Pulizie a El BaVón Rojo [by Tati e RedBavon]


Si ritorna a El BaVón Rojo con un racconto a quattro mani. Nella prima parte è riconoscibilissimo il tocco fatato di Tati, nella seconda il gomito alzato di questo Oste.

STUMP!… SBAMM!… UFF…

Esce di culo dallo sgabuzzino, in testa un foulard a fiori rossi e bianchi, ha abbandonato il gonnellone per un facile paio di pantaloncini e una maglietta spettacolare con il faccione di Drugo in bella mostra…posa uno scatolone pieno di spugne, stracci, scopettine e spruzzini sul tavolo davanti al bancone e rientra nel ripostiglio…

Ne riesce tutta sorridente con secchio e spazzolone tra le mani…

Si guarda intorno, fuori c’è un sole accecante, lo intravede tra le fessure delle persiane… che corre a spalancare.

Un raggio di sole largo come una secchiata d’acqua, illumina in pieno il volto del suo compare di sventurAvventura…

OSTEeeee!

Di scatto apre gli occhi e urla come un vampiro al quale spruzzi acqua benedetta direttamente nella cornea…

“Tatiiii, mannaggiacheè?!… ma cheffai?, che ore sono?!?”

” Ma cosa ci fai sdraiato sul pavimento a dormire!? Come che faccio? Mi hai chiesto tu di darti una mano che ‘sta bettola fa paura alla palude tanto che è sporca… e volevi dare una rinfrescata…Dai, stai buono lì…. Narciiiiiiiiiiiii!… Egooooooo!!!”

Dalla cucina arriva il rumore di piedi in corsa, si sentono spintonate e risa…

Appaiono i due nanerottoli, come soldatini sull’attenti. Uno sguardo a Tati conciata come la-nana-lavanderina, uno sguardo a Oste assonnato e…. “Cos’è quello scatolone? Cos’hai intenzione di fare? Cosa vuoi da noi… no, perché noi abbiamo un sacco di cose da fare, cioè, vorremmo aiutare ma sai, di là, dietro, giardino… fiori… pietre…”

VIA!

Veloci come il vento che qua non passa da giorni e si smaterializzano. Si sentono solo le voci e le risate da lontano.

“Vabbé, Oste, stai buono buono, calmo lì… prima di tutto un caffè, lo preparo io?… Poi pensiamo al da fare…”

In questi dieci minuti di casino, bordello vario, grida e corse Oste è rimasto a occhi sgranati, faccia stropicciata e deve ancora capire “chi è-com’è-perché e dove”…

Si percepisce un fumetto, leggero leggero, che appare come una nuvoletta sopra la sua testa, sembra ci sia scritto “Ma non potevo starmi zitto, questa è una pazza agitata e caricata a molla… se tanto mi dà tanto, oggi mi fa smontare tutto il locale!”

***

Tati è andata a fare il caffè. Dio, che sicuramente si è dimenticato di questo posto, sa quanto l’Oste abbia bisogno ‘e ‘nu bbbello cccafè.

Il risveglio non è mai stata una faccenda rapida per El Rojo. Fin dalla sua fanciullezza il suo risveglio è leeeeento, ma leeeento come un ralenti rallentato. Il dottore un giorno gli diagnosticò:”Lei in Natura sarebbe morto da un pezzo. Nel suo sistema nervoso vegetativo ha una prevalenza di tono della sezione parasimpatica…lei è vagotonico. Ha presente quando la gazzella scatta impazzita senza avere visto il leone? È  l’effetto dell’adrenalina. Lei , se fosse stata quella gazzella….”

“…Sarei morto” El Rojo ripete a se stesso ad alta voce, stiracchiando il corpo dalla punta delle dita delle mani a quella dei piedi. Un ritorno dal sonno con lo stile di un giaguaro. Avete presente uno di quei grossi felini quando si stiracchiano, uno stretching di tutti i muscoli, distesi e la mandibola che si spalanca in un grosso, beato sbadiglio? Gli faresti anche un grattino sotto al muso come a un qualsiasi gatto che gironzola per casa tua, se non fosse che la tua mano diventerebbe la colazione della bestiolina.

