Viva il Messico! Ep.#28 – Le ruinas di Palenque


Segue da Ep.#27 bis – Intervista a Francesco sul mistero del munaciello messicano

11° dia: Palenque

Ci siamo lasciati alle spalle lo splendido Yucatan, ora siamo in Chiapas.

Secondo giorno a Palenque, programmata la visita alle ruinas, che nel mio ricordo sono le più emozionanti insieme a quelle di Coba. Ci si è svegliati presto per evitare la visita sotto il sole e un’umidità ancora più soffocante visto che il sito è immerso nella foresta. Come raccontato in Lo strano caso di Frank e il munaciello messicano, l’inizio della giornata per la compagnia dei quattro caballeros è stata già parecchio movimentata: l’apparizione a Francesco, alle cinque del mattino, di un bambino indigeno, che a quell’ora infame batteva molestamente con un bastone contro gli infissi della finestra della camera condivisa con mio fratello. Un bambino? Alle cinque del mattino?! Da solo in giro a rompere i maroni agli ospiti del prestigioso resort?!? Da qui la conclusione che ci sia stato un incontro ravvicinato di tipo partenopeo ovvero o’ munaciello messicano!

Lucio e Francesco sono già in tenuta da turista, Diego e io, dopo una doccia e una colazione rapida (almeno per i tempi rallentati dei messicani), siamo pronti per la visita alle ruinas di Palenque.

 

Questa foto rende bene l’idea di cosa significa un sito immerso nella foresta. Non mi stupirei che quella “collina” rigogliosa di vegetazione nascondesse una piramide [foto di RedBavon]
Il sito archeologico di Palenque, inteso come area visitabile, è piuttosto concentrato, sebbene si stimi che sia stato riportato alla luce circa il 10% dell’estensione dell’antica città di Lakam Ha, traducibile in “grandi acque”. Nella zona, infatti, vi è abbondanza di fiumi e cascate.

Su un’area di poco più di due chilometri quadrati sono documentate 1.481 strutture, pertanto la densità media di 673 strutture per chilometro quadrato fa di Palenque il secondo insediamento urbano più importante dell’Età Classica Maya. Il primo è Copán in Honduras (fonte: The Palenque Mapping Project).

Vista aerea del sito di Palenque [immagine da web]
Per dare un’idea di quanto poco si sia scoperto e tuttavia Palenque sia dal 1987 “Patrimonio dell’Umanità, di seguito la mappa dell’intera area del Parco Nazionale (dal sito dell’Unesco è possibile scaricare la mappa dettagliata qui) e un paio di zoomate sull’area “urbana” centrale.

Entrambe le mappe sono tratte da The Palenque Mapping Project dell’Università del Texas di Austin (2001, curatore Dr. Edwin Lawrence Barnhart)

In colore blu i confini del Parco Nazionale, in verde scuro le strutture rilevate nell’area.

Estratto da Pre-Hispanic City and National Park of Palenque – Map of the World Heritage property (fonte: The Palenque Mapping Project)

Ecco come si distribuiscono le strutture rilevate nell’area del sito archeologico

Di seguito l’area “urbana” centrale. In colore grigio le strutture inesplorate, in giallo scuro le strutture restaurate.

Mappa del sito di Palenque (fonte: The Palenque Mapping Project).

Palenque è il nome dato a Lakam Ha dagli spagnoli, che giunsero in questa zona del Chiapas nel XVI secolo quando questa antica città Maya era stata abbandonata da molto tempo (nel IX secolo). Il frate domenicano Pedro Lorenzo de la Nada, uno dei primi europei a giungere qui nel 1567, tradusse in Palenque (“fortezza” in spagnolo ) il termine Otolum, ovvero “terra con forti case” o “luogo fortificato”, che veniva utilizzato dalla popolazione indigena, i choles, per indicare il fiume che scorre attraverso l’attuale sito archeologico.

Il popolo Ch’Ol rappresenta oltre il 12% della popolazione indigena del Chiapas, dedita per lo più all’agricoltura e all’allevamento di suini, si definiscono Winik ovvero “uomini creati dal mais”.

