Batmancito [Ep.#34] – Lycantropicarus


Segue da [Ep.#33] – El carro del Amor

“Al tramonto del terzo giorno, sulla strada da Tuxla ai miradores, Honda e io siamo a bordo del nostro carro del Amor…” un minaccioso ringhio risuona nella taverna, proviene da sotto il tavolo. Ulysses si schiarisce la voce e continua:

“Honda e io viaggiamo a bordo del nostro – alza il tono della voce – maggiolone, tenendoci a una distanza di sicurezza dalla jeep del nostro uomo. Per un buon tratto di strada, non ci nota. Sorpassiamo el mirador La Ceiba, più avanti incrociamo la deviazione per el mirador La Coyota senza che si accorga di noi. Probabilmente avrà pensato a un turista alla ricerca di uno scatto eccezionale al tramonto sul Sumidero oppure a un innamorato disperato alla ricerca di solitudine o di un punto abbastanza alto per farla finita. Nelle ore diurne è possibile incontrare qualche bus turistico e delle automobili; il traffico aumenta solo nei giorni festivi: i belvedere sono attrezzati con tavolini e panche, così le famiglie organizzano dei pic-nic per trovare sollievo dalla temperatura asfissiante della città. Al tramonto la strada non è frequentata e di notte è deserta: non è infatti illuminata, tutto intorno la foresta incombe, la strada si restringe quando devia verso i punti panoramici, senza accorgertene rischi di trovarti direttamente nel rio Grijalva mille metri più sotto.

Batmancito è là fuori. Non lo vediamo, ma ne abbiamo la certezza: è là fuori.

Appena superata la deviazione per el mirador El Roblar, succede qualcosa che deve avere messo in allarme il nostro uomo-lupo. Ormai è parecchio che il nostro maggiolone  appare e scompare nel suo specchietto retrovisore, ormai sulla strada non s’incrocia un altro veicolo da un bel pezzo: ha mangiato la foglia e ha accelerato bruscamente.

Visto il rifiuto di Honda a salire sul carro del Amor, avevo chiesto a Don Pedro di darci in prestito un’altra automobile, ma mi aveva dissuaso: sosteneva che, come tutti gli amanti, el carro de l’Amor ha un’energia compressa pronta a esplodere. Pesto il pedale dell’acceleratore, l’auto fa come un balzo in avanti. Don Pedro deve avere montato un turbocompressore di un’auto da corsa su questo buon vecchio maggiolone! La carrozzeria inizia a tremare tutta, ho pensato ‘ora si apre in due’. E invece no. Il motore entra in una progressione di giri e il motore va a pieno regime. Sento i singoli pistoni che vanno su e giù a un ritmo forsennato, ma regolare.

L’inseguimento continua su una strada che s’inerpica sempre più in alto e la striscia di asfalto si fa sempre più contorta, stretta tra la fitta cortina di alberi e pareti scoscese da cui si protendono pericolosamente degli enormi massi. Sono lì da secoli, perché dovrebbero precipitare proprio ora? Sebbene il mio sguardo sia inchiodato all’auto davanti, ogni tanto non riesco a evitare di guardare in alto e di lato per controllare che qualche masso non rovini dabbasso.

Uno spettatore che osservasse dall’alto l’inseguimento avrebbe assistito a una scena spettacolare: le due automobili in miniatura si arrampicano su un sottile nastro grigio incastrato tra le pareti rocciose della montagna a picco per centinaia di metri e la foresta tutta intorno.

Il nostro uomo deve esserci andato pesante con il piede sull’acceleratore. La jeep raddoppia la sua velocità e vedo il suo posteriore partire sparato sulla ripida strada di montagna. Inizia a diventare difficile tenere la strada: per non perdere il contatto visivo, devo sfruttare il sovrasterzo per uscire dalla curva a palla di cannone. La sbandata controllata non mi riesce sempre così bene: in un paio di curve, nel girare il volante, a malapena ho tenuto la strada, il posteriore mi è sfuggito per un attimo e ha sbattuto contro il già malmesso guard rail. All’urto la lamiera del guard rail si è piegata, ma ci ha tenuto in carreggiata, le ruote hanno ripreso aderenza e siamo ancora alle calcagna del fuggitivo, invece che sul fondo della scarpata.

