Batmancito [Ep.#22] – Besame mucho


L’Oste è nel suo letto, non dà alcun segno di ripresa. Il dottor Feliz rassicura che le sue condizioni sono stazionarie, il che non è una cattiva notizia se non fosse che è in coma da giorni. Cesar ha richiesto di utilizzare tutti i suoi giorni di ferie – non ne faceva da anni – per vegliare l’Oste tutto il giorno. L’Ispettore Diaz non ha potuto rifiutare e ora sta facendo doppi turni per supplire all’assenza di Cesar. Il pomeriggio si alternano accanto all’Oste i compadres e i paesani; anche se Cesar è restio ad allontanarsi dall’Oste, il dottor Feliz ha raccomandato che gli venisse dato il cambio. La condizione psico-fisica del poliziotto è al limite: rischia di trascorrere tutto il giorno e anche la notte accanto all’Oste, ma come occupante del secondo e ultimo letto dell’infermeria.

Tutte le notti Narciso è accanto all’Oste.

Il dottor Feliz gli ha fatto trovare la sua poltrona personale accanto al letto. Per tutta la notte Narciso racconta all’Oste i fatti della giornata, cosa succede in taverna, gli mostra i regali e legge i racconti, le poesie e ogni pensiero che i compadres gli hanno dedicato. Per tutta la notte Narciso parla all’Oste, resiste al sonno strenuamente, fino a quando, stremato, si abbandona al sonno. Prima di addormentarsi il suo ultimo pensiero è sempre:

“Chissà che starà facendo l’Oste?”.  

Giornata di lavoro al termine. Ti muovi, ma non ne hai veramente voglia. Metti in ordine, raccogli da terra bottiglie, carte, residui di cibo, mozziconi di sigari e sigarette…ma – dico io – il posacenere che ce lo metto a fare sul tavolo? Per bellezza? E dire che non passa inosservato per quanto è brutto! Quel coso fatto a forma di sombrero tutto colorato…non ricordo chi me li ha rifilati. Forse è opera di Narciso. O’ piccirille non resiste quando quella faina di venditore, per piazzare un ordine in più, gli propone un “regalo” extra. Narciso è la vittima predestinata delle televendite: si sarebbe fatto rifilare le batterie di pentole in acciaio “18/10 il migliore”, i materassi con il copri-letto in lana merinos pure d’estate, dei quadri inguardabili di Boemondo Scrofalo, patacche di orologi e bigiotteria tempestata di zirconi. Per fortuna qui le televendite non arrivano, gli agenti di commercio sì. Ora che ci penso, dove è finito Narcisiello?…non lo vedo da un po’ in giro.

Ogni notte, dopo che ho accompagnato l’ultimo borracho fuori dalla taverna, ripeto gli stessi piccoli gesti, tanti piccoli gesti tutti uguali costretto da nostra signora e padrona “routine” a una specie di “gioco del mimo” di tantalica punizione. All’inizio della giornata sei “vuoto” come il camion che va a caricare la merce, il ritorno lo fai a pieno carico: tutto il peso della giornata. Ti muovi per inerzia, il corpo sembra inserire l’auto-pilota: tu assisti da dentro lo svolgersi della procedura automatica di atterraggio di Goldrake, quando Actarus smonta dal robottone alla fine della routinaria missione-va’-distruggi-il-male-va’. Peccato non avere quell’Alabarda spaziale, alcune volte sarebbe così utile…

Quando va via l’ultimo degli avventori, scatta la “routine dell’ordine”. “Ordine” è una parola grossa: giusto quel tanto che, l’indomani mattina, non vieni assalito dal dubbio che sia passato Attila e abbia lanciato una bomba a grappolo prima di andarsene.

Una volta terminato questo maquillage del bancone e dei tavoli, prima di chiudere la taverna lancio un’ultima occhiata intorno, un controllo rapido per capire non tanto “se” ho dimenticato qualcosa, ma “cosa” ho sicuramente dimenticato. A fine giornata, oltre che stanco, sono pure paranoico. M’incammino verso la porta della taverna, per grazia di Dio non devo più timbrare “ore 19ecinquantatre”…infatti, sono le tre del mattino.

