Viva il Messico! Ep.#26 – Palenque, l’arrivo


Segue da Ep.#25 – L’Hacienda Yaxcopoil

10° dia: da Mérida a Palenque

All’alba, come ormai nostra consuetidine da Tulum (strano per essere in vacanza, eh?), ci rechiamo al “Terminal” dei bus di prima classe (noi marchesi…) per prendere l’autobus per Palenque: otto ore di viaggio, pulite pulite. Salutiamo Mérida, la Ciudad Blanca.

In Messico il trasporto pubblico su strada è impeccabile e, dopo avere viaggiato per almeno tredici ore all’andata e diciannove al ritorno, posso confermarlo per averlo sperimentato. Si viaggia più comodi che in aereo, aria condizionata, bagno (anche se non ho mai avuto necessità così impellenti per avventurarmici), poltrone con ampio spazio davanti, schienali che una volta reclinati non obbligano il passeggero di dietro a reclinare il suo per evitare l’effetto “salume sotto-vuoto”, c’è anche la televisione.

Nelle otto ore previste per arrivare a Palenque, per uno come me che non riesce a dormire sui mezzi di trasporto e che non vuole dormire per potere vedere i paesaggi oltre il finestrino, la televisione può essere un buon modo per ingannare il tempo. Dopo la prima ora di entusiasmo e scaricata l’adrenalina, il “down” è naturale. Perciò, mi sistemo per bene sprofondando nello schienale e mi schiero per vedere un po’ di lavatrice televisiva. Vediamo un po’ cosa danno sulle corriere messicane: cartone animato giapponese in lingua giapponese, sotto-titolato in spagnolo e ambientato nell’antica Siracusa. Ho detto.

L’arrivo a Palenque corrisponde esattamente a quanto anticipato dal fratello di Frank, Jimmy: buco fetente e infuocato.

Prendiamo un taxi per raggiungere l’albergo, l’unico – oltre quello d’arrivo a Playa – che abbiamo prenotato dall’Italia. Tuttavia, le prenotazioni in Messico possono rivelarsi poco più di una “qualche speranza in più di trovare posto”: Chan-Kah Resort Village.

Alla reception ci comunicano che il nostro fax di prenotazione non risulta. Una notizia che suona come una campana a morto, considerata la stanchezza accumulata, l’orario di arrivo nel pomeriggio e quindi il limitato tempo per trovare un’altra sistemazione. Senza contare che, nel tragitto dal “terminal” all’albergo, non abbiamo fatto caso alla presenza di altri alberghi o cabañas e, come strutture ricettive, Palenque non sembra essere la Rimini del Chiapas. Come avrebbe detto Han Solo: “Spero che il concierge trovi la prenotazione, altrimenti questo viaggio sarà cortissimo!”

Tanto era nefando l’arrivo a Palenque, quanto è meraviglioso l’arrivo a Chan-Kah!

Splendide cabañas immerse nella giungla tropicale, tra alberi, laghetti e ruscelletti, fornite di tutti i comfort e – per fortuna – senza televisione. La parte migliore è però il portico della notra mini-suite: si affaccia sul folto della vegetazione e sotto il suo piccolo portico vi sono delle sedie a dondolo. Una sorta di terrazza sulla foresta tropicale, dentro la foresta tropicale. Signore, grazie!

E non è tutto. C’è la piscina ed è la più bella che abbia mai visto. E fino a oggi, a distanza di tutti questi anni, è largamente imbattuta.

Tre dei quattro caballeros in versione “La Sirenetta” nella splendida piscina di Chan-Kah [foto by RedBavon]
Attraverso il verde delle palme e della fitta vegetazione che la circonda, l’azzurro dell’acqua della piscina penetra occhio, mente, cuore e ristora l’anima. Alla sola vista di questo azzurro troviamo sollievo dall’afa, dal sudario di umidità che aderisce invisibilmente su ogni cosa e a ogni nostro movimento, dalla stanchezza del viaggio. Tutta lo sbattimento e la fatica trova una sua ragione d’essere, il viaggio trova il suo compimento: gli ebrei la Palestina, i greci di Senofonte il mare, Colombo le Americhe (o Indie per lui), i pionieri americani la terra promessa. Noi, la piscina di Chan-Kah. Ora tutto torna. Il disegno divino si palesa agli occhi dei quattro caballeros.

