Chi è il Player One? [Parte 3] – La Rivoluzione Arcade al femminile


La percezione che il videogioco sia sopratutto nelle corde della popolazione maschile è consolidata. Come evidenziato nel post precedente, dalle origini a oggi le donne sono parte attiva nella creazione dei videogiochi, ma altrettanta partecipazione è come videogiocatrici: hanno avuto un’importate ruolo nella “Rivoluzione Arcade” e tuttora rappresentano una parte rilevante di videogamer.

Il videogioco arcade Ms. Pac-Man è accreditato come il primo a essere riuscito ad attirare le donne nelle sale-giochi (“arcade” in inglese) e a un passatempo tradizionalmente ad appannaggio degli uomini.

Ciò non sorprende poiché Ms. Pac-Man è uno dei videogiochi di maggiore successo sia per volume di vendite sia per durata nel tempo. Distribuito da Bally Midway nel febbraio 1982 nelle sale-giochi americane, è stato convertito per ventotto diverse piattaforme di gioco e computer. La “first lady of video games” – così soprannominata da Bally Midway  – è un’ambasciatrice dei videogiochi a gettone: con 117.000 unità vendute solo in USA, Ms. Pac-Man detiene tuttora il record di vendite per un videogioco arcade, superando anche Pac-Man che è al secondo posto.

Ms. Pac-Man è la prima protagonista femminile nella storia dei videogiochi e la sua elezione a icona del “videogioco al femminile” è appropriata se consideriamo l’epoca in cui il videogioco venne distribuito. Oggi si rischia di distorcere il significato storico del gioco all’interno del più ampio tema delle donne e dei videogiochi.

“Ms. Pac-Man, as our way of thanking all those lady arcaders who have played and enjoyed Pac-Man,”
(cit. Stanley W. Jarocki, in “Women Join the Arcade Revolution”, Electronic Games, maggio 1982)

Come dichiarato da Stanley W. Jarocki, l’allora Vice Presidente Marketing di Bally Midway, distributore di Pac-Man in USA, Ms. Pac-Man non è stato creato per attrarre le donne al franchise, ma è un tributo di riconoscenza verso tutti i giocatori che hanno reso così popolare Pac-Man e, in particolare, le donne che per la prima volta sono accorse così numerose nelle sale-giochi.

Il catalizzatore dell’attenzione delle donne non fu dunque Ms. Pac-Man, ma Pac-Man. La ‘Pac-Man fever” colpì tutti, indifferentemente dall’età e dal sesso, ma fu l’estrema popolarità tra le donne a fare raggiungere a Namco e a Bally Midway un record assoluto di fatturato nel 1981.

Pubblicità da Electronic Games, luglio 1982

Pac-Man, prodotto dalla giapponese Namco, era stato distribuito negli Stati Uniti da Bally Midway nell’autunno del 1980, ma solo all’inizio del 1981 iniziò a fare registrare un’affluenza mai vista nelle sale-giochi americane. Pac-Man divenne presto una “febbre”, la “Pac-Man fever” ha influenzato la società americana investendo altri campi culturali ed economici, dalla musica al merchandising fino alla TV.

Questo fenomeno assumeva i connotati di una “rivoluzione” ovvero un mutamento radicale di ordine sociale ed economico, che trasformava le abitudini di una larga fascia di popolazione e le decisioni di spesa per il tempo libero e l’intrattenimento. A un’analisi a posteriori, si può affermare che di rivoluzione si trattò: l’”Arcade Revolution” ha modificato profondamente l’intrattenimento e ha stabilito un nuovo ordinamento. Dagli Stati Uniti la “Pac-Man fever”  ha contagiato il resto del mondo con i germi della Rivoluzione Arcade.

Time, edizione USA – 25 ottobre 1982, Vol. 120 N. 17

In questo contesto di grande espansione e una domanda di videogiochi più alta dell’offerta, proliferarono le modifiche dei videogiochi originali: esistevano dei kit cosiddetti “di accelerazione” o “di potenziamento”, che venivano creati da aziende indipendenti e venduti direttamente ai proprietari delle sale-giochi. Erano nati i “bootleg” anche dei videogiochi.

