Deja Vu #2: L.A. Noire


A volte ritornano…

Ritorna la rubrichetta Deja Vu, videogiochi che a volte ritornano.

Per chi si fosse perso il “pistolotto” di presentazione, in questa rubrica si scrive di videogiochi e, in particolare, delle edizioni “remastered”, cioè videogiochi pubblicati in passato e aggiornati alla più avanzata tecnologia delle piattaforme attuali. Fenomeno iniziato nella scorsa generazione di console, è diventato una sistematica presenza nel catalogo di quelle attuali. I motivi sono diversi e il valore aggiunto è controverso . Se volete approfondire potete leggere qui.

Al debutto della rubrichetta, vi ho rifilato una doppia recensione di Assault Suit Leynos, un oscuro spara-tutto di vecchia scuola giapponese con protagonisti i soliti alieni scappati-de-casa e l’umanità che rivendica l’occupazione (abusiva) del pianeta Terra schierando un esercito di robot alti come un palazzo (anche se sullo schermo arrivano sì e no a due centimetri scarsi). L’edizione “remastered” segue ad appena ventisei anni dall’originale. Ora è il turno di L.A. Noire.

L.A. Noire è un thriller in stile “hard boiled” per PlayStation 3, XBox 360 e PC del 2011, che è stato in questi giorni pubblicato nuovamente in edizione “remastered” per PlayStation 4, XBox One e Switch.

La recensione si compone di due post: ciò che avrete la pazienza di continuare a leggere è una serie di considerazioni sul Videogioco come medium e, nello specifico, il contributo di L.A. Noire alla causa-persa del videogioco come “prodotto culturale”; il secondo è una recensione del videogioco aggiornata alle nuove edizioni “remastered”.

L.A. Noire ha una storia travagliata: un lunghissimo sviluppo durato cinque anni con annunci roboanti e continui rimandi, il fallimento della società di sviluppo, Team Bondi, appena dopo questo travagliato “parto videoludico”.  Tuttavia, L.A. Noire ha il merito di essere un thriller interattivo che sarebbe un crimine perdere.

Una storia per un pubblico adulto, ispirata a eventi accaduti, dai contenuti maturi, ricco di citazioni e spunti, quattrocento attori che regalano una recitazione fuori parametro per un videogioco, personaggi dalle tinte sfumate. L.A. Noire è un altro piccolo tassello che rafforza la mia convinzione per cui i videogiochi possono essere un modo, oltre d’intrattenersi, di arricchirsi in un processo emotivo e conoscitivo al pari di un buon film o un buon libro.

Spesso mi sono sbattuto sulla tastiera, lasciando traccia in questo spazio webanarcoide, per scagliarmi contro la pochezza e la superficialità con cui testate giornalistiche blasonate scrivono di videogiochi, considerandoli strumenti di corruzione dei giovani virgulti di questa società dai valori tanto sani da potere essere anche “esportati”(bombe “intelligenti” incluse). Una di queste storie di videogiochi, disinformazione, alienazione umana e violenza quotidiana è Belzebù con il joypad in mano.

I videogiochi ispirano, istigano, abituano alla violenza. Questa una tesi che non ha alcun supporto scientifico e che viene sostenuta da presunti giornalisti con evidenti lacune conoscitive e di esperienza del videogioco, sia di quello oggetto dell’articolo sia in generale.

L.A. Noire non finisce in questo “rogo mediatico”, anzi con mia grande sorpresa è protagonista di una mia temporanea riconciliazione con la stampa e la cosiddetta “cultura alta” grazie al degno trattamento riservato da Internazionale (in realtà una traduzione di un articolo del New York Times).

Ho conservato quel ritaglio di giornale e vi racconto come è andata.

