ore di musica (GTA III ne aveva tre)
  • Vice City si estende per una superficie di quasi tre volte quella di Liberty City
  • venti attori di Hollywood interpretano i personaggi
  • quaranta armi diverse (GTA III ne aveva quindici)
  • centoventi veicoli (GTA III ne aveva cinquanta) tra cui, per la prima volta, un elicottero pilotabile, imbarcazioni di vario tipo e motocicli.
Sfrecciare per le vie di Vice City con un bolide a due ruote dà le sue soddisfazioni

Il grosso guaio a Vice City scoppia a causa della rivalità tra le due gang di strada che si contendono il controllo degli affari loschi dei quartieri più poveri di Vice City, Little Haiti e Little Havana: “The Haitians” e  “The Cubans”.

Per una serie di eventi, Tommy si schiera con le bande cubane e, a partire dalla missione “Trojan Voodoo”, verrà attaccato a vista dai componenti della gang haitiana.

Nella missione “Guardian Angels” Ricardo Diaz, un barone della droga di origini colombiane, incarica Tommy di sterminare gli haitiani.

MY MONEY! Don’t just stand there you pricks, chase the Haitian dickhead down! (cit. Ricardo Diaz in GTA Vice City)

L’accanimento sia nei dialoghi sia nell’azione di gioco contro “The Haitians” dà fuoco alle polveri. La comunità haitiana insorge.

Nel videogioco gli haitiani sono effettivamente al centro di un serrato tiro all’anatra, ma è evidente che si tratta di un espediente narrativo.

Come dovrebbero allora prenderla i tedeschi visto che nei videogiochi i soldati crucchi sono stati presi a calci nel deretano quasi quanto gli alieni invasori?

Dalle avventure di Indiana Jones della LucaArts a Rocket Ranger della Cinemaware e ancora nelle serie Wolfenstein, Medal of Honor, Call of Duty e Sniper Elite, i soldati tedeschi sono costantemente al centro del mirino dei videogiocatori, sono “i cattivi” da sconfiggere, la “carne da cannone” da mandare al macello.

La comunità haitiana sostiene che nel videogioco viene ritratta con uno stereotipo di gente di malaffare ed è oggetto di discriminazione razziale.

Accuse di razzismo e, perfino, di incitamento al genocidio sono espresse dal governo haitiano per voce di Mario Dupuy, che dichiara:

“this racist game is psychologically extremely dangerous and is an incitement to genocide.”

Jean-Robert Lafortune, rappresentante della Haitian American Grassroots Coalition, dichiara:

“The game shouldn’t be designed to destroy human life, it shouldn’t be designed to destroy an ethnic group.”.

“Il gioco non dovrebbe essere progettato per distruggere la vita umana, non dovrebbe essere progettato per distruggere un gruppo etnico.”.

Take-Two Interactive, editore del gioco, ribatte che le affermazioni di alcuni personaggi fittizi nel videogioco sono state considerate fuori dal contesto e, in ogni caso, non vi è alcuna intenzione di discriminare o di offendere una comunità o gruppo etnico. Assicura tuttavia che ogni segnalazione sarà presa in debita considerazione.

“We empathize with the concerns of the Haitian community and we are giving serious consideration to them. Some statements made by fictional characters in Grand Theft Auto: Vice City have been taken out of context. There was no intention to offend any ethnic group and we take these claims very seriously.”

(cit. “Video game offends Haitians”, The Boston Globe, 12/8/2003)

Per Ringo Cayard, direttore della Haitian American Foundation, l’ultima cosa che la comunità haitiana desidera è alimentare una polemica che possa aumentare la popolarità del gioco e, con un’enfasi tipicamente da sceneggiata napoletana piuttosto che con un distacco anglo-sassone, dichiara:

“They’ve made money out of the blood and tears of a whole nation.”

Si sono arricchiti sul sangue e le lacrime di un’intera nazione

Alla comunità haitiana si aggiunge lo sdegno e la condanna di quella cubana, ritratta con lo stesso stereotipo e oggetto di medesima discriminazione

La portavoce della Cuban American National Foundation, Mariela Ferretti, sostenendo tali motivazioni per conto della propria comunità, conclude mestamente che nonostante contenuti di simile violenza, questo tipo di videogiochi riscuotono tuttavia successo commerciale.

