Chi è il Player One? [Parte 2] – Arrivano le ragazze!


Move over Guys,
Here comes the Gals
Women Join the Arcade Revolution
(cit. Electronic Games, maggio 1982)

“Fatevi da parte ragazzi,
arrivano le ragazze.
Le donne si uniscono alla Rivoluzione Arcade.”.

Le donne sono sempre state interessate ai videogiochi e sono presenti in questa industria fino dai suoi albori. Non è noto a tutti e non se ne parla spesso. Quanto segue non è una trattazione esaustiva, ma il mio piccolo personale tributo e ringraziamento a queste donne.

Carol Shaw è la prima game designer: ha lavorato in Atari dal 1978 e, oltre a collaborare con Keith Brewster al Manuale dell’Atari Basic per i computer 8 bit (Atari 400/800), ha progettato e programmato per la console Atari 2600 i videogiochi 3-D Tic-Tac-Toe e, in collaborazione con Nick Turner, Super Breakout.

Carol Shaw mostra sorridente il suo capolavoro, River Raid

Quando lasciò l’Atari per l’Activision, programmò Happy Trails per Intellivision e il suo gioco più noto, River Raid per Atari 2600, che vendette un milione di copie e fu convertito per tutte le principali piattaforme. In occasione del The Game Awards 2017 le è stato conferito il premio alla carriera “Industry Icon” con tanto di “standing ovation”.

Nel 1981 Dona Bailey è la prima donna a programmare un videogioco arcade. Insieme a Ed Logg, programmò Centipede, il secondo videogioco più venduto da Atari nonché uno dei videogiochi-icona dell’Età dell’Oro.

“It feels weird to say ‘I was a pioneer’, but I guess I was a pioneer” (cit. Dona Bailey in The Unsung Female Programmer Behind Atari’s Centipede)

Dona si avvicinò ai videogiochi grazie a uno dei suoi migliori amici che lavorava in un negozio di dischi: The Pretenders avevano pubblicato il loro primo album e una canzone le piaceva moltissimo. La canzone è Space Invader. Così chiese cosa fosse questo “space invader” e l’amico le rispose che era un videogioco spettacolare. Così la portò in una sala-giochi a giocare a Space Invaders. Da principio non comprese bene come si giocasse, ma riconobbe che il design di gioco aveva punti in comune con il suo lavoro di programmatrice in linguaggio assembly alla General Motors nelle linee di montaggio delle Cadillac. Ne restò affascinata e decise di candidarsi all’Atari che era alla ricerca di programmatori dei propri videogiochi. Data la sua esperienza in linguaggio assembly, Dona Bailey vi entrò subito a fare parte: all’Atari era l’unica donna su un totale di trenta programmatori. Due anni dopo, quando lasciò l’Atari, era l’unica donna su centoventi programmatori.

Roberta Williams è una designer di videogiochi americana, scrittrice e fondatrice, insieme al marito Ken, di Sierra On-Line: ha contribuito significativamente a fare nascere e sviluppare il genere dell’avventura grafica, grazie alla serie King’s Quest. Laura Bow e Phantasmagoria. 

Ken e Roberta Williams

Il marito di Roberta, Ken Williams, programmatore della IBM, acquistò un computer Apple II con l’intenzione di svilupparvi un compilatore FORTRAN.  Su questo computer Roberta giocava con giochi di avventura testuale, ma il formato “solo testo” la lasciava insoddisfatta. Intuì che la visualizzazione grafica possibile con un Apple II avrebbe migliorato enormemente l’esperienza di gioco: nacque così la On-Line Systems per diventare nel 1982 Sierra On-Line e, in seguito, Sierra Entertainment, nota a tutti semplicemente come Sierra, che nel 1983 era stimata come la dodicesima più importante azienda software nel mondo.

Roberta Williams era la Sierra, era sinonimo di avventura grafica e continuò a esserlo anche quando sul mercato giunsero altri valenti sviluppatori di avventure grafiche. Alla Sierra non dobbiamo solo le avventure grafiche ma una lista impressionante di titoli e grandi classici, che potete consultare sul sito dei due fondatori, Ken e Roberta: un marchio, una garanzia, un’icona dei videogiochi degli anni Ottanta e Novanta.

