Sciuscià


Dopo essere riuscito a leggere tutto il pistolotto sugli scugnizzi, il caro Ivano mi rivolge la domanda: “ma allora lo sciuscià? Sarebbe forse sempre lo scugnizzo, solo nominato diversamente nell’immediato dopoguerra?”.

La curiosità di Ivano, che ringrazio per lo spunto, ha messo in movimento le mie falangi, falangine e falangette, cuore e NeurUnico (l’unico neurone sano che mi è rimasto lo chiamo per nome) e ne è venuta giù una consueta slavina di parole dedicate a questi ragazzini e a un ricordo di famiglia legati al periodo storico della città di Napoli in cui fu coniata la parola “sciuscià”.

Sciuscià ha un’origine più recente del termine “scugnizzo” ed è individuabile esattamente in un preciso periodo storico: il dopoguerra, gli americani a Napoli.

Napoli è stata una delle città più bombardate durante il secondo conflitto mondiale e ha pagato un prezzo altissimo in vite umane, soprattutto civili. Sventrata dai bombardamenti dall’aviazione britannica e americana dal 1° novembre 1940 all’8 settembre 1943, subì anche quelli tedeschi fino alla notte tra il 14 e il 15 marzo 1944.

A partire dal 1942 i bombardamenti furono indiscriminati: l’obiettivo non erano più le installazioni militari o gli impianti industriali, ma la città e la sua popolazione.

Nella lettera  del 25 luglio 1941 Roosevelt scrive a Churchill:

“Noi dobbiamo sottoporre la Germania e l’Italia a un incessante e sempre crescente bombardamento aereo. Queste misure possono da sole provocare un rivolgimento interno o un crollo”

Napoli fu la prima tra le grandi città europee a insorgere contro i nazi-fascisti e a prendere a sonori calci il pallido sedere crucco della Wehrmacht.

Gli scugnizzi si distinsero e combatterono in prima linea nelle Quattro Giornate di Napoli (27-30 settembre 1943) e il film omonimo di Nanni Loy del 1962 ne è una degna rappresentazione. Mi preme evidenziare che non si trattò di una rivolta spontanea, un moto insurrezionale caotico, come trasmesso da grande parte della storiografia; in quel periodo storico fu una delle prime forme di resistenza organizzata dal popolo, senza nessun apporto di formazioni anti-fasciste, come accadde nelle liberazioni delle città del Nord Italia. Dal basso si formò una coscienza collettiva, che unì la popolazione e la spinse a combattere contro le angherie e il reclutamento coatto da parte delle truppe tedesche. Alla faccia di chi affibbia ai napoletani l’etichetta di essere inerti e rassegnati a un folkloristico fatalismo!

Dopo quattro anni di bombardamenti, la popolazione versava in condizioni davvero disagiate. Quando arrivarono gli americani, i napoletani – nella lunga tradizione partenopea notata già molto tempo addietro da un eminente tedesco, Johann Wolfgang Goethe – si “ingegnarono” (altra parola napoletana per dire “inventare, trovare una soluzione”) a fare di tutto per sopravvivere. In queste situazioni, i bambini, insieme agli anziani, sono sempre i più vulnerabili.

Proprio in quegli anni, nel 1945, Eduardo De Filippo nella commedia Napoli milionaria! descrive magnificamente la miseria e lo smarrimento morale, il dilagare del mercato nero, del contrabbando, della prostituzione e di tutta una serie di piccoli traffici che si instaurano tra Alleati liberatori e napoletani liberati.

La guerra è finita ma lo stesso Gennaro, tranviere senza lavoro e pater familias di casa Jovine, è consapevole che è iniziata un’altra guerra: i componenti della sua famiglia, come grande parte dei concittadini, soprattutto nelle zone più povere, hanno smarrito tutti i valori e l’onestà.

Il “sogno americano”, rappresentato da quei soldati americani in perfetta forma, corpi forti e statuari, ricchi di denaro da spendere, sigarette e cioccolato, entra in contatto con la fame e la malnutrizione degli italiani, la miseria e la prostrazione dei tanti lutti e privazioni causate dalla guerra. L’effetto è devastante.