Come presso gli antichi Maya, i choles non considerano la terra come una proprietà individuale: è la madre che dona la vita; la terra dona, ma esige anche. La terra va lavorata affinché dia frutti, ma esige anche riti, cerimoniali e sacrifici. All’arrivo degli spagnoli seguì un’evangelizzazione delle popolazioni indigene che si è tradotta in un sincretismo religioso del cattolicesimo con le antiche credenze maya, ancora oggi largamente praticato e che descriverò più avanti quando arriveremo a San Juan Chamula.

Perché vi sto ammorbando con la storia dei choles e del sincretismo religioso?

Perché vi ricordo che non siamo più in Yucatan, ma in Chiapas. “Embè? Sempre Messico è!”. Niente di più sbagliato.

Itinerario del viaggio fino a ora raccontato

Il Messico, fosse solo per l’estensione territoriale, presenta delle differenze sostanziali, tali che le nostre rinomate beghe tra Sud e Nord possono essere archiviate come liti condominiali. Nel Chiapas si avverte che il retaggio maya è un valore, è un’identità per la popolazione; al contrario, in Yucatan il retaggio maya è assai blando ed è utilizzato a fini per lo più di attrazione folkloristica. In Chiapas hai la netta sensazione di trovarti di fronte un altro popolo: fiero e ostinatamente determinato a conservare la propria identità e memoria, anche se ciò significa uno sviluppo economico più lento e condizioni di vita più difficili.

Durante l’Età Classica, Palenque fu la capitale di un importante stato, B’aakal. Il primo insediamento di agricoltori si fa risalire all’epoca olmeca e i suoi regnanti si vantavano di discendere da un’antichissima stirpe dinastica risalente alla preistoria mesoamericana, ovvero intorno al 3000 A.C. Le fonti storiche confermano che B’akaal fu un importante centro della civiltà Maya tra il V ed il IX secolo, durante il quale si alternarono glorie e disastri culminati nel 599 e 611 con una sonora doppia scoppola in guerra contro il “Regno del Serpente”, ovvero la città-stato di Calakmul (l’attuale Campeche, vicino al confine con il Guatemala). A seguito di questa sconfitta segue un periodo di disordini, ma la città non è ancora destinata all’oblio.

Nel 615 sale al trono K’inich Janaab Pakal, noto anche con un numero impressionante di altri nomi: Pacal, Pacal II (per distinguerlo dal nonno), Pacal Il Grande, 8 Ahau o 8 Ajaw (come indicato nei glifi), Scudo Solare (pakal in Maya significa “scudo”).

Pacal Il Grande come appare in una testa in stucco rinvenuta sotto il suo sarcofago nel Tempio delle Iscrizioni a Palenque [immagine da mayaruins.com]
D’ora in poi, lo chiamerò confidenzialmente solo “Pacál” con l’accento sulla seconda “a” per un vezzo tutto partenopeo, visto che il nome somiglia al nostro Pasquale che in napolateno spesso si tronca in “Pascà”.

Durante il lungo regno di Pacal, Palenque conosce un periodo di prosperità con attività costruttive così importanti da essere arrivate fino a noi. Pure non essendo un sito dei più estesi, vi sono alcune delle più belle opere di architettura e scultura che i Maya abbiano mai prodotto. Rispetto ai siti dello Yucatan, anche a quello più famoso di Chichén Itzá (leggi Ep.#17 e #18), qui la cultura Maya non ha subito l’influenza dei Toltechi che invase lo Yucatan molto più tardi, alla fine del X secolo, e pertanto ci sono giunte testimonianze uniche.

I Maya non conoscevano l’arco, ma utilizzavano la volta. La proporzione tra altezza della volta, ampiezza dello spazio coperto e spessore dei muri variava molto da regione a regione, generando spazi interni molto diversi. Poiché i muri dovevano sostenere almeno in parte il peso del tetto, gli spazi interni di per sé già stretti risultavano ancora più ridotti. Gli architetti di Palenque riuscirono a costruire le volte più ampie, conservando spazi interni più ampi e muri più sottili con aperture verso l’esterno a forma di “T”.