Anche il nostro uomo è al limite: sbanda come un matto. Se continua così siamo tutti morti. Non posso fare altro che accelerare, mettendo ancora più pressione al fuggitivo, sperando che faccia un errore prima lui. Ormai ci stiamo avvicinando, ha girato troppo stretto in una curva e ha scarrocciato con un movimento a pendolo che gli ha fatto perdere trazione e velocità. Ormai lo vedo distintamente alla guida: sta controllando la distanza nello specchietto retrovisore. Si sta innervosendo: controlla troppo spesso gli specchietti laterali e il retrovisore.

Dopo un’altra curva che per poco non è stata l’ultima, la strada si restringe a causa della vegetazione, che ha eroso e invaso l’asfalto ai lati. Le fronde degli alberi si uniscono in alto e formano un tunnel naturale in cui si infila il rettilineo davanti a noi. La visibilità si riduce ulteriormente: la luce dei fari serve a poco e si alzano sbuffi di polvere misti a sassi dal manto di asfalto non manutenuto e ormai in disfacimento. Honda punta le zampe anteriori sul cruscotto e lo sguardo sulla strada: abbaia se vi sono buche od ostacoli in mezzo alla strada. In un paio di occasioni devo a Honda se siamo qui a raccontare questa storia.

Usciamo da questo tunnel naturale e la visibilità migliora quel tanto per concentrarmi di più sulla guida perché, da questo punto in poi, l’asfalto è un caro ricordo: iniziano a dolermi le braccia per tenere il maggiolone in strada, in ogni curva devo fare appello a tutti i muscoli e ormai ho il culo che è sensibile a ogni avvallamento, buca o dosso del manto stradale. Ci avviciniamo ormai alla fine della strada e all’ultimo mirador, Los Chiapa, il più grande e più frequentato dai turisti e dai messicani.

È l’ultimo perché si trova in una delle curve più ripide del canyon. Il panorama è mozzafiato: le pareti sono così scoscese che è possibile osservare il letto del fiume a centinaia di metri più sotto con un angolo di visuale di circa novanta gradi.

Ormai è alla fine della sua corsa. Se svolta a destra per El Tepehuaje è in trappola. È il penultimo mirador, sicuramente proverà a raggiungere Los Chiapa: c’è una cafeteria, pensa che davanti a testimoni non possiamo farlo fuori, chissà che gli frulla in quel cranio!

D’un tratto appare Batmancito.

Piomba sul tettuccio dell’auto del lupo-mannaro. Quest’ultimo inizia a girare il volante a destra e sinistra, il veicolo sbanda, sta cercando di fare cadere il passeggero non invitato. Più volte finisce ben oltre i lati della strada, “ripulendone” la bassa vegetazione e alzando polvere e detriti. Batmancito si aggrappa al tettuccio e cerca di guadagnare l’abitacolo. L’auto gira all’ennesima curva sbandando paurosamente, il conducente guarda nervosamente nello specchietto e fuori dal finestrino: l’uomo-pipistrello sta per piombargli addosso. In un tentativo disperato di farlo cadere, gira il volante innescando una nuova derapata, ne perde il controllo e la fiancata destra prima, sbatte, poi striscia per alcuni metri lungo la parete producendo scintille e un suono stridente e graffiante.

Barmancito è aggrappato alla fiancata opposta, la sbandata ha fatto perdere velocità all’automobile, la scura silhouette dell’uomo-pipistrello percorre la fiancata come un’ombra e con un balzo sparisce all’interno dell’abitacolo.

