Momenti di gloria videoludica #1: la rivista Videogiochi


Videogiochi N.16 – La mia copia della mia prima rivista di videogiochi acquistata nel luglio 1984.

La rivista Videogiochi rappresenta per me un importante momento di cambiamento generale, sia per ciò che stava accadendo intorno a me sia per effetto della mia giovane età e quindi della mia limitata consapevolezza.

Era il 1984. Al cinema Indiana Jones esplorava templi maledetti, quattro scienziati giravano per New York a caccia di fantasmi, uno spietato cyborg ritornava dal futuro per sterminare tutte le Sarah Connor di Los Angeles, a Beverly Hills l’agente Alex Foley irrompeva con la sua chiassosa risata, l’immenso Sergio Leone ci raccontava come era una volta l’America, Kevin Bacon si scatenava nel ballo in uno sperduto paesino della provincia americana, un campione dei videogiochi si ritrovava coinvolto suo malgrado dai “giochi stellari” a una guerra interplanetaria.

Era il 1984. Un afoso luglio in un parcheggio del quartiere EUR di Roma, nei pressi della sede centrale dell’INPS. Mio padre deve sbrigare delle commissioni, vedo un’edicola, per ingannare l’attesa, chiedo a mio padre tremilacinquecento lire per acquistare la rivista delle meraviglie elettroniche, che avevo visto sfogliare da un mio compagno di classe.

Domenico, detto Mimmo, portava in classe la rivista e la sfoggiava come fosse il quotidiano Il Sole 24 Ore, acquistato da chi non capisce un fico secco di economia, ma si dà un tono da “uomo d’affari che sa il fatto suo”. Mimmo, sfogliando la rivista Videogiochi, si dava le arie di un videogiocatore che sa il fatto suo, anche se poi nella sala-giochi che frequentavamo non era il migliore tra noi: sia lode a Virco detto “Bosconian” (titolo del gioco in cui era un campione).

Mimmo aveva la stoffa per essere un protagonista: fu l’uomo che riuscì a fare intersecare sulla lavagna due rette parallele e guadagnarsi una scoppola dalla professoressa tale che gli stampò la sacra sindone del suo volto in polvere di gesso sull’ardesia. Seguirono tante scuse dalla professoressa, ma la sacra sindone di gesso è rimasta a imperitura memoria. Con affetto ricordo Mimmo e a posteriori voglio ringraziarlo di avermi dato questa opportunità di conoscere la rivista.

Tremilacinquecento lire non erano poche e ne sentivo la responsabilità. Potrei sbrigativamente scrivere che la curiosità era troppa e non resistetti, ma non era soltanto “curiosità”. Credo che a smuovermi sia stato un quid che non conoscevo di avere dentro, quella scintilla che poi è deflagrata in una passione e maturata in una consapevolezza a distanza di oltre trent’anni. Videogiochi n.16 è stata la prima rivista che abbia mai comprato in vita mia e, con il senno di poi, sono stati soldi molto ben spesi. Sfogliai quelle pagine un numero spropositato di volte e davanti a me si aprì, non una finestra, ma un portone a due ante su un mondo nuovo.

La rivista è infatti un ponte tra il passato, il presente e il futuro. All’interno si trovano articoli che trattano di flipper, dei cabinati da bar, la novità delle cartucce intercambiabili per Atari e Intellivision. Gli articoli non sono firmati, sembra il racconto di un unico autore, che descrive con dovizia di dettagli i videogiochi, corredati da immagini a colori, non sempre nitidissime, ma in ogni caso dall’effetto di meraviglia assicurato. Le pagine pubblicitarie completano il quadro poiché aggiungono informazioni e altre immagini, amplificando così il desiderio di acquistarne subito uno. Cosa nemmeno così facile visto che i videogiochi erano distribuiti nei negozi di giocattoli insieme ad automobiline, bambole e il Dolce Forno. Il sogno aveva di che nutrirsi e l’acquisto di un videogioco era salutato – almeno a casa mia – come un evento.

