Andale ad Andalo#6 – (antipasto del)L’Epilogo


Dolomiti del Brenta: vista da La Paganella [foto by RedBavon]
Segue da Andale ad Andalo#5

Appollaiato sulla seggiovia vedo avvicinarsi la stazione di arrivo. Come un centurione della Legione Romana, ordino al mio manipolo di familiari di tenersi pronti: per scendere dalla seggiovia, non basta un’andatura al trotto come in cabinovia, ma è necessario un colpo di reni e un breve galoppo in linea retta, come palle sparate dalla canna di un fucile. “Nessuno verrà lasciato indietro”, non è il motto dei Marines, ma una buona regola per evitare che una parte della famiglia sia a 2120 metri e l’altra a valle. Siiiore e Siiiiori, altrrro giiiro! E senza altro gettone. Gratis.

Io, scartato dal Corpo degli Alpini – anche per il reparto di fureria  – raggiungo l’obiettivo: Cima Paganella, quota 2120!
CI HO le prove!


Nella prova fotografica, come il Colosso di Rodi, il RedBavon si erge statuario in posa trionfante, sorretto da due puttini a monito che l’uomo è sempre poca cosa rispetto alla montagna. Da notare il pugno destro sollevato con l’indice e il medio divaricati, che non è il convenzionale segno di vittoria, ma è “c’hai una sigaretta?“.

“Bella forza! –  direte – In seggiovia!”. E mica tengo le ali! Su queste pagine potete pure assistere a “voli” alla Icaro e, in questo mondo virtuale, di Icaro ho la stessa attitudine: fare il pirla. Nella realtà di questa valle di lacrime e sudore, le mie doti di arrampicata a stento mi permettono di salire su una scala a pioli e ho le mie belle difficoltà anche sugli scogli a mare.

Appena giunti sulla cima, la vista è davvero da mozzare il fiato! Ci aggiriamo inebetiti da tanta antica bellezza, da panorami a volo d’uccello, immortaliamo panorami&esseri umani in uno spropositato numero di scatti, che se esistesse ancora la pellicola, il relativo sviluppo avrebbe fatto la fortuna del fotografo e la depressione del mio portafogli a livelli della Fossa subglaciale di Bentley.

Il tempo di raccogliere i membri della Divisione alpina “Tridentina” de Noantri intenta in questa orgia di fotografie, ma – Signore ti ringrazio  – nessun “selfie”. S’è fatta ‘na certa, ovvero per i non romani “ravviso un certo languorino di stomaco, avverto sommovimenti multipli nella zona alto-ventrale, tale che metterei sotto i denti qualcosa di commestibile onde non sclerare per poi immantinente sbattere sul suolo a causa di una protratta carenza di zuccheri”. L’ora del pranzo è scoccata e – Renzo Arbore docet – che mi avete portato a fare ncopp’ ‘a Paganella si nun me vulite fa strafugà?

Il mio idillio con la montagna, ritrovato appena dopo quarantanove anni, va letteralmente in frantumi quando arriviamo nello spazio antistante al rifugio “La Roda”. Avete presente una carica di un elefante incainato a pachiderma dentro un negozio di cristalleria Svarowski?
Nello spazio antistante il rifugio, peraltro il più panoramico, si ammassa una folla, equamente divisa tra gozzoviglia ai tavoli all’esterno e ozio assoluto su sedie a sdraio, prese a noleggio al modico prezzo di euro-quattro a sedia più un euro di cauzione. Vorrei capire: se mi fotto la sedia a sdraio, come me la porto?
Una massa di gente come sulla banchina della metropolitana alle ore di punta, ma molto più chiassosa. Totalmente fuori contesto rispetto al sobrio e altrimenti silenzioso paesaggio!
E non è finita! Il colpo di grazia all’incantesimo, felicemente descritto nel canto alpino – La Paganella, la zima la pù bela de pù bele no ghe n’è – finisce in frantumi quando si para dinanzi alla mia vista un banchetto che offre ostriche e champagne. A 2120 metri, ostriche e champagnino?!?

Santi Numi! Divinità della Montagna! Grande Tepeyotl (è la divinità azteca della montagna, di solito sono ferocissime)!  Ma è mai possibile?

L’unica spiegazione che un senso ce l’ha (se siete bravi e lo trovate): uno si fa duemilacentoventi metri in salita per poi bruciarseli in discesa in una decina di minuti rischiando svariate fratture multiple, ma almeno, se te ne vai al Creatore, hai visto la zima la pù bela de pù bele no ghe n’è e ti sei sparato champagne e ostriche come ultimo degno brindisi alla vita.