Il primo “bootleg” di grande successo è stato la modifica di Asteroids di Atari. Tra il 1979 e il 1980 furono prodotti sei cabinati non ufficiali:

  • Meteorites (1979, VGG)
  • Planet (1979, Alpha Denshi)
  • Hyperspace (1979, Rumiano)
  • Asterock (1980, dell’ italiana Zaccaria/Sidam)
  • Asteroide (1980, Maxenti)
  • Meteor (1980, Omni)

I giocatori erano diventati così bravi a distruggere asteroidi che ormai, con una sola moneta, riuscivano a occupare per un tempo lunghissimo il coin-op (da “coin operated”, ovvero videogioco a gettone). Così a qualcuno venne l’idea di modificare la circuiteria originale per rendere il gioco più difficile o apportare altre piccole variazioni che ne influenzavano l’esperienza.

La General Computer Corporation (GCC), reduce dal successo del suo Super Missile Attack, un “bootleg” di Missile Command di Atari, stava lavorando su Crazy Otto, una versione modificata di Pac-Man. Steve Golson era programmatore alla GCC ed era impegnato in un complesso lavoro di ingegneria inversa.

Atari cita in giudizio GCC per Super Missile Attack, clone non ufficiale di Missile Command. Da notare: il giocatore non è un moccioso brufoloso e la didascalia recita ‘Consumer plays Atari game’. Si fa sul serio.

Mostrato il prototipo a Bally Midway, pensando che avrebbe potuto comprare  Crazy Otto per venderlo alla loro base esistente di proprietari di sale-giochi, diventò qualcosa di più: Bally Midway decise di farlo diventare un nuovo gioco di Pac-Man.

Il nome di Ms. Pac-Man è un’idea di Stanley W. Jarocki . Steve Golson racconta alla Game Developers Conference del 2016 della telefonata ricevuta da Stanley W. Jarocki:

Stan: “Hey! We want to make the female character the main character in the game. We’re gonna call it Miss Pac-Man. Em-ai-es-es, MISS Pac-man. It’s gonna be cool.”
/Hey! Vogliamo un personaggio femminile come personaggio principale nel gioco. Lo chiameremo Miss Pac-Man. emme-i-esse-esse, MISS Pac-Man. Sarà fantastico!

Golson: “’Stan, there’s all these 14-year-old boys in the arcade, aren’t they gonna be turned off by that?’
/Stan, ma tutti quei quattordicenni maschi nelle sale-giochi potrebbero non esserne proprio entusiasti?

Stan: ‘No no no, it’s really cool, ‘cause Pac-Man is very popular with girls and women’.
/No, no, no, è veramente una figata perché Pac-Man è molto popolare tra le ragazze e le donne.

Dunque, non è stato un personaggio femminile ad attirare le donne ai videogiochi e non dipende da una predisposizione genetica.

L’immagine della donna in una sala giochi è stata vittima di uno stereotipo reiterato anche nella cinematografia: la donna è sempre al margine dell’azione. Come una sorta di accessorio appoggiato timidamente al lato del flipper, la donna assisteva all’esibizione del proprio moroso in una prova di mascolinità consistente nel pestare con forza sui due tasti laterali e realizzare il punteggio più alto.

I videogiochi compiono una rivoluzione: la donna entra in sala-giochi e prende parte all’azione, magari sfidando il fidanzato, l’amico o il marito. Non è neanche vero che le donne giocavano solo a Ms. Pac-Man: amavano fare esplodere le astronavine in Space Invaders, ridurre in briciole enormi asteroidi in Asteroids o sparacchiare centopiedi, ragni, scorpioni e insetti assortiti in Centipede. Pac-Man fu proprio amore a prima vista.

L’originale Pac-Man è stato un successo fuori parametro perché, indipendentemente dal sesso o altri fattori, è riuscito ad ampliare considerevolmente i clienti delle società produttrici di videogiochi e a diffondere l’interesse nel medium a una larga parte di popolazione.

Perciò non dovrebbe stupire se oggi le donne giocano ai videogiochi quanto gli uomini.

Mercato europeo dei videogiochi nel 2017 (fonte: Newzoo)

Secondo la ricerca “The New Faces Of Gaming” (Ipsos Connect per ISFE), nel terzo trimestre 2016, in Europa il 44% delle donne gioca ai videogiochi ed è un dato stabile dal 2012.

Il videogioco su dispositivi mobili conferma un’attrazione anche per le donne. Il confronto tra il terzo trimestre del 2012 e del 2016 mostra come il tempo medio dedicato dalle donne ai videogiochi su smartphone e tablet è aumentato: da 3 ore settimanali a 4,6 ore a settimana.