La rivista ha alcune pagine in cui è prevista l’interazione con i lettori: la rubrica della posta (che oggi fa davvero tenerezza a leggerla) e le prime gare di videogiochi per i cabinati da bar. Dato il successo riscosso, la gara, anche se tenuta separata, viene estesa anche ai videogiochi per le console domestiche e, nel futuro, lo sarà anche a quelli per home computer.

E qualcuno di mia cinquantennale conoscenza decise un giorno di partecipare a quella gara e infilare gli unici due successi della sua (folgorata) carriera (molto poco) agonistica.

Continua alla Parte #2 – I miei record

41 pensieri su “Momenti di gloria videoludica #1: la rivista Videogiochi

    1. Il mio n.16 mi segue dovunque io sia. È sulla libreria. Gli altri sono in una scatola in un ripostiglio a casa di mia madre a Napoli. Devo trovargli un posto…lo spazio insieme al tempo sono i peggiori tiranni, meno male che i ricordi e le emozioni occupano poco spazio.

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  1. Purtroppo ne ho comprate pochissime di queste riviste (ne ricordo solo una portata a casa!) ma le ho vissute con grande forza, studiandole in edicola. Erano depositarie di grandi segreti, in un’epoca in cui ogni fonte di informazione era ancorata ad un lontano passato ed era difficile accedere alla modernità: figuriamoci al futuro!
    Se non sbaglio in queste riviste mettevano anche listati che, se ridigitati con precisione sul C64, diventavano dei programmini eseguibili. Poca roba, magari sprite ballerini, ma all’epoca sembrava dannatamente figo! ^_^

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  2. Non posso commentare su QUESTA rivista in particolare, sarebbe come parlare di filosofia quantistica per me che conosco solo la filosofia dello sticazzi 😀
    Ma adoro l’idea delle riviste in se, a casa mia ne sono sempre girate molte, Natura, Airone le due principali, TVSorrisi e canzoni, col tempo quelle di Arte e giardinaggio… mi piace quel tipo di “appuntamento alla lettura” e spesso anche alla scoperta…

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    1. Concordo con quella “ritualità” della lettura della rivista. E anzi, ancora prima, dell’attesa dell’uscita in edicola. Se la rivista tardava più del solito, il mio edicolante “di fiducia” neanche mi faceva parlare: “No, non è ancora uscita”. Devo dire però che ero un ottimo cliente.
      Ritornando alla “ritualità”, bandendo la nostalgia-canaglia e discorsi “da vecchi” (per quanto la mia età anagrafica mi permetta di farli), la rivista cartacea ti permetteva di fermarti e prendere il tuo tempo nello sfogliarla: prima una veloce scorsa, poi ritornare sulle parti che più ti interessavano, infine leggere anche l’ultima notizia inutile. La riponevi con la convinzione (illusoria) che ti sarebbe potuta servire in futuro. In realtà, la ri-leggibilità – in particolare delle riviste di informatica – è assai scarsa se non per motivi nostalgici, appunto. Eppure buttare le riviste è un’estrema ratio e, quando l’ho fatto in quei raptus di “pulizia” o di necessità di trasloco, mi è rimasto un chiodo di pentimento nel retro-cranio.
      Non dico che oggi non ci sia la stessa ritualità dello sfogliare con il web o le riviste in digitale, ma – pure avendo alcuni vantaggi –
      mancano alcuni “pezzi” a questa esperienza rispetto alla cartacea. Preferire l’una o l’altra è questione di preferenza e di motivazioni speciose: io utilizzo entrambe le modalità, anche se ho notato che rinunciando alla “carta” alla fine ho rinunciato a leggere una data rivista pure se disponibile in edizione digitale.