Altra testimonianza essenziale per decodificare i glifi e la storia Maya è rappresentata dalle ricche decorazioni e sculture in stucco di rara eleganza: le decorazioni del Tempio della Croce a Palenque  narrano la discendenza della dinastia regnante nel 692 d.C. dalla dea creatrice, nata milioni di anni prima.

Palenque, il Tempio del Sole a sinistra (parte del Gruppo delle Croci formato dal “Tempio della Croce”, dal “Tempio del Sole” e dal “Tempio della Croce fogliata”). A destra in lontananza la torre nel complesso del Palacio [foto by RedBavon]
Le piramidi Maya più famose sono: il Tempio di Kukulkan di Chichén Itzá (leggi Ep#18), la Piramide del Adivino di Uxmal (leggi Ep#22),  il tempio di Tikal (in Guatemala) e il tempio delle Iscrizioni di Palenque.

Il tempio delle Iscrizioni è il monumento funebre del re Pacal. Non è soltanto una delle costruzioni più importanti del sito, ma di tutto il Centro America: le dimensioni sono di tutto rispetto con la base alta 27 metri cui si aggiungono gli oltre 11 metri del tempio sovrastante, ma nulla al confronto dei 79 metri de la Danta che si trova nel sito di El Mirador in Guatemala. Decisamente più importanti sono le due scoperte fatte in questo tempio: il secondo geroglifico più lungo del mondo Maya (il primo è quello di Copán) di inestimabile valore per conoscere la storia dei Maya; nel 1952 Alberto Ruz Lhuillier rimosse una pietra del pavimento in una sala del tempio e scoprì un passaggio segreto e, attraverso una lunga scalinata, la tomba di Pacal.

Palenque, il Tempio delle Iscrizioni [foto by RedBavon]
Il Palacio è un imponente insieme di costruzioni edificate su una piattaforma di cento metri di lunghezza e ottanta metri di larghezza: vi si accede da una maestosa  scalinata di tre rampe. Sulla sommità si innalza un’altra particolarità architettonica,  una torre, utilizzata probabilmente per le osservazioni astronomiche.

Palenque. La torre, a destra, alle spalle della strutture del portico [foto by RedBavon]
Insomma, sebbene vi si ritrovino familiari strutture trovate anche negli altri siti, Palenque ha una storia differente da quelle che abbiamo finora visitato, cioè Chichén Itzá, Cobà, TulumUxmal.

Giungiamo al sito senza conoscere nulla di questo lungo spiegone che vi siete dovuti sorbire (ci siete ancora?) e in perfetto assetto da turista-marsupiato, ovvero berretto da baseball (?!?), t-shirt zuppa di sudore, scarpe da ginnastica senza calzino (praticamente, armi chimiche) e, cinto all’addome, un orrido – ma ai tempi era accessorio di tendenza (brutta) – marsupio d’ordinanza. Unica variazione rispetto al solito nostro sciatto abbigliamento è l’avere preferito indossare dei jeans, invece degli inossidabili bermuda (che ormai camminano da soli): i mosquitos abbondano più che in altre zone. A Tulum abbiamo già sperimentato che l’Autan, nella sua versione tropicale e spruzzato in generose dosi, ai bastardissimi mosquitos locali fa un’emerita pippa. Il sito è nella foresta, vi scorre un fiume e c’è anche una cascata: i Maya hanno abbandonato Palenque, ma i mosquitos vi prosperano da quei tempi antichi fino a oggi. Una cosa è certa: con i bermuda indosso le nostre gambe sarebbero esposte senza alcuna difesa all’attacco incessante da parte delle legioni anofele. Abbiamo preso una delle poche sagge decisioni di tutto il viaggio: pantaloni lunghi.

La vista è spettacolare.

Palenque, sul lato destro il Tempio delle Iscrizioni [foto by RedBavon]
Il sito è immerso nella foresta, le piramidi, la torre e altre costruzioni svettano tra la vegetazione e restituiscono immagini dei grandi film di avventura. Mi sono sentito come Indiana Jones (augurandomi di non essere davanti al Tempio Maledetto). Una vista simile a quella ricevuta a Cobà, ma più maestosa poiché il sito è ben tenuto e le costruzioni sono state restaurate.