Nella locanda regna una gran confusione: bicchieri, bottiglie, piatti sporchi, tovaglioli e cartacce, mozziconi di sigari e sigarette, avanzi di cibo sparsi per terra e sui tavoli. Il bancone è irriconoscibile. Cataste di piatti, file di bottiglie e bicchieri, bicchierini e pile di scodelle si alternano creando un frattale di disordine e sporcizia: un ripetersi dello stesso disordine e sporcizia su scala sempre più ridotta che sembra non avere mai fine; avrebbe potuto replicarsi fino all’infinito.

La sera prima, per festeggiare la nuova stagione si era riunita nella bettola la Compagnia del Bavon Rojo, cioè quella dozzina scarsa di assidui frequentatori, che, complice la fame di storie e la logorrea dell’Oste, con la scusa di “senti ‘sto racconto qua” o “non ci crederai cosa mi è successo…” si scolano a ufo il grog della Casa. Autentici funamboli della parola quanto della bottiglia. Inutile dire che la festa, nata come un evento ristretto, si era estesa in breve ai passanti e agli indigeni: una pachanga, come la chiamano da queste parti.

Di solito l’Oste e il suo socio, Narciso, si occupano di mettere in ordine la mattina dopo.

Narcì, domani tocca a noi sistemare questo bordello…mi raccomando…non sparire per le tue solite inderogabili commissioni”. Queste erano state le ultime parole dell’Oste, prima di piombare in un sonno catatonico sul posto: non aveva avuto nemmeno la forza di buttarsi vestito sul letto. Si era addormentato su una sedia e, visto che Tati l’aveva ritrovato disteso sul pavimento, il sonno non doveva essere stato uno dei più tranquilli.

Si era dimenticato che Tati si era offerta di dare una mano per le pulizie. Da tanto gli diceva che la locanda aveva bisogno di una rinfrescatina, di un’oliata alle cerniere delle persiane, una decisa pulizia ai vetri, un’energica lavata a pavimenti, qualche aggiustatina a tavoli e sedie traballanti e – visto che ci siamo – una bella scartavetrata e passata di flatting rigenerante al legno che riveste tutta la locanda all’esterno e all’interno…“Mamma d’a Saletta, aiutaci tu!” l’Oste aveva esclamato invocando l’aiuto di una Madonna apparsa a due pastorelli a La Salette nelle Alpi francesi e diventata molto venerata nella sua terra natale a un migliaio di chilometri di distanza. E nel 1846 non c’era Internet.

Tutte le volte che El Rojo vedeva Tati restava incantato: Tati è minuta, esile, proporzionata, i capelli portati in modo sbarazzino e un’espressione apparentemente svagata. Di prima impressione l’Oste aveva pensato che avessero in comune quell’essenza di “gazzella vagotonica”, tuttavia Tati era sì un dolce cerbiatto, ma di quelli con la naturale dose di adrenalina: guarda il mondo attorno a sé ed è pronta a scattare sulle sue matite, colori e fogli di carta che porta sempre con sé in una borsa di tela stropicciata. Proprio come una gazzella che ha sentito nell’aria un leone, Tati scatta con il lapis tra le dita e sul foglio disegna tratti e riempie spazi di colore, restituendone un punto di vista diverso e, spesso, migliore. Tati ha le mani incantate. L’Oste per questo la chiama “FaTati”.

Miti e gentili di indole, Tati e Oste hanno in comune quel sottile filo di seta di cui è intessuta la ragnatela delle Vite umane, del tutto invisibile a chi non ci crede, rilucente agli occhi di chi riconosce senza conoscerlo uno spirito affine e vi si affida.

