Batmancito [Ep.#26] – Venere sorge dagli stracci


Segue da [Ep.#25] – Luz! – Parte II

Luz è adagiata sul tavolo, fradicia e tutta tremante.

Narciso recupera dai tavoli vicini le tovaglie e le getta addosso alla ragazzina fino a ricoprirle il corpo, sfregando e tamponando fino a che il tessuto non diventa umido. Ripete il procedimento più volte. Per terra giacciono arrotolate già due tovaglie e tre tovaglioli umidi.

Va dietro al bancone, vi sparisce dietro e, dopo un trambusto di tintinnii durato un paio di minuti, riemerge con una bottiglia in ogni mano. Le posa entrambe davanti a sé sul piano in legno massiccio segnato da tante nottate e storie, afferra la prima: contiene un liquido perfettamente trasparente, sembra acqua di fonte appena imbottigliata. La gira nella mano fino a leggere l’etichetta. La ripone senza esitazione. Sull’etichetta si legge:”Spyritus“.

La seconda bottiglia è di forma squadrata, bassa e larga, sembra parecchio pesante, è in cristallo lavorato e il tappo è un grosso blocco di cristallo finemente intagliato: contiene un liquido giallo.

L’etichetta è consunta, scritta a mano, e vi si legge: “Gocce Imperiali”.

Narciso versa alcune gocce del liquido giallo in uno dei bicchierini usati per i giri di chupito, un classico della bisboccia notturna. Questo distillato di erbe prodotto da certi monaci cistercensi è impossibile da bere in purezza: 92 gradi. Vi versa dell’acqua fino a riempire il bicchierino e lo avvicina alle labbra di Luz.

“Fai un sorso di questo. Un piccolo sorso, mi raccomando.”.

Luz avvicina le labbra e si allontana di scatto all’odore che pungente penetra le narici. Scuote la testa un paio di volte e, muta, fissa Narciso come per chiedere “Non vorrai davvero farmi bere quella roba lì?”. Narciso non proferisce parola e di tutta risposta le avvicina ancora il bicchierino.

Luz abbassa gli occhi in segno di rassegnazione, avvolge le sue dita intorno alla mano di Narciso che le porge il bicchierino e la accompagna alle sue labbra; china la testa, esita ancora qualche momento, fissando il liquido giallo come se fosse l’ultima cosa che i suoi occhi vedranno prima di chiudersi per sempre. Rialza lo sguardo verso il suo “boia”, dal quale riceve un’ulteriore muta esortazione a non ritardare oltre.

Luz appoggia le labbra sul bordo di vetro, le sue dita sono scosse da un tremito, Narciso inclina delicatamente il bicchierino fino a che la parte opposta alle labbra quasi tocca il naso di lei. L’odore del distillato raggiunge i sensi di Luz prima che il liquido inizi a scorrere nella sua bocca: è una fucilata, ma – con grande sorpresa –  avverte un senso di freschezza e pulizia, infine sollievo. Il liquido giallo inizia a bagnare le labbra e Luz ne è così inebriata che Narciso deve fare forza per ritrarre il bicchierino di quel tanto da impedirle di farne un’unica sorsata.

“Piano, Luz, piano. Vacci piano, piccola.”.

Luz ora fissa Narciso con un sorriso: lascia cadere le sue difese, decide di affidarsi completamente a quel piccoletto. Narciso lo capisce e il suo cuore si gonfia a tale punto che lo sente espandersi fino a occupare tutta la gabbia toracica.

Pochi minuti dopo, un bicchierino vuoto con un fondo giallastro è al centro del tavolo dove era adagiata Luz: la ragazza è ora comodamente seduta e Narciso le è accanto, mentre si dà un gran da fare per aiutarla ad asciugarsi con le tovaglie dei tavoli della sala.