Vista da Cima Paganella [foto by RedBavon]
Lo spettacolo di Cima Paganella contrasta come il sale nel caffè.

Da una parte, la consapevole contemplazione della bellezza della Natura dal punto di vista più vicino a quello del Creatore; sarà per questo motivo che è una di quelle rare volte che avverti di essere in sintonia con il Creato in – senza virgole, tutto d’un fiato – tutti i mOdi in tutti i luOghi in tutti i lAghi in tutto il mOndo l’Universo che ci insegue ma ormai siamo irraggiungibili…E ora che ho citato la canzone dello Scanu, merito di essere lanciato sulla pista da bob, senza bob.

Dall’altra, sembra di essere catapultati nel set di Sapore di Mare 3, manca solo Jerry Calà!

Lo spazio antistante il rifugio è tappezzato di gente seduta o sdraiata, in piedi e con le mani occupate da un bicchiere di vino e un panino con wurstel o un calice di champagne e ostriche e prosciutto tagliato a mano. Ti fai largo tra mucchi di sci, racchette, tavole da snò (“snowboard” viene abbreviato da tutti così), corpi in posa da decomposizione al sole, ma ancora vivi (Umbrella Corporation Paganella Club), una colonia di trichechi spiaggiati sul pack come nei documentari sull’Antartide…Manca ahimè l’orca che piomba sulla banchisa e se ne porta un paio fuori a cena, la sua di cena.

Mi allontano da questo “melting pot vanziniano”, ovvero “commistione di origini eterogenee con il risultato di costruire un’identità condivisa ai film dei Vanzina”. Scatto un po’ di foto con la macchina fo-to-gra-fi-ca (e non il telefono), cercando di cogliere un frammento di questa bellezza; sembra facile, ma trovare una posizione che non sia impallata da mucchi di sciatori è pari all’arte dello slalomista gigante nell’evitare i paletti. Ma la marea vanziniana esonda, deborda. Decido di lasciare perdere la ricerca di un premio del National Geographic alla migliore Fotografia, quando un paio di questi fagottari della montagna mi si piazzano vicino e iniziano a dissertare su un tema che neanche a Kazzenger l’avrebbero preso in considerazione:” Vedi – fa uno all’altro indicando con il dito – quello è il Lago di Garda, fino a lì – disegna una linea nell’aria – è Trentino, poi da lì fino a lì – altra linea nell’aria – è Lombardia…Quella è la provincia di…”. Non ce l’ho fatta. Ma quali confini! Siete sul tetto della Paganella, lo spazio intorno, a 360 gradi a perdita d’occhio, e voi due a scimmiottare la spartizione coloniale dell’Africa con righello e pennarello?

Recupero il contatto con il gruppo, che si è accampato a metà strada tra la satolla marea in decomposizione al sole e l’altra marea più pericolosa, perché affamata, in pianta stabile su panche intorno a tavole piene di ogni ben diDDio, uno schiaffo alla Fame nel Mondo.

Paolo e Manuela, motorini organizzatori del gruppo, sono entrati nel rifugio nella speranza di accaparrarsi un tavolo all’interno, visto che all’esterno anche una formica soffrirebbe di claustrofobia. La situazione all’esterno ha del biblico: “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, piuttosto che si liberi un tavolo per dodici”.

Tra i tavoli all’esterno, lo spettacolo non è meno tragi-comico.

La gentile clientela del rifugio riempie ogni spazio tra tavoli e panche, senza scomodare uno studio demografico, a colpo d’occhio è evidente che la densità di popolazione per metro quadro è quella di Mumbai o dell’ora di punta nella metropolitana di Tokyo dove il concetto di “treno pieno” non esiste. Così, a Cima Paganella, al rifugio “La Roda”, lo spazio dei tavoli per mangiare all’esterno è uno spazio non discreto, la cui area è un integrale delimitato da un asintoto a infinito, capace di accogliere un numero imprecisato di esseri umani.

Nei piatti sui tavoli, nell’andi-rivieni di posate, bioniche estensioni degli arti, vi sono resti di cibo ormai irriconoscibili; i camerieri  sciamano tra i tavoli con passo serrato e determinato, recando piatti, scodelle, vassoi, casseruole fumanti, alternate a boccali, bicchieri e bottiglie. Il tutto trasmette una farneticante frenesia, stridente con il senso di pace che dovrebbe trasmettere il luogo.

Tra questo tripudio di cibo e bevande, pari al fabbisogno di un mese di un villaggio nel Sahel, assisto con raccapriccio a un altro schiaffo alla genuinità della tradizione montanara, ai profumi vigorosi e agli aromi intensi della cucina trentina: spaghetti alle vongole!