Jane Jensen

Impossibile non citare Jane Jensen, nota per la trilogia di avventure di Gabriel Knight, pubblicate da Sierra. Insieme al citatissimo The Secret of Monkey Island di LucasArts, il primo Gabriel Knight (1993) ed è il titolo più rappresentativo del genere delle avventure grafiche, anche se per motivi completamente diversi. Sceneggiatura memorabile in un crescendo di atmosfere angoscianti e colpi di scena, dialoghi coerenti e mai forzati con punte di ironia dissacrante, personaggi di rara e approfondita personalità. Jane Jensen è una figura atipica in un’industria di tecnici: è una scrittrice che è riuscita a utilizzare il nuovo medium senza banalizzare la storia e, cosa rara per i videogiochi, a instaurare un rapporto di empatia tra personaggi e giocatore. Lavora ancora oggi nei videogiochi: ha fondato con il marito la società Pinkerton Road Studio, focalizzata sulla produzione di avventure grafiche.

Amy Hennig

Amy Hennig, direttore creativo, game director e sceneggiatrice, nota per il suo contributo alla serie Legacy of Kain di Crystal Dynamics e, in seguito, per le due importanti serie di Naughty Dog. Jak e Daxter e Uncharted, esclusive e “best seller” per tre generazioni di console Sony PlayStation. Di recente era al lavoro al progetto di un videogioco di Star Wars della Visceral Games, ma Electronic Arts ha cancellato il progetto e chiuso lo studio di sviluppo.

Kellee Santiago. Journey sullo schermo alle sue spalle

Kellee Santiago, di origini venezuelane, è una designer e producer di videogiochi nonché co-fondatrice ed ex-presidente di uno dei più quotati studi di sviluppo indie, la Thatgamecompany. Nel 2015 Santiago ha lasciato l’azienda e oggi lavora per Google Play Games.
Ha prodotto i primi due giochi, Flow e Flower, assume il ruolo di presidente durante lo sviluppo del più recente gioco della società, Journey. Sebbene questi due videogiochi abbiano ricevuto plausi della stampa e del pubblico, il capolavoro indiscusso è Journey nel 2012. Journey si è distinto come uno di quei giochi che trascendono il medium e si rivolgono anche ai non-giocatori grazie alla storia, il livello artistico, l’atmosfera e l’accessibilità. Journey è il primo gioco a ricevere una nomination ai Grammy. Un risultato ancora più sorprendente se si considera che Thatgamecompany è un’azienda di solo dodici persone. Tra queste pagine potete leggere la mia recensione: Life is (a) Journey.

Queste sono alcune delle donne protagoniste nei videogiochi, dai primi bip-bip a oggi. Ritengo che le donne possano contribuire in modo assolutamente specifico allo sviluppo di questo medium grazie alle loro capacità di ascolto e di racconto delle emozioni con sfumature diverse. Questa mia convizione è frutto delle esperienze con i giochi creati da queste donne.

Come le donne sono sempre state parte di questa industria, altrettanto lo sono come videogiocatrici.
Nel prossimo post, sempre dedicato alle donne: dall’icona del videogioco al femminile, Ms. Pac-Man (ne siete certi?) a oggi.

Continua a leggere: Chi è il Player One? [Parte 3]

Articoli collegati:
Chi è il Player One? [Parte 1]

 

Onda sonora consigliata: Space Invader di The Pretenders

 

25 pensieri su “Chi è il Player One? [Parte 2] – Arrivano le ragazze!

  1. Di questi nomi conosco solo Jane Jensen: non ho ancora avuto il piacere di giocare Gabriel Knight, ma Gray Matter è stupendo e Cognition, senza i bug, sarebbe un capolavoro!
    Moebius Empire Rising avrebbe bisogno di una grafica migliore e di un seguito che sviluppi maggiormente la storia…
    Comunque, col marito e la figliastra (membri del gruppo Scarlet Furies, tra le varie) ha messo su una bella squadra di famiglia… chissà se tornerà a fare giochi, ogni tanto si dedica a pubblicare romanzi – che mi piacerebbe davvero leggere ^^

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    1. GK dovresti giocarlo, davvero. È di un livello infinitamente superiore alle avventure citate. Esiste anche una versione 20th anniversary curata dalla stessa Jensen. Si nota l’amore di una scrittrice per questo personaggio. La Jensen è la prova che si può scrivere una bella storia anche per un videogioco, dai temi maturi e con una profondità che certi film si sognano. In più c’è l’empatis del videogiocatore che non è passivo come nei film o nei libri, ma parte integrante del disegno del game designer/scrittore. Fatti un piacere, gioca a GK. Poi mi dirai 😉

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    1. Perché commento scemo?!? Mi fa un immenso piacere sapere che la mia condivisione raggiunga l’obiettivo. Mi è costato molto tempo e impegno cercare fonti, leggere interviste, sintetizzare il tutto in un italiano spero decente. Un complimento così è un benzina per questo motore a dieci dita. Grazie!
      Sulla colonna sonora la storia raccontata dalla Bailey (che trovi nel video) non è raccontata da nessuno: tagliano tutti la parte della canzone dei The Pretenders e raccontano dell’amico che la portò in sala-giochi. Mi è piaciuto moltissimo che il principio ispiratore venisse dalla musica. Una conferma che il videogioco può contenere tutti i media e mischiarli per ottenere contenuti dello stesso valore.

