Sea of Solitude, la Solitudine dei Videogiochi Indie


Sea of Solitudie: siamo sicuri di essere davvero soli?

Chiedo venia a Paolo Giordano per essermi ispirato al titolo del suo noto romanzo (che sembra non abbia nemmeno scelto lui, ma l’editor di Mondadori) per introdurre Sea of Solitude. Questo videogioco è un’opera ad alto contenuto autoriale e quindi merita anche un incipit coerente.

Il migliore momento della conferenza di Electronic Arts in occasione dell’E3 è quando una donna, visibilmente emozionata, appare sul palco. Rappresenta uno studio indipendente berlinese, Jo-Mei Games, la donna è Cornelia Geppert ed è l’autrice del gioco.

Cornelia è emozionatissima, ha di fronte una platea affollata di persone verosimilmente competenti ed esigenti: è un palco d’eccezione, non può sbagliare. Prende un bel respiro e inizia a parlare di Sea of Solitude in un marcato accento tedesco: mi ha strappato anche qualche sorriso, non perché io sappia parlare la lingua inglese meglio di lei (anzi, ho una pronuncia  terribilmente napoletana), ma perché pronuncia “th” come una “z”: così “this” suona “zis” e “those” suona “zos”, il tutto con una timbrica “crucca” nel cliché del personaggio tedesco nelle nostre barzellette.

Il discorso di Cornelia emoziona, la sua emozione contagia chi ascolta, tocca il cuore e l’anima. 

Quando gli umani soffrono troppo di solitudine, diventano dei mostri. È quello che è successo a Kay. Ma non è da sola: questo oceano è pieno di creature come lei. Trovarle potrebbe essere la chiave per tornare come prima.

Così si viene a conoscenza che Sea of Solitude è un’opera alla quale l’autrice è profondamente legata sul piano personale. Nel dichiararlo, le parole non suonano forzate e frutto di un calcolato comunicato di marketing, ma vere.

Il tema principale è la solitudine, il gioco trae ispirazione da un trascorso personale dell’autrice.

Sea of Solitude: Kay, la protagonista.

La protagonista di Sea of Solitude è Kay una giovane donna che vive in un mondo oscuro pieno di tristezza, rabbia e frustrazione. Creature mostruose popolano il mondo di gioco: una volta erano umane, ma queste condizioni di infelicità le hanno rese grottesche, se non addirittura spaventose.

Dal trailer proiettato sul grande schermo si è potuto comprendere poco sul genere di interazione scelta: si intuisce una corposa componente esplorativa, fasi “platform” e la presenza di antagonisti di dimensioni titaniche.

Sea of Solitude: un mondo sommerso che nasconde memorie e non improbabili tesori

Più chiara e intrigante la scelta estetica: colori chiari, uniformi si alternano a tinte cupe con un tratto che ricorda il “cel-shading” e quindi il disegno a mano libera. Una scelta che fa breccia nella curiosità e amplifica l’attesa poiché è forma del contenuto dichiarato dall’autrice: il codice dei colori e il tratto sono la metafora di quella condizione d’infelicità profonda, in cui agli abissi della solitudine si alternano sprazzi di speranza e ricadute di frustrazione.

L’esperienza personale dell’autrice non è un pretesto calcolato da strategie di marketing (non solo, almeno), ma è autentico; vi si può riconoscere lo stesso iter dello scrittore, che grazie a una sua esperienza riesce a costruirvi intorno un racconto e ha successo nel coinvolgere totalmente il lettore perché quell’esperienza è parte anche della sua sfera personale.

Per quanto all’E3 non si sia visto molto della sua giocabilità, vi sono tutte le condizioni per pensare che Sea of Solitude sia uno di quei titoli di matrice autoriale, intendendo non già una spocchiosa etichetta “per pochi eletti”, ma in quanto inconsueta forma espressiva in cui l’estetica rimanda ai contenuti e i contenuti rimandano al giocatore e alla sua esperienza al di là dello schermo.

Dopo l’E3 è stata pubblicato un video del “gameplay” e un’intervista a Cornelia Geppert. Nell’intervista (è possibile attivare i sottotitoli in inglese), Cornelia, decisamente più a proprio agio che sul palco dell’E3, spiega alcuni dettagli che elevano il potenziale di interazione a livelli davvero inconsueti per un videogioco.

Kay è in uno stato di solitudine che l’ha trasformata in un “mostro”. La storia è la ricerca di ciò che le è accaduto e di come potrà impossessarsi di nuovo della sua umanità.

Il mondo intorno a Kay è sommerso dalle acque ed è per lo più disabitato, a eccezione di alcune creature mostruose. Contrariamente a quanto accade nei videogiochi, l’obiettivo non è di distruggerle, anzi potranno essere di aiuto per capire cosa è successo a Kay.