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      1. C’è qualcosa di affascinante nelle edicole, le trovo un luogo bellissimo. Nel mio paese, quando ero piccola, era in un palazzo storico, poco più di un corridoio con una tenda sul fondo per passare nel “reparto fototessere”…
        Mi piaceva l’odore polveroso che c’era, la poca luce che filtrava dalla sola finestra messa sul fondo, vicino alla cassa e quegli scaffali in cui il proprietario riusciva a far stare davvero di tutto.
        Personalmente continuo ad essere legata a quei pezzi di carta e ogni tanto per compleanni, natale e festeggiamenti vari mi piace regalare abbonamenti, è un regalo che si rinnova col passare dei mesi.

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        1. Un abbonamento è un regalo che si rinnova con il passare dei mesi…è fantasticamente romantico questo pensiero!
          Pensa che. messo davanti alla domanda, quale lavoro vorresti fare da grande, mi risposi: il fumettista, il bibliotecario (proprio il topo da biblioteca), l’edicolante. L’unico vero ostacolo a quest’ultima opzione è che devi svegliarti a ore barbine dell’alba per ritirare il quotidiano, per il resto sarebbe stato il mio sogno sguazzare nelle riviste a portata di mano, senza manco pagarne una. Lettura a sbafo, che goduria!

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          1. Vero che è un bel pensiero?
            Poi la letteratura con le riviste è davvero enorme, ci sono molte vaccate questo è vero ma ci sono anche un sacco di argomenti trattati davvero interessanti e per tutti i gusti.
            Anche a me l’edicola ha sempre affascinato tanto e la libreria… quella c’ho provato ma non ha retto ;(

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            1. La libreria oggi, quanto l’edicola, è un lavoro difficile. Non perdona se non si è una zona con molto traffico (ad es. grandi stazioni) o non riesci a specializzarti in prodotti editoriali ben specifici e ad alto valore (ad es. libri d’antiquariato). A parte una continua diminuzione del “lettore forte” nel nostro Paese, l’on-line permette un acquisto a un assortimento virtualmente sconfinato, che nessuna spazio fisico può permettersi di gestire. I librai esperti esistono ancora e riescono ancora a essere sul mercato, le start-up sono praticamente impossibili e le librerie indipendenti cedono sempre di più terreno (a causa anche di una distribuzione nazionale che non è esattamente priva di critiche).
              L’edicola si è trasformata: ormai è un grosso bazar e rivendita di gadget.
              La responsabilità non la giro come spesso accade su Amazon o sulle scelte “morali” del consumatore, bensì dipende dalla produzione editoriale e dalle scelte di modelli distributivi, che pilotano (i primi) e hanno portato (i secondi) a questo passaggio: nessun costo di stampa, di magazzino e di spedizione; meno costi di intermediazione; maggiore profitto per chi è a monte della filiera.

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              1. Son passati un bel po’ di annetti ma ricordo solo un giorno di gennaio, subito dopo le feste, durante il nostro solito giro in distribuzione ( per abbattere costi ed essendo indipendenti ci sceglievamo i libri da sole e secondo i nostri gusti e dei nostri clienti) non pensavamo di vedere così tanti libri nuovi, non immediatamente dopo natale! Poi ci hanno detto : solo Feltrinelli ha fatto uscire una cinquantina di titoli in questa settimana: come può una libreria piccola avere tutta quella disponibilità? Non può e quindi il cliente entra e ha troppe probabilità di NON trovare quello che cerca o vorrebbe e per ordinarlo lo prende da internet : stetti tempi, stessi costi e non deve nemmeno uscire. Si può biasimare ? non del tutto.