Porzione minima per due persone, servita al tavolo con caratteristico (?!?) tegame, al costo – giustamente da rapina – tra le quaranta e le trenta eurococuzze, secondo che vi sia (traccia di) astice o meno.

Dal Vangelo secondo RedBavon 11,15-19

15 Andarono intanto a Cima Paganella. E giunto al rifugio, si mise a scacciare quelli che mangiavano spaghetti con le vongole; rovesciò i tavoli e le sedie e il banchetto dei venditori di ostriche e champagne 16 e non permetteva che i camerieri portassero altre cose da mangiare. 17 Ed insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto:
La Paganella sarà chiamata
la zima la pù bela de pù bele no ghe n’è?
Voi invece ne avete fatto una spelonca di pescivendoli!».

Quest’orgia di cibo e gente, stupratrice della mia idea di bellezza a 2120 metri , va ben oltre la fantasia dei Vanzina: alcuni soggetti umani annichiliscono Jerry Calà, Isabella Ferrari, Marina Suma, Christian De Sica, Karina Huff nelle loro dimeticabilissime interpretazioni di altrettanto dimenticabili personaggi di ‘Sapore di Mare’ (non scassate la minchia che è un film cult-revival-Anni-Sessanta).

C’era una vecchiaccia sulla cinquantina, una parodia anche del genere “cougar” o “Milf” (non vi ci metto i link altrimenti Google mi indicizza tra gli hot-porn-blog), tutta rifatta e rappezzata in chissà quali cliniche super-esclusive, due tiranti ai lati degli occhi, la pelle abbronzata stirata e tenuta in tensione con dei pioli invisibili dietro le orecchie e sotto il parruccone biondo-brizzolato tendente al giallo paglierino. Stava seduta, ben piantata, busto ritto, mezza nuda, con la tuta tirata in basso fino a quasi la vita, mostrava un reggiseno o bikini (sempre reggiseno è) con camouflage mimetico e due prorompenti tette, che – nonostante la chirurgia –  erano attratte dal suolo, come una trivella dell’Agip da un giacimento di petrolio nel sottosuolo. FRack You!

Intanto, Paolo e Manuela sono tornati con un insperato quanto eccezionale risultato: venti minuti e un tavolo per dodici tutto per noi all’interno. Fantastico!

In questa vacanza ho sbagliato tutti i pronostici: non avrei mai pensato di arrivare (vivo) a quota 2120 metri; non avrei mai pensato di potere inforcare due sci (è successo! Per circa sette secondi netti nella mia cabeza); non avrei mai pensato di sedermi a mangiare al rifugio “La Roda”.

Non ci resta che aspettare questi venti minuti, confondendoci con la gente al pascolo e intrattenendo i bambini, che ormai – per la fame – giocano a mangiarsi canederli di neve. Senza rancio da consumar, ma per fortuna – grazie anche agli alpini – senza ta pum ta pum ta pum

Tra venti minuti si mangia e pancia mia fatti baita!

To Be Continued

Onda sonora consigliata: Ta pum  (canto alpino)

Venti giorni sull’Ortigara
senza il cambio per dismontà;
ta pum ta pum ta pum
ta pum ta pum ta pum

Con la testa pien de peoci
senza rancio da consumar
ta pum ta pum ta pum
ta pum ta pum ta pum

Quando poi ti discendi al piano
battaglione non hai più soldà;
ta pum ta pum ta pum
ta pum ta pum ta pum

Dietro al ponte c’è un cimitero
cimitero di noi soldà;
ta pum ta pum ta pum
ta pum ta pum ta pum

Quando sei dietro a quel muretto
soldatino non puoi più parlar
ta pum ta pum ta pum
ta pum ta pum ta pum

Cimitero di noi soldati
forse un giorno ti vengo a trovar;
ta pum ta pum ta pum
ta pum ta pum ta pum
ta pum ta pum ta pum
ta pum ta pum ta taaaaaaaaaa

40 pensieri su “Andale ad Andalo#6 – (antipasto del)L’Epilogo

  1. … Una spiegazione ce l’avrei per l’euro della sdraio: molti la usano come slitta per scendere più veloci a valle. Altri, semplicemente, si dimenticano di richiederlo ed altri lo considerano una seccatura, per cui non lo richiedono e se ne vanno veloci: così quelli ci hanno pure un sovrapprezzo… In ogni caso ti trovo senz’altro più caustico del solito, compadre: ostriche e champagne sono un must. Non sapevi che le ostriche le pescano in montagna e le bollicine le fa il sole dell’alta montagna?……Un sorrisone più che mai divertito e grato per queste narrazioni degne dell’Odisseo di sempre…….