Scorro le pagine di  Internazionale, è il n. 898 del 20/26 maggio 2011 (al link non è possibile leggere l’articolo, ma scorrere solo il sommario), la mia prima lettura di una qualsiasi rivista o giornale è sempre veloce. La mia prima lettura è uno scorrere a ritmo sincopato: gli occhi scorrono le pagine velocemente e all’improvviso s’arrestano e indugiano, per poi riprendere la propria (s)corsa, veloce e selettiva per individuare i contenuti più interessanti. Immaginate di trovarvi davanti a un bel buffet di antipasti, vi aggirate spiluccando qui e là, poi decidete di puntare decisamente su quei fritti che cucinano a richiesta sul posto e ti consegnano caldi-caldi in un bel “cuoppo” di carta oleata!

Così, giunto a due terzi della rivista, a pagina 74, leggo:

“Videogiochi, Un kolossal per consolle. In L.A. Noire, la nuova imponente produzione della Rockstar Game, recitano quasi quattrocento attori”. 

L’occhio frena e impala due errori già nel titolo e sottotitolo. Come succede all’Uomo Ragno, i miei sensi sono in allerta: ecco un altro Tomás de Torquemada-de-Noi-antri!

Il primo errore è l’utilizzo del termine “consolle”: è un adattamento scorretto in italiano del termine francese “console”, ma questo è un mio inutile vezzo. Da quando leggo le prime riviste di videogiochi fino a oggi i commenti di quelle online, esistono due schieramenti opposti: chi scrive “consolle” e chi scrive “console”. Mi stupisce che un giornale utilizzi una forma errata della parola, ma tant’è.

Il secondo errore è “Rockstar Game”: il distributore (nonché finanziatore) di L.A. Noire è la “Coca-Cola” dei videogiochi, ma il nome esatto è Rockstar Games. E che sarà mai una “esse”?! Va bene, allora sono autorizzato a citare il citato giornale come Internazional, elimino la “e” tanto è lo stesso.

Revisione di bozze inesistente o ignoranza congiunta di autore e correttore?

Ho subito pensato: ecco un altro inquisitore lanciato allo sbaraglio che infilerà un’inesattezza dietro l’altra per sentenziare la messa all’indice dell’ennesimo videogioco. Quando Rockstar Games pubblica un videogioco, il capo-redattore di Costume & Società riserva un articolo ai “videogiochi” per sbattere il mostro anche se nelle ultime pagine. Rockstar Games è la stessa autrice di GTA, la serie più chiacchierata e vituperata dai media, dai censori e dalle Associazioni di Genitori (leggi GTAttlia flagello di Dio).

Mi preparo alla lettura dell’articolo come una mangusta sia avvicina un cobra.

Ma accade il miracolo.

Noto il nome della rubrica: “Cultura”. Resto così sorspeso (=sospeso+sorpreso) che mi mancano non le parole, ma pure i puntini di sospensione!

Internazionale pubblica la  traduzione di un articolo scritto da Michael Wilson pubblicato sul New York Times (‘Video Game to Play in Vintage Gumshoes‘, 8 maggio 2011). Se provate a seguire il link alla pagina dell’articolo originale scoprirete che nell’indirizzo della pagina si legge “../arts/video-games/…”.

Tombola! Un videogioco catalogato in “Cultura” e “Arte”, una recensione che descrive il gioco con competenza (e non per “sentito dire”) con uno stile che viene utilizzato nelle recensioni “normali” di film e libri. Non è il solito “copia&incolla” della “press release” preconfezionata. Non utilizza il tono esaltato e gergale di certa informazione di settore.

Finalmente anche un non-videogiocatore può leggere una recensione di un videogioco, ottenendo informazioni competenti, che possano suscitare curiosità e spingere a volerne sapere di più. Se non altro, smetterà di guardare il videogiocatore come un alieno e forse gli rivolgerà qualche domanda o sarà tentato di fare la prima esperienza, senza preconcetti ma solo animato dall’esplorazione di una nuova “terra”.

Finalmente è possibile leggere di un videogioco senza sentirsi un reietto della società o un perfetto bimbo-minchia, senza ritrovarsi nel bel mezzo di una storia di disadattati, violenti repressi e aspiranti “serial killer”.

