De rerum vinorum (di Giancarlo Buonofiglio e RedBavon)


Da Sideways – In viaggio con Jack. A sinistra Paul Giamatti, alla sua destra
Thomas Haden Church (foto da Wikipedia)

Punti di vista di due etilici blogger su questa cirrotica società. Pensieri etilici buttati giù a quattro mani e ancora ci vediamo benissimo.

Il vino prepara i cuori e li rende più pronti alla passione (cit. Ovidio)

di RedBavon

Chiacchierando con Giancarlo di comuni passioni etiliche, mi è partita una scheggia che mi farà bannare da tutte le vinerie e mi attirerà gli strali di sommelier e appassionati di vino. Alla schiera, già nutrita, di RedBavon-hater potrebbero aggiungersi legioni di cinici e semplici passanti cui ciò che sto per battere sulla tastiera potrebbe suonare come un tentativo patetico e inutile di un moralizzatore come tanti s’improvvisano nella Rete. E Pietro d’Amiens, noto come l’Eremita, con le sue predicazioni ne ha mandati parecchi a morire. Io non ho di queste ambizioni.

L’intenzione, dunque, non è neanche vagamente moralizzatrice, bensì una raccolta di dati, messi in fila in una logica aritmetica, il cui risultato mi ha fatto riflettere su temi quali il capitalismo selvaggio, l’emigrazione e quanto siano autenticamente ipocriti certi personaggi quando dichiarano “Aiutiamoli al Paese loro”.

E dopo l’immancabile affastellato preambolo, stappiamo la bottiglia!

Si discorreva di vini con Giancarlo. Non sono un esperto, mi piace bere vino in compagnia e, avendo di recente visto il film Sideways In viaggio con Jack, ambientato nella zona vinicola di Santa Ynez Valley in California, nel nostro scambio etilico mi sono dato un tono citando un vino di rara eccellenza (e prezzo), lo Château Cheval Blanc.

Non essendo un esperto, faccio un collage dal web su cosa si dice di questo vino.

Vino di straordinaria complessità, dalla vastissima gamma di aromi e sapori.
Di colore rosso intenso con sfumature malva, presenta un variegato bouquet fatto di frutti rossi e neri, con delicate sfumature floreali di rosa e viola, completate da fresche note di menta ed eucalipto. Potente al palato, tannico ed elegante, lungamente persistente. Da stappare nelle grandi occasioni con squisiti piatti a base di carne di manzo, selvaggina ed agnello.

“Vero cachemire al palato”

Nel 1954 Château Cheval Blanc venne nominato “Premier Grand Cru Classé A” a Saint-Émilion, ricevendo cosi la qualificazione più alta conferita ogni dieci anni ai più prestigiosi Chateaux di quella zona. I vini godono di fama mondiale grazie a una meravigliosa e sublime espressione del Cabernet Franc, vitigno preponderante nelle cuvée Cheval Blanc.

Secondo Pierre Lurton, direttore generale di Château Cheval Blanc e amministratore delegato di Château d’Yquem, questo vino è talmente setoso che pare “vero cachemire al palato”.

Senza nulla togliere alla grande passione e al lavoro delle persone della cantina francese, ciò che mi ha fatto partire la scheggia è il prezzo di tale vino: dai 300 euro ai 4.800 euro. Ho visto anche una bottiglia da 8.000 euro e a quel punto mi sono fermato con la ricerca, scegliendo il valore mediano, cioè una bella bottiglia da quattromilaottocento euro, che scritto per esteso invece che a numeri fa meno impressione.

In Niger il 40% dei bambini sotto i 5 anni è sottopeso (fonte: IndexMundi), va peggio in Timor Est, India e Yemen.

Consideriamo il Niger perché fuori dall’infame podio, giusto per non considerare il peggio assoluto.

Il reddito pro capite del Niger è di 363 dollari annui (fonte: Banca Mondiale Google Public Data). Pertanto, in Niger devi campare con 1 dollaro al giorno, a parte due giorni in cui devi tirare la cinghia.

Problema

Il nostro paio di grappoli d’uva spremuti, una volta imbottigliati ed etichettati , vale 4.800 euro, a quanti bambini sotto i cinque anni in Niger darebbe da mangiare?