“The saddest part of the commentary is that there seems to be a market for these kinds of violent games, regardless of who they’re aiming those guns at,”

In effetti, nel marzo 2008 le vendite di GTA Vice City in tutto il mondo ammontano a 17,5 milioni di copie ed è uno dei titoli per PlayStation 2 più venduti in assoluto.

Se le proteste della comunità haitiana e cubana americana possono passare inosservate al di fuori degli Stati Uniti, non altrettanto può dirsi dell’intervento del sindaco di New York.

Nel 2003 Michael Bloomberg, sindaco di New York, si fa portavoce dell’ondata di proteste per i contenuti ritenuti discriminatori e si unisce al coro di chi chiede che vengano rimossi dal videogioco espressioni che incitino alla violenza contro gruppi etnici.

Perché il sindaco di New York interviene al fianco delle comunità haitiane e cubane? Un filantropo, un idealista, un difensore dei più deboli?

La risposta corretta è più verosimilmente: consenso politico.

Durante i primi anni ’60 e ’70, molti haitiani emigrarono negli Stati Uniti per sfuggire al regime oppressivo delle dittature di François “Papa Doc” Duvalier e di suo figlio Jean-Claude “Baby Doc”. In tempi recenti, i disastri naturali accaduti ad Haiti hanno dato un ulteriore impulso a tale movimento migratorio.

In totale la comunità haitiana americana è pari a circa 850.000 persone (cit. U.S. Census Bureau, 2013-2017 American Community Survey 5-Year Estimates) che vivono per la maggiore parte nel Sud della Florida (Tampa e Orlando); a parte una minore presenza nelle città di Philadelphia, Washington e Chicago, gli haitiani sono presenti in forti comunità anche in Louisiana (New Orleans) e nelle città di Boston e New York.

Negli Stati Uniti d’America i cubanoamericanos sono il terzo gruppo più numeroso tra quelli di origine latina. La Florida è ancora l’area in cui si ha la concentrazione più alta di immigrati di origine cubana e dei loro discendenti. Nel 2017 si stima che oltre il 70% dei cubani americani viva in Florida (oltre un milione e mezzo di persone).

Con un popolazione di oltre 140.000 cubani americani, l’area metropolitana di  New York è la comunità cubana più numerosa al di fuori della Florida.

Con una punta di pragmatismo, l’intervento del sindaco di New York potrebbe spiegarsi con la ricerca di consenso da parte di due comunità la cui presenza nella città di New York è invero significativa, ma guadagnarsene il favore potrebbe essere importante su una scala più ampia: la Florida, in cui vi è la più alta concentrazione di entrambe le comunità, è infatti considerato storicamente uno “swing stateovvero uno Stato tra quelli statisticamente più inclini a votare per partiti diversi rispetto alle elezioni più recenti; si tratta quindi di uno Stato tra i più importanti per la vittoria finale nelle elezioni presidenziali.

Il consenso sociale e politico sono uno dei fattori ricorrenti nei fenomeni di panico morale. Si tratta di una delle motivazioni principali e costanti di questo Esercito della Salvezza 2.0 che vede nei videogiochi l’abbattimento di una piaga di biblico retaggio sulla società; in particolare modo, certi rappresentanti politici cercano di cavalcare l’onda di panico morale per ottenerne un facile consenso, basato sull’ignoranza e sull’emotività. Quando la tensione sociale va riducendosi d’intensità, sebbene la soluzione al problema non sia stata trovata, i politici tuttavia incassano il consenso.

L’ennesima causa legale contro GTA finisce davanti la Corte Federale intentata dalla Haitian American Grassroots Coalition, con sede a Miami, contro Take Two Interactive e Rockstar Games allo scopo di vietare la distribuzione del videogioco. La causa viene trasferita al Tribunale della Florida.

Potrebbe apparire un “declassamento”, se non fosse che il trasferimento è richiesto dagli avvocati di parte haitiana americana. L’orientamento giurisprudenziale del Tribunale della Florida, infatti, è noto per essere meno favorevole al Primo Emendamento. La protezione alla libertà di espressione garantita dal Primo Emendamento è la barriera contro cui si sono infranti tutti i disegni di legge e le cause legali che hanno tentato di limitare la vendita, la distribuzione e la fruizione, totale o parziale, dei videogiochi.

