Batmancito [Ep.#35] – Santa Zita proteggici tu


Segue da [Ep.#34] – Lycantropicarus

“Cesar, por favor…”.

Ulysses porge il piatto in direzione di Cesar, elemosinando un’altra fetta di quell’ottima torta cucinata da Luz.

“Questo raccontare mi ha fatto venire fame.”.

Mentre Cesar si appresta a tagliare una fetta di generose proporzioni, interviene Narciso:

“Ehi compadres! Andateci piano con la torta. Voglio essere a Pechino quando Luz rientrerà e troverà solo briciole della sua torta! Anzi no, non Pechino, troppo facile da raggiungere: voglio essere nell’outback, nel più remoto buco del culo del continente australiano.”.

“Vale, vale. Ma penso che Luz sarà felice di vedere che abbiamo apprezzato.”.

“Claro que si, ma le gireranno pure le maracas se non ne lasciamo un po’ anche per gli altri compadres che arriveranno stasera.”.

Diaz interviene in difesa di Ulysses:

“Se ci fosse stato qui l’Oste, non avrebbe fatto tutte queste storie. Avrebbe portato altre due torte a questo tavolo! Y no seas tacaño, Narciso. Ti sono venute le braccine corte?”.

“Ce le ho già corte – con tono ironico – gran bella battuta, ispettore! Non chiamiamo in causa l’Oste, por favor. Mi ha lasciato qui da solo a gestire tutta la baracca! Quando si deciderà a ritornare – perché ritorna eh – gliele canto io quattro! E vedi se non ritorna, lo vado a riprendere io da Xibalba e lo riporto qui a calci nel culo!”.

“A proposito di Xibalba, ma Zeus?” domanda Ulysses.

I due federales si bloccano: Cesar rimane impalato stringendo nella mano il coltello affondato per metà nella torta; Diaz resta immobile con la mano sospesa a mezz’aria nell’atto di accendere con lo Zippo il nuovo sigaro che ha appena tirato fuori dalla tasca. Entrambi fissano Narciso in attesa di una risposta.

“Zeus? Non ha dato più notizie. Dubito, però, che riesca a fare avere sue notizie dal posto dove ha detto di volere andare. – scuote la testa – Neanche volendo.”.

Tutti conoscono le intenzioni di Zeus e il solo evocare nei loro pensieri il luogo dove il chitarrista ha dichiarato di volere raggiungere evoca in tutti la stessa sensazione di sospensione, provata nel giorno in cui Narciso e il dottor Feliz varcarono la soglia della taverna portando la notizia dell’Oste sospeso tra la vita e la morte.

D’un tratto nessuno ha più voglia di parlare, evitano anche d’incrociare gli sguardi perché non avrebbero sostenuto la disperazione riflessa negli occhi dell’altro. Il pensiero che l’Oste non sia lì insieme a loro, seduto a quel tavolo, a chiacchierare, sfottere chiunque senza distinzioni di razza, religione od orientamento sessuale, ingozzarsi di torta e ingollando grog, è insopportabile.. L’assenza della sua voce nella taverna o della sua dinoccolata camminata, finanche il puzzo delle sigarette che gli si attaccava addosso, riporta a quel tavolo la durezza della realtà e la sbatte loro violentemente in faccia, senza tanti complimenti né possibilità di evitarla.

La taverna, nonostante questa chiassosa tavolata di ex-avversari, appare vuota: una casa abbandonata, una di quelle case in rovina che tutti evitano per via di strane storie, del tutto infondate, ma cui tutti danno credito.

Gli sguardi dei quattro si evitano e finiscono tutti sul tavolo alla ricerca di qualcosa a cui aggrappare la propria mente affinché non sprofondi in abissi che sarebbe meglio lasciare insondati. I bicchieri sul tavolo sono vuoti. Nessuno li tocca, nessuno osa riempirli, tutti fissano quel vuoto contenuto dal vetro e ognuno vi riconosce il proprio vuoto di fede nel ritorno dell’Oste. Nel vino, nella birra e nel grog galleggiano le loro speranze. Senza le scorciatoie e le allucinazioni dell’alcol, il bicchiere vuoto, sul suo fondo, in trasparenza, rivela la realtà: l’Oste è in coma in quel letto dell’infermeria del dottor Feliz da tanto tempo, troppo tempo.

