Batmancito [Ep.#23] – Visciole rosso sangue


Un’altra notte accanto all’Oste. Narciso ha appena finito di leggere i versi di Mariluf al sapore di visciole e amarcord di merende fanciullesche.

Si lascia ricadere indietro sprofondando nell’accogliente poltrona che il dottor Feliz gli ha fatto trovare accanto al letto dell’Oste: è la poltrona personale del dottore e, data la sua corpulenza, Narciso ci sta molto comodo anche con un paio di cuscini ben sistemati. Per quanto sia una soluzione d’emergenza, il piccoletto non può lamentarsi…a parte il caldo asfissiante che è troppo anche per le pale del ventilatore a soffitto dell’infermeria.

Le quattro pale sono in perenne rotazione: lente, muovono l’aria con la stessa andatura di un asino legato a una macina girevole. In alcuni momenti, assolutamente casuali e senza ragioni apparenti, emettono un leggero cigolio, quasi volessero esprimere la loro insofferenza a quel sudario impregnato di umidità e calura che tutto avvolge e opprime.

Stanotte il caldo è particolarmente asfissiante, l’umidità eccezionalmente opprimente. D’altronde è estate, siamo in Messico a una latitudine di poco più di venti gradi a nord dell’Equatore, in un buco sperduto del Quintana Roo, ai bordi di una palude antichissima che i Maya chiamavano Sian Ka’an, cioè “dove nasce il cielo”, come dicono qui ‘el lugar donde empieza el cielo’, la porta del cielo.

“La porta del cielo”, già…vedi se l’Oste non mi va a sbagliare strada pure questa volta e mi s’infila dritto nella porta degli Inferi!

Così sprofondato nella poltrona, avverte tutta la stanchezza accumulata durante la giornata, Narciso normalmente cede al sonno il tempo che Usain Bolt impiega a percorrere i cento metri piani. Stanotte tra il caldo e i versi appena letti, il sonno tarda a giungere. Al dolce delle parole di Mariluf si è aggiunta una punta di amarognolo dei ricordi ridestati in Narciso: un retrogusto acidulo che tuttavia corregge il dolce e gli dà rilievo.

Proprio come l’Oste decanta il suo frutto preferito: le visciole.

Si stropiccia gli occhi con entrambe le piccole mani strette a pugno, spalanca le braccia insieme alla bocca in uno sbadiglio che abbraccia tutto il Quintana Roo e sconfina nel Chiapas, si tira in punta alla poltrona sollevando le gambe sul bordo e stringe a sé le ginocchia con le braccia. Appoggia il mento sulle ginocchia congiunte e in questa posizione fetale inizia a dondolarsi con un movimento appena percettibile, culla il suo corpicino insieme ai ricordi con l’Oste: non i pure numerosi eventi strani e assurdi in cui si sono trovati coinvolti, ma normali, banali episodi di vita quotidiana.

“Com’è che mi dicevi socio? “…un poco di dolce, che, confondendosi con l‘acidulo, lo corregge gradevolmente e lo esalta.”. Mamma d’’a Saletta! (*) Ti ricordi quella volta lo sproloquio sulle visciole?”

Narciso inizia a ripercorrere ad alta voce quel ricordo come se l’Oste possa ascoltarlo. Nella speranza che lo ascolti.

L’Oste è un tossicodipendente da visciole sotto qualsiasi forma ed estratto.

La “morte-sua” è la confettura o sciroppata.

In due casi l’Oste potrebbe anche uccidere per procurarsene una “dose”:

  • il gelato al gusto di visciola.

Non un qualunque “variegato” a base di crema o vaniglia con tracce di colorante amaranto o una spruzzata di sciroppo dolciastro, ma il gelato fatto esclusivamente con i frutti. Difficile trovarlo in Italia, figuriamoci in Messico, ormai l’Oste ha escluso dalla sua consapevolezza il pensiero, l’emozione, il ricordo, la fantasia ad esso associato, lo ha rimosso.

  • le zeppole di San Giuseppe di mammà.

Al centro della zeppola, tre-quattro visciole espugnano una collina di crema, come la famosa foto dei soldati americani che issano la bandiera a stelle e strisce a Iwo Jima. L’amarognolo della visciola detona una sorda eplosione nella bocca, l’onda d’urto stordisce piacevolmente le papille gustative: esalta il dolce dell’impasto fritto spruzzato di vaniglia e graffia il vellutato della crema.