La magnificenza di tale bellezza non ci fa esitare un istante a mettere mano ai marsupi e porgere la pecunia in pesos alla guida indigena, preferendo una visita consapevole a un più economico peregrinare tra le antiche testimonianze storiche di ovina usanza.

In merito alle guide locali che ci hanno accompagnato nei vari siti archeologici, non so quanto fossero preparate e quale fosse il grado di precisione storica delle informazioni che abbiamo ricevuto. La trascrizione del diario originale del viaggio in questa forma 2.0 è stata l’occasione di riportare in superficie i ricordi, amplificarne le sensazioni e approfondire temi e notizie sia per mia curiosità sia per correttezza nei confronti del lettore (quanto vi voglio bene eh!). A volte ho riscontrato che le informazioni date dalle guide sono state piuttosto superficiali, un misto tra fondamenti scientifico-storici e leggende, tuttavia mai balle colossali o sfondoni macroscopici; un approccio divulgativo giustificato da condizioni ambientali, platea eterogenea e un certo senso teatrale – da me apprezzato – nel raccontare la storia con quel pizzico di mistero e aneddotica, che colpisce, resta impresso nella memoria più facilmente e può in un futuro diventare il seme di un successivo approfondimento. Proprio come è successo a me.

Perciò, consiglio di visitare i siti archeologici sempre con una guida locale non per assumere una pedante dose di nozioni storiche, ma per assicurarsi una dose di sensazioni aggiuntive in un viaggio attraverso questi luoghi unici.

La guida porta a zonzo un codazzo multi-etnico di turisti tra le piramidi e le costruzioni di queste splendide testimonianze che chiamarle ruinas sembra fargli un torto. Spiega in un inglese comprensibile (vi sono anche guide che parlano l’italiano, ma a Palenque non l’abbiamo trovata) la storia, i dettagli architettonici e, in particolare, la figura di Pacal Il Grande.

E chi non viene con noi a visitare la tomba di Pacàl, possano rubargli il bagaglio e abbandonarlo (senza torcergli un capello) di notte sulla strada vicino a Palenque, lasciandogli indosso solo le infradito e un costume da bagno. Mosquitos, la cena è servita.

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46 pensieri su “Viva il Messico! Ep.#28 – Le ruinas di Palenque

    1. Bel posto, ma per uno come noi piuttosto difficile. Mettici pure che come gringo (che significa “straniero”) non siamo proprio benvisti. Il viaggio tra Palenque e San Cristobal è nel totale nulla o, meglio, foresta a perdita d’occhio e ho sempre pensato che se ti si ferma l’automobile ritrovano le tue ossa gli archeologi dell’anno Tremila. San Cristobal è splendida ed è un posto di cui ti innamoreresti sicuramente! Dopo il prossimo episodio sempre a Palenque, arriviamo a San Cristobal. Tieniti pronto.

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    1. Non sbagli. Il Chiapas è magnifico. Lo Yucatàn merita a patto di non buttarsi solo su una spiaggia ed evitare Cancun e Playa. Automobile a noleggio e vabbe’ ho dato i miei consigli lungo questo diario. Quando decidi, chiedi pure.
      Oggi riandrei di nuovo in Chiapas con una puntata in Guatemala e Honduras. Sogno a occhi aperti 😉

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  1. In Chiapas ho dejato el my corazon, compadre! E tu me ne restituisci un pezzetto, con questo tuo parlarne in modo amplio ed esaustivo. Ricordo di averci dormito in un campeggio nella boscaglia ad un tiro di schioppo dalle ruinas. Ed ho avuto il privilegio di fare amicizia con i mosquitos voraci del luogo. Ma ne è valsa la pena: al mattino la foschia sembrava riportarmi i fantasmi degli antichi abitanti del luogo, con le loro musiche e con le loro allucinazioni, vista la loro profonda conoscenza di certi champignon…
    Un saluto anche al caro Pascuale che ivi riposa e grazie di cuore…