Sto per chiudere le due ante della porta, quando una strana sensazione mi assale. Faccio due passi all’esterno, guardo a destra e a sinistra sotto il portico; scendo i quattro gradini e sono in strada: non c’è un’anima viva, il deserto dei Tartari senza i Tartari. Non un cane, non un gatto, il mare è piatto e c’è bonaccia, non un suono nemmeno in lontananza. Sembra di essere in uno di quei film apocalittici in cui una mattina ti risvegli, ti accorgi che il mondo è andato a ramengo e tu sei l’unico sfigato di sopravvissuto.

Quella strana sensazione permane e non riesco a scrollarmela di dosso. M’incammino verso il centro della strada. Il senso dell’abbandono della notte è palpabile: rifiuti sparpagliati, case malandate, una strada che puoi chiamare tale solo perché è lo spazio che divide delle file di case. A vederlo così, viene voglia di lasciare questo posto. Ma come potrei? Narciso, i compadres, i clienti, la taverna…

Rallento inconsciamente la procedura di “routine della chiusura”. Sono trattenuto da questa strana sensazione.

Mi pianto al bordo della strada, sull’esatto lato opposto all’entrata della taverna: da qui posso guardare l’interezza della sua costruzione come per scattare una foto-ricordo, utile quando – per qualche motivo – lascerò questo luogo. Un ultimo momento da immortalare prima di rientrare e andare a dormire.

Continuo a fissare l’insegna “El BaVon Rojo”, mentre chino leggermente la testa verso uno sgualcito pacchetto da cui spunta una sigaretta. Un paio di piccoli colpi sul fondo e il filtro si offre alle mie labbra. Prima di chiudere e andare a letto, mi fumo una sigaretta, muy tranquilo. L’altra mano, intanto, cerca l’accendino nella tasca, mi appare davanti agli occhi l’immagine di Narciso che mi dice: “Una mattina di queste ti scordi di mettere pure la mutanda”. Entrambi sappiamo che questa eventualità è incerta solo nella data in cui accadrà. Ma Narciso dove diavolo  è finito?!? …Giuro che se alle tre del mattino sta architettando uno dei suoi scherzi molesti, questa volta gli fermo la crescita pure quando si reincarna nella prossima vita.

Frugo nella tasca, mi faccio strada tra un sovradimensionato mazzo di chiavi e foglietti dimenticati di note “da non dimenticare”, niente. L’accendino non c’è, l’avrò dimenticato sul bancone.

Stanotte o stamattina – non ho mai capito se “le tre” sono ore che appartengono alla notte fonda o al mattino presto –  c’è una bella luna grande: il mare, la spiaggia, le palme, i tetti delle case sono irradiate da una luce diafana come a volerle stringere in un abbraccio di luce e proteggerle dal buio della notte. Un abbraccio che trattiene, rigenera e, se la giornata non è andata per il meglio, almeno conforta.

In una notte come questa mi fermerei a bere in un bar, a sorseggiare un liquido che dia calore e a sgranocchiare arachidi e pistacchi, seduto fuori a uno di quei bar di città, immerso in quel vi—a>va<–i di auto e di gente che passano proprio lì davanti… grut-grut-grut, pot-pot-pot, cling-cling-cling, pot-pot, budundumdùm, peeeeeeh, skreeeee, peeeeh…non un luogo deserto come questo stanotte, ma pulsante di vita.

Già  mi ci vedo.

È il tramonto, il garzone del bar sta ritirando le sedie e i tavolini dentro, si appresta a chiudere. Sono sul marciapiede opposto, vado prima che chiuda. Attraverso la strada in mezzo al frastuono del traffico che ronza, sferraglia, sibila, urla, si mischiano a bocconcini di pensieri, che lentamente risalgono in superficie negli ultimi moti convettivi del fine-giornata;  pensieri “sfruttati” come quei ritagli di carne che si usano per il bollito, lasciati a cuocere per ore e ore, così che rilascino il proprio sapore e nutrimento a quel liquido. Servire freddi, tagliati a striscioline sottili e conditi con limon y sal y aceto balsamico o olio.