Il silenzio viene interrotto da Honda.

Fino a quel momento nel pieno della siesta sotto il tavolo, il grosso cane si solleva sulle quattro zampe in tutta la sua possanza, il tavolo trema, i bicchieri e le bottiglie tintinnano. Sporge dapprima con il solo muso, poi viene fuori con tutto il corpo, facendo di nuovo ondeggiare pericolosamente le bottiglie. Fa due passi in avanti e si ferma: pianta le quattro zampe leggermente larghe in una postura che trasmette la saldezza delle antiche mura di Costantinopoli, bocca chiusa, testa e orecchie inclinate in avanti, il corpo in asse e testa alzata; la coda è in posizione orizzontale, non rigida. Qualcosa o qualcuno ha attirato la sua attenzione.

Abbaia due volte. Due abbai netti e brevi. Punta in direzione della porta della taverna.

“Se Oste non torna…mannaggialapaperaetuttelepaperetteinfila faccio un casino!”

La voce di Tati esplode nella taverna come un tuono a ciel sereno, prima che i quattro uomini seduti al tavolo abbiano il tempo di girarsi.

Tati appare sull’uscio, ciondola e ondeggia sui suoi piedi ballerini, chiusi in scarponi così impolverati che il loro colore rosso bordò vira al marrone. La felicità di essere ritornata alla taverna affiora con un sorriso stampigliato sulle sue sottili labbra, per poi sparire sopraffatto dall’innata timidezza della donna. Guardando i quattro a tavola si è accorta dell’inusuale assortimento di vecchie ruggini e minacciate rese di conti. Come ogni volta che ha messo piede in taverna, Tati sarebbe corsa ad abbracciare Narciso; questa volta si è fermata temendo di essere giunta nel momento sbagliato.

Narciso lascia i tre compadres prima che possano pronunciare il saluto di rito, sbatte contro il bordo del tavolo, facendo cadere alcune bottiglie, evita di un soffio l’impatto fatale contro il massiccio Honda e corre a perdifiato verso Tati, urlando in mezzo a un frastuono di vetri rotti.

“Tatuuuuuuzzzabbelllaaaa!”

A qualche passo dalla donna, Narciso spicca un balzo e le si butta in braccio. Il salto è del tutto inaspettato sia per la distanza sia per l’altezza raggiunta dal nanerottolo. L’impatto fa quasi cadere Tati.

Narciso si abbarbica alle sue spalle, si tira leggermente indietro fungendo da contrappeso, evitando così l’altrimenti rovinosa  caduta. Recuperato l’equilibro, infila il suo viso tra la spalla destra e il collo di Tati, scoppiando in un sordo urlo di gioia. Liberatorio.

“Narcì!!! Narciso bello! Quanto tempo…ma santamaradona!”

Tati stringe il putto travestito da oste con tutta la forza che ha nelle sue esili braccia. Così stretti, insieme ondeggiano sui piedi ballerini di lei, chiusi in scarponi il cui colore rosso bordò risplende dopo che quel tremendo scossone ha disperso la polvere che li ricopriva. Verrebbe da piangere di gioia a entrambi. Piangere di gioia è una grande cosa, ma la presenza degli altri impedisce loro di lasciarsi andare a quel liberatorio rito.

Narciso lascia la presa e si lascia ricadere a terra. Un suono sordo e secco ed è in piedi davanti a Tati. Non le stacca gli occhi di dosso.

“Mi assento per un po’ e fate tutto ‘sto casino! “.

Tati cerca di cambiare discorso, l’emozione di ritornare in taverna e rivedere Narciso le sta formando dei groppi strettissimi alla gola, deglutisce con una frequenza inusuale. È consapevole che è sull’orlo di un pianto di proporzioni tali che il National Hurricane Center lo battezzerebbe con un nome: Cindy, Irma, Katia, Rina…Tati, ci potrebbe stare.