D’accordo che l’articolo è una traduzione, ma è tratta dal quotidiano che ha vinto più premi Pulitzer di qualsiasi altro giornale, perciò annuntio vobis gaudium magnum, habemus un giornale italiano, non di settore, che ha pubblicato un articolo competente e interessante su un videogioco, qui sibi nomen imposuit L.A. Noire. 

Per giunta alla pagina “Cultura” e non come riempitivo delle ultime pagine, laddove anche la pubblicità la devi regalare.

L.A. Noire, un thriller Anni ’40, in perfetto stile “hard boiled”, ispirato ai delitti della Dalia Nera, sta al Videogioco come L.A. Confidential sta al Cinema, rappresenta un deciso passo in avanti nell’evoluzione di questo medium, da una forma di puro intrattenimento verso forme più ricche di contenuti culturali e artistici.

L.A. Noire è un altro centro per Rockstar Games, un successo sia di critica sia di vendite: 1,6 milioni di copie nella prima settimana.

Come “prodotto” non è scevro da difetti: chi lo ritiene un capolavoro imprescindibile, chi lo demolisce come un “open world” riuscito male e una narrazione scriptata con interazioni assai limitate. L’accoglienza della stampa di settore è tuttavia molto positiva.

In conclusione ciò che mi preme evidenziare è che L.A. Noire è un artefatto, cioè un congegno artificiale che espande le nostre possibilità; in particolare, un artefatto cognitivo cioè “uno strumento di pensiero che completa le capacità della mente rafforzandone i poteri ” (cit. “Things That Make Us Smart” di Donald A. Norman, 1993. L’edizione italiana è fuori catalogo)

Continua alla recensione di L.A. Noire

38 pensieri su “Deja Vu #2: L.A. Noire

    1. Non credo che la Rockstar traduca in italiano i propri titoli, nel caso poi di L.A. Noire è impossibile perché dovrebbe assoldare uno stuolo di doppiatori. Già i sottotitoli potrebbe essere fattibile, ma non credo che i clienti che acquisirebbe sarebbero sufficienti per essere così remunerativi per questo colosso del settore. I titoli Rockstar si vendono anche senza tradurli, a giudicare dai numeri stratosferici che realizzano ogni volta.
      Certo ce li potremmo godere più rilassati, consideriamolo un esercizio d’inglese. 😉
      Bentornato a bordo! Sul PSN Network cercami come redbavon oppure dimmi il tuo nick….Una coop a Star Wars Battlefront 2? Fantastico ‘sto gioco di Star Wars! Finalmente ce l’hanno fatta a fare un FPS spettacolare dopo Republic Commando (anche se quest’ultimo era di tutt’altra pasta…Ecco di questo ne vorrei una remastered o un sequel)

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        1. A parte che sono più vecio di te e non disdegno i giochi “riflessivi” tipo Nobunaga’s Ambition (uno strategico della KOEI minuziosissimo, da perderci la vista su PS4), ma FARMCOSA?!?! No jà, onBeciè mi stai trollando….Come direbbe Rolando: Non ci posso creeeeedere! (e poi crollo a terra)

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          1. Ahahah mitico ! No dicevo sul serio. Mi piaceva l’idea di avere un simulatore di fattoria, lo vedevo molto anti stress. Poi però quando mi accorsi che continuavo a perdere balle di fieno ho mollato tutto e l’ho messo in vendita. Avevo notato l’uscita di LA e non mi dispiacerebbe anche se purtroppo soffro di chissà quale piccola malattia che non mi consente di giocare come vorrei. E per uno cresciuto a pane e Commodore 64 è una vera tragedia. Ciao scusa la divagazione !

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            1. Quali scuse! A me lo dici? Io della divagazione ne faccio uso sistematico quando scrivo (e parlo).
              Ok ora che so che lo hai messo in vendita, sono più tranquillo.
              Ciò che mi dici è proprio una sfiga perché oggi rispetto ai tempi del C64 c’è veramente l’imbarazzo della scelta. Quest’anno è poi clamoroso: tantissimi titoli eccellenti e interessanti. Succedesse a me, utilizzerei il tuo stesso termine: “tragedia”.