I “mostri”, infatti, non sono ostili,  ma possono essere involontariamente pericolosi, come lo sono gli animali selvatici quando si sentono minacciati. Queste creature hanno anch’esse bisogno di aiuto per capire l’origine della loro sofferenza che le rende così mostruose. Perciò, tra Kay e le creature si instaura un rapporto di vicendevole collaborazione.

Un rapporto davvero raro nei videogiochi, se si esclude il recente The Last Guardian, altro titolo d'”autore”, esclusiva per PlayStation e opera di Fumito Ueda, in cui tuttavia la collaborazione tra l’enorme creatura e il piccolo avatar del giocatore impone in alcuni frangenti il combattimento contro altre creature ostili.

The Last Guardian (PlayStation 4)

Cornelia spiega che il livello dell’acqua della città sommersa è collegato con le emozioni di Kay e dei “mostri” (più sono felici, più si abbassa il livello dell’acqua) e che le differenti condizioni atmosferiche (utili per individuare la presenza di una creatura) condizionano il livello di pericolosità durante l’esplorazione. La luce del sole, chiaramente, è sinonimo di maggiore sicurezza.

Altri piccoli dettagli indicano quanta passione e anima gli sviluppatori vi stiano riversando.

La canzone scelta come colonna sonora nel trailer è una strepitosa “cover” di I Tremble for You cantata da Johnny Cash, scritta da quest’ultimo e Lewis Dewitt.

A parte l’interpretazione che è da ascoltare, il testo – che riporto di seguito – è perfettamente calzante a quanto descritto nella presentazione, sia a parole, sia per immagini.

This world that I live in is empty and cold
The loneliness cuts me and tortures my soul
I’m no child of destiny and no fortune’s son/
I’ve just chased you so long now I’m too weak to run
A new day is here but nothing is new
Alone in my room I tremble for you

Un altro tocco di classe è contenuto nel titolo Sea Of Solitude: l’acronimo, infatti, è  “SOS”, il segnale universale di richiesta di aiuto. Joi-Mei Games e Cornelia chiedono aiuto al giocatore per Kay?

Io ci sarò.

A meno che lo sviluppo venga funestato da interferenze di Electronic Arts (sempre nefaste a giudicare dai trascorsi con altri sviluppatori), quando verrà pubblicato Sea of Solitude sarò lì a tendere le mie mani, strette intorno al joypad, per aiutare Kay a riemergere dal suo stato auto-distruttivo. Solitudine, sconforto e abbandono sono stati che vanno combattuti e, una volta sconfitti, vanno accolti, non respinti, proprio come si accoglie la gioia o la speranza.  Attraverso un viaggio in una città sommersa, popolata da creature grottesche, Sea of Solitude racconta della condizione umana anche nelle sue sfumature più tristi, della lotta contro “mostri” che spesso ci portiamo dentro, della gratifica di avere imparato a conviverci.

La pubblicazione di Sea of Solitude è attesa per un non meglio definito “inizio del 2019”. 

24 pensieri su “Sea of Solitude, la Solitudine dei Videogiochi Indie

    1. Si, vi sono esempi di narrazione più articolata e densa nei videogiochi, ma spesso a farne le spese è la limitata interattività (ad esempio To The Moon raccontato pure tra queste pagine). Il risultato di per se’ è pienamente soddisfacente, ma per una platea abbastanza ristretta di videogiocatori. Questo SOS invece appare mescolare interattività e contenuti con equilibrio. Impressioni chiaramente, vedremo quando verrà pubblicato. Una cosa è certa: vale la pena di attenderlo.

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    1. Già all’E3 SOS si è fatto notare, vuoi perché la conferenza EA è stata una delle più fiacche di tutte, vuoi perché in qualità di indie non si confronta con i titoli tripla A presentati da Sony per esempio.
      Dopo l’intervista e i nuovi dettagli che sono stati forniti, è diventato uno dei titoli che attendo di più per le ragioni che trovi nel commento a Silviatico.
      Ho appena terminato Finding Paradise, il seguito di To The Moon, si conferma un bellissimo ed emozionate titolo, ma l’integrazione è davvero limitata all’osso. Nell’intervista si può desumere che in SOS la narrazione non soffocherà l’integrazione, anzi sarà interconnessa. Il team conta una decina di elementi, forse pochi per l’obiettivo che si pongono, io incrocio l’incrociabile.

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    1. Ah beh mi piacerebbe la leggesse. Ho apprezzato moltissimo questa sua sincera emozione di essere su quel palco al contrario di molti altri relatori. Interpreta la mia personale passione, se vuoi fanciullesca meraviglia quando approccio un videogioco, ma anche quelle rare volte che riesco a condividere de visu la mia passione di scrivere.
      Spero riescano a raggiungere gli obiettivi prefissati. I miei soldi sono già sul tavolo.