I dati di una sostanziale equivalenza tra la popolazione maschile e femminile di videogiocatori sono confermati anche nel 2017 dallo studio GameTrack, sempre a cura di Ipsos Connect per conto dell’ISFE.

GameTrack è un monitoraggio del mercato dei videogiochi di Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna. Iniziato nel 2011, i risultati vengono pubblicati ogni anno trimestralmente.

Alla data in cui scrivo sono stati pubblicati i dati per tre trimestri del 2017. Consideriamo gli individui di età tra 6 e 64 anni che hanno giocato in tale periodo a un qualsiasi videogioco su qualunque piattaforma. Per chi volesse consultare direttamente i documenti di sintesi Gametrack mi riferisco al punto 5. Profile of gamers (Base: Age 6-64 playing ANY type of game). I documenti sono pubblicati in file separati per ogni trimestre alla pagina “Industry Facts” sul sito dell’ISFE.

La Spagna e la Germania presentano la situazione più stabile e confermano la stessa distribuzione percentuale in tutti e tre i trimestri, con un vantaggio a favore dei maschi, tuttavia con valori diversi: in Spagna la differenza è di dodici punti percentuali, mentre in Germania di soli quattro punti.
I videogiocatori spagnoli sono il 56% e le videogiocatrici il restante 44%; i videogiocatori tedeschi sono il 52% e le videogiocatrici seguono da presso con il 48%.

I dati della Gran Bretagna presentano delle fluttuazioni nell’arco dei tre trimestri: nel primo trimestre la differenza è di sedici punti percentuali a favore per i maschi, nel secondo si dimezza a otto punti per poi riallungare a quattordici nel terzo trimestre, che vede i videogiocatori britannici al 57% e le videogiocatrici al 43%.

La situazione francese lascerà parecchi lettori sorpresi.

Nel primo trimestre le videogiocatrici superano la controparte maschile di quattro punti (52% Femmine/ 48% Maschi) , nel secondo trimestre viene confermata la stessa differenza, mentre nel terzo trimestre i maschi raggiungono la parità al 50%.

Gametrack non fornisce i dati per l’Italia, Newzoo pubblica un’infografica sul nostro Paese: i 24.5 milioni di videogiocatori – stima Newzoo a giugno 2017 – spendono 1.9 miliardi di dollari in videogiochi nel 2017;  il 49% dei giocatori su dispositivi mobile è di sesso femminile, per circa un terzo di età compresa tra 21 e 50 anni.  L’Italia è il decimo mercato mondiale.

I quattro principali mercati europei dei videogiochi confermano una distribuzione per lo più paritaria e confutano, dati alla mano, una percezione molto diffusa, frutto di una mistura di incrostato retaggio collettivo e di esperienza soggettiva. Continuare a pensare che il videogioco sia una forma di intrattenimento per “soli maschi” è volere marcare un territorio alla maniera canina.

Insistere nell’escludere le donne dal videogioco è tornare indietro ai tempi dei giochi in cortile: i maschietti giocavano a pallone e alla lotta (a volte, una rissa per futili motivi o a margine della partita di pallone); le femminucce giocavano con le pentoline e le bambole. Era legittimo se un maschio occasionalmente giocava con le pentoline; mai che una bambina fosse invitata a giocare a pallone: “Le femmine non sanno giocare a pallone“. Niente di più sbagliato. Alle bambine potrebbe non piacere giocare a calcio, magari preferiscono giocare a palla avvelenata. Questione di preferenze.

Le donne preferiscono il genere azione/avventura e strategico (fonte: Newzoo, 2017)

In conclusione, l’errore di fondo è considerare i videogiocatori come un gruppo omogeneo che è interessato solo a giochi densi di azione con armi, violenza ed esplosioni. Vi sono prove di una crescente domanda e interesse per i giochi di generi diversi e per tutte le età.

Un più ampio spettro demografico significa che i produttori devono adeguare i contenuti per attirare una parte più ampia del proprio pubblico potenziale. Concentrarsi solo su un gruppo (ad esempio, gli adolescenti) significa limitare il potenziale di vendita.