El Rojo fa qualche passo verso la persiana appena aperta da Tati, si inizia a sentire nell’aria il profumo del caffè, gli sembra quasi di udire il ribollio dell’acqua che sale su attraverso la polvere di caffè e fluisce nella moka, una delle poche cose che ha portato con sé quando è venuto via da casa sua e, alla fine di un lungo peregrinare, è finito in uno dei buchi più umidi del mondo. Ma in fatto di buchi poteva andare peggio.

Esitante, resta in piedi immobile nel mezzo dell’ampia sala, indeciso se sedersi a un tavolo e aspettare Tati con il fumante caffè oppure uscire sul portico, accendersi una sigaretta e guardare il via-vai di gente per la Quinta Avenida, sorrisi e ampi cenni di saluto a granella.

L’Oste in paese è conosciuto e benvoluto. Si raccontano varie storie in giro, alcune invero oscure e parecchio tetre. Gli indigeni lo chiamano “El Rojo” anche se i suoi capelli sono di colore castano-chari e quelli che resistono si stanno incanutendo. El Rojo con la comunità ha un rapporto di rispetto, stima e confidenza come se fosse nato e cresciuto lì. Eppure, si coglie un timore reverenziale da parte degli indigeni, soprattutto i più anziani. El Rojo appartiene a quei luoghi ma allo stesso tempo ha un quid di alieno. E non perché parla uno spagnolo con un accento dimmerda.

Giunge dalla cucina un urlo di spavento di Tati, un rumore di stoviglie rovesciate, un rimbalzo di pentola a terra,un bicchiere rotto, o forse due, tre, per l’esattezza tre, un bofonchio e altre urla di Tati questa volta indirizzate chiaramente a Ego e Narciso. I due adorabili nanerottoli devono avere teso l’ennesimo agguato con tanto di “bubu-settete” a Tati che, prima o poi, ci rimarrà secca d’infarto non per lo spavento, ma per la potenza logaritmica delle bestemmie che le vengono fuori.

Oste capisce che per il caffè c’è ancora da aspettare e quindi si avvia verso l’uscita e guadagna il portico con qualche passo ancora un po’ esitante e strascicato dal sonno.

Passa in quel momento uno dei rari taxi che fanno la spola dalla zona hotelera di Tulum e dalle altre ancora più distanti rotte turistiche. Deve essere arrivato qualche carico di gringos. Il taxi percorre veloce la strada principale sulla via del ritorno. La Quinta Avenida si è riempita di gente. Alcuni volti noti in faccende altrettanto note, alcuni siparietti consueti: la vecchietta che vende giornali e sigarette sfuse che litiga con quel pinche escuincle che tira sul prezzo delle due sigarette che compra ogni giorno; le due ragazzette che si fanno aggiustare i capelli neri dalla parrucchiera ambulante…due sedie, un paio di forbici, un niño che regge lo specchio e il negozio è aperto; la matrona che vende tacos ed enchiladas, nonostante la mole di una quinta abbondante di seno e centoventi chili distribuiti un po’ dappertutto si muove con una velocità impressionante per servire i suoi affamati clienti. Nessuno va di fretta. Per questo El Rojo si è innamorato di questo posto a prima vista: l’andamento lento.

Riconosci subito il gringo! E’ l’unico idiota ad andare di fretta.

Sotto il portico echeggiano voci, risate, schiamazzi, richiami, gridolini di bambini misti alla risacca del mare.

A giudicare dall’affollamento della strada deve essere metà mattinata, un po’ presto per pranzare, anche se i rumori che provengono dallo stomaco gli fanno intendere che una di quelle enchilada sarebbe l’ideale per iniziare questa metà giornata. Visto che avrebbe dovuto attraversare la strada, poco più avanti c’è la vecchina dei giornali, quindi avrebbe comprato anche il giornale. Il piano ormai era deciso: stravaccamento sul dondolo sotto il portico, lettura rilassata del giornale, sopponta a base di enchilada [trad. napoletano “sopponta” o “supponta” ovvero ingestione di una contenuta quantità di cibo tale che attenui i morsi della fame].