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    1. Hai notato anche tu quella foschia eh? Non ne ho scritto perché altrimenti finivo dritto dritto dopo Kazzenger nei risultati della ricerca di Google 😉
      Comunque quella nebbiolina mista a nuvole (effetto del l’umidità assurda probabilmente) restituisce esattamente l’effetto che hai descritto! Quando ho scritto che mi sentivo come Indiana Jones, intendevo proprio quello che tu hai descritto benissimo. A Palenque la sensazione di calcare una terra antica e popolata dai Maya è più vivida che in altre parti che ho visitato. E neanche a dire che il sito è allo stato naturale come Coba’! È molto ben tenuto: quando siamo arrivati stavano facendo dei lavori al Tenpio delle Iscrizioni.
      Siamo dei privilegiati ad avere visto questo luogo e tu sei anche sopravvissuto ai mosquitos, divino Silviatico!
      PascuALe è nel nostro Olimpo insieme a Chac e Uxmal. Nel prossimo ti spiego i motivi (poco seri, chiaramente).
      Mi fa davvero piacere che sia riuscito a restituirti un po’ di quel luogo, davvero fiero di esserci riuscito. L’ho scritto pensando anche all’effetto che ti avrebbe fatto: tiro ora un sospiro di sollievo e un singulto di gioia.
      Bello viaggiare, ancora più bello condividerlo, compadre!

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      1. E’la bellezza del viaggio, quella di poi raccontarlo. E’un po’come quel raccontare di marinai e l’uditorio a bocca aperta che lo ascolta avvinazzato, ma non per questo meno affascinato… Ho letto, ma anche visto di persona, come i maya che vivono nella selva che circonda Palenque siano i diretti discendenti di quelli che costruirono la città. Evidentemente decisero di fermarsi, nonostante il grosso della popolazione sia migrato verso lo Yukatan, ragione ancora misteriosa questa: perchè abbandonarono l’aria salubre di quei luoghi, per andarsi ad infrattare in luoghi paludosi e con mosquitos ancora più infami oltre che meno fertili? Comunque, il mio pensiero corre a quell’italiano che, arrivato in compagnia, un giorno al campeggio, affittò una palapa(ricordi le capanne circolari con il solo tetto e le travi per attaccarci l’amaca?).Ebbene, si addormentò per la stanchezza ch’era di pomeriggio. Il giorno dopo era gonfio e rosso che dovettero portarlo in ospedale per quanto era grave…

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        1. Sull’abbandono delle città-stato maya ho letto un po’di tesi, rimane un mistero. Pensa a El Mirador, si dannano l’anima per costruire una delle piramidi più alte al mondo (79 metri) e poi abbandonano tutto alle ortiche, pardon, le liane.
          Gli Spagnoli sicuramente hanno cancellato parecchie testimonianze con il loro saccheggio e le loro angherie, ma c’è ancora tanto da scoprire intorno ai siti.
          Ricordo di questo episodio dell’italiano che fu vampirizzato dai mosquitos, certo che pure lui ci ha messo del suo!
          Come quel tipo con lo zainone che mentre viaggiavamo di notte in corriera, chiese all’autista di lasciarlo a un incrocio per Agua Azul. A piedi, da solo, di notte!
          L’autista gli fece capire con tre parole che non se ne parlava proprio: No, aqui, assaltos”. Io ci avrei aggiunto: idiota.