Anche se è improbabile che i consumatori di videogiochi su smartphone e tablet si convertano all’acquisto di console di videogioco, un contenuto accessibile e adatto a questa tipologia di pubblico può avere successo. È essenziale, infatti, creare un interesse o un legame anche per i potenziali decisori di acquisto (ad esempio, i genitori) così da renderli più consapevoli e confidenti che si tratti del regalo ideale.

I videogiocatori sono pronti, sta ai produttori dimostrare di riuscire a sviluppare contenuti adeguati e coinvolgenti.

Hello everyone, press Start to play!

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Onda sonora consigliata: Pac-Man Fever di Buckner & Garcia (album Pac-Man Fever, 1982)

 

29 pensieri su “Chi è il Player One? [Parte 3] – La Rivoluzione Arcade al femminile

  1. Sono davvero colpito, sia per l’ottimo lavoro – sei un ricercatore che regala sempre grandi emozioni ^_^ – sia per il risultato: addirittura una quasi parità fra uomini e donne?
    Sicuramente la mia percezione è falsata. Da quando sono nato ad oggi, ogni bambina/ragazza/donna che ho incontrato – conoscenti, colleghe, intime, amiche, parenti – di qualsiasi età, da 6 a 60 anni, si sarebbe fatta tagliare un braccio piuttosto che fare anche solo una partita ad un qualunque videogioco. E l’assenza di donne videogiocatrici in film, libri e fumetti – per lo meno l’assenza in numero rilevante – ha coadiuvato questa sensazione. E sì che tutti i maschietti che ho conosciuto adorerebbero condividere le esperienze di gioco con le loro metà, ma queste odiano così profondamente quella “roba da maschi” che sono inamovibili. È vero, ci sono le gamer su YouTube ma sono in fortissima minoranza contro un esercito di gamer maschi.
    L’unico cavillo a cui vigliaccamente mi attacco è che queste ricerche prendono in considerazione qualsiasi videogioco, dal semplice scacciapensieri su smartphone ai complessi giochi multiplayer. Piuttosto che convincermi che quasi metà delle donne sarebbe ben disposta a stare chiusa in casa a passare la sera alla playstation, trovo più plausibile che facciano giochini su smartphone. Si badi, non è un giudizio sulle loro capacità, ci mancherebbe – io sbaglio pure i giochini su smartphone! – ma è solo che vedo solamente donne con altri interessi per il tempo libero e mi risulta davvero difficile convincermi di aver incontrato nella mia vita esclusivamente quella metà delle donne che disprezza i videogiochi. Forse nella provincia romana vive una riserva di donne che rifiutano i videogiochi 😀

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    1. Sapevo che avresti l’arma dialettica del “cavillo” 😉 La tua osservazione è pertinente, anche se i dati su quanto domandi si riescono a ottenere proprio dalla fonte citata. Premetto che per me il videogioco già sulle console portatili non fa per me, figuriamoci su uno smartphone, ma permettimi di superare la differenza tra videogioco “tradizionale” e su smartphone: a prescindere dalla piattaforma, dal titolo o dalla modalità, l’essenziale per lo sviluppo del medium è il coinvolgimento. Se fosse, infatti, relegato solo ai “maschi” per esempio, si rischierebbe di fare la fine dei cinema porno. I “concorrenti” naturali dei videogiochi sono i social network e i canali youtube. Il medium per svilupparsi e riuscire a “raccontare” storie al livello del cinema deve riuscire a coinvolgere una platea eterogenea, non esclusiva. Da parte di chi produce i contenuti quindi questa differenza di genus non può esistere. La differenza è nei contenuti più o meno pertinenti.
      Non è solo una questione di interessi, ma anche di accessibilità.
      In merito alla riserva romana di non-videogiocatrici, quando scrivi:”[…]quella metà delle donne che disprezza i videogiochi.”, in realtò il disvalore espresso dalle donne, è un riflesso della società/comunità locale in generale. Con questo non voglio dire che la tua esperienza non sia vera o senza significato, ma non è possibile dalla specificità del singolo fare discendere una tendenza o avere una visione più ampia.
      Ho iniziato questo trittico di post con la tua stessa idea, ma avevo un tarlo: via via nel leggere materiali vari, ascoltato le interviste dei protagonisti, spulciato vecchi e nuovi giornali, ho cambiato idea. C’è ampio margine di approfondimento.
      Grazie per il titolo di “ricercatore”, ma sopratutto per il “regala sempre grandi emozioni”.