Ormai gli siamo addosso. Nonostante la debole luce dei fari, vedo due ombre che lottano all’interno del veicolo davanti. Seguo la jeep in scia per alcuni attimi, poi scarto sulla sinistra, pesto sull’acceleratore e mi affianco. Nell’auto accanto distinguo due mostruose ombre che lottano, Honda si sporge di lato abbaiando ferocemente. Sparati a cannone nel buio, viaggiamo paralleli, testa a testa, per un lunghissimo minuto. Con la mano destra strattono Honda verso di me e, una volta riportata sul volante, con entrambe sterzo risolutamente contro la fiancata dell’altro veicolo.

La sbandata che segue è una danza mortale a due.

La scritta “El Tepehuaje”, illuminata dai fari e dalle scintille per qualche frazione di secondo, scorre velocissima alla mia sinistra e mi fa capire che, in qualche modo, abbiamo deviato dalla strada principale. A qualche centinaio di metri c’è il belvedere di El Tepehuaje, poi il salto nel vuoto, il canyon del Sumidero.

Per alcuni secondi entrambi i veicoli proseguono la folle corsa appaiati, la strada si restringe, non li contiene entrambi. La fiancata destra dell’auto speronata picchia contro una parete o un tronco, il maggiolone riceve un contraccolpo, sussulta lungo tutto il bordo della strada, falcia arbusti e piante, i pneumatici fanno schizzare pietrisco e terra. Rallento quel tanto che l’altra auto passa in testa, ma guadagno anche lo spazio per sterzare all’interno della carreggiata un secondo prima di sbattere contro il tronco di un albero. La mia guida è ormai un misto di fede e intuito: mi affido all’abbaiare di Honda e ai sobbalzanti bagliori dell’unico faro funzionante. Dovremmo essere alla fine della corsa…o all’inizio di un volo, molto breve. Brevissimo.

L’auto con a bordo Batmancito e l’uomo-lupo frena, le ruote si bloccano, intorno s’irradia la luce dei dischi dei freni che bruciano. L’auto scivola in un arresto polveroso di rottami e detriti non senza avere raso al suolo una tettoia con annessi tavolo e panche.

Due ombre volano fuori passando attraverso l’ampio spazio una volta occupato dal parabrezza, toccano terra rotolando fino a fermarsi contro il muro di pietre, che fa la differenza tra ammirare il panorama e precipitare nell’abisso.

Honda e io corriamo al belvedere. Arranco nel buio tra sassi e rottami sparsi. D’un tratto la jeep prende fuoco. In una luce rossa infernale, il suono crepitante del fuoco e un puzzo di vernice e plastica consumate, le figure di un uomo-pipistrello e di un grosso lupo-mannaro “saltano fuori” dal buio della notte come figurine in uno di quei libri tridimensionali per i bambini.

Il lupo-mannaro è malconcio, si tiene in piedi a stento. La pelliccia è scarmigliata e zuppa di sangue. Si lancia in un disperato assalto, fendendo con gli artigli l’aria e lacerandola con dei versi che non possono appartenere a nessun essere su questo pianeta.

Batmancito scarta l’avversario con un balzo laterale. É in piedi sul bordo del muretto, in pericoloso bilico sul baratro che si confonde con il buio della notte, ma è sempre lì pronto a inghiottire l’incauto e improvvisato Icaro. Il licantropo frena il suo impeto e, dopo una fulminea torsione in direzione di Batmancito, gli salta addosso incurante dell’esito scontato e cioè una caduta nel vuoto per diverse centinaia di metri.

Urlo con tutto il fiato in gola, Honda abbaia fortissimo, ci lanciamo di corsa verso il muro. Honda vi salta su con un’agilità inaspettata per la sua mole. Io mi sporgo oltre la cintola nell’istintivo quanto insensato tentativo di vedere che fine abbia fatto il mio amico.

Il buio del precipizio si unisce a quello della notte, inghiotte il mio sguardo e ogni mia speranza, un’oscurità più profonda e terribile inizia a impadronirsi dei miei pensieri e il crescente battito del mio cuore diventa un rumore assordante in mezzo al petto. In lontananza odo un’eco ovattata dei latrati di Honda anche se è solo distante un passo.