Non parlano. Narciso ha tante domande che gli affollano la mente. Luz, altrettante parole di riconoscenza e gratitudine. Sono sufficienti gli sguardi e i gesti tra questi due sconosciuti che hanno in comune solo due cose: il medesimo tetto sulla testa e la medesima statura, ‘diversamente alta’ avrebbe detto l’Oste se fosse qui.
Luz è una piccola Venere in mezzo agli stracci: tovaglie e tovaglioli, pezze e canovacci che Narciso ha raccolto per tutta la sala e dai cassetti dietro al bancone. Ogni panno è stato utilizzato per asciugare la ragazza: una parte la ricopre lasciandole scoperta solo la testa, una parte è sul pavimento in un cumulo che la circonda tutto intorno.

“Ho freddo”.

Luz pronuncia con un filo di voce queste uniche due parole. Giungono all’orecchio di Narciso, che arrampicato su uno sgabello si sta versando un chupito di quel liquido limpido che aveva scartato per la ragazza.
Si volta e incontra lo sguardo di lei. Avverte un tremolio alla vista. Non può essere la famigerata vodka polacca perché ancora non l’ha bevuta. E’ il liquore bevuto in Siberia dai piloti – quante volte l’Oste gliel’ha raccontato! – e quando rimangono a secco di carburante, possono versarlo nel serbatoio. Quel tremolio è la sedia su cui è seduta Luz: traballa. La ragazzina è scossa dai brividi, dalla punta della testa ai piedi.
Narciso prende il bicchierino, lo poggia sul tavolo, si siede e fa cenno a Luz di venire tra le sue braccia. La riscalderà con il suo corpo.
Luz non se lo fa ripetere e si raggomitola tra le braccia di Narciso come un gatto nella sua cesta. Narciso è imbarazzato, sorpreso, spiazzato: non ha avuto mai figli né ha mai pensato che albergasse in lui uno straccio d’istinto paterno. Quel liquido trasparente è il carburante che ci vuole: gli farà coraggio e il suo corpo genererà ancora più calore. Si allunga con un movimento lento per prendere il bicchierino, Luz è sprofondata nel sonno con un’espressione di immensa serenità sul viso.

Avvicina le labbra al bicchierino e butta giù un primo sorso: è una schioppettata a bruciapelo. L’Oste aveva ragione. Con l’immagine dell’Oste che gli raccomanda di non bere il liquore dei piloti della Siberia, Narciso avverte il principio di un avvitamento in spirale, perde contatto con la sedia, il bicchierino, il tavolo, la sala, si abbandona e l’ultimo consapevole atto è di stringere a sé Luz.

La mattina seguente.

Di buon mattino Tati ed Ego salgono la scalinata del portico.

“Che strano ancora chiusa la taverna…Ego, non trovi che ci sia troppo silenzio?”

Ego annuisce e sebbene in silenzio la comunicazione giunge a Tati forte e chiara:

“Hai ragione, Ego. Manca l’Oste e l’Oste ne faceva di…come lo chiamava lui?”

Ammuina” Ego ribatte senza darle il tempo di elaborare il ricordo.

“Giusto! Ammuina.”.

Intanto, giunti in cima alla scalinata, davanti alla porta chiusa, Tati ha ingaggiato una lotta furiosa con la sua inseparabile borsa alla ricerca delle chiavi della taverna. Le borse delle donne sono come le case: non rubano, ma nascondono benissimo. La borsa di Tati è un caso ancora più particolare. Narciso è convinto che abbia una vita propria e si diverta a nascondere gli oggetti a Tati.

Ammuina, certo, mai come l’ammuina che è in questa borsachemaripoppinslevatiproprio, ma è mai possibile che ogni volta che mi serve qualcosa devo perdere mezzora della mia vita, mannaggialapaperaetutteleochetteinfila?!?”