Nel mese di dicembre 2003, l’insieme di queste pressioni porta Take Two Interactive a rimuovere da GTA Vice City ogni riferimento alla comunità haitiana e cubana (cit. Take-Two self-censoring Vice CityGamespot.com, 9/12/2003).

Appuntamento al prossimo episodio di Chi ha paura dei Videogiochi? Sempre che non abbiate paura.

33 pensieri su “Chi ha paura dei videogiochi? #12 – Grosso guaio a Vice City

  1. ahhhhh dritto al cuore, Ramòn!
    Eccola là, Starfish Island, dove avevo la mia villa, con auto rombanti nel garage, motoscafo in rimessa ed elicottero sul tetto. Giravo in gessato e guidavo Lamborghini, e i poliziotti… muti! 😀
    Scherzi a parte, ho giocato fino allo sfinimento a Vice City, e al contrario della mia innata schiapperia credo di averlo completato al 90%, percentuale inimmaginabile per uno come me, che di solito si ferma al primo quadro di qualsiasi gioco!
    Certo, se paragonato a GTA V sembra rozzo, ma all’epoca la qualità grafica e la qualità delle auto (e moto) era da togliere il fiato. Che bello poi riciclare i soldi sporchi comprando case, ville ed attività di facciata: com’era istruttivo per l’economia reale 😀
    Comunque gli haitiani dovrebbero essere contenti: grazie a questo gioco ora sappiamo che esistono! Magari potremmo raccontar loro di noi italiani, che da più di un secolo in film, romanzi e fumetti siamo mafiosi o pizzettai. (E sebbene i cantanti lirici scappino dall’Italia e raccontino a tutto il mondo che NESSUN italiano ascolta la lirica, neanche sotto tortura, siamo tutti cantanti di opera lirica…) Insomma, benvenuti in America, fratelli haitiani, terra dove lo Stereotipo è uguale per tutti 😀

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    1. Non l’ho scritto nel post per evitare di allungare una già poco digeribile brodaglia di parole, ma visto che tu tocchi il tasto dello stereotipo “mafioso” che più volte nei miei viaggi mi sono sentito rivolgere, vado ad aggiungere qualche altro particolare.
      A parte avere contribuito a rendere l’ “open world” un contenitore videoludico di successo, Rockstar Games ha anche il merito di avere creduto per davvero al videogioco come forma di intrattenimento adulto e pertanto ha introdotto temi “maturi”. Inevitabile una semplificazione per esigenze interattive e limiti tecnici. Il recente Red Dead Revolver dimostra che un videogioco può essere più profondo e coinvolgente di un qualsiasi film western dei tempi di John Wayne. Non siamo ancora ai livelli di Soldato Blu, ma nemmeno pretendo qualcosa di simile da un videogioco.
      Per tale approccio, che è evidente nella cura con cui Vice City è un simulacro video ludico credibile di Miami degli anni Ottanta, Rockstar miscela elementi da altri medium (cinema e musica in primis) che rievocano nell’immaginario collettivo quel periodo e quell’ambientazione. Perciò The Haitians nel gioco si ispirano a Zoe Pound, una gang haitiana operante in Florida, nota per traffico di droga, furti e altri crimini tra la metà degli anni Novanta e il primo decennio degli anni Duemila. Ironia della sorte, nel 2004, appena dopo l’auto-censura di Take Two al gioco, questa gang guadagno’ gli onori della cronaca poiché numerosi membri furono arrestati. In conclusione, Rockstar ha soltanto fatto ciò che fa il cinema e la letteratura da tempo immemore: prende spunto dalla realtà e racconta, a volte cercando la verità a volte inventando.
      Anche nel cinema e nella letteratura esistono delle demonizzazioni similari, ma la “crociata” non si trasla sul medium; la dignità del medium del cinema non viene messa in discussione se un’opera promuove comportamenti anti-sociali; in letteratura non accade mai, il libro è ammantato da una sacralità e di per se’ è un valore positivo. Ecco, sarei felice che fosse considerato così anche il videogioco come medium: una forma di espressione al pari delle altre, con le sue peculiarità ma di pari dignità.