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  1. Certa stampa che tratta videogiochi per sentito dire – e il sentito dire è che renderebbe gli adolescenti orribili – equivale a quel disservizio paleozoico de Le Iene sul Giappone o alle vecchie fregnacce del sito dei Papaboys sul gioco di ruolo.
    Ben venga un articolo su Internazionale, anche se una traduzione con refusi, in cui si parla di qualcosa con un po’ di esperienza della stessa.
    Mo’ devo trovare il tempo di leggermi i vecchi post che hai linkato – e mettere le zampe su L.A. Noir 😛

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    1. Caro Conte, accomodati pure e fai con tutta calma. Questo articolo è una “mosca bianca” nella nostra stampa (e infatti è una traduzione, sigh!), comuqnue è pure sempre un piccolo passo. L’età media dei videogiocatori è di 35 anni, non capisco perché ancora vengono considerati come roba da bambini.

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        1. sai che non credo che sia i sessantenni (io poi vado per i 50….eheheh), Credo che diano questi articoli a dei giovani che pagano pochi euro a cartella, che hanno una motivazione ad approfondire qualsiasi argomento pari allo zero assoluto. Devono scrivere l’articolo perdendoci meno tempo possibile e secondo la linea editoriale che predilige assecondare il target – questo sì – non giovane e non interessato ai videogiochi. Mettere in croce un videogioco è quanto si aspetta il loro lettore.
          A proposito di esperti sessantenni di tecnologia e videogiochi allora devi trovare il tempo di leggere questo che scrissi ai tempi dell’uragano Pokemon Go! Devi leggerlo, vedrai..
          Videogioco: malato congenito di Sindrome di Peter Pan

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  2. Prima di tutto faccio outing. La questione della “consoL/Le” non mi ha fatto dormire la notte, così quando recentemente sul mio blog ho presentato la traduzione di una delle sceneggiature rigettate di “Alien 3”, in una decina di casi ho dovuto scegliere: quante “l” ci metto? Lo so, è giusto “console”, ma suona brutto da schifo. Alla fine mi sono turato il naso e ho scritto “consolle”, che è sbagliato ma almeno fa capire il concetto. Però questo non mi aiuta durante le mie notti insonni, a rigirarmi nel letto roso dai sensi di colpa…
    Poi un altro outing. Gioco a GTA da almeno il 1999, quando ancora si chiamava “Grand Theft Auto” e si giocava guardando dall’alto. E quando i punti grossi li facevi rubando l’auto ai poliziotti e ammazzandoli con quella, o meglio ancora schiacciando tutti in fila gli hare krishna: ho sterminato milioni di persone, in questi anni – fra GTA, GTA2, GTA1968, GTA3, Vice City, San Andreas e GTA5 – e così ho scaricato la tensione e la rabbia accumulata durante le giornate di lavoro a contatto con le persone “vere”, cioè i mostri più mostruosi che esistano. Sono la persona più pacifica del mondo e non ho mai alzato la mano contro nessuno: e questo perché ho sempre giocato a titoli violentissimi. Capisco quindi il tuo timore delle recensioni mainstream (diciamo così), perché i giornalisti hanno su un file già pronta la recensione per qualsiasi titolo: «È troppo violento: pensate ai bambini!»
    Lode dunque ad un giornale che addirittura ha recensito oggettivamente un videogioco: ma che, si so’ impazziti? L’Apocalisse è vicina, se ora i giornalisti fanno addirittura il loro lavoro 😀
    Conosco di nome e di afma “L.A. Noir” ma non ci ho mai giocato: aspetto dunque la tua rece.