Spazientita e imprecando improbabili santi protettori delle borse e delle valigie, riversa il contenuto su un tavolo, ottenendo un effetto caoticamente variopinto come il lancio iniziale dei bastoncini nel gioco dello Shangai.
Si avventa su quella macchia colorata, prima con lo sguardo poi con le mani, famelica come una leonessa sulla sua preda. Al sottofondo di imprecazioni si aggiunge il rumore di oggetti rimestati, rotolanti e capovolti.

Tutta intenta nell’affannosa ricerca, dando le spalle a Ego domanda:
“Ma tu la vedi qui in mezzo? Ricordo benissimo di averla messa in borsa! Giuro che mi sta salendo il crimine a livelli da genocidio! Ego…”

Le fa eco la voce di Ego alle sue spalle.

“Dici questa?”

Si volta e lo vede che, il braccio destro alzato, le porge una chiave da cui pende un porta-chiavi di un raro (dis)gusto “kitsch”: un piccolo sombrero di fili di iuta intrecciati e pacchianamente colorati.
Reprime una bestemmia che avrebbe causato l’immediato spalancarsi di una voragine sotto i suoi piedi in diretto collegamento con l’Inferno, strappa dalla mano di Ego la chiave con un gesto di stizza e inizia a cincischiare con la serratura. Al sottofondo di imprecazioni si aggiunge il rumore di metallo di chiave che non centra la serratura, tipico dell’ubriaco che cerca di rientrare a casa.

Finalmente la chiave scatta nella serratura. Lancia un ghigno soddisfatto a Ego, gira le mandate fino all’ultima e spalanca la porta.

Gli si blocca in gola il consueto e gioioso “Svegliaaaa!”.

A terra intorno a una sedia giace un cumulo di ciò che ha tutta l’aria di essere l’intero corredo di tovaglie, tovaglioli e canovacci della taverna, inclusi quelli – come lo chiama l’Oste – del “servizio buono”. La sedia, posta al centro di questa collina di stracci, si erge come un trono. Su di essa una piccola Venere dalla pelle colore miele e i capelli neri dorme in braccio a Narciso. Sebbene la figura di quella ragazzina mai vista prima sia davvero esile, Narciso quasi vi scompare dietro: le braccia e le mani la stringono a sé intorno alla vita per evitare che cada o, comunque, di attutire l’impatto cadendo insieme a lei. L’abbraccio trasmette protezione per l’uno, abbandono per l’altra. Narciso ronfa della grossa, l’espressione beata sul viso.

Tati ed Ego si scambiano uno sguardo d’intesa e di compiacimento: da quando l’Oste è stato colpito quell’espressione non era più apparsa sul viso del piccoletto.

Sembra un quadro botticelliano: la Venere che sorge dagli stracci e un putto biondo alla sua corte.

Ci vuole ‘nu bello cccafè, Quei due hanno sicuramente parecchio da raccontare.

giaguaro-pipistrello-maya

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25 pensieri su “Batmancito [Ep.#26] – Venere sorge dagli stracci

    1. Grazie Zeus, la melassa è sempre a rischio di scivolare in mezzo ai tasti e rendere la scrittura un pantano iper-glicemico. I due si sono incontrati al di là della mia volontà e – come tu già hai detto altre volte – si sono impossessati delle mie dita.
      Luz è apparsa già con uno scopo, è nel suo nome. Approfondirò la sua storia, che ahimé sarà triste e comunque collegata a un tema attuale e anche di un certo racconto noir-habanero. Per ora è tra le mie dita, vediamo cosa ne cala sulla tastiera.
      E’ un avvicinamento a un momento tanto atteso, quindi prendilo come un pugolamento per Infierno 😉 Hasta luego.

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      1. Zeus

        Già, la melassa e il tasso glicemico non mi intrigano nella lettura. Dopo un po’ si perde di vista il personaggio e si indulge solo nel raccontare questo “enorme amore” “sentimento favoloso”, ma i personaggi diventano di cartavelina.
        Io attendo l’approfondimento e il pungolo c’è… devo solo tirarmi fuori da questo torpore mentale dato dal periodo.