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                1. Bingo! Io sono quel tipo di consumatore che entra in libreria (ormai raramente per questioni di tempo, non altro) e ci resta due ore buone. Impossibile che non ne esca con un libro in mano.
                  Il problema è nella crisi del lettore: il cosiddetto “lettore forte”, cioè colui che acquista almeno un libro al mese, è in continua riduzione (dati AIE 2016) nonostante il settore abbia fatto segnare negli ultimi due anni una timidissima inversione di tendenza (un segno positivo con uno zero davanti e dopo una virgola). Inoltre, aggiungo di mio, il lettore che acquista deve anche leggere. Il rischio è che acquistando e non leggendo (questioni di tempo come al solito), si finisce per non acquistare più e si preferisce non andare in libreria per non cadere in tentazione. Questo il “lettore forte” che vale a stento il 4% dei lettori italiani. Puoi immaginare il resto (in cui ormai sono finito anche io). Sono cambiate sopratutto le abitudini di lettura: io – come te – leggiamo molto sul web (e proviamo anche a produrre contenuti, pensa tu!) e, nel mio caso, è tutto tempo sottratto ai libri.
                  Se tu vuoi aggiungere altro a quel “Si può biasimare? Non del tutto.” sarei curioso di sapere la tua.

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                  1. Credo che la questione sia anche data dall’enorme disponibilità di argomenti e di conseguenza di numeri di libri che escono. L’offerta è talmente vasta che districarvicisiimisisi ( cazzo, non riesco a dirla, figuriamoci a scriverla una parola del genere!!!) è un’impresa titanica ( e non Tatinica).
                    Ogni genere ( horror, fantasy, storico, drammi famigliari, storie d’ammore…) ha almeno una cinquantina tra titoli diversi e autori, che tra l’altro producono ad una velocità pazzesca, tra cui scegliere… allora anche per il libraio che non sta dietro ad una distribuzione ufficiale e quindi sceglie indipendentemente i titoli da proporre, fa una fatica pazzesca a decidere chi e cosa proporre.
                    Per questo le librerie più piccole si muovono nella direzione di “locali”, offrono alternative alla lettura, come spettacoli per pochi intimi, serate a tema, con aperitivi o cene, presentazioni di libri. Sempre legati al mondo della lettura ma prendendolo di traverso

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                    1. Beh l’idea anglosassone della libreria, arrivata molto in ritardo da noi (grazie a Feltrinelli almeno nella mia esperienza). La libreria è un luogo dove trascorrere il tempo, iniziare a leggere un libro (una sorta di prova del “prodotto”), sfogliare un illustrato, mentre sorbisci un cappuccino, un tè e ci inzuppi i biscottini al burro (una mano santa per il colesterolo) e una chiacchiera con il vicino su qualche consiglio di lettura extra.
                      Una bella idea per fidelizzare, ma quanto se la può permettere una piccola libreria e, sopratutto, quest’attività quanto tempo impegna il libraio che dovrebbe fare le cose che descrivevi tu per mandare avanti la baracca? Diventa un’attività da Davide contro Golia. E a ‘sta botta vince il gigante.

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                    2. Esatto il gigante rischia di vincere. Dico “rischia” perchè vedo parecchie piccole realtà che riescono ad andare avanti, che riescono a toccare le corde giuste verso i clienti giusti, che si affezionano, perché così dovrebbe essere: il negozio non è solo un esercizio commerciale ma un servizio alla comunità, senza distinzioni. Quando si riesce a fare scattare quella molla allora la lotta si fa più tra pari e il gigante torna a grandezze normali. Detto questo i fattori sono molteplici: anche il luogo ha la sua grande importanza. Noi, piccola libreria di provincia sicuramente avevamo meno possibilità rispetto a le piccole presenti su una grande città, che offre in ogni caso più spunti per fare rete e creare momenti di condivisioni diversi.

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                    3. L’unico modo per sopravvivere è differenziarsi e puntare sul “servizio”, che esalta l’unicità dell’offerta e rende i clienti fidelizzati. Amazon è una delle poche grandi realtà che ha capito che il servizio è essenziale. Quando ho avuto dei problemi sono stati eccezionali, mentre alcuno negozianti si sono dimostrati inadeguati, se non addirittura arroganti. Sono banalità, ma nella pratica e nella mia esperienza non sono ancora applicate dai più.