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      1. Nei primi anni Novanta mi ero appassionato al personaggio letterario di Arkady Renko (il protagonista del celebre “Gorky Park”, che ha avuto più successo nei romanzi che al cinema) e nella sua terza indagine moscovita ricordo il mio stupore nell’incontrare un personaggio che era un boss della mafia cecena. Seeee, buh, mo’ i ceceni sono così pericolosi, con quel nome… Quello che credevo una semplice trovata narrativa di grana grossa poco dopo è diventata notizia da telegiornali, e insieme al mondo ho scoperto che i ceceni esistono e hanno una eterna guerra in corso coi russi: la narrativa mi ha informato molto prima del TG!
        I prodotti pieni di stereotipi e luoghi comuni sono fenomenali veicoli di informazione. Tornato dal Giappone dove era andato a cercare idee esotiche per un suo romanzo, Ian Fleming portò i ninja in Occidente: qualsiasi verità storica era pari a zero, erano solo grassi luoghi comuni che però hanno conquistato il mondo. Non è bello, ma gli italiani sono famosi in ogni più sperduto angolo del mondo, grazie ai vergognosi stereotipi dei film: almeno siamo sulla bocca di tutti! 😀

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        1. Durante il mio viaggio in Messico che spunta periodicamente su queste pagine, i messicani ogni volta che capivano che eravamo italiani ci apostrofavano con la parola “mafia”. Ciò per dirti quanto hai ragione sul tema dello stereotipo. Aggiungi che sono napoletano e potrei scriverci un paio di post a tenermi stretto.
          Parimenti lo stereotipo del videogiocatore vive e resiste nel retrocranio della collettività, anche di chi non lo esprime apertamente.
          Se è corretto censurare GTA Vice City per la discriminazione nei confronti di haitiani e cubani, allora sarebbe altrettanto corretto che noi italiani richiedessimo la rimozione di ogni riferimento al Bel Paese da film come Il Padrino. Chiaramente è impossibile anche pensarlo (e sono d’accordo). Questo esempio da’ la misura della diversa dignità tra il medium videogioco e cinema. La motivazione è inspiegabile a livello razionale.

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  2. Zeus

    Ti dirò, in un momento di noia esistenziale avevo pensato di giocarci… forse lo faccio.
    Non so se questo o quello successivo, ma ho bisogno di un po’ di sana violenza etc.
    Vediamo, ti farò sapere.

    Comunque l’articolo arriva nel momento giusto Oste.
    E, come sempre, ben scritto.

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    1. Uheila’ Beppe! Bentornato. Io preferisco Vice City per ambientazione e tematiche del traffico di droga, chiaramente sono influenzato anche dalla mia passione per il Centro e Sud America e letture sui narcos. San Andreas è prevedibilmente un passo avanti come contenuti, ma il tema delle gang afro-americane è più lontano dai miei interessi.
      Se puoi, prova GTA IV, la storia dell’immigrato serbo Niko Bellic che insegue il “sogno americano” è favolosa.
      Grazie per la visita e i tuoi complimenti mi fanno particolarmente piacere.

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      1. Zeus

        Quindi meglio Vice City per ambientazione e San Andreas per certe logiche di gang e “miglioramento generale”.
        Dovrò vedere.
        GTA IV? Se lo trovo, lo proverò! Questo sì. Mi sa che una volta o l’altra (ri)casco dentro il mondo subdolo dei videogame. Ho tempo da buttare ormai… ahah

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        1. Per la ricaduta nel mondo subdolo del videogioco avrei immaginato per te più un God game alla Popolous 😂
          L’open world personalmente non mi induce alla sindrome del FUEPS. Dopo un po’ perso il filo e inizio a vagare come un derelitto. Certo che se vuoi ricascarci GTA è un buon punto di partenza, sopratutto perché puoi strafregartene della storia e fare un po’ come ti pare.

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            1. Il IV l’ho provato mezza volta prima di prendere la PS3 ma ci ho messo circa 2 minuti a mandarlo a cagare e riconsegnare il controller a mio cugino. A differenza dei precedenti titoli, hanno appesantito tropo le macchine, per un effetto più realistico ma che non mi è proprio piaciuto.