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      1. Infatti il mio cruccio è proprio di ritrovarmi in una di quelle situazioni che critico negli altri: la mia percezione personale, cioè, è in forte contrasto con ciò che dicono i dati, e mi ritrovo ad usare la mia esperienza particolare per dare una valutazione generale. Procedimento che critico fortemente quando lo fanno gli altri… per questo ci sto male a farlo io! 😀
        E pensare che proprio in questi giorni ho letto un saggio delizioso, “Storia del dove”, che racconta proprio com’è cambiata in occidente la percezione umana della propria “posizione nell’universo” a seconda di come cambiava la capacità di percepire la realtà al di fuori di sé: è facile essere d’accordo con i primi che coraggiosamente descrissero la realtà usando i dati e non l’esperienza sensoriale, ma ora scopro che “di pancia” non è così facile 😛
        E’ come se mi dicessero “Lo sai? È dimostrato che metà delle donne ha piedi con 7 dita”: posso credere ai dati, ma è difficile mandarla giù “di pancia” ^_^
        A parte quei miei problemi, lodo ancora la tua ricerca: il bello di una buona ricerca è che è vera anche al di là dei “capatosta” come me che la leggono 😀

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        1. L’umiltà ad ammettere che a volte siamo prigionieri inconsapevoli di pregiudizi che noi stessi condanniamo ti fa onore, ma non avevo dubbi su questa tua virtù. I nostri scambi ne sono la prova.
          Poiché anche la mia prima idea era simile alla tua ti capisco benissimo.
          Spesso nelle nostre ricerche siamo mossi dalla necessità di trovare conferme in ciò che conosciamo, mentre il bello è in ciò che scopriamo di non conoscere. La parola “ricerca” ha in se’ un concetto di viaggio e i viaggi più belli sono nei luoghi che non conosciamo e in ciò che ci arricchisce.

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          1. Esatto, e la parte appassionante delle ricerche è proprio scoprire di aver sempre frainteso, e che l’assunto da cui si è partiti era addirittura sbagliato. Per questo, qualsiasi sia l’argomento di una ricerca che inizio, cerco di non dare nulla per scontato perché di solito è proprio ciò che già sappiamo ad essere sbagliato, semplicemente perché frutto o di preconcetti altrui che ci hanno “contagiato” o di esperienze personali del tutto trascurabili.
            Ecco perché come lettore diffido molto delle trattazioni che iniziano con “penso”, “secondo me” e cose simili, e che non citino fonti o studi precedenti.
            Ecco perché attendo sempre con ansia i tuoi post ben documentati ^_^

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              1. Anche io ho una impressione simile a quella di Lucius. Per i videogiochi classici o sa piattaforma o da installare a me sembra proprio che le donne siano di meno e che queste giochino invece molto (forse anche più degli uomini) a giochi tipo Candy Crash, puzzle tipici da cellulare. Ce ne sono tantissimi di giochi di questo genere a cui si può giocare in maniera frammentaria, anche e soprattutto in sala d’attesa.

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                1. L’impressione è infatti diffusa (anche io sono partito da questa idea). I dati campionari dell’ISFE riportano una situazione diversa. Le donne sono poco meno degli uomini nel gruppo dei fruitori di videogiochi: il 44% non è la metà ma poco ci manca (in Francia siamo praticamente alla parità). Se le donne giocassero prevalentemente su dispositivi mobili rispetto alla piattaforme tradizionali avremmo una concentrazione più alta sulle fasce d’età via via superiori e invece è non vi sono particolari gap: si va dal 6% al 12% nelle varie fasce d’età. Non entrò nei particolari per non annoiarti, ma curiosa al link di Gametrack e vedrai una distribuzione molto simile a quella dei maschi per ogni fascia d’età. Se riesco a trovare dati meno aggregati e specifici per piattaforma, aggiorno il post oppure ne scrivo un altro. Grazie per il commento.

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  2. Non sono mai stata una vera e propria appassionata di videogiochi ma avevo chiesto a babbodiNatale/genitori il Super Nintendo perché Super Mario mi piaceva da impazzire 😀
    Il fatto che io non abbia mai giocato molto sta più nel fatto che non avevo tanti amici che ci giocavano piuttosto che per scarso interesse.