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    1. Che signor commento, Lucius! E pure con tanto di outing! Ahahahah consoLLe o console, dillo come ti pare e sopratutto dormici su. Io non sono un fan come te di GTA, li ho giocati tutti, ma mai portandoli a termine. La struttura degli open world dopo un po’ mi annoia, anche perché potendo dedicare poco tempo, quando riprendo la sessione, non ricordo che dovevo fare, dove sono, chi sono…un asino in mezzo all’open world. L’ultimo che sono riuscito a giocare da cima a fondo è un emulo di GTA, Watch Dogs.
      Dovresti allora leggere la recensione di GTA IV che è tra i link di questo post, credo ti piacerebbe e sono curioso di vedere un altro di questi tuoi signor-commenti.
      Quando ho finito di leggere l’articolo su Internazionale, anche io ho avuto la tua stessa reazione: che so’impazziti?!?
      Recensione di LA Noire già in forno….a breve sgancio.

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      1. Temo di aver dato un’idea sbagliata di me: quando dico che ho giocato a tutti i GTA non era assolutamente mia intenzione dire che li ho finiti! 😀 Solo Vice City sono riuscito a portarlo avanti un pochettino…
        Il mio concetto di GTA è: fai partire il gioco e comincia a sterminare tutto ciò che si muove, mentre corri via dalla polizia, FBI e militari che ti vogliono morto. Di fare le missioni non me ne è mai fregato molto e soprattutto non ne sarei minimamente capace. Lo considero un gioco “sfoga-negatività”, per scaricarmi di tutti gli escrementi che la “gente vera” mi ha riversato addosso durante la giornata 😛

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  3. Non sapevo fosse stato rimasterizzato. A me va bene la mia versione PS3, le riedizioni di una generazione fa non le ho mai approvate, mero scopo speculativo.
    Attendo però la tua recensione per conoscere i miglioramenti apportati.
    Ma davvero c’è chi scrive “consolle”? Per fortuna non mi è mai capitato 😆
    Non era Rocchestar Gheimese, à la romanesca? 😝
    Comunque la considerazione dei videogiochi da parte del Times non può che essere un bene, anche se gli scemi (o ignoranti, fa’ tu, per me so’ scemi, punto) tipo quelli che citi o il MOIGE esisteranno sempre…

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    1. Vade retro + (non è un”più” ma una croce per esorcismi) VADE RETRO il MOIGE. Non credo ci sia niente di peggio In quanto a oscurantismo, superficialità, bigottismo e insieme della peggiore accozaglia di idiozie inventate.
      Il Movimento Genitori Italiani…genitori di fregnacce a nastro.
      Sulle remastered delle console di una sola generazione priecedente sono scettico anche io, però se non hai mai giocato a un certo titolo sono cosa buona e giusta. Critico la politica di prezzi che li propone a prezzo pieno (mungitura di vacche), ma un The Last of Us o la trilogia di Uncharted in questi giorni di offerte a 20 euro sono delle occasioni da non perdere se li hai persi a suo tempo. Io stesso ne sono tentato, me li rigiocherei con piacere ad avere il tempo. Una delle remastered capolavoro per PS3 è ICO+Shadow of the Colossus…

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  4. Ecchime, sulla questione Arte e Videogiochi beh sai già come la penso. Non posso esprimermi su L.A. Noire perchè non l’ho mai giocato. Ora che è uscito per Switch è nell’elenco dei titoli che, beh, potrei a questo punto fare. Devo essere sincero però, ad accezione di Red Dead non hai apprezzato i GTA. Questo visto la linearità dei titolo non dovrebbe essere un problema.

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  5. Ciao Clà, condivido ogni parola. Ho sempre giocato ai “videogiochi”, fin dai tempi poco più che artigianali del Commodore. Poi un poco li ho studiati, ho provato anche a progettarne qualcuno, o meglio il software, per la parte ingegneristica non ci metto ovviamente mano. Posso confermare che eccome se sono cultura: linguaggio, tecnica, arte anche, psicologia sempre. La cosa che vedo e che mi piace di più è la costruzione di una lingua, e se il prodotto è buono il risultato è organico e funzionale, eccitante e piacevole, coinvolgente non meno di un buon libro. Non sono troppo diversi dalla costruzione di un romanzo e per come la vedo un romanziere che usa solo le parole è fuori dal mondo. Ci sono incastri di tecnica e estetica che oggi sono essenziali anche per un progetto esclusivamente narrativo. Video, giochi interattivi, suoni, tracce musicali. Le parole veicolano il tutto, ma il tutto è appunto altro.