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        1. Ci tenevo che venisse fuori la fragilità di Luz e la sensazione di inadeguatezza di Narciso. Senza l’Oste gli manca un riferimento. Arriva Luz ed è costretto a diventare lui stesso un “riferimento”. L’Oste c’è sempre, è un sotto-testo il loro legame e rapporto.

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    1. Grazie e non mi stancherà di scriverlo. Il legame tra Luz e Narciso è in fieri e mi interessa che il percepito del lettore sia di una diversità che va armonizzandosi, esigenze latenti e non espresse (forse nemmeno conosciute consapevolmente) che si incontrano senza forzature.

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  1. Maccheccazzo!!!!!! perchè non mi era arrivato l’aggiornamento che avevi pubblicato??? eh??? eh??? Worfess dei miei stivali sporchi e bucati!!!!
    ( riprende il solito colorito lunare… respira… e si riprende…)
    Reeeeeeed!!! ma che meraviglia hai scritto? e sono proprio io, ma io-io ( non l’asino, anche se un po’ asinella lo sono…)
    Mi piace, mi piace la mia borsa, mi piace essere lì.
    Adesso nu bello cccafè ci vuole sicuro!
    😀

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    1. Narciso al rumore dello scatto dell’ultima mandata si sveglia. Alla vista di Ego e Tati, sobbalza, ma subito frena il suo scatto per timore di svegliare Luz. Luz è già sveglia, i suoi sensi l’hanno messa in allarme appena ha sentito le voci fuori dalla taverna; la piccola deve averne passate di brutte veramente. Tuttavia, fa finta di dormire perché il calore di Narciso è qualcosa che non provava da moltissimo tempo e non vuole separarsene. Ha paura che non potrà più ritrovarlo.
      Narciso si stropiccia gli occhi cisposi e saluta i due con un cenno silenzioso delle mani. Il sorriso che attraversa il suo viso da una parte all’altra è l’evidenza della sua gioia altrimenti esplosiva.
      La finzione di Luz però dura poco. Narciso ha un’esperienza ultra-decennale di finti sonni per sfuggire alle richieste dell’Oste e così si accorge che Luz è sveglia dopo pochi istanti.
      D’improvviso, intona questa canzone:
      Tatuzzella, Tatuzzè
      t’hê miso dint’a ll’uocchie ‘o mare
      e mm’hê miso ‘mpiett’a me
      nu dispiacere
      Stu core mme faje sbattere
      cchiù forte ‘e ll’onne
      quanno ‘o cielo è scuro
      Primma me dice “sí”,
      po’, doce doce, mme faje murí
      Tatuzzella, Tatuzzé’

      Uh che bello, ci ho preso! mentre scrivevo più che immaginare, vedevo Ego e te. Ti vedevo proprio: avrei potuto fermarmi e descrivere ogni particolare, il singolo gesto, il ciuffo di capelli scompigliato, l’insofferenza al caldo, la trepidazione di mettere piede in taverna, la premura di aiutare Narciso.
      La borsa è diventata un personaggio, perciò faccio dire a Narciso che “ha una vita propria”.
      Che ne dici se ora, aropp’ o’ cccafè, ti metti comoda e scrivi di questa giornata con Narciso, Ego e sopratutto Luz? Narciso è in bambola, qui ci vuole una donna.

      PS: so’diabbolico. Era una trappola.
      PPS; chiaramente è un invito, non un obbligo, Certo che dopo la canzone che Narciso ti ha dedicato…

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      1. eccomesifaadirdino????? eh??? comesifa?!?
        NON SI PUO’… nochennò!
        Solamente, Narcì… un briciolo di tempo e le mie dita corrono in tuo aiuto… devi pazientare ancora un pochetto… ma solo un po’ occhei?
        ( piega la testa di lato, allarga gli occhi e fa un sorrisino…) dai… vero che mi aspetti? 😀

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