Svolgimento

4.800 euro valgono oggi al cambio 5.572 dollari.

5.572:363= 15,34

Quindi con una bottiglia di Château Cheval Blanc potremmo fare mangiare 15 bambini nel Niger per un anno intero e avanza pure qualche cosa.

C’è qualcosa di tremendamente sbagliato in questo risultato. Eppure i conti li ho ripetuti e li ho fatti pure con la calcolatrice.

Se c’è una domanda, c’è un’offerta. Se esiste qualcuno che ha la disponibilità economica di pagare 4.800 euro per una bottiglia di eccellente vino, esiste qualcuno che lo produce e lo vende.

Il corto-circuito è quanto deve essere eccellente un vino, quale gusto e soddisfazione irrinunciabile deve avere un vino per valere quindici pasti di bambini di cinque anni per un anno intero?

Anche la pubblicità, direbbe “non c’è prezzo”

La nota campagna pubblicitaria “priceless” della carta di credito Mastercard probabilmente utilizzata per pagare quella rara bottiglia recita: “Ci sono cose che non si possono comprare, per tutto il resto c’è Mastercard“. Ecco, ci sono cose che non si possono comprare anche tirando in ballo un concetto cardine della teoria neoclassica del valore in Economia, l’utilità marginale di un bene,  definibile come la quantità di soddisfazione che fornisce ogni singola dose di un bene consumato.

Un consumatore beve una bottiglia di buon vino e ne resta soddisfatto, l’utilità incrementa. L’incremento di utilità che genera una seconda bottiglia di vino, per quanto significativo, è sicuramente minore del primo. L’incremento del terzo ancora minore e così via. Vi sarà un punto in cui il consumatore raggiungerà il punto di sazietà, a partire dal quale eventuali altri incrementi del consumo di vino probabilmente apporteranno una disutilità, cioè diminuiranno il suo livello di soddisfazione. L’utilità marginale è nulla in corrispondenza del punto di sazietà e ciò significa che per il consumatore diventa indifferente bere un’altra bottiglia di vino.

Nel nostro sistema capitalistico selvaggio, nel nostro modello di consumo sembra che il punto di sazietà non esista. Anche nel caso di limitata disponibilità di beni come nel caso delle bottiglie di Château Cheval Blanc da 4.800 euro (fattore che ne determina anche il prezzo), c’è sempre un altro bene, un altro vino più raro e costoso. Non ho usato il termine “esclusivo” perché è una fregatura: l’unicità si fa pagare a carissimo prezzo in una società omologata e la promessa di un'”esclusività” è spesso solo temporale perché un dato bene è richiesto da molte persone, i profitti sono potenzialmente più elevati.

Una Ferrari ha un prezzo pari a venti utilitarie, ma quanti possono permettersi una Ferrari o anche due, tre, quattro. L’utilità marginale vale anche per i ricchi e per le Ferrari. L’economia intesa come motore per distribuire benessere si muove grazie ai “tanti”, non ai “pochi”.

Quale è l’utilità marginale di una bottiglia di vino di 4.800 euro in una società che vuole dirsi “civile” se quindici bambini di cinque anni potrebbero avere il cibo assicurato per un anno (per quanto poco se ne possano procurare con un dollaro al giorno)?

Anche io consumo beni effimeri, in modo spesso compulsivo, la cui curva di utilità marginale incontra l’asse delle ascisse: con quei soldi un bimbo in Niger potrebbe mettere su qualche chilo in più. Nel mucchio mi ci metto anche io. Mi chiedo però: esiste un limite?

Dovrebbe esistere un limite interno all’individuo, non imposto da un governo o una legge, un limite interno condiviso da una comunità o società, se vuole fregiarsi di “essere civile” e dai valori addirittura “da esportare”.

Sono un rozzo e non potrei percepire il piacere immenso del“vero cachemire al palato”, ma con il il vino de li Castelli (romani) posso continuare a sbronzarmi senza farmi attanagliare dai morsi della coscienza. Che i morsi della fame restano sempre al 40% dei bimbi del Niger.

“Aiutiamoli a casa loro”…dobbiamo iniziare a farci “aiutare noi” e pure da uno molto bravo.