La piscina, costruita in roccia viva, spalanca le porte ad abissi insondabili di “ricotta”.

Spiego ai non napoletani il concetto: “fare la ricotta” indica una predisposizione di spirito che comporta la totale inibizione delle sinapsi tale che il cervello per quanto provi a comandare al corpo di muoversi, il corpo non risponde. Allo stadio finale – la “ricotta”, appunto – il cervello, ormai abulico e rassegnato, termina definitivamente qualsiasi attività ad esclusione di quella vegetativa. L’unica cosa giusta da fare è “non fare nulla”. Sensi di colpa o rimorsi totalmente annichiliti.

La piscina di Chan-Kah sta alla “ricotta” come la USS Enterprise sta ai viaggi dell’uomo nello Spazio: laddove nessun uomo è riuscito a oziare di più.

La piscina, al di là dell’eccezionale cornice naturale, è suddivisa in tre zone di differenti profondità e separate da un muretto di rocce appena al di sopra del pelo d’acqua.

A un estremo vi è la zona con l’acqua ad altezza ginocchio (intendo “mio ginocchio”, non quello di maya o di Francesco) con la particolarità della presenza di alcuni sassi opportunamente disposti per potersi distendere o sedere comodamente in ammollo. Al centro, l’acqua è arriva ad altezza del petto per pemettere, oltra la solita “ricotta”, anche qualche bracciata in tutta tranquillità. Infine, l’ultima zona è la più profonda, circa due metri, ideale per esibirsi in qualche tuffo.

Ecco come appare oggi la piscina [foto da web]
Nella foto, tratta dal web, la piscina come si presenta oggi: sono evidenti le tre zone. In primo piano la zona di acqua bassa con le rocce dove sedersi o sdraiarsi, cocktail o cerveza alla mano. In fondo la parte più profonda dove fare anche qualche tuffo, un po’ di sano movimento…(siete pazzi?!?). Hanno tirato su quel ponticello nel mezzo. L’azzurro è ancora un colpo al cuore.

Il Messico ha una tradizione di grandi tuffatori a livello olimpico e famosa è la scogliera La Quebrada ad Acapulco per i suoi tuffi da brivido. Con un intento di scambio culturale, decidiamo che un paio di tuffi possiamo mostrarli ai messicani anche noi quattro scalcagnati, con orgoglio tutto partenopeo: dal più ortodosso “carpiato” a quelli più coreografici della tradizione partenopea (e non solo), come  il tuffo “a cufaniello”(a cofanetto) e quello “a piett’e palummo” (a petto di colombo).

Il tuffo “a cufaniello” non è da confondere con quello “a bomba”, che è una variante esasperata del primo. Il tuffo “a cufaniello” non fa guadagnare punti in eleganza, ma è di grande impatto scenografico: breve rincorsa, scatto di reni, una volta in volo si portano le ginocchia al petto, il corpo racchiuso come un “cofanetto”; mantenendo questa posizione fetale, l’impatto con l’acqua è rumoroso e solleva masse d’acqua tutto intorno: il bagno degli astanti non è un evento casuale, è calcolato. Grado di difficoltà: basso.

Il tuffo “a piett’e palummo” s’ispira all’andatura a petto sporgente dei colombi: breve rincorsa, scatto di reni, una volta in volo, si spalancano le braccia, il petto sporgente in avanti. L’impatto con l’acqua è decisamente scenico, ma il rischio di una dolorosissima panzata è elevato. Grado di difficoltà: alto.

Il bagno in piscina segue il nostro arrivo come il tuono tenea dietro al baleno ed è da mille e una notte. La differente altezza dell’acqua crea un effetto delle antiche terme romane: frigidarium (acqua alta), tepidarium (zona centrale); calidarium (acqua bassa). Ho goduto e mi sono chiesto per quale motivo mi sono dovuto fare un mazzo così per usufruire di tanta bellezza e tranquillità, quando la vita dovrebbe essere proprio così.