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                    4. Esatto. Quello che è necessario capire è che in fondo nessuno ( o comunque pochissimi) scambierebbe una persona gentile e qualificata, che sa cosa vende e soprattutto sa trattare bene le persone, con una voce registrata. Anche i grandi magazzini di elettronica, che all’inizio prendevano gente “a caso” per ogni reparto, ora cercano di avere la persona che ne sa, che sa lavorare veramente col pubblico… o per lo meno ci provano.
                      Ormai siamo sulla chiacchierata di fronte alla NON birra e questa te la devo raccontare. Nel paese dove son cresciuta, 4 case, una piazza e una via centrale per fuggir veloce, c’è un negozio di elettrodomestici e casalinghi che è come il mondo di Oz: desideri qualcosa? lì la trovi, sempre e se non la trovi l’avrai nel giro di pochi giorni. Ha pile e lampadine di tutte le misure e forme, da quelle da lucina per bambini a quella da centrale nucleare… un giorno chiacchieravo con la proprietaria e lei mi diceva ” sai, questo è un paesino, ci sono cose che io devo tenere anche se magari non ho guadagno, vedi le candele, gli stracci, i sacchetti di carta, di plastica… io devo fare in modo che in caso di maltempo la signora anziana che rimane senza luce possa fare due semplici passi e trovare quello che le serve senza per forza dipendere dai figlio o dal vicino di casa che prendono la macchina e le fanno la spesa… il nostro è un negozio e un servizio.”
                      Ecco, credo questo sia lo spirito con il quale tenere in piedi un negozio, che tu venda cartucce per stampante, mollette per il bucato, viti e bulloni o libri. Il resto può non dipendere da te ma quello sì e le persone hanno bisogno e desiderano quella cosa lì, nonc’ècazzo ( niente m’è uscito)

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                    5. nonc’ècazzo. Chiosa finale senza dubbio più che azzeccata. Non si sfugge da quanto la brava negoziante ha detto. Il rapporto umano è insostituibile e non è responsabilità dei consumatori (che vanno dove li porta il portafogli e ciò che desiderano con il minore sforzo), ma di chi decide cosa offrire e come offrirlo. Le brutture e le storture di un mercato selvaggio e della globalizzazione (e tiè ci butto pure questa) esistono da sempre e chi prova a regolamentarle e calmierarle arriva sempre dopo, a danni fatti.

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                    6. Tornando alle librerie, quando abbiamo chiuso noi eravamo la terza libreria indipendente di questa piccola cittadina. E’ rimasta in piedi ( e lo è tutt’ora mannaggialavaccaeporcalazozza!!) l’unica affiliata alle grandi case editrici. Tuttavia ogni ex cliente incontrato negli anni successivi si rifiutava di passare da lì ” è vero, hanno tutto ma ogni volta chiedo un consiglio non sanno dove son girati, quando gli chiedo un titolo specifico manco a pagarli che sanno di cosa sto parlando…NON UNA!”. Ora questo non è sufficiente a tenere in piedi piccole librerie ma l’essere umano sa scegliere anche al di là del portafoglio e della velocità di risposta e preferisce in qualche modo sempre la professionalità… forse non tutto è perduto 😉

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                    7. C.D.D. Come Dovevasi Dimostrare. Ecco il motivo dell’esplosione dei vari Trip-qualcosa o “recensioni” di Amazon (ecco in questo caso la multinazionale pecca di brutto), senza contare Yahoo Answers, ottime per avere un termometro psichiatrico della Rete e farmi un carico di euforia paradossa. I vecchi newsgroup o i meno vecchi forum della Rete sono spesso una fonte di informazioni importanti, anche se occorre avere una buona dose di pazienza e capacità di discernimento. Un negoziante, bravo e capace, li contiene tutti ed è una soluzione senz’altro preferibile sia in termini di tempo impiegato sia di rapporto umano, che dà ancora – nonostante tutto – le sue soddisfazioni. I misantropi, dopo tutto, sono un mercato di nicchia 😉

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    1. Ma neanche una rivista con i listati come la mitica Paper Soft? C’erano listati per ZX Spectrum e io, che avevo l’Adam (con un Basic identico all’Apple Basic) usavo quei listati per esercitarmi. Un vero incubo in realtà: ore impiegate a ridigitare e se andava bene (errori e bug nei listati nonché indirizzi di memoria diversi tra Apple e Adam) venivano fuori delle boiate epocali. Però mi è servito a capire meglio come funzionava la macchina e i principi di programmazione.