La vita che da di Cabernet di Screaming Eagle

di Giancarlo Buonofiglio

L’argomento trattato da Red mi è caro e abbiamo qualche interesse comune e una comune visione del mondo. Almeno in quel che conta.

Non bevo un vino che costi più di 30 euro a bottiglia (e con 10 euro si comprano bottiglie più che decorose: Barbera d’Asti Superiore I Tre Vescovi, della Cantina Vinchio Vaglio Serra; Sicilia Rosso Centopassi; Carema Et. Nera della Cantina Nebbiolo di Carema;) oltre non è più un vino, ma una moda; quella boriosa che prima del gusto celebra l’iopossoetuno.

L’articolo di Red è dettagliato, accurato; si è informato e ha studiato. Io ho un approccio un po’ diverso e faccio fatica coi sommelier (limite mio, per carità). Un buon autista può capire poco di meccanica e nulla di ingegneria, gli è richiesto comunque altro. Diciamo che mi piace una vita ad alta gradazione, marchio e prezzo sono la metafisica della fermentazione. L’ho detto altrove: il mio è un materialismo diabetico.

Nell’articolo Red appunta un altro tema, e anche quello mi sta a cuore. La spocchiosità di quelli che spendono centinaia e a volte migliaia di euro per del succo d’uva. La parola succo la uso con criterio e devozione per un prodotto che al di là della denominazione è comunque è sempre ad alta poesia. Tempo fa ho scritto questa cosa, non sul povero Briatore (che mi è anche simpatico), ma sui comportamenti e il modo di guardare alle cose che ha una manciata di persone. Manciata per dire. La ripropongo qua, ringraziando Red per avermi coinvolto.


Il ritratto che Briatore fa dei “ricchi” è più o meno questo: non vogliono pensieri, non amano la cultura se non incorniciata in una bella kermesse, non fanno turismo da musei, sono avulsi da conferenze, libri e altri ripieghi da sfigati. Quella è roba da sventurati che non hanno quattrini da spendere in attività più edificanti. Non offrite loro alberghetti seppure con una decorosa storia enogastronomica, percorsi naturalistici e passeggiate, pietanze locali o vini dozzinali. Per Briatore al turismo di lusso bisogna proporre alberghi sontuosi in cui possano incontrarsi e discurtere di affari, grandi marchi e non la pensione Mariuccia (parole sue); le amministrazioni locali devono attrezzarsi per accogliere gli yacht, perché quel turismo porta ricchezza: “Una barca da 70 metri può spendere fino a 25mila euro al giorno”, afferma il mentore.

Niente di nuovo, Briatore conferma quanto sapevamo; i ricchi (quelli di cui parla) sono deficienti, non vogliono rotture di coglioni, cultura compresa, mangiano e vivono secondo un’idea del capitale e della proprietà, divorano denaro e non conoscono il gusto. Per essere chiari: cazzo fai gli proponi Margherita Hack? La figa gli devi dare. Niente di nuovo tra i cliché: vogliono belle ragazze, bottiglie da diecimila euro, desiderano camminare tra le vetrine di via Montenapoleone con le tasche gonfie e senza il lerciume al marciapiede, barboni e disadattati compresi. Il tutto nella sicurezza di non venire minacciati nelle sostanze accumulate in uno Stato che svende loro le aziende per quattro soldi.

Al convegno in Puglia aggiunge anche che i ricchi sono più educati dei poveri. Non so se sia vero, di certo i disgraziati fanno di tutto per emularli al peggio, sporcizia e maleducazione compresa. Dalle sue parole viene fuori un ritratto misero del nostro Paese. Con milionari che spendono 30.000 euro al giorno in sciocchezze, mentre s’industriano per sottrarre quelle stesse risorse alla comunità.

Il turismo facoltoso è più educato, ma non si capisce in cosa consista questa educazione; nel mio mondo rurale, quello della pasta e fagioli, dei mosti stagionati nelle cantine, dei racconti popolari significa contestualizzarsi riconoscendosi in un minimo di regole comuni e nello stato: la prima delle quali consiste nel non razziare il pubblico, pagare gli oneri, versare il giusto ai lavoratori. Gli affari loschi resi leciti dalle leggi sottoscritte dagli amici onorevoli, non rientrano nell’ordine della buona educazione.

