Miami con DJ – Ep.3: The Airport


Il nostro viaggio a Miami con due nanerottoli e un cane

I bagagli sono pronti? Controllato i passaporti? Pagati i quattordici dollari a cranio per l’ESTA?

Sì, perché se uno va a casa d’altri, se non ha ricevuto l’invito, come minimo fa una telefonata di cortesia e avvisa dell’imminente visita; così, se volete recarvi in visita negli Stati Uniti, occorre avvisare. Certo che se un mio amico mi chiedesse dodici euro a testa prima di fargli visita, gli proporrei di andare direttamente in pizzeria. Un paio di bottiglie di vino, una vaschetta di gelato, un vassoio di dolci mi sembra buona creanza, ma negli Stati Uniti rischi che facciano anche storie.

Il giorno della partenza è finalmente giunto. Viaggiamo leggeri, solo bagagli a mano: un trolley e uno zaino a testa. Lo zaino sulle spalle dei due nanerottoli li fa somigliare a un legionario romano in assetto di marcia. Chi ha inventato i trolley ha sicuramente avuto un’idea geniale, peccato però che non abbia calcolato la traiettoria erratica di un nanerottolo al seguito: incapaci di seguire una linea parallela ai genitori, il bipede dalle gambe corte tende a finire in rotta di collisione con quella del bagaglio su rotelle. Dopo avere evitato un paio di collisioni, ma essere stato investito da altrettanti “avvisi acustici” da parte dell’adulto, al nano scatta l’istinto dell’anatroccolo: aggancia il manico esteso del trolley e si accoda.  L’improvvisata carovana è così composta: papà con zaino in spalla, secondo zaino (del nano) nella mano sinistra, mano destra che trascina il trolley con rimorchio di un metro e venti per circa venti chili di peso (incluso zainetto sulle spalle del nano). Da anatra a portatore Sherpa.

L’aeroporto è il consueto brulichio di gente, luci, bagagli, un odore che va dai profumi dei duty-free e i panini riscaldati dei bar e fast-food. In mezzo a questa bolgia, ho tre soli pensieri: direzione verso il gate d’imbarco, formazione a testuggine della legione familiare, nani da tenere entro un raggio di un tackle.

Dopo un fallito tentativo di liberarmi della zavorra diversamente alta indicandogli una deviazione del finger verso un altro aereo (destinazione ignota per evitare ripensamenti), varchiamo la soglia dell’aeromobile che ci porterà dall’altra parte del mondo. Sorrisi di rito da parte del personale di volo, nano davanti, trolley dietro, mi trascino come un granchio sulla battigia lungo lo stretto corridoio ritualmente ingolfato da una particolare genìa di passeggeri: quelli che cercano di infilare il proprio bagaglio nella cappelliera convinti che un cammello possa per davvero passare attraverso la cruna di un ago.

Occupiamo una fila centrale in formazione:

1 – ½ – ½ – 1

Nani al centro, mamma e papà ai lati.

Tale modulo evita ai genitori di rimanere in inferiorità numerica, sopratutto in occasione dei fulminanti contro-piede dei nani. Quando i nani prendono l’iniziativa, le ali rientrano in difesa a coprire gli spazi.
Zdenek Zeman sarebbe fiero di me.

I nani hanno già ricevuto il battesimo dell’aria all’età di due anni e si comportano come degli habitué.

D’altronde si ritrovano un papà che ama volare.

Io amo volare. A volte lo faccio anche senza le ali e l’atterraggio non è sempre dei più morbidi. I risultati li avete sotto gli occhi, sopra lo schermo. Non so come né perché, né ho sufficienti neuroni sani per soffermarmi sui rischi del volo (e la sua paura). Mi rapporto al volo come un crociato folgorato dalla Fede sulla via di Damasco (per quanto oggi a folgorarlo non sarebbe la Fede ma un razzo israeliano, russo, turco o siriano).

Se dovessi reincarnarmi, spererei di farlo in uno di quei piloti strafighi accompagnati da hostess strafig…Eh? Dite che non funziona così la faccenda della reincarnazione? Allora desidererei reincarnarmi in un’aquila reale, andrebbe bene anche un falco pellegrino. Entrambe le specie sono in via di estinzione. Va bene anche una cinciallegra.

Ebbene se provate piacere è naturale che vi venga voglia di trasmetterlo. L’effetto tam-tam (ma il cuore non faceva “tum-tum”?). Sembra che ci sia riuscito con i miei due nani.

Diego e Jacopo sono eccitati per il viaggio, ma non mostrano ansia per l’imminente decollo. Subiscono il mio consueto pippone sul modello di aereo, elementi di fluido-dinamica, un’infarinatura sulla portanza e lo stallo, rullaggio, flap e alettoni. Sono tra i pochi passeggeri che degnano di attenzione l’assistente di volo mentre spiega le misure di sicurezza. Diego mi pone una sola domanda: consapevole della sua statura, mi chiede se è abbastanza lungo il tubo della maschera dell’ossigeno. Lo rassicuro dicendo che se vede scendere la maschera dell’ossigeno, è meglio che inizi a recitare una preghiera.

I motori iniziano a sibilare, l’aereo si muove e inizia a scivolare sulla striscia di asfalto in direzione della pista autorizzata per il decollo. Questo viaggio in AirBUS è più tranquillo di quello su un AutoBUS: meno calca, meno buche, meno frenate brusche, nessun permesso, permesso…scende alla prossima? Devo scendere, permesSLAM! Portata in faccia.

Si scende alla prossima.

Onda sonora consigliata: The Airport Song – The Byrds

To be continued

Indice degli episodi di Miami con DJ Stories

13 pensieri su “Miami con DJ – Ep.3: The Airport

  1. Zeus

    ” Lo rassicuro dicendo che se vede scendere la maschera dell’ossigeno, è meglio che inizi a recitare una preghiera.” per me, con questa, hai vinto ahaahahahah 😀
    Comunque Zeman sarebbe sicuramente fiero, anche perché mi sembra che il tuo gioco sia votato all’attacco e quindi il santo protettore delle goleade (in entrambe le porte) ti guarda con occhio benevolo.

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    1. Vola responsabile. Se ti metti alla guida di un aereo, non bere. Nemmeno una birra.
      Per questo motivo io non piloto, ma faccio il passeggero.

      PS:
      Mitico Simpatia Zeman! E’ un piccolo omaggio a uno dei pochi personaggi del calcio recente sportivamente sano.

      "Mi piace"

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