Tra il frastuono del traffico e il “bollito” di pensieri, alla radio va una canzone che più o meno fa: “…Passa la vita, come una señorita, de amor… apre il ventaglio e mette a repentaglio i cuor, camicia allegra che piace anche ai pelagra, folclor… e nel traffico e nel trambusto ci han preso gusto a tutto questo odor, furor… grut-grut-grut, pot-pot-pot, cling-cling-cling”.

Ora capisco. Mi è tutto chiaro.

Non voglio tornare indietro. Mi fermo qui. Un piccolo bar, qui a quest’angolo, alcuni tavolini all’esterno, servono liquidi colorati, ehi però ci sono pure quelle scodelline piene di patatine, pistacchi, mais tostato, riso soffiato piccante, arachidi…… grut-grut-grut, pot-pot-pot, cling-cling-cling Skreeeeeeee…tic-tic-tac-tac…freccia a destra. Un’auto parcheggia e per poco non mi investe. La aggiro, tocco il marciapiede come un naufrago la battigia e finalmente raggiungo al bar.

Mi seggo. Ordino una cerveza ben fria, insieme a tutte quelle scodelline piene di roba scrocchiante. Chiedo al garzone un accendino e un posacenere, m’accendo una sigaretta, il fumo sale, l’odore acre rovina l’odore di terra bagnata che porta un’improvvisa raffica di vento: deve avere piovuto qui vicino. Spengo la sigaretta. Annullo l’ordinazione e faccio cenno al ragazzo di tornare tra un po’.

Ho voglia di qualcosa di dolce, alcolico va bene, ma dolce che mi faccia concludere bene la giornata.. Mi guardo intorno, la gente per la strada. Le persone camminano su e giù per la strada e scompaiono alla mia vista, a destra e a sinistra, un clacson. È una danza di fantasmi al ritmo di clacson. Quella strana sensazione si fa strada tra la folla e lotta per raggiungermi con lo stesso sforzo spasmodico delle ultime bracciate di chi in apnea sta guadagnando la superficie dal fondo del mare. Aaaaaahhhhh<respiro>rriva! In apnea ci finisco io, per un attimo sembrato interminabile lotto per respirare.

Riaffioro e ora vedo!

Capelli scuri, vellutati: vino!

Occhi profondi, taglio esotico: cannella!

Labbra morbide, rosse. Il suo bacio potrebbe sapere solo di amarena!

Il ragazzo del bar è in piedi davanti al mio tavolo e mi guarda fisso, ansioso, in attesa di raccogliere l’ultima ordinazione della giornata.

“Per cortesia, una ratafià.”.

… …

Tre del mattino, Narciso ronfa sprofondato nella poltrona del dottor Feliz, accanto all’Oste. Luna entra in questa improvvisata infermeria. Indugia con lo sguardo sull’Oste: sembra dormire.

Non l’ha detto a nessuno, non può dirlo a nessuno: prova invidia per l’Oste. Condannata per sempre a essere una non-morta, nessuno quanto lei vorrebbe cadere nel sonno eterno.

Si avvicina a Narciso, gli rivolge uno sguardo quasi materno, gli accarezza la chioma. Poi si avvicina all’Oste, gli prende una mano e la tiene dolcemente nella sua mano sinistra. Si china, il suo volto a sfiorare quello dell’Oste. Lo fissa, è lacerata dentro.  Appoggia l’altra mano sulla guancia destra dell’Oste e avvicina la bocca all’orecchio opposto: spalanca le labbra e…

…soffia.

Emette un soffio sordo. Nessun suono, solo aria che viene spostata.