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  2. Ma è la Sierra Sierra? Quella che nel 2001 ha fatto “Aliens vs Predator 2”? Nel caso, sono gratissimo a Roberta Williams ^_^
    Non conoscevo le storie di queste programmatrici ma non ho mai avuto dubbi sulle doti artistiche e “creatrici” femminili, in qualsiasi campo. I miei dubbi sono sul fatto che esista un’utenza femminile nei videogiochi così importante da modificare le politiche di mercato, e a quanto ho capito se ne parlerà nei prossimi post 😉

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    1. La Sierra è solo l’editore di AvP. È la Rebellion che ha sviluppato il gioco. Sierra ci ha messo solo i soldi, diciamo così.
      L’utenza femminile c’è e c’è sempre stata, ma come succede in molti campi le donne hanno meno ribalta.
      Guarda il video della Bailey che ho inserito nel post. È molto interessante: l’ho inserito perché è un bell’approfondimento sul tema.
      I numeri oggi parlano chiaro. Semplicemente le donne ne parlano di meno e si parla meno di loro. Nel prossimo ci sono delle chicche del genere che piace a entrambi.

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      1. Sicuramente anni di “narrazione maschile” hanno creato enormi lacune, ed ora stiamo vivendo anni di “scoperte”, del tipo “lo sapevate non esistono maschi, sono solo donne mascherate?” Conservo gelosamente un saggio di paleoantropologia che spiega come nella preistoria abbiano fatto tutto le donne mentre i maschi poltrivano sul divano, così come conservo un saggio mascherato da romanzo dove si conia l’espressione “Herstory”: basta con la “history” (la storia di lui), è ora di raccontare la storia di lei, perché ogni importante evento storico del mondo è stato compiuto da una donna mentre i maschi dormivano, e poi la stampa maschilista ci ha ricamato su 😀
        Ecco, ora viviamo un periodo di esagerazione da “altro verso dell’elastico”: prima era tutto maschile ora è tutto femminile: forse nel Tremila si inizierà ad essere più equilibrati 😛
        Questo per dire che credo ogni settore della cultura occidentale abbia “scoperte”, cioè uomini che d’un tratto si sono girati e hanno scoperto che c’erano donne a lavorare con loro: ciò che mi incuriosisce non è lo stupore della scoperta, ma la dimostrazione, i “numeri” che la attestino. Ora mi hai dimostrato che esistono valide programmatrici – cosa che in effetti ignoravo, anche se non avevo certo pregiudizi in proposito – ora aspetto che mi dimostri che esistono donne anche dall’altra parte del videogioco 😛

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        1. Accetto la sfida 😂Anche perché ho già tutti i pezzi del puzzle, devo solo incastrarli. I numeri chiedi? E i numeri avrai. Sempre come campione statistico, ovviamente. Per il resto condivido che siamo sballottati da un estremo all’altro per parrocchie e interessi di terzi. Non è infatti una questione di genus, non è nemmeno una “scoperta”, è sempre una questione di scelta, di preferenze, di attitudini. C’è chi prova a orientare le scelte altrui a proprio vantaggio. Entrambi diffidiamo di costoro e preferiamo faticare per trovare la nostra via, vista o opinione. Gli uomini che “scoprono” solo oggi l’importanza del ruolo della donna in tanti campi di attività hanno o lo fanno per interesse o per stupidità. Grassa stupidità.
          Un ultimo pensiero/provocazione: quante donne oggi lavorano nell’informatica? Tantissime. Quante di queste hanno mosso i loro primi passi con un Connodore64 o un’Amiga o un PC 286? Quante hanno giocato ai videogiochi prima di appassionarsi alla programmazione?
          Solo per deduzione empirica sospetto che siano tante…

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  3. Creare videogiochi è un’arte e le donne sono delle grandissime artiste. Di conseguenza non mi stupisco che abbiano usato il loro genio e la loro “naturale predisposizione per le cose belle” per creare capolavori.
    Tuttavia penso che il mondo dei videogiocatori resti prettamente maschile. Insomma è l’ennesima dimostrazione che noi uomini traiamo più benefici che negatività dal mondo femminile.
    Loro ci hanno regalato Uncharted, noi abbiamo costruito delle Barbie 🙂