Si chiama etica questa cosa, ma che glielo dico a fare; l’ha anche detto al convegno: ci sono troppi filosofi in parlamento. Gente che non capisce niente e priva di senso pratico, che guarda pure con cattivo occhio un individuo che ha fatto i soldi col malaffare e che spende uno sproposito per una bottiglia di vinaccia adulterata. Perché i maître à penser alla Briatore che non rispettano la cultura (e la cultura non è una cosa astratta, ma proprio un affinamento del gusto) non distinguono un vino dall’altro; il criterio della qualità rimane il prezzo. Più l’hai pagato più vale, come le ragazze con le quali si accompagnano, roba da migliaia di euro a botta.

A me sembra una vita miserevole, fatta di nulla, con capitali depositati in Svizzera o chissà dove; denaro col quale di norma ai poveri vengono assicurati i servizi essenziali. A questa gente che compra il Cabernet di Screaming Eagle del 1992 (228.000 euro) e non sa quant’è buono un Dolcetto di Dogliani Sorì Dij But (8 euro a bottiglia), come gliela spiego la differenza tra un uomo e un altro e che se l’altro è costretto a una vita infelice dipende proprio dal cattivo gusto di chi fa carte false per non retribuirlo secondo giustizia e equità?

72 pensieri su “De rerum vinorum (di Giancarlo Buonofiglio e RedBavon)

  1. Per tutto quello che scrivete (e anche per altro) non posso non ammirare Fidel Castro. Non Che Guevara (per carità, anche lui un grande, ma troppo personaggio, troppo visto nelle magliette e negli adedivi). Fidel, il più grande di tutti avrebbe detto che tutto è conseguenziale: la bottiglia da 4800 euro è solo una delle punte dei vari iceberg. Viviamo in un mondo ingiusto, profondamente ingiusto e ahimè, siamo noi i cattivi. Nessun 7 cavallegeri verrà a salvarci….

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    1. Noi siamo “i cattivi”, ma siamo anche “i più forti” e abbiamo anche la presunzione di “esportare i nostri valori”. Il fatto che altri sistemi (come quello cubano), senza entrare nel merito dei pro e dei contro, siano una minoranza isolata la dice lunga su chi abbia “vinto la battaglia”. Come inguaribile ottimista (e tiratemi pure le pietre) ritengo che ci sia sempre la possibilità di apportare correzioni, anche se di recente mi pare che i segnali vadano in senso contrario. Sono cicli storici e travalicano l’esitenza di un individuo. Però credo che se nel nostro piccolo non diamo il nostro contributo, non possiamo attenderci nulla di meno che un mondo dove il più forte domina sul più debole. La giustizia è un concetto assente quando c’è una posizione dominante.
      PS:
      Il 7° Cavalleria per me è la rappresentazione dei “cattivi”; lo sterminavo puntualmete i soldati blu a cavallo quando ci giocavo a soldatini 😉

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  2. Vi ho letto entrambi con piacere e curiosità, malgrado io sia un amante “casto” del vino: mi piace l’idea di bere, ma dopo due dita di qualsiasi alcol già mi gira la testa e quindi il piacere si fa etereo. Però mi sono segnato il film che mi vedrò con piacere, così come con piacere ho letto le vostre riflessioni tutt’altro che etiliche: se ci fosse anche un solo politico italiano così lucido non saremmo la barzelletta del mondo che siamo.
    Mi lancio quindi in due riflessioni, dedicate agli autori.
    Lo divido in due parti per non fare un messaggio-pippone troppo lungo ^_^

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  3. 1) Redbavon, è un argomento che mi fa molto soffrire, quello dell’unicità e del valore di un “pezzo”. (Che sia una bottiglia rara o un libro raro o un pupazzo da collezione raro.) Un tempo credevo che un pezzo che costa tot vale anche quel tot, invece il mercato è una brutta bestia: una bottiglia da 8 mila euro non vale nulla, se nessuno poi la compra. Nella mia vita mi sono capitati pezzi da collezione molto rari, e tutto contento sognavo un loro valore altissimo da poter vantare in giro, scoprendo che invece non valgono nulla… perché nessuno li vuole. Sono pezzi “oggettivamente” preziosi perché unici, ma che non valgono una mazza perché nessuno li cerca, né li vuole né sarebbe disposto a pagarli un solo centesimo… Un vino da 8 mila euro non vale nulla, in un mondo di astemi… Ecco, questi sono gli anticorpi della nostra corrotta società consumistica: il continuo cambio di valore e il continuo mutamento dei gusti rende sempre in equilibrio i prodotti, e quello che oggi è un pezzo “che varrà per sempre” in realtà domani sarà zero, se cambia il gusto. Così che non potremo mai aiutare nessuno, visto che non abbiamo risorse in mano ma solamente valutazioni mutevoli…