Famosa foto di Robert Capa di un soldato americano e un anziano contadino siciliano. Si noti come l’americano accovacciato sia alto quanto l’anziano in piedi [foto da web]
In questo contesto appare lo sciuscià.

Sciuscià è l’ennesimo contributo americano alla nostra lingua: viene da shoe-shine, ovvero “lustrascarpe” (to shine “lucidare” e shoe “scarpa”)

Sciuscià è la pronuncia napoletana della parola “shoe-shine“ di quei ragazzini che si offrivano ai soldati americani come lustrascarpe o intermediari di piccoli traffici. Il lustrare le scarpe era per lo più un pretesto per “agganciare” un soldato americano e diventare il mediatore dei suoi interessi, più o meno leciti.

La figura dello sciuscià si è radicata nell’immaginario collettivo grazie all’omonimo film di Vittorio De Sica nel 1946 ed è finita per coincidere con quella dello “scugnizzo”, con cui condivide aspetto cencioso e lacero, lo stesso ambiente e condizioni di vita tra il 1943 e il 1945.

Analogamente allo “scugnizzo” non vi è alcuna accezione romantica del termine, poiché “sciuscià” è espressione di una forma di accattonaggio e di una miseria, anche di valori, su cui mi sono soffermato apparentemente in una lunga introduzione.

Avrei potuto semplicemente riportare l’etimologia del vocabolo, ma decontestualizzarlo dal periodo e dalla società in cui è stato coniato, non avrebbe dato il giusto peso e conferito il rispetto a quei bambini che non ebbero altra alternativa all’infuori di aspettare che passasse la notte.

«Ha da passa’ ‘a nuttata»

(cit. Napoli Milionaria! di E.De Filippo)

Boeing B-17 Flying Fortress (Fortezza Volante). I bombardamenti su Napoli coinvolsero un grande numero e tipi di aerei americani e britannici. Gli aerei da caccia e la contraerea italiana poterono fare poco per contrastarli.

Scrivendo mi sono imbattuto in alcune foto, anche di famiglia. Buonanima di papà non era uno scugnizzo ed è stato tra i fortunati a potere “sfollare” in un paese vicino Napoli, ma un po’ la faccia da scugnizzo ce l’aveva.

Ricordo vividamente papà che mi raccontò di avere rischiato la vita in un modo al limite della beffa a causa di un bombardamento.

C’era un albero di noce in un giardino nel paese dove papà era sfollato con la famiglia. Gli alberi di noce hanno fusti robusti e chiome alte. Le noci su quell’albero erano un cibo ambito. Per arrivare a quelle noci c’era un modo: un alto muro di cinta lambiva le fronde più basse e arrampicandosi su quel muro si poteva arrivare a coglierne i frutti.

Una notte, papà con altri bambini decisero di arrampicarsi su quel muro. Il muro era chiaramente molto alto ed era enormemente alto per mio papà che avrà avuto otto anni.

Mentre erano pericolosamente in piedi in cima al muro, in precario equilibrio per raccogliere le noci dai rami più vicini, sopra le loro teste risuonò il rombo dei quadrimotori delle Fortezze Volanti. I bambini colti dal legittimo panico non ci pensarono due volte a buttarsi giù dal muro.

Le Fortezze Volanti in realtà non lanciarono lì le bombe, ma erano di passaggio dirette verso Napoli. Il solo rumore li aveva spaventati e avevano rischiato di rompersi l’osso del collo lanciandosi da quell’altezza. Nessuno si fece male, fu una sorta di miracolo. Papà, quando me lo raccontava, ne rideva, ma non nascondeva la paura fottuta che si era presa, così come era evidente la tensione che questi bambini dovevano avere vissuto quotidianamente.

Scrivendo ho ripercorso le pagine di un libro sui bombardamenti di Napoli.

Scrivendo ho visto davanti ai miei occhi quei bambini che si azzuffano intorno a un muscoloso yankee che li guarda divertito con la sigaretta penzolante da un lato della bocca. Si affannano cercando di comunicare a gesti e mozziconi storpiati d’inglese con l’americano, mentre sbracciano e sbraitano in napoletano gli uni contro gli altri. I più piccoli soccombono. Si offrono di lustrargli le scarpe, gli prospettano “affari” in cambio di sigarette e cioccolato, si offrono di “presentarlo” a una bella signorina ‘ncoppa ‘e Quartieri. E non vado oltre nei sevizi offerti perché rabbrividisco al solo pensiero e non riesco e non voglio scriverlo.