Le mani di Luna lasciano nello stesso momento la mano e la guancia dell’Oste. Luna recupera la posizione eretta, compie una mezza torsione con il busto nell’atto di andarsene, ma si blocca sul posto. Lancia un rapido sguardo a Narciso come per sincerarsi che stia ancora dormendo, poi si china di nuovo sull’Oste e blocca le sue labbra a un dito dalle labbra di lui.

Le sembra di vedere gli estremi delle carnose labbra dell’Oste muoversi insieme verso l’alto per tornare una frazione di secondo dopo immobili. Un movimento impercettibile per un essere umano.

Appoggia le labbra e lo bacia.

Besame,
Besame mucho
Como si fuera ésta noche
La última vez

Besame, besame mucho
Que tengo miedo a perderte
Perderte después

giaguaro-pipistrello-maya

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Onda sonora consigliata: Besame Mucho cantata da Cesaria Evora

 Testo e traduzione di “Besame Mucho” (è una traduzione mia, perciò chi conosce lo spagnolo e vi trovasse degli errori, lo segnali nei commenti)
Besame, Baciami,
Besame mucho Baciami molto
Como si fuera ésta noche Come se questa notte fosse
La última vez L’ultima volta
Besame, besame mucho Baciami, baciami molto
Que tengo miedo a perderte Perché ho paura di perderti
Perderte después Perderti un’altra volta
Besame, Baciami,
Besame mucho Baciami molto
Como si fuera ésta noche Come se questa notte fosse
La última vez L’ultima volta
Besame, besame mucho Baciami,baciami molto
Que tengo miedo a perderte Perché ho paura di perderti
Perderte después Perderti un’altra volta
Quiero tenerte muy cerca Voglio averti molto vicino
Mirarme en tus ojos Specchiarmi nei tuoi occhi
Verte junto a mi Vederti insieme a me
Piensa que tal vez mañana Pensa che forse domani
Yo ya estaré lejos, Io sarò lontano
Muy lejos de ti Molto lontano da te
Besame, Baciami,
Besame mucho Baciami molto
Como si fuera ésta noche Come se questa notte fosse
La última vez L’ultima volta
Besame, besame mucho Baciami,baciami molto
Que tengo miedo a perderte Perché ho paura di perderti
Perderte después Perderti un’altra volta
Besame, besame mucho Baciami, baciami molto
Que tengo miedo a perderte Perché ho paura di perderti
Perderte después Perderti un’altra volta
Que tengo miedo a perderte Perché ho paura di perderti
Perderte después Perderti un’altra volta

37 pensieri su “Batmancito [Ep.#22] – Besame mucho

    1. E lo confesso. Non me la sento di risvegliarlo di botto. E se poi gli piglia una sincope? E se poi non si risveglia? L’Oste anche quando era in forma ha il risveglio lento. Ha i suoi tempi. “Andamento lento” cantava un paesano dell’Oste. Grazie Tatuzza!

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    1. Ci hai colto pieno! Citi poi due dei miei film preferiti sul tema il che mi inorgoglisce ancora di più. Nella cultura napoletana il dialogo con l’Al di La’ lo rende molto più Al di Qua. Forse c’è una terra di mezzo?

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    1. Idea ce mi ha tentato, lo ammetto. Girare la frittata all’ultimo come me Il Sesto Senso. Di sicuro effetto, ma una cartuccia che si spara solo una volta e avrebbe mandato all’Inferno tutto il lavoro sui personaggi=blogger, che d’un botto si sarebbero trasformati in non-morti. Tutto sommato i licantropi sono più “vivi” dei non-morti. Insomma, l’effetto era “bOmbA in taverna”, ma poi era un casino rimettere in ordine…
      Perdona lo spavento eh.
      Comunque mi fai…morire dal ridere quando scrivi in mezzo napoletano 😉

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  1. Ho trovato molto delicato il capitolo, lo sento come ha scritto Cuore, intenso. Poetico senza retorica e questo passaggio in particolare (con le pause che si fanno sentire più delle parole): “Lo fissa, è lacerata dentro. Appoggia l’altra mano sulla guancia destra dell’Oste e avvicina la bocca all’orecchio opposto: spalanca le labbra e…

    …soffia.