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          1. E’proprio vero che ce le si va a cercare! Pensa che, il giorno del mio compleanno, c’è venuto in mente di fidarci di un messicano che si spacciava per professore all’università di Oaxaca. Questo, di pomeriggio già tardi, ci ha condotto su un bus per un pueblito perso tra le montagne a una trentina di chilometri da S.Cristobal nel Chiapas. Siamo arrivati che già il sole declinava. Il posto era bellissimo e suggestivo. Ma la gente era decisamente malmostosa con i gringos. Addirittura un tizio voleva portarci con lui su per il cerro, facendoci ammirare il suo machete. Quando siamo tornati allo zocalo, per prendere uno dei colectivos che ci stavano in attesa, ho visto avanzare cinque anziani del pueblo tutti decorati di borchie su i trajes tradizionali. E’ come se costoro avessero fatto passare la direttiva che nessuno doveva prenderci a bordo. Dopo tutta una serie di giri e rigiri, abbiamo capito che non c’era storia. Così ci siamo avviati a piedi per rientrare. Eravamo un gruppo di sei o sette persone con anche una ragazza disabile che claudicava abbondantemente da una gamba. Ti lascio immaginare il viacrucis: ci ha sorpresi la notte sulla strada del ritorno, ed una fifa che non ti dico. Ma sai una cosa? Proprio quella ragazza tedesca era rimasta entusiasta dell’esperienza. E DIRE CHE L’AVEVO DOVUTA SORREGGERE PER UN PACCO DI CHILOMETRI AL BUIO, CON IL TERRORE DI INCAPPARE IN QUALCHE BANDIDO o fuori de cabeza. Lui l’ho depennato dalle mie amicizie. Perchè, gli ho ripetuto più volte: tu che sei messicano dovresti saperlo cosa significa andare a disturbare le persone a casa loro…
            Per quanto riguarda l’esodo dei maya dalle loro terre alte, anch’io ho letto diverse tesi. Qualcuna ipotizza il loro volersi trovare più vicini alla costa dalla quale sarebbe tornato Quetzalcoatl. Altri, invece, il sovraffollamento e delle possibili epidemie. Ma l’unica cosa certa è che il mistero rimane…

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            1. Diamine che disavventura! In effetti, scrivevo in risposta al commento di Vincenzo che voleva rinascere qui, che oltre a essere difficile come luogo, anche la popolazione non è molto ben disposta verso i gringos. A Chamula ho avvertito la sensazione di essere un sopportato “visitatore”…un po’ come mi sono sentito in Alto Adige 😉
              Facevi bene a essere terrorizzato: il luogo è al limite del selvaggio, poco frequentato e il fuori de cabeza lo si trova dappertutto.
              E che il mistero rimanga altrimenti poi Kazzenger perde il posto…

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              1. Brutto posto San Juan de Chamula: pieno di turisti dal click facile e di indigeni pronti a strapparti la macchina, di bambini pronti a scucirti qualche pesos per gli scatti… E’ lì che mi sono reso conto, in parte, del mio essere turista ed imbecille. Della parte oscura della mia imbecillità di turista, me ne sono reso conto a Sololà in Guatemala, appena sopra il lago di Atitlàn, poco prima che il bus si getti a capofitto nella discesa che conduce al lago, un’esperienza da non fare, se non si è già redatto il testamento: ci facevano un mercato favoloso di artigianato indigeno e di alimenti. Io, con tutte le raccomandazioni del caso: contrattare sui prezzi, sempre e comunque, mi sono dato alla contrattazione serrata con una povera vecchietta india che, con pochissima mercanzia, cercava di sbarcare il misero lunario. Sul momento mi sono lasciato trascinare dall’idiozia contagiosa del turista d’accatto. Poi, riflettendoci su, me ne son detto di tutti i colori: per quanto potessi essere a corto di quattrini, quella vecchietta lo era ancor più di me. E fui felice che, alla fine, l’avesse spuntata lei con il prezzo che richiedeva, per una cintura da huipiles ricamata a mano…