Tati si guarda intorno. Il suo sguardo si posa in rapida successione su tutta la taverna come l’ufficiale, altero e severo, squadra i soldati della truppa schierati prima di un’importante parata. Al termine di questa sommaria e veloce ispezione, il suo corpo tradisce un gesto di stizza, sul viso affiora un’espressione di fiero cipiglio e muove passi lunghi e distesi verso il tavolo dove sono seduti gli altri tre compadres.

Diaz, esperto di anni di convivenza con la moglie, comprende che l’uragano Tati-questa-casa-non-è-un-albergo! sta per investirli. Con un guizzo, allunga il braccio, chiude lo scrigno contenente le orecchie mozzate dei licantropi per celarli alla vista della donna. Di sicuro non gradirebbe vedere a tavola quei macabri trofei.

Narciso rimane impalato, torce il collo seguendo con lo sguardo Tati mentre gli passa accanto e poi oltre, come se all’improvviso fosse diventato a lei invisibile.

Ulysses è rimasto immobile nella posa questuante per un’altra fetta di torta, il piatto ancora sospeso a mezz’aria. Alla vista di Tati che procede come una locomotiva lanciata verso il tavolo, sul suo viso è apparsa un’espressione interrogativa di plateale evidenza. Narciso incontra lo sguardo di Ulysses e, sorpreso dall’improvviso comportamento di Tati, pronuncia una frase nella sua lingua di origine come se stesse rivolgendosi al conterraneo Oste, invece che all’amico americano:

“‘Sta casa me pare Resìna: cirche ‘na mallarda e truove ‘na mappina!”.

Il piatto scivola dalla mano di Ulysses, sbatte sul tavolo e vibra per alcuni attimi. L’espressione del viso di Ulysses muta dal dubbio alla rassegnazione del condannato a morte che attende il suo turno sul patibolo.

Narciso ha tradotto la situazione in un’efficace e sintetica espressione nel suo dialetto. “Questa casa sembra Resìna: cerchi un cappello e trovi uno straccio.” si riferisce a una casa dove regnano un’estrema  confusione e disordine a causa dall’ignavia dei suoi abitanti. È l’espressione tipica del capofamiglia per esprimere la sua massima disapprovazione per la confusione creata dai propri figli.

Tati raggiunge il tavolo ed esclama:

“La taverna!!! Mannaggialamiseria… possibile che non si riesca a tenerla in ordine!”.

Rivolge lo sguardo verso terra: tutto intorno al tavolo è un tappeto di briciole, resti di cibo, macchie di liquido versato, schegge di legno e vetro. Allarga le braccia con i palmi rivolti in alto, un tremore le percorre e le scuote per alcuni attimi, porta le mani al viso fino a coprirlo completamente. Quando ne emerge nuovamente il viso, nei suoi occhi vi si legge: incredulità, rassegnazione mista a insofferenza.

“Guarda qua! Ma guarda qua! Come fate a combinare questa porcilaia! Fareste bestemmiare pure Santa Zita!”

Ulysses fissa Tati a bocca aperta, da alcuni minuti tiene una sigaretta accesa tra le dita, la brace ha raggiunto il filtro e la colonnina di cenere formatasi sta per collassargli addosso. Cesar, sottovoce, sussurra a Ulysses:

“Santa Zita…”

Ulysses gli risponde con uno sguardo avido di risposte.

“…è la santa protettrice delle casalinghe.”.

Ulysses gli fa eco con un “Ah” e un cenno della testa in segno di immensa gratitudine per la rivelazione ricevuta, come se Cesar gli avesse finalmente svelato il Quarto Segreto di Fatima.

Cesar continua: “Compadre – indica con il dito indice – la sigaretta…”

Il ricordo di avere acceso la sigaretta qualche minuto prima scuote Ulysses, ma gli è pure fatale: la colonna di cenere precipita compatta sui suoi pantaloni. Con l’altra mano fa per togliersela di dosso, buttandola così per terra. Si blocca. Immobile. Si rende conto di avere fatto una grossa fesseria, troppo tardi. Non osa alzare lo sguardo. Riesce a stento a pronunciare le seguenti parole:

“Santa Zita proteggimi tu.”.