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  3. The Butcher

    Quando ero piccolo ho giocato a Vice City e mi sono divertito tantissimo. Ricordo anche di come abbia riempito un intero foglio di appunti su come sbloccare i trucchi. Mi sono veramente divertito e non ho mai fatto fuori qualcuno dopo averci giocato 😉

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  4. È sempre bello leggere di queste accuse deliranti 😁
    Il detto del cavallo non lo conoscevo 😂
    Tra le tante citazioni ai film, ti sei dimenticato quella di una serie TV di quegli anni, Miami Vice (il nome della città prende ispirazione dalla serie, se non erro).
    Non ho capito bene sulle modifiche. Riguarda le nuove edizioni? Quindi chi lo ha preso all’inizio ha la versione con “discriminazioni”? Penso di averlo preso al day one. O vale solo per la distribuzione a Cuba e Haiti?

    Comunque mi hai fatto tornare la voglia di giocarci, nonostante sia open world e non giochi più alla saga proprio da questo titolo. Parliamo del mio capitolo preferito!

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    1. Non ho citato Miami Vice che sicuramente è una delle fonti d’ispirazione. Mi sono soffermato solo sui film e ti ringrazio per averlo citato tu.
      Le modifiche riguardano solo le edizioni successive al dicembre 2003: se clicchi sul link all’articolo di Gamespot citato, Take Two non si esprime sulle copie già distribuite. Se hai una copia acquistata al Day One hai tutti i contenuti originali. Le modifiche hanno riguardato tutte le edizioni distribuite in formato PAL e NTSC.
      Cosa buona e giusta se il mio sproloquio ti ha fatto venire voglia di rigiocarci 😜

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  5. Denis

    Tra l’altro gli altri doppiatori del gioco sono Burt Reynolds (r.i.p), Fairuza Balk, Philip Micheals Thomas.
    E l’ultima della serie dove facendo missioni per una gang l’altra ti sparava a vista, se arrivavi a un tot di stelline c’erano pure Sonny Crocket e Tubbs che ti inseguivano in con il Testarossa bianco, in una missione dove sulle pareti c’erano schizzi di sangue del bagno nella vasca con il protagonista diceva” sono passati i colombiani” chiaro riferimento alla scena della motosega di Scarface nel prequel Vice City Stories ambientato due anni prima nel ’84 si usa il fratello di Vance, che il nero pelato che muore ucciso all’inizio di Vice City all’aeroporto con la partita di droga persa in agguato.
    Anche Bully e un bel gioco della Rockstar poco conosciuto.

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    1. GTA è ricco di citazioni sia a film sia agli stessi titoli della serie. Complicato per chi non li ha giocati. Rockstar Games fa un gran bel lavoro sulla verosimiglianza e continuità. Cosa che nel cinema spesso non accade, con fandom che vengono azzerati anche dagli stessi autori (vedi Scott con Alien).
      Bully è il titolo della versione USA, in Europa è Canis Canem Edit. Altro titolo controverso, peraltro su un tema attualissimo quale il bullismo nelle scuole. Altro titolo minore e al centro di critiche accese è Manhunt. Sollevo’ un putiferio per la crudezza e brutalità delle uccisioni. GTA al confronto è un gioco per educande 😂. Bully è un buon gioco, Manhunt – a mio avviso – non lo è.
      Una volta compreso che Rockstar fa giochi con temi “maturi” (non a caso il PEGI e l’ESRB lo indicano), la questione è analoga a quella dei film: è un gioco/film valido o una schifezza?