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                1. Anche io non ebbi una buona impressione di San Juan de Chamula, anche se eravamo “protetti” da una guida piuttosto famosa, tanto era citata sulla Rough Guide che usavamo come bibbia, una certa Mercedes. Poi ti racconterò. Notai parecchi pick-up della Policia che giravano con gente a bordo armata pesantemente.
                  Ci sono stato nell’agosto del 1999 e negli anni precedenti vi erano state le rivendicazioni dell’EZLN e del subcomandante Marcos. Non era certo l’aria di qualche anno prima, ma non era delle migliori. Se non erro la strage di Acteal è avvenuta alla fine del 1997: un gruppo di paramilitari sterminò una cinquantina di indigeni ad Acteal, tra cui donne e bambini. La Policia rimase a guardare fuori del paese e anzi ci furono accuse che avesse coperto la ritirata al gruppo di quei criminali. Insomma, si respirava tensione, oltre che la miseria era palpabile, già a San Cristobal, figuriamoci in queste realtà rurali.
                  Però ci fu anche un piacevole episodio in un paese vicino di cui non ricordo il nome: una partita di basket Napoli VS Chiapas.
                  In merito alle contrattazioni, io sono negato e, in particolare, non sopporto quei nostri connazionali che esultano per avere estorto un prezzo particolarmente vantaggioso a uno che magari ha come unico sostentamento quelle poche cose. Se mi interessa qualcosa, fisso un prezzo che mi sembra adatto alle mie tasche, chiedo il prezzo, se spara alto, vado via. Ci sono poi quelli che ti inseguono e ti danno il tormento, normalmente il mio “no” gli fa capire che non c’è trippa per gatti.
                  Lo so che spesso pago un prezzo più alto del normale in loco, ma non mi importa: deve essere un prezzo giusto per me, per il resto spero che ne godano. Così come il viaggio mi arricchisce e quel luogo, quella gente mi donano sensazioni, emozioni ed esperienze, così vorrei lasciare almeno qualcosa di buono al mio passaggio.

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    1. Grazie e benvenuta! Le foto fatte da me (pessimo fotografo) sono scansioni di foto stampate all’epoca. L’immagine perde qualcosa in questo processo.
      Quindi immagina quanto possono essere ancora più belli dal vivo quei luoghi!
      Un viaggio che consiglio senza esitazione.

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    1. Cinque, sei viaggi li ho fatti lontano dall’Europa e quindi mi sento un privilegiato. Peccato che ne siano rimasti almeno altrettanti – a essere tirchi, in verità – che vorrei fare prima di raggiungere Manitù. Gli anni iniziano a farsi sentire e con due hobbit di sei anni e mezzo la mobilità è comunque limitata, sia per le destinazioni possibili, sia per una questione economica (il doppio del costo solo il viaggio aereo).
      Senza considerare la vile pecunia, questo viaggio, per esempio, non sarebbe sicuramente alla mia portata a livello fisico, quindi – tu che sei giovane – se e quando hai la possibilità non aspettare: fai il biglietto e vola.
      Per i mosquitos non è un problema (a meno di allergie): basta coprirsi per bene (si suda di più, acqua sempre a portata di mano) e pare che i repellenti anti-zanzare tropicali sono assai più efficaci che in passato.

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            1. manca “mainaggioia” e siamo pure social! Voglio strafare perché l’unica volta che sono entrato da Tiffany me la sono cavata senza rimetterci un rene e entrambi gli occhi. Vista ‘sta figura da purciaro sulla 5th Avenue, a casa mia nun vojo badà a spese…Sempre benvenuta da queste parti, signoramia! O signorinella?…(ecco ero andato bene fino adesso, mò me so’giocato tutto)

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    1. Hai due possibilità di sorbirti la mia solfa itinerante: la prima lineare, la seconda a scacchiera.
      La prima più canonica è dal 1° episodio. E hai il link in basso alla pagina che ti porta all’indice.
      La seconda la trovi nel post che ho pubblicato ieri: La Classifica della Vongola – aggiornamento.
      Ho riorganizzata quella pagina in modo che possa essere usata come un “hub” al centro del racconto, da cui iniziare a leggere senza seguire il canonico iter.
      Si prende spunto dagli episodi più tragicomici del viaggio per poi andare a esplorare negli episodi in cui sono avvenuti e muoversi attraverso gli altri precedenti e seguenti.
      Che dici? Ti ho convinto?
      Sempre un sentito grazie NuovOrsoBianco

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                1. No, non ne conosco. Neanche uno dei due tipi di soggettazzo che descrivi. Mi spiace.
                  Il fatto che mi sia iscritto a Twitter per pormi l’obiettivo di scrivere qualcosa di sensato in 140 caratteri e non avere ancora capito a cosa serva Twitter secondo te mi rende un logorroico potenziale?

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    1. E allora questo diario-uno-strappo-e-via ha ancora più senso se ha anche una simile utilità. Ne sono molto onorato e lusingato.
      C’è ancora molto da vedere-raccontare e una volta finito ti porterò in Africa. Ma ci vorrà un po’ di tempo. Porta pazienza.

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