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  1. Sembra un gioco bello e poetico, molto affascinante.
    Ti ricordi che qualche tempo fa ti ho accennato a giochi di ruolo (da tavolo) insoliti – senza master o con altre particolarità?
    Bene: alcuni di quei giochi hanno approcci alla storia simili a quella di questo gioco: intimismo e introspezione, con o senza l’avventura intorno 🙂

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      1. In Solipsist, i personaggi sono “risvegliati” che cercano di usare i loro poteri per trasformare il mondo in modo che si accordi alla loro visione dell’utopia ideale, qualunque essa sia. E ogni personaggio ha la sua visione…
        Nota: al di là dei disaccordi di visione, ci sono tanti pericoli, nel voler trasformare il mondo. Comunque, potrebbe essere un po’ filosofico…

        In Mars Colony (per due persone, master e giocatore) si gioca a essere la persona incaricata di salvare una colonia su Marte dai disordini. In che modo farlo, lecito o illecito, deve deciderlo il giocatore.

        In La mia vita col padrone, i giocatori sono i servi di un maligno Padrone, che li spinge a fare le peggiori porcate per i propri scopi, finché l’amore per gli altri e lo schifo in cui devono sguazzare li spingerà, prima o poi, alla ribellione. Forse è meglio per nanerottoli meno nanerottoli…

        Cani nella vigna ha per protagonisti ragazzi e ragazze in un west in cui la religione diffusa è ispirata al primo mormonismo; i pischelli hanno il compito di stabilire se i comportamenti degli abitanti delle città che visiteranno saranno affini alla dottrina oppure no (p.s.: non esiste realmente una dottrina da spiegare ai giocatori. In pratica, sono loro a imporre la morale tramite i loro personaggi).

        Questi sono quelli che ho io, ce ne sono altri che non ho letto e dovrei informarmi. Ho altri giochi con meccaniche particolari, ma non vanno a sviluppare necessariamente dei temi profondi (pur non impedendo che accada).

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    1. Il videogioco può essere un mondo per tutti, ormai esistono giochi di ogni genere e che non vanno necessariamente a concentrarsi sull’abilità del giocatore: a fianco a enigmi folli e a bersagli da colpire – o nemici da sconfiggere – possono esserci storie avventurose o profonde, atmosfere meravigliose o grandi temi.
      A volte richiedono del tempo, però… 😛

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    1. Un po’ presto capire come riusciranno a implementare il gameplay. Per ora si è visto poco in azione è molto a parole e intenzioni. Non è chiara in particolare l’integrazione con le creature la cui impostazione mi ricorda Shadow of the Colossus (Fumito Ueda ricorre come fonte d’ispirazione). Ma mentre SoC è incentrato sul combattimento con le creature, in SOS fanno intendere che non sarà così, se non in misura marginale (quando l’autrice dichiara che le creature possono essere involontariamente pericolose).
      Ciò premesso la componente esplorativa è prevalente e dovrebbe esserlo ancora di più che in TR, chiaramente in uno scenario assai più limitato in dimensioni e varietà.
      Meglio così visto che sono poco più di 11 persone: più piccolo il mondo, si auspica si concentrino sulle meccaniche perché l’obiettivo è ambizioso: una tale profondità narrativa che entra e modifica anche la giocabilita’ è cosa rarissima.

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  2. Ho visto solo il film e nonostante Marinelli che adoro, l’ho trovato un’emerita merda. Penso che Giordano sarà più offeso da quel film piuttosto che dalla tua citazione 😝

    Trama e atmosfere mi attirano molto, l’ambiente tridimensionale non tanto, mi ricorda troppo Journey che come sai è uno dei rari indie che non sono mai riuscito a farmi piacere.
    Vedremo, tanto al momento non ho manco una PS4 (che probabilmente arriverà a gennaio per RE2).

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    1. Ha dei punti in comune con Journey, ma ci intravedo anche le opere di Fumito Ueda, Shadow of the Colossus e The Last Guardian in particolare. L’approccio – tutto da confermare – alle creature gigantesche non è guerrafondaio (come in SoC) almeno nelle dichiarazioni dell’autrice.
      L’esplorazione invece ricorda parecchio Journey anche se più densa di cose da fare. In Journey il leit motiv era il viaggio, qui il viaggio è anche introspettivo e dovrebbe influenzare e le meccaniche interattive e viceversa. Comunque davvero troppo presto per dirlo.

      Per quanto ne abbia abbastanza di una Capcom che butta dentro remake a nastro, RE2 sembra “buttare” davvero bene. Spero solo che non sia un titolo a prezzo pieno, altrimenti aspetto la consueta riduzione fisiologica.

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