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      1. Denis

        Allora secondo me Ridley Scott con Alien ha fatto in pratica un reboot, come ha fatto prima Bryan Singer con gli X-Men, il titolo è proprio Bully anche in Europa, forse Caanis Canem Edit (cane mangia cane) è rimasto forse per la versione Ps2 ma su Wii e Xbox 360 si chiama proprio Bully in realtà nel gioco il protagonista e contro i bulli aiutando i secchioni.
        Manhunt l’ho finito parla in pratica degli snuff movie sarebbe un gioco stealth nella pratica, ma il putiferio nasce con il secondo capitolo che in effetti è censurato.
        Ti do ragione su tutto ma penso che si stiano spostando sul multiplayer perchè e molto più remurativo e di fatto i giochi hanno molto guadagnato con filmati cinematografici come impatto m a perso in giocabilità e guartdando la classifica delle vendite sono quasi sempre 3 titoli multiplayer a cadenza annuale, un pò come i film si supereroi fotocopie di quello dell’anno prima ma sempre premiati dagli incassi

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        1. Bully è il titolo originale della versione USA per PS2, Canis canem edit è il titolo della versione europea PS2.
          Il titolo delle versioni Wii, XBox 360 e Windows è infatti “Bully Scholarship Edition” (io ho la versione Wii, che sembra essere la versione più stabile tra questi 3 porting) e si tratta di un’edizione “remastered” con grafica e altri elementi migliorati; ogni porting è stato sviluppato da team di sviluppo Rockstar differenti da Rockstar Vancouver, che ha realizzato l’originale per PS2. Praticamente quattro giochi versioni differenti, tanto che la versione Wii (che ho io) è la più stabile delle altre due, nonostante siano per piattaforme decisamente più performanti.

          Il cambio del titolo in Europa è nel tentativo di rendere meno esplicito il riferimento al tema scottante del bullismo e sicuramente foriero del solito codazzo di critiche e proteste da chi sopratutto non ci ha mia giocato, altrimenti avrebbe capito che è un gioco contro il bullismo!
          Però, con la solita ironia strafottente che contraddistingue Rockstar Games, hanno giocato sul titolo: hanno rovesciato l’epsressione “Canis canem non edit” che viene spessp citata erroneamente,invece della corretta locuzione latina “Canis canem non est” (“Cane non mangia cane”).

          Bully è un gran gioco.Manhunt (il primo) non mi ha mai attirato, sia per meccaniche, per una tecnica, sia per tema. Ecco Manhunt è uno di quei rarissimi giochi per cui la violenza brutale e fine a se stessa diventa protagonista. Se fosse stato un flim non mi sarebbe piaciuto, se fosse stato un libro non lo avrei termintato di leggere, un videogioco così non mi va proprio di giocarlo.
          L’unico “merito” di Manhunt è l’ennesima figuradimmerda che fece fare al solito Jack Thompson: secondo questo luminare del Foro statunitense, Manhunt è la causa della uccisione della quattordicenne Stefan Pakeerah, assassinato dal suo amico diciassettene Warren LeBlanc. La madre della vittima dichiarò che LeBlanc era ossessionato da questo videogioco, Manhunt. In realtà, LeBlanc non vi aveva mai giocato né lo aveva mai acquistato; era la vittima, la povera figlia uccisa ad averne una copia.
          Manhunt 2 fu bloccato in tantissimi Paesi,che addirittura rifiutarono di darne un “rating”. In Italia, Gentiloni ne bloccò la distribuzione per eccesso di contenuti violenti. Non ci ho mai giocato nè avverto la curiosità di provarlo. Per me Manhunt è un’operazione alla Hostel: nichilista, scrittura insulsa, trama più sottile della carta velina e insensata fino al midollo, nel compesso sgradevole e da encefalogramma piatto come il sesso di una bambola.
          Sono d’accordo con te che Rockstar si sta spostando sul multiplayer GTA online sta facendo ancora sfracelli, Red Dead Online è ancora in beta ma prevedo altrettanto delirio.
          Ho lasciato in ultimo il discorso del”reboot” perché sono stato senza pietà verso Scott e il suo Alien Covenant. Se sei curioso, puoi leggerlo qui, già il titolo la dice lunga:
          Alien Covenant, Ridley Scott nello Spazio ti vorrei lanciare

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            1. Ahahah! Manhunt non mi piace come concept, tecnicamente trascurabile, preferisco Doom e gli FPS se devo andare in giro a compiere genocidi a titolo gratuito. Comunque anche se fosse stato tecnicamente da mascella a terra, lo avrei lasciato sullo scaffale al pari dei giochi di caccia alla Deer Hunter. Come puoi notare dai miei sproloqui, riconosco i meriti a Rockstar Games (sebbene non mi strappi le vesti per GTA), ma con Manhunt si sono fatti prendere la mano. Sono sempre contrario alla censura e quindi non avallo il divieto in Italia e in altri Paesi, ma la trovo un’operazione di taglio grossolano. Aggiungi che lo stealth lo sopporto in rari casi (anche perché sono rari i casi in cui riesce bene) e per me Manhunt è uno dei rari videogiochi che non raccoglierei nemmeno sul fondo di un cestone delle offerte speciali.
              Chiaramente è una questione di gusti, Ema. Sono perciò curioso di leggere cosa ne pensi.