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    1. Vedo che uno bravo che ha trovato un senso l’ho stanato! Potremmo avviare uno spin-off del racconto: Il Mistero delle sdraio ciulate.
      Odisseo inorridirebbe a vedere le ostriche in alta montagna. Piuttosto si sarebbe gettato in braccio a Scilla e Cariddi!
      Hai ragione, mi è saltata ‘a nervatura e buttasse tutte ‘n faccia o’muro. E poi criticano quando mi portò la frittata di maccheroni e il panino sasicce e friarielli in spiaggia!

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      1. Non sarebbe male come spin off: il passo successivo naturale sarebbe una serie televisiva sugli spietati rapinatori che aggrediscono i villeggianti sulla paganella. e POI FUGGONO A BORDO DELLE SDRAIO SOTTRATTE AL RIFUGIO, LASCIANDOSI PRECIPITARE PER LE DISCESE VERTIGINOSE. Inseguiti dalla polizia, dai carabinieri, dalla guardia di finanza, dai forestali e… dagli avventori del Bavonrojo…

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  2. Grazie Red!!
    Questa saga è davvero appassionante. Il passo del tuo Vangelo quanto mai appropriato. E questa sventagliata di suggestioni da trash-movie vanziniano e dei risvolti meno digeribili degli anni ’80 (o sessanta…). Mamma mia! Mi hai fatto tornare alla memoria la volta che dalle parti di Corvara, in cima a non so più quale pista (una vita fa) davo i primi colpi di reni sugli sci, schettinando, preparandomi al lancio in discesa, quando… “la voce di Frank – hai capito bene, proprio lui, “the Voice” -, la calda, morbida – anche grassa, rassicurante, avvolgente, ammiccante, gonglante voce di Frank mi raggiunge insieme al primo sibilo di vento nelle orecchie… Mi volto, mentre lo sci scivola rigido tanto quanto il sottoscritto, le braccia lungo il corpo e le racchette a strascico… “Non è possibile, mi dico, non può essere FranK, Frank è morto… Frank è morto…”. E infatti quello che ha in mano il microfono e si muove molleggiando in due immani moonbut di pelo bianco (in vero assai poco virili, e poco adatti alla buonanima di Frank), in mezzo a tanti sdraiati impellicciati, abbronzati, arrossati, impomatati, più o meno rigonfi, più o meno rifatti, non è né biondo, né adeguatamente pingue, né tanto meno pinguino, nel suo classico abito da sera dal terrazza newyorchese, né ha gli occhi azzurri,… insomma: è moro, alto, e hai baffi, neri… Non c’entra una mazza… Però: la voce… la voce è incredibilmente simile… “I’ve got you… under my skin…”
    E’ Massimo Lopez… Il mio sci barcolla un momento e accenna un 3 e 60 di comprova dell’avvenuta identificazione. Sì, è proprio lui a intrattenere la folla di sdraiati, spiaggiati che battono l’indice sul calice di champagnino… Da qualche parte, mi par di vedere anche un piano a coda… nella neve?, sull’impalcato d’abete del rifugio tal-dei-tali?… ma forse il ricordo assume ormai la mistificazione del cliché assoluto: insomma, siamo sulle Dolomiti o nel roof garden di un grand hotel a cinque stelle?!?!?!…
    E poi, prima che la prima cunetta e il relativo sobbalzo con rischio schienata, mi riportassero alle effettive ragioni per cui mi trovavo lì, scivolante e attrezzato, intravidi, su una sdraio, languidamente abbandonata, di bianco vestita, avvolta in un leggero maglione intrecciato, senza maniche, i capelli al vento e un enorme paio di occhialoni affumicati… Marina La Rosa (te la ricordi???… prese parte alla prima edizione del Grande Fratello – che seguii, lo ammetto, inutile fare il figo: incuriosito lo seguii…), l’allora celeberrima (ma perché?!, perché?!) “gatta morta”, che ben faceva pendant con la rievocazione della citata buon anima di Frank, quella estintasi veramente – con tutto rispetto parlando. Quella meteora vagamente sensuale, priva di parola, ma soprattutto della capacità di comporre una frase sensata, che s’aggirava in quel serraglio di esseri umani privantisi di dignità, come un magro felino in calore.
    Atterro, mi giro, riprendo il controllo, affronto la prima curva, lentamente, poi più veloce, lascio correre, poi un’altra curva. Scuoto la testa. Il paesaggio per un momento non è più lo stesso. Non ci credo. Esistono veramente. Queste cose esistono veramente. Fu un’apparizione, una sorta di trash-miraggio nel gelido deserto bianco della pista. Eppure era tutto vero, reale, tangibile. Come l’aria fredda sulla faccia e il crepitio della neve sotto le lame dei miei sci… Gli anni 80 dei fratelli Vanzina, ostriche e champagne a 3000 metri, occhiali da sole e botulino, Frank Sinatra (sempre meglio della Tekno) in moonbut sullo sfondo delle Dolomiti… Gli impianti di risalita, le moto da neve lanciate all’impazzata a testa in su, noi robocop da discesa, risibilmente bardati e colorati, standardizzati… La Montagna (quella con la M maiuscola), pura Bllezza da contemplazione, ferita, offesa, deturpata, vilipesa… Gli inafferrabili, impareggiabili, ingiustificabili contrasti di questa nostra razza umana che mai comprenderemo…