C’è qualcosa che non quadra e so già che state pensando che è il mio cervello. L’essenza di questo luogo è di una semplicità disarmante: la Natura. L’ambiente naturale dell’uomo…che non mi pare siano le città o no?

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Palenque – Foresta [foto by RedBavon]
Esperite le solite formalità di doccia e ristorazione, non essendoci null’altro che foresta all’esterno e coppiette copulanti all’interno delle cabañas, l’unica alternativa a infilarsi nel letto è rappresentata dal nostro rito del poco-scientifico scopone, che qui vede trionfare la coppia Diego-Lucio su un’ormai poco grintosa accoppiata Frank-Claudio. E’ il sorpasso: 4 a 3 per le giovani promesse dello scopone. Che futuro fulgido e radioso! Immagino l’orgoglio dei rispettivi genitori: hanno salutato all’aeroporto due giovani studenti universitari, virgulti di una nuova generazione di professionisti, e ,di ritorno dal lontano Messico, potranno riabbracciare due giocatori (semi)professionisti dello scopone scientifico!

Ritornando nella nostra stanza, non posso fare a meno di affacciarmi sul portico e, mentre attendo il mio turno per la doccia, mi stravacco su una sedia a dondolo. Mi accendo una sigaretta, la mia postura sulla sedia somiglia a  un sacco di patate abbandonato in un angolo. Stancamente aspiro il fumo dal naso e lo ributto immediatamente fuori dalla bocca, seguo con lo sguardo le volute di fumo fino a che non si perdono nel buio. Svanito il gioco a rincorrrere il fumo, il mio sguardo si ritrova smarrito nella folta vegetazione, tutta intorno alla cabaña. Evito un ramo, zig-zago tra le liane, mi abbasso sotto un’emorme foglia che sembra un orecchio di elefante, lo sguardo continua ad addentrarsi nella vegetazione come se volesse scoprire quanto lontano può andare senza di me…D’un tratto, sobbalzo sulla sedia, la cenere formatasi sulla punta della sigaretta mi cade sporcando i bermuda, già ridotti un cencio dal lungo viaggio. Rimango con la sigaretta mezza accesa e penzolante da un lato della bocca, mentre fisso un punto preciso davanti a me, senza nessuna possibilità di distogliere lo sguardo: lucciole! Lucciole, non ne vedevo da quando ero piccolo, al mare. Lucciole, lucciole, lucciole dappertutto! Bellissime luci verdi danzanti.

La giornata è stata spossante, le otto ore in autobus si fanno sentire, il bagno in piscina è stato rigenerante, ma non era l’acqua miracolosa di Lourdes. La cena non è stata delle migliori, decente ma nulla di più, la cerveza fresca una benedizione del Signore in questo buco infuocato del Chiapas. Eh sì non siamo più in Yucatan, siamo in Chiapas. Ci diamo la buonanotte come da bravi bimbi (manca solo la preghierina).

La notte passa indenne…o quasi.

Continua a Ep.#27 – Lo strano caso di Frank e il munaciello messicano

In ricordo della splendida acqua azzurra della piscina di Chan-Kah l’Onda sonora consigliata è Azul di Natalia Lafourcade feat. Leonel García

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17 pensieri su “Viva il Messico! Ep.#26 – Palenque, l’arrivo

  1. Ah el progreso! Ti leggo e rileggo. E più mi convinco che, il luogo in cui sorge il tuo hotel, sia quello in cui soggiornai io, sotto una palapa scalcagnata, aperta aL PUBBLICO DELLE ZANZARE CHE, DI GIORNO E DI NOTTE, APPLAUDIVANO AL NOSTRO SANGUE GENEROSO VINELLO. Ma tant’è che il tempo scorre impetuoso. Ed io quei luoghi li ricordi ancora immersi tra le rocce nella vegetazione selvaggia. Quelle che tu vedevi come piscine un tempo erano vasche naturali digradanti per il pendio boscoso. Ci si bagnava ma per non più che un paio di bracciate, con l’aqua che arrivava al massimo alla cintura del boxeur. Il tutto in un brevissimo lasso di tempo mi pare che si sia trasformato, ma non in modo traumatico: bello l’hotel perchè ha saputo mantenere un certo equilibrio con la natura, senza stravolgerla troppo. Adesso aspetto di godere della città maya grazie al tuo strepitoso narrare…