La voce di Tati risuona al di sopra della sua testa come le trombe dell’esercito israelitico che fecero crollare le mura di Gerico:

“Quest’uomo mi fa salireilcrimine! Zozzone di un Signor Nessuno, cosa aspetti ad alzarti e abbracciare Tatiamicatua?”.

Ulysses rialza lo sguardo e vede Tati davanti a sé, in piedi, le braccia spalancate e un sorriso da guancia a guancia. Si alza di scatto, la sedia vacilla dietro di lui, noncurante si lancia verso Tati per stringerla nell’abbraccio più stretto che può. La sedia cade a terra e, nell’urtare il pavimento, lo schienale si sfascia.

“E due” commenta un rassegnato Narciso, che ha di nuovo recuperato il suo posto intorno al tavolo.

Diaz e Cesar si alzano e, non senza qualche esitazione e imbarazzo reciproci, salutano Tati con sincero calore. Non scorreva buon sangue tra Tati e i federales dalla vicenda di quella donna assassinata, Soledad, ritrovata cadavere sul retro della taverna. Tati non aveva mai perdonato loro l’arroganza mostrata durante gli interrogatori e le sommarie conclusioni che avevano portato all’arresto dell’Oste. Se non fosse stato per Narciso e il dottor Feliz, a causa dei pregiudizi e delle strane idee che si erano fatti i due federales, l’Oste sarebbe rinchiuso ancora in gattabuia. Ma almeno sarebbe ancora vivo.

Tati!

la voce di Narciso ridesta Tati da questo ultimo pensiero che l’ha fatta sprofondare in pensieri cupi. Narciso ha colto subito l’ombra passare negli occhi di lei.

“Tati! Sediamoci dai. Ulysses deve finire di raccontarci come ha fatto fuori quei bastardi licantropi fuggitivi”.

Ulysses sopraggiunge portando due sedie: ne appoggia una alle spalle di Tati, la invita a prendere posto e, tenendo la sedia ferma per lo schienale, attende che la donna si sia seduta, prima di tornare al suo posto. Cesar finisce finalmente di tagliare la fetta di torta destinata a Ulysses, la mette su un piatto, che spinge davanti a Tati.

“L’ha fatta Luz, está deliciosa!”

Sorpresa da tanta galanteria di altri tempi e, soprattutto, dalle attenzioni da parte di Cesar, Tati si lascia andare sulla sedia in una postura del corpo che indica: finalmente sono a casa, ora mi posso rilassare. Lo sguardo di Tati è pieno di soddisfazione e gratitudine. Il viaggio le ha messo addosso una grande fame: fa il primo boccone con una certa avidità, fa per portarne alla bocca una seconda porzione quando incontra lo sguardo di Ulysses che sembra fissarla in modo stranamente insistente.

“Vuoi assaggiarla? Ulysses, ne vuoi un pezzo?”.

 

50 pensieri su “Batmancito [Ep.#35] – Santa Zita proteggici tu

  1. Zeus

    Capitolo “mega” questo. E si legge tutto in una volta senza neanche pensarci sopra.
    Ritorna un personaggio fuori dai giochi per un po’ (Tati), viene ricordato un povero cristo che sta facendo il diavolo a quattro e poi, beh, poi c’è la solita atmosfera da osteria.
    Un grog, che così riparto per i miei deliri ultraterreni

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    1. Dopo i rocamboleschi inseguimenti su per i tornanti del Sumidero, avevo voglia di un po’ di aria di “casa”. Perciò, mi è venuto naturale chiamare alla taverna tutti i compadres che erano lontani da qualche tempo.
      E’ ora di richiamare a casa i compadres, perché stanno per succedere alcune cose. Con la solita “tranquillità” messicana arriveranno tutte.
      La “solita atmosfera di osteria” mi mancava. Un po’ di sano cazzeggio, utile per dare qualche altra pennellata ai personaggi. Honda è sempre più un capo-saldo del nuovo corso di Batmancito. Il cane: l’amico fidato del…blogger 😉
      Spero di avere reso bene Tati, attendo il suo giudizio sulla “mia” interpretazione.