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    1. L’esclusiva, il “pezzo raro” può essere solo una chimera in un’economia che ha necessità di grandi numeri ed è affamata di crescita come se non esista un limite.
      E’ un gioco a somma zero (in Borsa è un concetto lapalissiano): uno vince se uno perde. Le risorse sono limitate e funziona così se non si trova il modo di estendere il benessere (leggi: capacità di consumare) a una più ampia platea di consumatori.
      E’ successo questo in Italia nel boom economico.
      Condivido ogni parola. Gran bel “pippone”. Qui sono benvenuti.

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      1. Ti ringrazio ^_^
        Capisco il concetto che se, per dire, abbiamo tutti in casa lo stesso francobollo raro, quello non è più raro, ergo se ce l’ho solo io è super-rarissimo. Però se nessuno lo vuole, se nessuno lo cerca, se a nessuno fregasse più niente dei francobolli, io posso pure dire che ho un francobollo che vale un milione d’euro, ma sono solo parole, perché nessuno lo vuole quindi il suo valore è pari a zero.
        Una bottiglia di vino male che vada te la bevi, diciamo che un uso lo si può sempre trovare, ma di un francobollo o di un’altra rarità che in altri casi varrebbe una fortuna… che ci fai quando i gusti cambiano e non vale più nulla, se non sulla carta? (Sto ancora soffrendo per la valanga immane di schede telefoniche che ho ammonticchiato 25 anni fa, in attesa che valessero qualcosa, e ancora valgono zero tondo! 😦 Ci sono pezzi rari che però lo stesso ti dài in faccia, perché sono rari proprio perché a nessuno frega niente di loro…)
        Insomma, molto spesso tendiamo a dare un valore oggettivo a cose che ne hanno solo in modo soggettivo. Ancora oggi il Manoscritto di Voynich è considerato “il libro più misterioso del mondo”, eppure il suo autore provò per trent’anni a venderlo senza riuscire a trovare uno stronzo che spendesse un centesimo per quella rarità. Alla fine, lasciato in eredità, il libro è stato regalato: valeva così tanto… che in realtà non valeva una mazza!

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  4. 2) Giancarlo. L’essere circondato da pezzenti che si fingono ricchi mi ha fatto scoprire un mondo che non ha nulla a che vedere con le dichiarazioni di Briatore, che infatti sembrano tagliate su misura sulla gente normale: che odia i libri, che odia i musei, che odia tutto ciò che sembra familiare e vuole fingere lo sfarzo, anche se potrebbe permettersi a malapena pizza e mortazza. I pezzenti non sono i poveri, quelli sono poveri e basta: no, i pezzenti sono quelli che amano passare per ricchi, che dicono di spendere ma non spendono, che chiedono sconti su cose che possono permettersi e che ti fanno i conti in tasca quando stai messo peggio di loro. Purtroppo tanti ricchi “da cartolina” sono così: gente che mangia e beve gratis, cioè facendo pagare gente più povera di loro, e però se la tira da ricco. Da decenni questo ha “rovinato” il capitalismo: nessuno mette più in ballo il proprio capitale, tutti fanno i ricchi e gli imprenditori coi soldi degli altri – leggi, coi soldi “nostri”, visto che poi qualcuno alla fine dovrà pagare – e fanno i signori senza pagare un centesimo, altro che spendere 25 mila euro al giorno! Questa è gente che si fa regalare lo champagne e le mignotte dal signorotto locale, che poi sarà ricompesato con favori e latrocinio dei soldi dei lavoratori. Ecco, diciamo che preferisco di gran lunga i ricchi “normali”, quelli veri, quelli che ogni tanto spendono qualche soldo, ai ricchi che abbiamo oggi, che pasteggiano rubando dalle nostre tasche, perché tanto qualcuno troverà il modo di regalar loro tutto sottraendolo a chi non se lo può permettere…
    Ok, fine del pippone e ancora complimenti ad entrambi ^_^