Non vediamo più scugnizzi o sciuscià, non vediamo più ai lati delle nostre strade, sotto i portici o nelle piazze, la parola “scugnizzo” è diventata poco più che un “moccioso un po’ monello”, la parola “sciuscià” è desueta, sarebbe scomparsa insieme al lavoro di lustrascarpe se non fosse per quel magnifico film di De Sica.

Rendiamogli rispetto quando ai lati delle nostre strade, sotto i portici o nelle piazze, vediamo un giovane vu cumprà,epiteto spregiativo rivolto a quei ragazzi che vengono da lontano, da luoghi dove quella miseria, quelle angherie e quella sofferenza di (soprav)vivere sono ancora quotidiane.

Nei loro confronti noi siamo come gli americani per gli italiani in quegli anni terribili, noi rappresentiamo il loro “sogno”, evitiamo di diventare il loro ennesimo “incubo”.

In memoria di pagine tragiche della nostra storia e rispetto agli scugnizzi e agli scuscià.

Dedicato al mio caro papà

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44 pensieri su “Sciuscià

        1. Eh già sono sempre vivi finché ce li portiamo dentro e, ogni tanto, fuori di noi.
          Scrivendo il ricordo di papà me lo sono rivisto davanti. Avevo quasi le lacrime agli occhi. Ma era gioia. Gioia di “riederli”, di viverlo ancora. Sempre con noi. Sempre con noi.

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  1. che bell’articolo!…
    adoro i post che uniscono esperienze personali, cultura generale e cinema… e poi se parliamo di QUEL cinema, di uno dei vertici raggiunti dal neorealismo, beh c’è da togliersi il cappello…
    (non che l’altro che hai citato sia da meno, o meglio sì, un po’ da meno sì, perché Sciuscià è comunque uno dei film più importanti del cinema italiano)…

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    1. Grazie Vince. I legami o meglio i link si sono manifestati via via che scrivevo in un modo assai naturale. Ho cercato di preservare un sentore “familiare”, sia per il ricordo personale sia perché è la nostra storia e di molta parte dei nostri genitori. Poi un grandissimo aiuto me l’hanno dato quei mostri-sacri che ho citato.

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  2. Splendido esempio di come si possa rievocare il passato, collegandolo al presente, non rinunciando alla poesia ed alla familiarità, con anche una lezione per il presente…
    I miei complimenti più sinceri compadre… L’ho letto con passione e piacere infinito…

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  3. Grazie, carissimo! M’hai riportato alla mente ricordi… Forse t’ho già scritto che sono nata in rifugio, mentre bombardavano Torino? Ovviamente non ricordo “quei” momenti, ma i racconti di mia madre e di mio padre sono sempre vivi nella mia memoria… Grazie ancora!
    Piccola nota: Sciuscià era uno dei tre ragazzini protagonisti di alcune striscie a fumetti che mi regalava il giornalaio quando avevo 6 o 7 anni…(Ho cominciato a leggere molto presto). Erano Sciuscià, Pantera e Fiammetta. Ricordo i nomi e i volti, non più le storie.
    Grazie ancora!

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    1. Non mi avevi mai raccontato della tua nascita in un rifugio. Preziosi quei ricordi dei racconti dei tuoi. Sono contento che queste mie parole ti abbiano mosso a quei ricordi. Tristi che siano riportano vivida la storia delle famiglie e ci ricordano chi siamo. Le strisce di Sciuscià sono un lavoro per Ivano. Appena spunta da queste parti gli propongo di farne un articolo. Sono certo che ne sa.
      Grazie a te, per esserci con questi commenti, benzina per il mio motore a 10 dita e 1 cuore.