Assaporando questo programma bene innaffiato con un boccale di cerveza fredda come il marmo, l’Oste tira un’ultima boccata alla sigaretta e impartisce il comando di movimento alle gambe, quando una voce alle sue spalle ha l’effetto di un peso di cento chili buttato sul pedale del freno di un’automobile in accelerazione. Il fumo gli va di traverso, inizia a tossire, gli occhi a lacrimare.

“Caaaffè prooonto! Oste, il caffè…”

El Rojo spegne la sigaretta in un posacenere di terracotta a forma di sombrero e rientra a passi veloci, schiarendosi la voce con un paio di colpi di tosse, non prima però che il cervello abbia registrato quell’obbrobrioso posacenere come un intruso: non ho mai avuto un posacenere del genere e, anche se me lo avessero regalato, per quanto è brutto lo avrei subito rifilato come “prodotto etnico a chilometri zero” a qualche gringo, scucendogli pure qualche pesos per i niños. Chi diamine ha portato questo posacenere qui?

FaTati mia! – allarga le braccia pronte per serrarsi in una dolce morsa affettuosa – o’ cccafè! Grazie, tesoro! Non sai quanto ne ho bisogno…”

Tati riceve l’abbraccio e se ne divincola velocemente, aggiustandosi il foulard in testa e invitando l’Oste a fare presto.

“Oste! Guarda qui che razza di…di…Mi sale il crimine a vedere in che stato hai ridotto questo posto”

“ Oh Tatucciabbella come sarebbe a dire hai ridotto’? Dico: a parte che ieri sera – e la memoria non mi inganna – c’eri pure tu a fare bisboccia insieme ai tuoi degni compadres, ma ammettiamo pure che vi sentite “clienti” e tutto vi è permesso. Mi risulta che qui siamo in due, Narciso e io. Dovresti dire ‘abbiamo ridotto’…Un minimo di senso di giustizia…”

“Oh Oste falla finita che tu sei bravo a scaricare barili con o senza grog. Su, sorseggiati in santa pace questo caffè, poi pensiamo alle pulizie. Dimmi com’è venuto?  – e facendo piccoli saltelli sul posto – M’è venuto bene, dì,dì!…”

Decisamente un giornata di quelle nate con il “NO” davanti. L’espressione degli occhi verdi dell’Oste è seccata e non lo nasconde.

“Immagino che chiedere pure qualcosa da mangiare sia un altro crimine…”

“Vuoi mangiare qualcosa…” Tati ribatte con un tono di scostante freddezza e apatia evidentemente scambiando l’Oste per un petulante rivenditore di aspirapolveri sull’uscio di casa.

“Eh magari, anche se c’è da aspettare, nel frattempo posso leggermi il giornale…”

Tati più che squadrarlo, lo squarta con uno sguardo dal basso verso l’alto.

Decisamente un giornata di quelle nate con il “NO” davanti. A questo punto, perché non aggiungere il sale nel caffè? Tanto per mandare in vacca tutto subito. Così alla fine della giornata potrebbe solo migliorare o no?

L’Oste si prepara all’onda d’urto dell’invettiva in modalità “modulo estraniante” del Kwisatz Haderach, ma l’espressione del viso di Tati ha un brusco cambiamento: sguardo dolce e comprensivo, preoccupata, premurosa, allunga una mano verso la guancia destra dell’Oste, vi appoggia il palmo, lo ritrae tutto macchiato di colore rosso.

El Rojo ha un graffio sottile, ma profondo sulla guancia destra.

Perde sangue.