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          1. Fa il paio con “gioca responsabilmente”: non mi stupisce l’ipocrisia dei pubblicitari e dei produttori di condizioni assuefanti, ma la stupidità di chi si è battuto per avere quelle scritte citate negli spot: è come dare la pistola carica ad uno psicopatico e stare a posto con la coscienza dicendogli “mi raccomando, però: spara in modo responsabile” 😀

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    1. Caro Lucius, dimentico sempre i fondamentali: è vero, questi le bottiglie di vinello pregiato se le fanno pagare. Cioè mettono sul libro paga degli italiani anche i loro funzionari (o giornalisti Rai) e le mignotte (o le amiche in Rai) e tanto altro ancora, ma è davvero un’altra storia. Mi piace che Red abbia dato questo taglio all’articolo fermentandolo ad alta gradazione; è nel mio Spirito (alcolico ovviamente). Concordo su tutto e anche di più: il capitalismo nostrano non paga niente di tasca propria (vedi Alitalia e altre aziendine regalate agli amici per un pugno di dollari). Poi dice che uno beve. Se non fai la rivoluzione, che altro puoi fare qua? O meglio: hic et nunc, come appunto singhiozzano gli alcolizzati

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  5. L’ha ribloggato su Giancarlo Buonofiglioe ha commentato:
    Ringrazio Red per avermi coinvolto. Il suo articolo è dettagliato e accurato; io ho un approccio un po’ diverso e faccio fatica coi sommelier. Un pilota può capire poco di meccanica e nulla di ingegneria, gli è richiesto altro. Diciamo che mi piace una vita ad alta gradazione, marchio e prezzo sono la metafisica della fermentazione. Roba da signori insomma, quelli che un rigurgito di coscienza me lo provocano. L’ho detto altrove: il mio è un materialismo diabetico.

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  6. Mi sento totalmente avulso da questo dibattito, dal momento che considero semplicemente dei miserabili, tutti coloro che se la fanno a pippe di migliaia di euro per una qualsiasi sedicente rarità: è in questo loro affannarsi, incuranti della miseria che si lasciano appresso, il loro biglietto di presentazione che taglia corto su tutti i commenti possibili e immaginabili… Del resto non bevo più alcoolici da un pezzo. Ma li bevessi ancora, sarei pienamente d’accordo con voi: è semplicemente ridicolo pensare all’unicità, quando questa è sinonimo di miseria umana…

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    1. Fosse questa l'”unicità” della miseria umana sarebbe già parecchio ridotta in numero di esemplari e potremmo quasi gioirne di questo “confinamento”. La miseria umana ahimé spazia e questo ne è sola un’epsressione manifesta ed elevata ad “aspirazione”, a punto di arrivo, simbolo di successo per parecchi. Da questi sono avulso (bella ‘sta parola)

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      1. Il vero problema sono coloro che si fanno tappetini per questi miserabili, onfoltendone la schiera: non pochi sono coloro disposti a pagare qualche migliaio di euro per farsi un selfie nei locali di quel sozzo che sputa immondizia. In troppi gli si accodano per raccoglierne gocce di bava che sputacchia quando parla…

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          1. E’proprio così compadre: ormai si sentono sdoganati nel loro essere puzzoni ed affamapopoli. Quindi usano i media per buttare in faccia agli”sfigati”tutta la loro schifosa ricchezza. Se gli dici qualcosa sei solo un invidioso. E i più, come ai tempi di Berlusconi, te lo ripetono che sei invidioso. Ecco perchè mi dico avulso dalla discussione: a che serve parlarne, quando ti senti preso per invidioso? Oramai è passata la filosofia del successo: non importa come ci sei arrivato e quanto costa all’umanità, l’importante è che ci sei. Dunque ti puoi permettere di comportarti in modo spocchioso e buttare in faccia ai bambini morenti d’inedia tutta la tua ricchezza: sono solo degli sfigati… M’è capitato di vedere una ferrari parcheggiata sul marciapiede. Una coppia di fidanzati che la usano per farsi un selfy, invece di segnargliela tutta con un chiodo: come si permette di parcheggiarla sul marciapiede?……..