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    1. Palenque…ah che ricordi compadre. Chan-Kah…Mi è rimasta dentro, non so se sono riuscito a trasmetterlo. Mi è rimasta dentro…le ruinas, ma il luogo esercitava un particolare magnetismo su di me. Il fatto che sia possibile che siamo stati nello stesso luogo a distanza di anni e che ci siamo incontrati tra le ragnatela dela Rete, beh, lo rende ancora più speciale. Confermo che all’epoca erano riusciti a ricreare un ambiente integrato con la Natura, senza che risultasse artificiale. La presenza umana sembrava essere graziosamente ospitata nella foresta. Un’armonia quasi inspiegabile, se poi vedi lo scempio cementizio che hanno fatto gli yankee a Cancun e, negli anni recenti, fino a Tulum. E’ il Chiapas, nei pressi ci sono le cascate di Agua Azul (che mi sono perso ahimè), sarà qualcosa di più atavico, primitivo e antico che la Natura ha conservato.
      E poi dopo quello che è accaduto a Francesco all’alba del giorno dopo…
      Bello avere un comagno di viaggio che è stato in questi luoghi, grazie di continuare a camminare con me.

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      1. Las ruinas? Le ricordo in una mattina di sole e nebbia sfuggente alla selva. La luce faticava ad uscire di tra il nero dei capelli lisci e lunghissimi dei maya Lakandones che vendevano banane all’ingresso del sito… La sera prima avevo assaggiato los hongos che da quelle parti crescono allo stato brado, direttamente sui lasciti generosi delle mucche sui pascoli. Era notte e c’era un bel caldo fuoco a fugare i mosquitos maldidos. Poi, nella mia amaca, col ronzare di essi, si sentiva il concerto delle rane toro e la verzura della selva respirava seguendo i tempi del mio petto: su e giù, su per le cime oscure, giù per il sottobosco illuminato dalle fluorescenze del pensiero e dai riverberi della vita notturna d’arcobaleni…
        Insomma, nulla a che vedere con Cancun…
        Aspetto di sapere cos’è successo a Francesco. Però ti anticipo cosa successe ad un italiano che, arrivato con un altro gruppo, s’addormentò a petto nudo ed in calzoncini sull’amaca: il giorno dopo lo portarono d’urgenza all’ospedale: i mosquitos da quelle parti non perdonano, compadre…
        Bellissimo per me poter rivivere attraverso le tue splendide narrazioni, uno dei viaggi più belli che abbia mai fatto. Ed è un onore anche per me poterti camminare al fianco…

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        1. Ah che goduria! Vedere Las Ruinas in quelle condizioni deve essere stato ancora più mistico. A parte che si tratta di architettura Maya puro (non influenzata dai Toltechi), il sito ha davvero un’aura particolare. Pari merito con Coba per me, anche se per ragioni diverse.
          Rispetto all’incauto compatriota, l’esperienza di Francesco è meno traumatica dal punto di vista fisico, ma destabilizzante da quello mentale. Esperienza mistica…e senza sostanze allucinogene. Poi mi dirai 😉

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          1. Io ero così ancora provato al mattino, che non riuscivo più a scendere dalla piramide, quella in cui, dicono, sia stata ritrovata una mummia. Anche in questo Palenque si distingue dalle altre città mesoamericane: è l’unica piramide che sia servita anche da sepoltura…
            Però adesso muio dalla voglia di leggere di Francesco: m’interessano le esperienze mistiche…

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                    1. La tradizione napoletana con quella maya? Cosa vorresti dirmi che i napoletani arrivarono in Messico prima di Colombo?… Suggestiva ipotesi, compadre!…eheheheheheh!!!!! Scherzo,ma questo monachello è leggermente inquietante…

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