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    1. Uheilà OnBecienzobbello! Quanto tempo che non ti vedevo fare capolino in questa webbettola!
      La percezione che “il mondo dei videogiocatori resti prettamente maschile” è però confutata dai numeri. Nel prossimo post, argomento più in dettaglio, ma sappi che i dati europei e americani indicano che la percentuale di donne è di poco inferiore a quella dei maschi considerando chi dichiara di avere giocato ai videogiochi indipendentemente dalla piattaforma. La percentuale di videogiocatrici, che è intorno alla metà del campione, si ripeta su tutte le fasce d’età. In alcuni casi, è addirittura superiore.
      Credo che la percezione sia legata a una questione di preferenze. Difficile riuscire a convincere una donna a una partita di Kick Off o Street Fighter, più facile a Puzzle Bobble o Bubble Bobble. Almeno nella mia esperienza è stato così. I dati confermano che il videogioco non è solo “roba da maschi”.

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      1. carissimo hai ragione ma sono stato distratto dal Vinitaly e da tutto lo stress cui siamo soggetti chi è “da questa parte della barricata” 😀. Non metto in dubbio le tue fonti. Considerato ciò che vedo nei GameStop e tra conoscenti, mi sembra assurdo che ci sia così poca differenza fra il numero di giocatori uomini e le donne ! Ma se lo dicono gli esperti .. meglio così, in ogni caso !!

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        1. Immagino oltre lo stress, anche le sbevazzate. Assaggia qui, senti questo, prova quest’altro…;)
          Non è che voglia convincerti, dubita pure perché io faccio altrettanto, I dati cui mi riferisco sono dell’ISFE e ritengo siano affidabili perché, essendo sponsorizzato dall’industria del videogioco, devono “raccontare” lo stato dell’arte del mercato proprio nell’interesse delle aziende. Sono dati che suggeriscono alle aziende in che direzione puntare.
          La mia esperienza non è dissimile dalla tua; tuttavia l’esempio di giochi che ho citato l’ho vissuto personalmente e da Gamestop invece vedo anche ragazzine e genitori chiedere di giochi “adatti” alla propria figlia. Per inciso, ho sentito sparare dei titoli che non avrei dato nemmeno in pasto al mio cane (se ne avessi uno) 😉
          In questo tema futile – i videogiochi – si nasconde una questione culturale più profonda, un retaggio che agisce in modo sotterraneo. La questione si fa interessante…

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    1. Trova il tempo, te ne prego. Mi interessa il tuo punto di vista. Domani pubblico il post sulle videogiocatrici, vi sono parecchi spunti di riflessione ulteriore a mio avviso sulle donne e sulla scarsa considerazione in tanti campi di attività, perfino un tema più futile quale quello dei videogiochi.

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  4. Perdona il colpevole ritardo con cui ti rispondo…. Il fatto è, tra l’altro, che le riflessioni mi hanno portato anche un po’ lontano, per qui questa risposta sarà probabilmente fuori tema. Ma so che tu sei magnanimo…Ecco, penso che i videogiochi possano essere consideranti anche una forma intermedia fra uno sport (in senso lato, come gli scacchi, per intenderci) e una forma d’arte. Vi prego, fucilatemi o lapidatemi solo in effige. E penso che come tale, possano appartenere a pieno diritto anche alla femminilità… scusami ancora. Mi piacerebbe poterne discutere, se credi… Ciao, e grazie sempre!
    Ps. Le donne, adesso, hanno più tempo per dedicarsi a queste cose, o comunque si prendono più tempo… Ri-ciao.

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    1. Innanzitutto mi deve promettere una cosa: non chiedere più “scusa”. Non c’è nulla di cui scusarti o fuori tema o ritardo che sia.Anzi è il tuo commento espande il tema e tocca corde estranee alla mia trattazione per un mio limite ovvero l’essere il punto di vista maschile che si sforza di contenere anche quello femminile. Che il videogioco appartenga alla sfera femminile l’ho maturato proprio scrivendo questa trilogia di post, quindi condivido la tua considerazione.
      Trovo anche calzante la tua metafora sportiva, per quanto sia scettico nel riconoscere una valenza sportiva degli eSports (anche se finiranno con tutta probabilità nelle prossime Olimpiadi) .
      Sul tema dell’arte e videogiochi la faccenda è parecchio spinosa per via della gioventù del medium e di una certa soggettività.
      Ne ho scritto tempo fa, ma il post è stato per lo più ignorato. Quasi quasi mi scatta il riciclo per attizzare la discussione…

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  5. Mi pareva di ricordare un tuo post sull’argomento, ma non riesco a ritrovarlo…. sono un po’ imbranata.
    Anch,io ho qualche dubbio sul concetto di sport applicato al certi giochi. Tutto dipende da quel che si sceglie come discriminante: se è l’agonismo e la competizione, ci potrebbero stare anche i giochi, per così dire, da tavolo o da fermo, e se ne potrebbe discutere all’infinito; se è il movimento fisico, amche lì, si potrebbe discuterne…. Grazie per l’attenzione. Ciao!
    Ps. L’abitudine a scusarmi è tipica diuna vecchia torinese qual sono, ed è difficile da perdere… Ciao!