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  7. Bell’articolo, letto in due giorni, lo ammetto 😝
    La prima parte mi ha toccato poco, forse perché un tempo ero un capitalista convinto o forse perché sono un irrimediabile cinico. Francamente me ne infischio, come disse il grande Gable nel capolavoro della cinematografia, non mi tocca il ricco scialacquone come non mi tocca il nigeriano che muore di fame.
    La seconda mi ha fatto schifo, sebbene dei soldi non ne ne importi nulla, la cultura per me è tutto e non posso che avere conati verso chi la snobba come il punzone e tutti i suoi simili maiali.
    La mia parte preferita dell’articolo: quella sui vini, sono un estimatore del buon vino ma ho scarsa memoria sui nomi e luoghi (perché esagero sempre e mi ubriaco, altrimenti la memoria mi funziona ancora bene), una mini guida tascabile scritta dal bavone rosso non mi dispiacerebbe!

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    1. E’ una questione “culturale” dopotutto. Se aspiri a imitare i ricconi smargiassi cercando “scorciatoie” per lo più illegali o comunque a scapito del prossimo, vuole dire che sei allo stato “animale” e rispondi alla legge del “mors tua, vita mea”. Legge naturale, ma non applicabile a una comunità tesa al miglioramento delle condizioni economico-sociali-culturali dei suoi componenti. L’individualismo non porta da nessuna parte e anche in Natura – a parte alcuni casi – l’animale isolato normalmente diventa cibo per i predatori. In Natura c’è un equilibrio: ogni predatore è preda di un predatorie a sua volta. L’uomo è il predatore più evoluto e forte e (de)preda i suoi simili.
      Se spendo 4800 euro per una bottiglia, magari me lo posso permettere perché sfrutto i lavoratori pagandoli tra i 400 e gli 800 euro spacciando per apprendistato un lavoro con le mansioni di uno già formato.
      La citazione dei bimbi del Niger non è per ispirare facile patetismi, ma per dare un ordine di grandezze delle cose importanti e di come si sprecano risorse. Vale più la vita di un bimbo (anche non del Niger) o una cassa di Cheval Blanc?
      In merito alla guida a mia cura, non potrei mai realizzarla perché non sono un esperto, ma un consumatore per lo più in compagnia.
      Dimentico anche io di segnarmi le cantine e i vini. Sarà che in Italia ne abbiamo in tale abbondanza che fissarsi su un particolare vino e cantina sembra un precludersi di chissà quali altre prelibatezze.
      Di recente mi è piaciuto un rosso della Sicilia. Benuara (8 euro circa) e, visto che sei a Roma (se non erro) posso consigliarti i vini di Casale del Giglo (nell’Agro Pontino): fanno un buon Syrah, se vuoi spendere qualcosa di più (intorno ai 10-12 euro) il Petit Verdot mi è piaciuto, se vuoi esagerare vai sul Mater Matuta (intorno ai 30 euro). Ne ho assaggiato un calice ed era davvero ottimo, poi però quando è arrivato il conto, ho preso una “seggiata” clamorosa. Oltre i 30 euro, come dice un mio amico esperto, è solo marketing.
      Poi se sei un appassionato, non c’è limite (o quasi): tra 5 giorni è in vendita l’Xbox One X e fosse per me la comprerei subito 😉 (ma non lo farò)

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      1. Io sotto i 10 euro non li prendo quasi mai (che poi se aspetti l’offerta li prendi anche al 40% di sconto) perché bevendo anche due bottiglie da solo a cena, poi ho mal di testa e ci metto 24 ore a riprendermi (e calcola che mi mangio a colazione qualsiasi ventenne, compreso il me stesso ventenne, per tempi di ripresa, non capisco gli ultratrentenni che dicono che non sia più come quando avevano 20 anni, se dovessi fare una gara con mia madre sessantenne mi disintegrerebbe, a parità di bevuta io “sbiascico”, lei è lucida, per me l’esperienza alcolica aumenta qualsiasi livello). Con quello buono resto perennemente brillo e mai ubriaco e il giorno dopo sto bene.
        Concordo sul limite massimo dei 30 euro, oltre è mera speculazione! Oltre li spendo solo per una bottiglia di Zagapa.