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      1. beh! Paper soft ne ho acquistate alcune copie. In effetti era da incubo ricopiare i listati tra errori di battuta e refusi. Però QL World quella l’acquistavo, anzi ho fatto l’abbonamento finché è sparita senza rimborso. Il cartaceo è finito in discarica 12 anni causa trasloco. Però ho recuperato il digitale,
        Per la programmazione non era un mistero per me. Anzi modificavo i programmi e correggevo gli errori

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  3. Le mie prime riviste sono più recenti e il prezzo non proprio economico costituiva un livello di difficoltà più alto del solito quando volevo persuadere i miei a prendermi il giornalino in questione. Appena si diffuse la moda di abbinare giochi o demo, era dura resistere (mi sembrava di “fiutare” l’affare, poi quasi sempre quei giochi erano effettivamente ciofeche) ma alla fine penso di averne comprati una decina in tutta la mia vita.

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    1. Stai alludendo probabilmente a una “fase” molto posteriore e cioè i tempi di Zeta e The Games Machine con il gioco allegato per PC.
      Anche a me l’iniziativa piacque molto, poi chiaramente non tutti i giochi allegati erano eccezionali e recenti. Tuttavia, fu un’occasione per provare giochi che avevo tralasciato per via delle finanze magre, alla cui depressione contribuiva sicuramente una buona parte delle riviste, sia italiane sia inglesi, che leggevo. Zeta (prima si chiamava K) era sempre a cura dello stesso Studio Vit e il livello era senz’altro più elevato di The Games Machine, che a un certo punto davvero diventò un circo di funamboli della carta stampata, a uso e abuso della maggiore parte dei suoi redattori, che tutto facevano – per lo più varietà di basso livello – tranne recensire i giochi.
      Internet non era ancora entrata così prepotentemente nel nostro uso quotidiano, anche se ne sentivano le prime avvisaglie, e le riviste erano ancora una fonte di prima mano per potere conoscere e farsi un’opinione.

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  4. Per colpa tua ho aperto Archive.org è ho trovato i vecchi console mania. Accipicchia che bello! Credo che prendero ispirazione da questo post. Peccato aver buttato tutti le mie riviste dell’epoca, le risfoglierei molto volentieri. Forse a casa dei miei mi è rimasto qualcosa. Poco e recente. Direi epoca appena prima dell’internet.

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    1. Gran bella roba in Archive.org e tutto condivisibile. Ho messo le mani solo sulla punta dell’iceberg, sul l’inizio perché tra i miei reperti recuperati da una sortita a casa di mamma’ ho (ri)trovato un piccolo tesoro! La fase 16 bit fu un putiferio di riviste italiane e inglesi, né macinavo 4 al mese. Un salasso per le mie finanze magre, ma soldi ben spesi (eh la cultura, la cultura!😂). Oggi fanno per lo più sorridere, ma nel complesso restituiscono un’immagine vivida e con il giusto distacco della consapevolezza del tempo passato. Insomma, un piccolo tesoro.

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  5. Capisco benissimo le tue emozioni, anche se io sono arrivato una quindicina di anni dopo, in piena era PSX, 100% Super Playstation Console, consigliatami da mio zio, a 7.000 lire, una immane spesa per un neo adolescente con paghetta da terzo mondo!
    Da uno che da bambino si eccitava col catalogo Amico Gio, una volta cresciuto, quella rivista era diventata il mio nuovo Play Boy!

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