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  6. Grandissimo giocone Vice City ! Non l’ho certamente finito ma è l’ultimo di quella saga che ho giocato. Poi mi son perso… Paradossalmente quando GTA è diventato un “top player” dei videogames, io mi sono un po’ allontanato: troppo “profondo” per i miei gusti, troppo “infinito”. Tuttavia l’ho messo da parte per quando diventero’ miliardario e starò a casa a scaricare pile del joypad come se non ci fosse un domani 🙂

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  7. Meraviglioso articolo, anzi lo definirei un vero e proprio reportage che, per chiunque si interessi di videogame, offre molti spunti di interesse.
    Quando giocai a GTA Vice City ero “poco più che un pischello” e ignoravo tutta la diatriba relative alle due comunità coinvolte (con tanto di causa legale innanzi ad un Corte Federale). Molto interessante la tua spiegazione su politici più o meno arrebbanti dediti a cavalcare l’onda del consenso in queste nuove crociate del terzo millennio.
    Quanto al gioco, è il GTA (insieme al Saint Andreas) al quale sono più affezionato. Non ho potuto leggerne tutti i riferimenti cinematografici perché all’epoca non avevo visto nessuno di quei grandi gangster-movie che poi avrei adorato in seguito. Anzi, quando ho visto la prima volta Scarface mi sono detto tra me e me “ma questo è Vice City!” E’ incredibile come Rockstar sia riuscita a ricreare l’atmosfera anni ’80 (e parliamo di un gioco di sedici anni fa!).
    Una menzione d’obbligo per la colonna sonora, semplicemente spettacolare.

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    1. Grazie per il “meraviglioso” e per definire questa spiegone a puntate come un “reportage”; nato come un discorso da chiudere in un paio di puntate, mi sono ritrovato invischiato in un'”indagine” questa volta personale e non pre-confezionata dalla stampa. Mi sono appassionato e per quanto ne avessi già letto dalle riviste dell’epoca, ho ottenuto un collegamento inaspettato tra il fenomeno del “panico morale” e l’evoluzione della critica ai contenuti violenti dei videogiochi, che rende tutta la sgaloppata sulla tastiera a uso non solo del videogiocatore, ma anche del non-videogiocatore. Ma il non-videogiocatore – a parte rari casi qui – non se n’è nemmeno accorto, anzi ha evitato di leggere questi post perché contiene la parola “videogiochi”. Da scartare a priori nemmeno contenesse un germe virulento. Ecco – parte un legittimo e sacrosanto esercizio delle proprie preferenze e libertà di leggere ciò che si desidera – il videgioco sconta una sorta di “ostracismo” culturale, che a volte è espresso, come nei casi citati nei precedenti 12 episodi, più comunenmente non lo è, ma è cova sotto un sostrato di pensieri e opinioni spesso generate da informazioni errate e pregiudizievoli.
      Rockstar con GTA nel tempo ha creato un’immensa opera citazionista che contiene sia elementi di altri medium sia all’interno della serie stessa. Come operazione è da lodare e la formula “sandbox” è stata una scelta vincente e implementata secondo le aspettative del cliente-videogiocatore. La prova di questa corretta interpretazione è che l’open world è ormai una soluzione trasversale tra i generi videoludici e diffusissima (anche troppo per le mie preferenze).
      Infine hai ragione a evidenziare la straordinarietà della colonna sonora: una selezione – anche questa ricchissima – che è un altro tassello importante per ricreare la verosimiglianza delle “situazioni” e dell’ambientazione. Semplicemente fuori parametro anche comparata con certa pochezza di produzioni cinematografiche.
      Grazie ancora per l’apprezzamento.

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