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    1. Chiaramente la pensiamo allo stesso modo, ma in tutti questi anni ho trovato davvero poche occasioni per parlare dei videogiochi in questi termini e, sopratutto, persone disponibili ad ascoltare. Ancora peggio quando mi imbatto in persone impegnate nella creazione di contenuti che invece dovrebbero essere più sensibili al tema almeno nell’approccio. Muri di gomma e sguardi di compatimento neanche indossassi una calzamaglia verde attillata e avessi le orecchie a punta.
      Non capisco perché resiste questo pregiudizio, c’era nel cinema ai suoi esordi, a ormai i videogiochi sono diffusissimi con una tendenza in crescita e l’età media è di 35 anni.
      Sono contento che ne posso parlare con te. Prometto che non indosserò la calzamaglia verde…Il verde mi sbatte in faccia.

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      1. ma sai, qua le cose piacevoli continuano ad essere di serie B per l’intellettuali. A me per esempio la tragedia mi annoia, preferisco la commedia. Dino Risi non ha sfornato roba di secondo livello rispetto a Antonioni. Sui videogioci c’è la puzzetta sotto al naso, sarà per la parola gioco. Magari chiamandoli prodotti esteticamente pregiati per menti evolute avrebbero recensioni migliori. Glielo diciamo che quel mix di immagini, suoni con cui i bimbi in particolare interagiscono fanno sviluppare aree neuronali destinate altrimenti all’entropia?

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        1. Io ci sto provando, ho scritto della violenza nei videogiochi poi dei serious game (e ho studiato per scriverne). Ogni volta che ci provo, anche cambiando approccio è la solita reazione bigotta e con la puzzetta sotto al naso. Hai presente quando parli e hai la certezza che l’interlocutore ha spento l’audio e lasciato acceso solo il video?
          Studiando, ho scoperto che i videogiochi vengono utilizzati per rieducare il coordinamento dopo un ictus e per curare sindromi gravi di attenzione nei ragazzi…perché demonizzarli? Perché mi devo sentire un Peter Pan in una calzamaglia ridicolmente di una taglia più piccola?
          Se il mio interlocutore è limitato, perché mi devo sentire io il minus habens?
          Magicamente divento uno stimato esperto sotto Natale: vogliono sapere quale console acquistare per il pargolo spendendo il meno possibile (perché è qualcosa che non approvano).

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            1. Ah ah e ci sono pure un sacco di poveracci (in confronto ai loro conti in banca) a guardarli. Metafora perfetta di questi tempi.
              Se fossimo al tempo dei Romani, io farei “il pollice verso”, fisso.
              Cambiano i tempi e se prima si scriveva “Hic sunt leones” ora scriviamo “Hic sunt cojones”

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              1. con quei giochi, i miei filmacci, i miei libri e un paio di alcolizzati chi ho cresciuto l’adolescente, fin da piccolissima. Risultato: è una stronza, ma sta bene ed è felice. Anche quelli senza storia, come le corse auto (ehm ho tutta l’attrezzatura, volante, pedaliera e faccio brum brum) NEED FOR SPEED, FORZA MOTORSPORT (scenografie incredibili), FLATOUT (strepitoso per passare col rosso e sbattere contro l’auto di quello che grida cornuto)

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                1. Flatout?!? Estimatore! Allora pure Burnout! Lo trovi qui da qualche parte con un’elogia dello sfascia carrozze!
                  Tua figlia deve essere per forza fantastica con un padre così. La stronzaggine l’ho messa in conto: l’importante ve non si trasformi in cinismo e apatia. In questo caso, io ti ho dato la luce e io te la tolgo. Prova pure a chiamare il Telefono Azzurro dopo che ti ho cioncato le zampine.

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