Se non conosci cos’è o non ti piace la zeppola di San Giuseppe, non dirlo né all’Oste né a me perché quando esci dalla taverna, appena fuori dall’entrata appendiamo una tua foto: sopra la tua testa ci scriviamo “QUI TU” e sotto “NON PUOI ENTRARE”.

Ho poche certezze sull’Oste a parte una: l’Oste potrebbe uccidere per un vasetto di visciole.

Una volta, un gringo fece un regalo molto gradito all’Oste. L’Oste lo aveva salvato da un pericoloso personaggio locale con cui aveva avuto uno scambio poco “cordiale” per i classici futili motivi. Il gringo non aveva fatto nulla di male, se non trovarsi davanti l’uomo sbagliato al momento sbagliato.

Juanito è uno di quei guappi che puoi trovare dovunque. Muscoloso e più alto della norma (dei messicani), ha sempre dimostrato di eccellere in una sola attività: la rissa. Il semplice concetto di rispettare il proprio turno anche solo per chiedere una cerveza è per Juanito un concetto di fisica quantistica da fare capire a un bambino di sei anni. Juanito, soprannominato dall’Oste “El Svanito” alludendo al suo cervello, era entrato a mezzodì in taverna, sbraitando “Vamos, posadero, tráeme una cerveza!“. Si era seduto al bancone sullo sgabello accanto al gringo con la sua solita grazia, gli aveva lanciato un’occhiataccia e aveva di nuovo sollecitato l’Oste aggiungendo che non aveva intenzione di diventare vecchio seduto al bancone, per giunta accanto a un gringo.

Lo straniero, un italiano giunto in paese con un auto a noleggio dotata di un navigatore GPS bizzoso, lo apostrofò con un ‘amigo, muy tranquilo’ facendogli notare che nella taverna c’erano soltanto loro due e di dare il tempo all’Oste, già indaffarato a preparare la sua ordinazione. ‘Ahora, cálmate anigo. Entonces yo invito la primera ronda.’ concluse il gringo, pensando di allentare la tensione offrendo da bere al messicano.

Finì appena la frase che Juanito, solitamente sensibile a inviti di bevute a scrocco, reagì bruscamente, saltò in piedi facendo cadere lo sgabello a terra con grande frastuono: le sue intenzioni andavano oltre la minaccia, erano una promessa di ossa rotte. Accorsi subito, consapevole di potere fare poco per evitare il pestaggio del gringo: se mi fossi messo in mezzo, tra la mole di Juanito ormai in piedi e il gringo impalato dal terrore sull’alto sgabello, avrei fatto la fine della formica schiacciata involontariamente sotto la suola di una scarpa. Nessuno si sarebbe accorto che c’ero.

Sarebbe sicuramente finita molto male per lo straniero, se l’Oste non fosse intervenuto in sua difesa e avesse fatto capire al guappo messicano che “mi casa non es tu casa”. L’Oste cacciò in una mano di Juanito una cerveza, nell’altra una seconda bottiglia e, con tono che non accettava repliche, gli intimò: “Una cerveza è per la tua sete, l’altra è per i tuoi bollenti spiriti. Ora, fuori dalla taverna!”. Juanito conosceva bene l’Oste e capì che era meglio dargli retta.

L’italiano il giorno dopo andò via e dopo circa un mese un pacchetto proveniente dall’Italia venne recapitato all’Oste: conteneva un biglietto di ringraziamenti, una foto dell’uomo con la sua bella famiglia e un vasetto di visciole di Cantiano.

L’Oste si sedette a un tavolo, su cui appggiò il vasetto di visciole e un cucchiaino. L’atmosfera era quella della sfida all’O.K. Corral.

Non mi chiese se ne volessi, ma – conoscendo la sua tossicodipendenza – non mi azzardai nemmeno a chiedere. Evidentemente l’Oste si accorse di questa scortesia e, puntando il cucchiaino nella mia direzione, mi rivolse l’invito in una forma antica e ormai desueta, ma a noi molto cara:”Favorite…”.

Scossi la testa appena e comunicai con gli occhi che poteva godersi le sue visciole da solo e in santa pace. Chissà da quando non ne mangiava e chissà quando avrebbe potuto ancora assaporarne.