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    1. FaTati cara! Secondo me hai colto nel segno:
      1) Super Mario mi piaceva da impazzire
      2) non avevo tanti amici che ci giocavano piuttosto che per scarso interesse
      Coinvolgimento, accessibilità, occasione di gioco condiviso sono gli aspetti-chiave e dipendono i primi due dai contenuti e il terzo da certe situazioni personali/ambientali.

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  3. Non trovo strano che anche alle donne possano piacere i videogiochi: col tempo, son saltati fuori titoli di ogni genere, con e senza storia, perciò uno o una non deve avere voglia di informarsi o fare prove, per dire che bon c’è manco un videogioco che gli/le interessi.
    Trovo più probabile che una persona possa preferire altri interessi, piuttosto 😉

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    1. Tu non lo trovi strano e sei tra i pochi. Moltissimi altri (incluso me all’inizio di questa ricerca) lo trovano strano a causa della rarità dell’evento di sfidare le donzelle davanti a uno schermo, fianco a fianco, joypad stretti tra le dita. Una persona che preferisce altri interessi diversi dal videogioco o alternativi è la condizione sana 😉

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      1. In sala giochi – ci ho passato l’adolescenza, prima che la Playstation le spazzasse via – ne ho incontrato poche pure io, ma la maggior parte delle mie amiche ha sempre giocato ai videogiochi da ben prima che la Wii rendesse lo hobby attraente anche per le ragazze.
        Sarà che le mie amiche hanno quasi sempre avuto i miei stessi hobby, più o meno, ma questo non ha fatto altro che confermare che, a parte ovvie differenze fisiche, tra donne e uomini non passano questi fiumi di differenze 😉

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        1. In Italia le sale-giochi non avevano spesso una buona “nomea”, probabilmente ereditandola dalla “bisca” o da luoghi dove si giocava a carte o biliardo e ogni tanto ci scappava una coltellata. In parte la nomea se la guadagnarono sul campo poiché con tutti quei ragazzi c’era anche chi spacciava. Non era la regola, ma le sale-giochi della mia adolescenza raramente ricordavano gli Arcade nei film americani.
          Ciò premesso, era davvero rato vedere in sala-giochi una ragazza, da sola poi era un evento raro come la tigre albina. Per fortuna se n’è fatta di strada. Prima ancora della Wii, un catalizzatore come Pac-Man sono state le portatili Nintendo. Dal primo GameBoy in bianco e nero al DS o 3DS, le ragazze hanno preferito e scelto queste console portatili. Non sarà forse per non avere tra le scatole il fratellino che dice che “le bambine non sanno giocare ai videogiochi”?

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  4. Pingback: Predator 2 (Image Works 1991) | 30 anni di ALIENS

  5. Eccomi col mio solito ritardo ma ho ancora una vagonata di post da recuperare…
    Saranno stati stereotipati i videogiocatori ma io nei primi anni 90 facevo a botte con mia sorella per il controller.
    Non sapevo del primato di Ms. Pac-Man, personaggio che ho conosciuto molto dopo o forse passavo davanti al cabinato senza badare attenzione, Pac-Man lo ricordo più su PC a casa di amici che in sala giochi.

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    1. Il senso di questo trittico di articoli è proprio quello di sfatare la falsa credenza che le donne non giocano ai videogiochi e che non sono partecipi all’industria. Le lotte fratricide con tua sorella per il joystick sono un ulteriore contributo alla “causa”. 😂

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    2. Ah voglio ringraziarti per la tua perseveranza e affetto. Molti dei tuoi colleghi della galassia Blogspot giunti su queste pagine non tanto tempo fa, sono spariti. Legittimo per carità, ne avranno avuto abbastanza. Tu sei l’unico che continua a commentare. Grazie!

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      1. E di che? Se passo è perché mi piacciono i post, per me la barriera WordPress/Blogspot non c’è, mi trovo bene su entrambe le piattaforme.

        p.s. ti è sfuggito un mio commento di qualche settimana fa su Genocida di Pixel 😉 te lo dico perché so che mi rispondi sempre o comunque metti un mi piace.

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    1. Grazie mille e visto che sono sensibile si complimenti 😂, rilancio suggerendo di leggere le altre due parti pretendenti, poiché sono un avvicinamento a questa terza che è conclusiva.
      Se vuoi lasciarmi le tue osservazioni sarò contento di riprendere le fila di questo discorso che mi interessa molto.
      Grazie ancora

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