    Emette un soffio sordo. Nessun suono, solo aria che viene spostata” è di una rara destrezza stilistica, materna quasi. Bello e ovviamente ho stampato l’episodio

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    1. Bene, sono contento. Era in effetti delicato il tema, la “terra” di mezzo tra la vita e la morte. Il fatto che io sia legato profondamente al personaggio, che lo senta un po’ “me”, rischiava di mandare in melassa o in retorica del volemosebbene il racconto che mi è scivolato dalle dita come acqua durante un’acquazzone (mai che ricordassi di portare l’ombrello!). Sembra invece che la Musa mi sia stata accanto, anzi mi abbia preso la mano e accompagnato le dita a battere i “tasti” giusti.
      Sapere poi che a questo racconto gli hai regalato una forma fisica, per me è un grande onore. Grazie.

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      1. questo episodio come gli altri, ho oramai il tuo libro in mano. E’ molto diverso se letto sulla carta, almeno per me. Niente melassa comunque, le parole sono misurate e sciolte, emotive ma con criterio, disinvolte seppure con ordine e stile. Non pratico la letteratura, ma pare che questo sia il mestiere dello scrittore. E della buona scrittura. Hai dato vita a un paio di personaggi credibili e ben costruiti, aspetto la mia copia autografata dall’autore e controfirmata dall’Oste

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    1. In taverna se non sei un “sognatore” resisti poco. Non ti trovi a tuo agio, inizia a pensare che sono tutti “strani” (e non hai tutti i torti). Per restare in taverna devi avere almeno la predisposizione a sognare, almeno a crederci un po’. Se sei cinico, pragmatico, realista più del re e della regina, fuggi a gambe levate dicendoti “dove diamine sono capitato?!?”
      Una magia, dici? Mmmh una “magia” non nel senso stretto e fantastico del termine. Voglio dire non un incantesimo di quelli da ‘magicabula’ o da Mago di 30° livello o da Gandalf. Una “magia” di cui siamo capaci anche noi “normali” essere umani…ti dò un indizio: spesso l’effetto collaterale è “farfalle nello stomaco”.

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  2. Mi hai fatto venire in mente ‘l’ultimo addio’ di Sergio Bonelli per Dylab Dog….

    E lunghe ore a ingannarci così

    a dire lui e lei, sempre gli altri
    e i palliativi sono sempre tanti
    per non ammettere che siamo qui
    e Charlie Brown e Mafalda e la scuola
    storie un po’ vere a volte inventate
    nei pomeriggi d’inverno e d’estate
    di strani voli su una parola.
     
    Quando cantavo Plaisir d’amour
    tu mi guardavi e ridevi più forte
    non lo capivi che ti facevo la corte
    o forse capivi e la furba eri tu
    e mi hai sospeso su un filo di lana
    e mi ci terrai ancora per molto
    giovane amore, fiore non colto
    o forse si, ma da un’altra mano.
     
    E chi lo sa se anche tu mi vuoi bene
    a volte credo di esserne certo
    a volte invece sembra tutto uno scherzo
    fuggono gli occhi come falene
    amica mia sorella speranza
    quello che vuoi io non ti dirò
    quello che voglio non sentirò
    quello che c’è dietro l’indifferenza.
     
    E tutto è morto e tutto è ancor vivo
    e solamente tutto è cambiato
    quello che provo l’ho sempre provato
    e credo ancora in ciò in cui credevo
    e il fiocco nero è l’unica cosa
    che mi è rimasta con la malinconia
    ma insieme a questa stanca anarchia
    vorrei anche te, amica mia.
     
    Ma dimmi tu non è meglio così?
    Immaginare ed illudersi sempre
    qui ad aspettare qualcosa o niente
    qui ad aspettare un no o un si
    che in ogni caso sarebbero fine
    di tutto questo che almeno è un ricordo
    così studiato giorno per giorno
    fatto di tanti cristalli di brina.

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