–>Continua a Pulizie a El BaVón Rojo Ep. #2

31 pensieri su “Pulizie a El BaVón Rojo [by Tati e RedBavon]

    1. E hai ragggione pure tu! Ma lo sai quanto le pulizie mi mettano l’ansia…sarà che levando la polvere, tirando a lucido porti via un po’ del vissuto, della “storia” che rimane attaccata alle cose quando fanno parte della nostra vita. Amo la zavorra, non riesco a farne a meno. Lo so, sono una zavorra ma che vuoi farci se per me alcune cose sono meglio di un album di fotografie. E l’ansia l’ho rigirata nel racconto…Il grande Lebowski dalla tua maglietta è finita nella locanda e si è impossessato dell’Oste…perché un po’ anche nella vita reale sono un piccolo Lebowski.
      PS: allora lo facciamo continuare e ho qualche malsana idea…Piccolo indizio: The Black Dahlia.

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      1. Non me ne parlare, io ho chiamato casa mia comelapolvere… però sai allora che si fa? puliamo ma non levighiamo nemmeno un tavolo e quelli che traballano li teniamo così e le tazze sbeccate: in bella mostra! tutto il vissuto, la storia, la vita… tutto in prima linea…
        (PS: mannaggialochetta devo studiare un po’… ma ci provo)

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        1. Che studiare, tranquilla, tu fatti guidare dalle matite e dalle dita, Oste ti porta per man e Narciso ed Ego…beh quelli ormai chi li ferma più…come direbbe l’Oste: “muy mmmmuy tranquila…”. Andamento lento.

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                1. Ah sì se ci vuoi scrivere un libro, mi prenoto subito…;)
                  Ps: ora che è tornata la connessione le hai fatto una ramanzina che quando parte deve fare na maledetta chiamata per fare sapere come sta? E dire che ha l’abbonamento flat!

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  1. Zeus

    La storia è stupendo (e ho letto il commento di redbavon per il collegamento) e un duo esplosivo come Tati – redbavon è da leggere. Persino personaggi come Ego e Narciso sembrano di contorno in confronto.
    Continuate, mi raccomando. Io sto scribacchiando qualcosa 😉

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  2. Nemmeno il David Linch di “Twin Peaks, sarebbe stato capace di rendere più misterioso questo graffio in faccia alll’oste! A maggior ragione dopo avere ritrovato il cadavere di quella donna mazzolata ben ben sul prato… Ehi,compadre: vuoi attentare alle mie coronarie?…
    Bello bello: complimenti a los dos……

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            1. Il buon Gabo è inarrivabile e non solo perché è lassù nell’Alto dei Cieli. Se solo sapessi che si sta guardando, per me sarebbe come avere vinto il premio Pulitzer. Quello che rosica sono io che non sono degno di tenergli la carta assorbente della stilografica, compadre. Sempre generoso, compadre.

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              1. Ahahahahah!!! Non te preocupes, compadre: el buen Gabo ya sabe y non se queja para tus palabras… Non si arrabbierà: capisce la sincerità delle persone e sa valutarne lo spirito e l’azione: quindi vai tranquillo e delizia il mondo con i tuoi racconti……

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        1. Ahem…mio caro, non vorrei darti una brutta notizia e lo faccio anche a costo di perdere un importante avventore della webbettola (peraltro anche componente del party di El Bavon Rojo), ma la cattiva notizia è che…anzi ci sono due buone notizie e una cattiva:
          1) la buona è che la storia sta andando avanti ed è al 6 episodio. E andrà avanti ancora per parecchio perché ci stiamo prendendo gusto.
          2) a partire dall’ Episodio 3 si è unito anche Zeus e quindi a scrivere siamo in tre
          3) L’Episodio 2 è ancora nella media (alta) di questa webbettola, L’Episodio 3, prenditi un paio d’ore di permesso dal lavoro…scherzo sul permesso, ma non sulla lunghezza. Gli altri episodi sono attestati sulle 2000 parole (a essere magri).

          Caro Mastro, io tengo sempre la sedia libera al solito tavolo per te. Se ti siedi con noi, il grog lo passa la Casa e il piacere di stare insieme è pure gratis.
          Se vorrai abbandonarci, ti capirò…solo per questa storia però! Sono con le mani in tastiera su un certo Ghouls ‘n Ghosts…

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