Proteso oltre il muro, ancora con lo sguardo nell’oscurità sottostante, avverto una forte folata davanti al mio viso, intravedo qualcosa superarmi e, prima che gli occhi abbiano elaborato la sua forma, un tonfo alle mie spalle echeggia. Prima che riesca a voltarmi, un urlo disumano risuona.

Batmancito stringe nella sua mano sinistra un orecchio dell’uomo-lupo. Il licantropo prova a bloccare il sangue con una zampa sul lato della mutilazione; appena il tempo che la testa istintivamente si reclini dalla parte offesa, un baluginio metallico fende l’aria e recide il secondo orecchio. Le urla del licantropo sono confuse in un gorgoglio di sangue e maledizioni.

Batmancito mi lancia il doppio trofeo, che afferro al volo. Si china sul licantropo che si contorce a terra, lo afferra e lo trascina fino a fargli sbattere la schiena contro il muretto. Il licantropo sputa un grosso grumo di sangue cercando di colpire Batmancito, non fa in tempo a richiudere le labbra che si sente sollevato da terra e levitare in aria.

‘Mancato, hijo de perro!’. La maschera di Batmancito appare a due centimentri dal muso del licantropo.

‘Sai perché i pipistrelli vincono contro i lupi?’. Rischiarata dalle fiamme che hanno consumato la jeep fino al suo scheletro metallico, in piedi sul muro appare la figura di un pipistrello con le ali spiegate; a strapiombo nel vuoto pende la figura grottesca che ricorda vagamente un lupo.

‘Perché i pipistrelli sanno volare. I lupi, no.’.

Il lupo-mannaro sparisce nel buio, senza un rumore, senza un suono.”.

Ulysses interrompe il lungo racconto. Deglutisce. Manda giù un sorso di mezcal. Si schiarisce la voce. Tira un’ultima boccata da una sigaretta la cui cenere si tiene attaccata al filtro per qualche legge estranea alla fisica e alla gravità. La brace finisce per consumare il mozzicone, la cenere cade compatta addosso a Ulysses. Ulysses sbraita qualcosa, si pulisce dalla cenere spostandola dai suoi pantaloni al pavimento. Tira fuori nervosamente un’altra sigaretta dal pacchetto sul tavolo e la accende. Tira una lunga boccata, sembra che stia per dire qualcosa, poi fa un altro tiro.

“Compadres, io ho visto – deglutisce e ripete calcando il tono – ho visto il buio muoversi. Come se l’abisso sottostante avesse spalancato delle mostruose fauci e avesse inghiottito il licantropo nell’oscurità. Non un suono. Posso solo immaginare il suo ultimo urlo di terrore.”.

 

22 pensieri su “Batmancito [Ep.#34] – Lycantropicarus

            1. La taverna è in riva al mare e il suo credo è: camicia fiorata, mutande e infradito. Questo è tutto il necessario. Se ci metto la neve tocca comprare maglioni e tute in flanella alla Super Pippo, scarponi, sciarpe e cappelli di lana. L’Oste si sveglia, arma bagagli e mi manda affan…ci siamo capiti, no? 😂

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    1. Il canyon del Sumidero l’ho vissuto dal basso. Nella lancia che solcava le acque del fiume tra coccodrilli, pareti da fare venire il torcicollo e salti d’acqua che disegnano sulla roccia delle forme fantastiche. Ho sempre pensato a come doveva essere dall’alto. Ho studiato grazie a Google Maps tutta la zona dei miradores e mi è apparso d’un canto lo scenario e l’inseguimento. El carro del Amor è invece una concessione al tono scanzonato tanto caro all’Oste. Sono molto felice di rivederti da queste parti con questo entusiasmo! Grazie compadre!

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            1. Porta paCienza compadre perché nelle mie cartoline messicane ce ne sarà una dedicata proprio alla navigazione nel canyon del Sumidero. Sarà mio piacere farti salire su quella lancia e farti ammirare quello spettacolo della Natura. Io non sono mai stato a Tuxtla Gutierrez. Siamo pari 😉

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