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  4. Purtroppo no, caro Red, non ne so abbastanza da realizzare un post sul fumetto Sciuscià. E’ scomparso dalle edicole prima che io nascessi e sebbene lo abbia visto molte volte in vendita nelle varie fiere mercato del fumetto non ho mai approfondito la sua conoscenza.
    Per il resto, mi complimento per la tua bravura e rapidità nella composizione di questo spin-off 🙂

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  5. The Butcher

    Ma questo post è da applausi! E tu che dici che hai un unico neurone rimasto. Ma smettila!
    Prima di tutto hai fatto un ottimo resoconto di ciò che ha passato Napoli durante la guerra. Ha citato due stupendi film che hanno tratto bene l’argomento (li adoro entrambi) e inoltre abbiamo capito anche da cosa deriva Sciuscià. E ti sembra poco?

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    1. Unico sano 😂😂😂grazie Butch! È una piccola goccia la mia nel mare di Internet. Se poi riesce a dissetare il lettore naufragato su questi lidi poco frequentati e conosciuti, non è senz’altro cosa da poco 🙂

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      1. Il tuo articolo, nel finale, sta per farmi commuovere. Interessantissima la nascita di questa parola, eh sì, io conoscevo scugnizzo soltanto. Vidi il film di Nanni Loy proprio recentemente, mentre volevo approfondire queste famose quattro giornate di Napoli; dopo aver visto il film, mi son sentita più orgogliosa di Napoli, anche se mi pare di capire che la loro rivolta fu messa in atto solo alla fine, quando ormai gli americani stavano conquistando Napoli ed i tedeschi andavano fuggendo. Lessi anche un racconto di un altro blogger che mi colpì dicendo che con l’arrivo degli americani fu tra i pochi che non fece applausi, eh ci credo… per liberare il paese, distrussero e bombardarono senza scrupoli.
        E, a proposito di applausi, che dire di quel povero marinaio fucilato davanti ad una folla di napoletani che furono costretti ad applaudire la sua uccisione.

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        1. La rivolta iniziò prima dell’arrivo degli americani, che ormai risalivano la penisola.
          I tedeschi erano in procinto di lasciare la città per attestarsi poco più a Nord sulla linea Gustav che di fatto divise in due l’Italia finché non fu sfondata o, meglio, aggirata dalle truppe marocchine francesi con le conseguenze tragiche per la popolazione civile raccontate in un altro film capolavoro “La Ciociara”. Le Quattro Giornate però rappresentano una delle prime insurrezioni spontanee della popolazione e non “pilotate” dalla Resistenza o dagli Alleati. Quindi è corretto parlare di una vittoria tutta napoletana.
          Ho letto un libro “I cacciatori del Vesuvio” in cui, seppure in forma romanzata, vengono raccontati i terribili bombardamenti che i britannici e gli americani inflissero alla città. Davvero pagine drammatiche che mi hanno fatto tentennare sulla distinzione di chi fosse davvero il “nemico”: gli aviatori italiani, schierati allora dalla parte dei fasciati, combatterono con pochissimi mezzi e uomini contro gli stormi di bombardieri che massacrarono indiscriminatamente civili e prostrarono la popolazione a uno stato miserrimo di cui gli sciuscià sono un piccolo rappresentante.
          Chi era il vero “nemico”? Beh la risposta è: la guerra e tutti coloro che si riempiono la bocca di questa parola senza capirne le conseguenze o per proprio tornaconto da infami.
          Averti mosso quasi alla commozione è per me un grandissimo complimento e sono contento ancora di più perché l’ho dedicato al mio caro papà che non c’è più. Grazie.

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          1. Grazie a te 🙂
            E allora, sì, lo possiamo dire, i napoletani furono grandi davvero!
            Riguardo il vero nemico, è proprio come dici tu, i potenti agiscono soltanto per difendere i propri interessi, se ne importano delle morti innocenti.
            Mi è anzi venuta in mente una frase famosa che riassume bene il pensiero vigliacco e meschino di chi dirige le guerre: “armammece e iatece!”

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            1. “Armiamoci e partite” è un classico, ci aggiungerei anche la rituale benedizione del tipo “Dio è con noi”, che a me suona come la più grande bestemmia visto che nessun Dio vorrebbe una guerra, figuriamoci in suo nome.

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