        Sì, sono romano e il Syrah è uno dei miei preferiti, anche se sono più per i bianchi. I rossi me li godo solo con bistecche o tagliate. Poi se devo fare una braciolata mi vano bene anche le damigiane da 5 euro al litro, tanto solitamente finiscono con l’autodistruzione, camminando a carponi!

        p.s. scusa se ho virato verso argomenti da alcolizzato, tralasciando pezzi di merda e bambini che muoiono di fame.

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  8. Red e Giancarlo: Non posso che concordare con voi…. anche se so, perchè lo vedo e lo vivo, che c’è una parte di popolo che vive “controcorrente”, anche in questa nostra Italia malata.Ed è , per grazia, più grande di quel che non appaia… Comunque grazie sempre ,anche per l’attenzione e la documentazione. Brindo con voi, stavolta con un buuon rosso toscano (tre e 50 al litro circa) Buona giornata!

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  9. ‘temevo’ un articolo (anzi, due) sul vino – e invece si parla di politica (quella vera! come doverebbe essere intesa), e se ne parla come piacerebbe a me, svelando i re nudi del lusso e del capitalismo.

    Continuo ad aspettare in Italia l’esistenza di un partito che sia altrettanto vinicolo, concreto, genuino ed etico (non etilico!) – non solo nel senso che i parlamentari non siano corrotti e indagati per tramacci loro, ma nel senso che abbiano un sentimento etico, che faccia loro distinguere il bene dal male, ad esempio permetta loro di distinguere uno stato sociale degno di questo nome dal turbocapitalismo del lusso, che serve a pochi a discapito di molti.

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    1. Lascio scrivere di vino a chi ne conosce. Altrettanto Giancarlo: siamo solo dei consumatori, interessati più alla convivialità anche se lo schermo ci divide.
      Il discorso politico viene fuori se uno la intende nel suo significato originario e vero, non il quello stuprato dalle nostre classi di signorotti al Parlamento e Senato. Se la cosiddetta Sinistra si mette a fare le cose di Destra. La Destra può solo andare più a destra di dove già si trova. Vogliamo parlare delle “privatizzazioni” di quel ggggenio di Tremonti?!? Ce le siamo dimenticate. Quel Tremonti che all’inizio dell’estate rassicurò tutti che l’Italia stava in grande salute e a fine agosto eravamo commissariati (anche se non lo hanno mai ammesso). Noi italiani abbiamo la memoria corta proprio come gli ubriachi. Passata la sbronza, non ricordiamo nulla.

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  10. sarà che sono poco etilico, sarà perché cacciare dalla finestra dei quattrini guadagnati sudando per me una bottiglia di vino può arrivare al massimo a 8 – otto in lettere per non sbagliare – euro. E siccome non sono un palato fine mi basta che il rosso – adoro il vino rosso – abbia un gusto gradevole.
    O.T. il contadino che mi forniva uva spremuta a 1 euro purtroppo ha tolto la vigna rossa ma era ottimo da bere per chi non beve nemmeno mezzo bicchiere al giorno 😀 –
    Chiusa la parentesi. Non riesco a concepire di spendere una cifra superiore a quello che ho mensilmente. Ergo i ricchi staranno bene – ma sarà vero? – ma sono anche stupidi e di certo non li invidio.
    Conclusione le vostre argomentazioni sfondano una porta aperta.

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  11. Gran bel l’articolo e per niente populista come quelli di cui sopra(quelli ricchi, quelli che non vogliono rotture di palle e vorrebbero un mondo solo per loro) direbbero. Certe cose è sempre meglio dirle, scriverle e se si riesce sbattergliele in faccia.
    Ciao
    Gabriele

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    1. Grazie Gabriele e benvenuto!
      Quegli smargiassi non devono mai pensare che stanno facendo la cosa giusta, che è’ normale che vada così. Un minimo dobbiamo guastargli la festa. Loro se ne fottono ma è pure vero che noi siamo la maggioranza. Quando ce ne accorgeremo anche noi, forse avranno paura di fare gli smargiassi. Non cambierà il mondo, ma non mi arrendo ai cinici. Sarebbe darla vinta a questi per cui una bottiglia da 4800 euro è una cosa “normale”.

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