Senza una parola, si tuffò nel vasetto: immergeva il cucchiaino e portava in superficie uno, al massimo due, di quei piccoli frutti alla volta; poi masticava lentamente la polpa e ne sorbiva il succo.

Seduto a un altro tavolo, poco distante, restai a godermi la scena.

L’Oste era imbarazzato: ero lì in silenzio, fermo come uno stoccafisso, e sapeva che avevo rifiutato l’invito solo per amore suo.

Così, tra un cucchiaino e l’altro, attaccò uno dei suoi soliti sfiancanti “spiegoni”.

Narciso fa una pausa, percorre con lo sguardo il corpo dell’Oste immobile sul letto, dai piedi al viso. Si sofferma sulle palpebre chiuse, immobili anch’esse, e dice:

“Oste, mi mancano i tuoi sproloqui. Non immaginavo neanche io quanto. Se apri quegli occhi, non te lo confesserò mai, fossi matto! Però giuro, giuro che subirò i tuoi sermoni senza protestare troppo…solo un po’.”.

Lo sai Narcì che le visciole sono spesso confuse con le amarene?

Quando l’Oste esordisce così, sta sicuro che, come il tuono dietro al baleno, il sermone tiene dietro al domandone da sei milioni di dollari di Paperopoli.

“Je nun sacce che so’ ll’amarene figurati si sacce ‘a differenza…” gli ribattei e fu l’inizio della fine. Continuò, alternando cucchiaini di visciole a pillole di storia e saggezza.

Le visciole hanno una forma arrotondata, somigliano a un piccolo cuore; le amarene sono appiattite alle estremità. Il sapore acidulo è tipico di entrambe le varietà e le distingue dalle ciliegie. Il visciolo sembra un normale ciliegio, ma è più piccolo e cespuglioso. Gli uccelli ne vanno ghiotti! Quando sono mature, devi correre a raccoglierle altrimenti gli uccelli ti fanno trovare solo i piccioli e qualche frutto smangiucchiato fino al nocciolo. E poi lo sai Narcì?…Il ciliegio è un albero antichissimo! Se ne ha notizia per la prima volta da Teofrasto, un filosofo e botanico vissuto 300 anni prima di Cristo o giù di lì. I Romani lo portarono dalla Grecia e dall’Asia Minore, così si diffuse in Italia. Pensa tu da quanto mangiamo ciliegie!

Diciamo che l’Oste l’aveva presa alla lontana con digressioni a sprazzi, come suo solito. Ma stetti in silenzio ad ascoltare tutta la tiritera.

La visciola è una ciliegia selvatica di colore rosso scuro. Ha un gusto non eccessivamente dolce con una tipica nota amarognola che però non disturba anziun poco di dolce, che, confondendosi con l’acidulo, lo corregge gradevolmente e lo esalta.

L’Oste alternava cucchiaini colmi di visciole ad altrettanti debordanti del viscoso liquido scuro fino a che nel vasetto rimase solo quest’ultimo. Attaccò le labbra al vasetto e ne bevve a piccoli sorsi. Quando ebbe terminato anche il liquido, ficcò due dita nel vasetto, le passò meticolosamente sul vetro all’interno e sul fondo, portandosele poi in bocca fino a farle sparire quasi alle nocche. L’operazione di “pulizia” del vasetto durò un buon quarto d’ora. Non pulì il vasetto, lo riportò a nuovo.

Si girò verso di me e disse con uno sguardo di chi si è appena svegliato, ha fatto un bellissimo sogno e ne ricorda ogni dettaglio:

Le visciole sono come le labbra della donna che ami: morbide, vellutate, rosse…quando inizi a baciarle, non smetteresti mai.”.

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(*) “Mamma d’’a Saletta!” è un’espressione di invocazione della Madonna usata come interiezione per esprimere vari sentimenti (paura, impazienza, stupore…) o come dispiaciuto commento per situazioni evolutesi in maniera non attesa o gradita.

30 pensieri su “Batmancito [Ep.#23] – Visciole rosso sangue

    1. Quei tuoi bei versi mi hanno tirato fuori non uno ma due racconti (anche quello precedente)! La perla vera è la tua poesia. A me sta bene esplorare i fondali alla ricerca dei tesori perduti e delle storie mai raccontate.
      Tutto possibile grazie a questo strumento che se bene usato ci arricchisce. Viva la Rete!