      Nota pure la citazione al nostro noir in salsa guacamole y habanero scritto a sei mani. Tati e Zeus rispuntano non a caso…io sto scaldando i motori per la Stagione 2.

      Per te una Reserva Especial de Grog, trafugata dalla cantina nascosta (ormai non più) dell’Oste. Quando ritornerà e scoprirà l’ammanco ci inventeremo qualcosa per non fargli prendere un infarto.

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      1. Zeus

        Mi sembra giusto richiamare a casa tutti i personaggi, prendere un momento di tranquillità per poi ritornare a tessere la trama di questo racconto che, più va avanti, più crea una trama che non vuole (e non deve) finire.
        Tati funziona sempre bene, ha un bel personaggio nel racconto e corrisponde con la Tati che leggiamo nel blog e nei commenti. Quindi sì, ci sta.
        Ho notato la citazione, non preoccuparti. Si ritornerà a scrivere, anche se bisogna mettere insieme i pezzi di un racconto che, col tempo, è variato (soprattutto i personaggi di Diaz e Cesar).

        Grazie redbavon, ho proprio la gola riarsa!!

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        1. Sono contentissimo di essere riuscito a farti sentire “a casa”, nei tuoi panni, nei tuoi scarponi. Beh certo che li ho visti! 😂
          Poi mi sono bastati alcuni scambi a cerbottana tra di noi, per tirare giù 1000 parole in cui sei la regina di El BaVon Rojo! Questo episodio è dedicato a te! Special Guest: Tati.
          (Non mi sono dimenticato di Ego eh…)

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        1. Come no! [Narciso sfila il piatto dalle mani di Cesar che lo stava porgendo a Ulysses e lo porge alla senorita Corazon-que-rueda] Signurì, cosa volete da bere?
          Si volta verso Ulysses che intanto si è allungato sul tavolo per predere il piatto della sua fetta di torta e gli fa: “Ulì, fai un po’ di posto alla senorita…- sbuffa – Oh! Ma stai sempre a mangiare torta! Adelante compadre, fai gli onori di casa”. Poi si rivolge a Corazon-que-rueda: “Scusate il chiasso dei compadres, so’ guaglune….Allora, avete deciso cosa volete da bere?”.

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            1. Mmmh Ulì vieni qui che la nostra amica parla portoghese. Se non sbaglio, tu sei stato in Brasile?
              Ulysses annuisce e risponde squillante:
              “Certo! Ti ho mai raccontato di quel mio amico con cui ho volato per tutto l’Amazzonia, atterrando dove arrivano gli altri aerei? Il suo piper era…”
              Narciso lo interrompe:
              “Ulì, io ti ho chiesto solo di fare gli onori di casa perché qui sei l’unico che spiccica il portoghese, non tutta la storia della tua fulminata vita!”
              Ulysses: “Vale, vale, piccolo-uomo-grande-sfrantumatore-di-zebedei…Senorita, un’agua maça com canela? Che ne dice?

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  2. Ho vissuto per circa trent’anni quasi sotto il campanile della chiesa detta di Santa Zita. E’ una santa non molto ricordata, per cui quando la trovo nominata (e in modo corretto) ho un piccolo sobbalzo di nostalgia… c’era qualcos’altro, ma al momento non ricordo: Sai, è l’età…

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    1. Quando ho scoperto Santa Zita non immaginavo quanta devozione ci fosse a Lucca. Pare che solo noi napoletani possiamo raggiungere una tale devozione per un santo! Niente di più sbagliato. In effetti, curiose coincidenze, ma sono contento che il mio fesso racconto abbia evocato la tua bella esperienza a Lucca.

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    1. Hola NuevOsoblanco! Como estas? Tú también aquí, te estaba esperando con curiosidad! Disinserisco il traduttore googlesco e riscrivo nel mio italiano-crucifixus: ero curioso di vedere spuntare il tuo commento dopo questo lungo episodio ad andamento lento. Temevo mi scrivessi: “mah, non è successo nulla e mi ha fatto leggere duemila parole!” ahahahah.
      Gracias NuevOsoblanco! Hai (rac)colto il profondo senso del ritorno a casa perché qualcosa si sta “muovendo” dalle parti dell’Oste.

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