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    1. Tocchi un punto importante. Parto dalla definizione di “sport” della Treccani:
      Attività intesa a sviluppare le capacità fisiche e insieme psichiche, e il complesso degli esercizi e delle manifestazioni, soprattutto agonistiche, in cui si realizza, praticati, nel rispetto di regole codificate da appositi enti, sia per spirito competitivo (s. dilettantistici, s. olimpici), differenziandosi così dal gioco in senso proprio, sia, fin dalle origini, per divertimento, senza quindi il carattere di necessità, di obbligo, che è proprio di ogni attività lavorativa.
      Negli eSports le capacità fisiche sono assai limitatamente sviluppate, a parte la mano, l’occhio e il loro coordinamento, il videogioco è un’attività per lo più sedentaria. Hai ragione nell’affermare che se ne potrebbe discutere all’infinito. Tuttavia, mi rifaccio al vecchio adagio latino mens sana in corpore sano. L’esercizio fisico, sia a livello amatoriale sia a livello professionistico, è un’importante fattore per lo sviluppo anche delle capacità psichiche. Il rischio di un’attività agonistica a livello professionale del videogioco comporta un isolamento dell’individuo che, secondo me, è rischioso e va in direzione contraria dello sport in senso stretto. Anche quando ci si allena a uno sport individuale si finisce per condividere spazi con altre persone, ci si ritrova a percorrere l’anello dello stadio o le corsie di una piscina insieme ad altre persone. Con i videogiochi ci si isola.
      Da qui il mio scetticismo sul valore sportivo degli eSports.
      PS: allora prenderò le tue “scuse” come un intercalare, ma sappi qui sei libera di esprimere il tuo parere (e sarebbe anche pleonastica questa mia affermazione).

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  6. Inizialmente le donne, almeno quelle da te citate, erano tutte nel campo delle avventure grafiche… mi meraviglio che non abbiano sviluppato simulatori di cucina.
    Poi per fortuna hanno ampliato il loro campo.
    Viva le donne che contribuiscono a far evolvere la nostra passione (a parte Kellee Santiago, oh a me Jounrey sta sul cavolo), meglio dietro che davanti al televisore perché sono abbastanza impedite come nella guida.

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    1. Le donne sono state sempre presenti in questo campo di attività e, a parte un iniziale minore numero, sicuramente con una visibilità molto bassa a dispetto di un profilo professionale elevato come nel caso della programmatrice di Centipede. È anche vero che i programmatori, prima dell’era Amiga, non venivano mai citati dagli editori per una propria politica aziendale e dell’industria tanto che i programmatori nascondevano nel codice il proprio nome, i cosiddetti “Easter egg”. Caso emblematico fu quello di Swords & Serpents (se ti interessa ti lascio il link al post in cui ne parlo).
      Insomma è la solita storia di discriminazione di genus (preciso che sono contro le “quote rosa”).
      Su Joyrney non siamo d’accordo, non discuto i tuoi gusti, ma per i motivi della mia differenza di opinione puoi leggere il post che gli ho dedicato. Il link lo trovi nel post e anche nei commenti.
      Attendo il tuo contributo per l’ultima parte di questa trilogia sul Player One.

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      1. Dammi pure il link su Sword & Serpents, anche se non so quando lo leggerò, ho ancora salvato un tuo vecchio post che mi avevi suggerito mesi fa (Cojones Falls, pagina aperta su Chrome da allora).
        Su Journey mi pare che ne avevamo già parlato… leggerò anche quel post un giorno!

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        1. ‘Azz! Non ti mando il link altrimenti divento una rottura di scatole e non un piacere.
          Comuqnue volevo scrivere una mini-recensione di Swords & Serpents nella rubrichetta Good Old Ads. Quando spunterà su queste pagine, potrai leggerlo in tutta comodità se ti interessa, chiaramnente.

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  7. Pingback: [Videogiochi] Death Wish 4 (1987) guest post | Il Zinefilo

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