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  1. Mi hai fatto tornare in mente le ciliegie bianche della mia nonna. C’era un albero enorme, in cascina, ci si è arrampicata fino ai settant’anni ( poi le abbiamo vietato di farlo perchè l’albero era piuttosto pericolante e prossimo alla caduta…) non ricordo marmellate ma interi pomeriggi a far scorpacciate e le fughe in cantina a cercare i barattoli di quelle “messe via” in sciroppo o sotto spirito… Mi mancano tanto e la mia pianta non ne vuole sapere di dare soddisfazioni neanche lontanamente paragonabili…

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    1. Una ciliegia tira l’altra e a quanto pare la regola vale anche per i racconti e i ricordi. Che.bello questo di tua nonna! Io lotto con mia madre che ne 76 e si vuole arrampicare su una scala per cogliere mandarini e arance da alberi della sua infanzia.
      Il visciolo per fortuna non è molto alto, ma se ne trovano sempre meno.
      Certi alberi sono particolarmente stupendi perché dalle loro fronde pendono i nostri ricordi e quelli sono sempre maturi e non marciscono mai.

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        1. A volte ti rimane incastrato il nocciolo, ti senti soffocare, ma non rischi di morire. Finisci per piangere a catinelle.
          Altri invece non ti fermeresti mai di rievocarli, ma proprio come le ciliegie non devi esagerare.
          Sai che tipica di Roma nel quartiere del Ghetto, si trova una torta di ricotta e visciole che è unica, buona chettelodicoaffare. È unica della tradizione romana-ebraica.

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    1. Tu guarda le coincidenze. Di questa torta di tradizione romana-ebraica ne parlavo con Tati. Non so se hai letto quel commento prima del tuo. Bella idea di portare pace con quella torta.
      L’Oste manca, ma ciò che più gli piace dell’essere umano sta venendo fuori…secondo me, ci guarda e sorride di soddisfazione. Che ci stia mettendo alla prova?

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      1. No, non avevo letto il commento.
        Il mio racconto è ambientato a Roma e io sono piuttosto esperta di dolci così ho voluto mettere il dettaglio per fini conoscitori (nessuno in realtà visto che è rimasto inedito 😂).
        Credo che l’oste si stia divertendo un mondo a fare il prezioso!

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        1. Allora vera coincidenza! Perché quella torta so che si fa solo a Roma e la ricetta originaria non è mia stata svelata. A Roma si trova solo in un forno al Portico d’Ottavia nel Ghetto. Ne fa anche una variante ricotta e cioccolato.
          A proposito dell’Oste, ti sbagli. Non fa il prezioso, dovresti ormai conoscerlo. Forse sta lasciando spazio ad altri di raccontare e sta aspettando solo il racconto che lo tiri fuori da dove si trova, che comuqnue non è una situazione che gli piaccia.L’ha subita e credo stia lottando.

          PS: la domanda nasce spontanea…non lo pubblichi on line perché hai altri piani? Facci sapere eh! 🙂

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  2. Quando vengo a trovarti nella tua webbettola per leggere i tuoi scritti metto il “mi piace” e poi inizio a leggere, perché, una volta entrata nella lettura, mi perdo completamente nelle descrizioni dei luoghi, delle persone, delle cose. Lo fai con una tale maestria che a me sembra di esserci davvero andata in Messico, di aver conosciuto il buon Oste e di aver mangiato le visciole anche se ho assaggiato solo le ciliegie. Sono spregevole lo so. Ma mi hai fatto amare il Messico, l’Oste che consideri come un padre e mi hai fatto venire voglia di mangiare le visciole.

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    1. La stella sulla fiducia 🙂
      Non sai quanto mi fai contento: riuscire a (tras)portati in Messico – con quell’umidità poi – farti sedere in un comedor non esattamente di classe, farti conoscere certi individui quantomeno strambi…Come minimo le visciole le dividiamo!

      PS: hai cliccato sul link sulla parola Sian Ka’an? Fallo quando hai tempo, in Messico ci finirai per davvero…parola di El Rojo, oooops Claudio.
      Muchas gracias!

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