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    1. Quando i miei (sup)post generano questo tipo di commenti fiumanici (=fiume di parole sotto effetto di funghi in uso agli sciamani), sono particolarmente fiero di quanto ho scritto, indipendentemente dallo stato del mio italiano. Questo è il sapore della condivisione, di racconti che si rincorrono, di esperienze che hanno lasciato un’impronta, un’ombra che ora nelle parole scritte si palesa
      Diamine, Paole’, ma tu mi hai superato in surrealismo, un incrocio tra Vanzina e Guillermo del Toro (Il Labirinto del Fauno), personaggi in carne e ossa invece di persone. Una passerella posticcia in un luogo vero e genuino come la Montagna. Per fortuna la razza umana è incomprensibile, abbiamo materiale per le nostre webbettole. Ed è tutto gratis (a eccezione del nostro Tempo)

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      1. Hai perfettamente ragione. Sai toccare delle corde importanti. E’ il modo in cui guardi la vita. L’ironia con cui lo fai. L’ironia della vita stessa, o delle nostre contraddizioni che metti in luce. Una settimana bianca diventa così una grande occasione. Si può ben dire.
        Ed è vero: se così non fosse, se non avessimo domande o obiezioni, di cosa discuteremmo, cosa obietteremmo, di cosa scriveremmo?
        Grande Red, affabulatore, suscitatore, ma prima di tutto cosciente lettore.

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        1. Volevei dire INcosciente lettore…perché bisogna essere incoscienti per mettere in piazza ‘sto popo’ di voci-di-dentro senza aspettarsi una gragnuola di pietre dai tempi pre-Maddalena. Questo racconto della settimana bianca (“vacanza” invero davvero faticosa per me) è nato per davvero come un pensiero-igienico, uno strappo-e-via. Doveva chiudersi in tre puntate, ma è lievitato nel momento in cui metto le mani in farina. Invece di secernere sudore, secerno lievito. E quante cose sono riuscito a tirarne fuori! Sarebbero andate irrimediabilmente perse (non che sia quale perdita per l’Umanità eh); invece, quando rileggerò tra qualche tempo, potrò dire “Io ci sono stato, io c’ero”. L’ironia e l’auto-ironia sono un mio personale approccio, frainteso spesse volte, ma quando mi fa incontrare persone come te, beh…Vasco canterebbe…Eh, già
          Io sono ancora qua

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  3. Zeus

    L’attesa per questo pasto è enorme.
    Io, a baita, ci torno spesso… anche se cerco baite meno trafficate. Non so perché, ma essere in una bolgia dannata per mangiare a prezzi ignobili mi fa salire la carogna e il “rotar di eliche”.
    Attendiamo il lauto pranzo… intanto stai facendo cliffhanger come se piovesse. Sembri le puntate di The Walking Dead.

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    1. Visto che sono certo che non riuscirò a soddisfare tutti i palati, sto cercando di stimolare i succhi gastrici e papille gustative del lettore, così quando si accomoderà a tavola, mangerà qualsiasi cosa. Leggi: Strategia del blogger sotto (la pentola a) pressione.

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  4. Chiacchierare m’intriga sempre e quando le parole sollecitano così tanti ricordi è assolutamente un piacere ascoltare! Con una birra in mano poi …
    Il colosso, ai piedi della Cima con due meravigliosi puttini che lo cingono in un abbraccio, non è visione di tutti i giorni e quindi miro e rimiro abbagliata da cotanta bellezza e tanto sole. E un altro goccino bevo …
    Duemilacentoventi è una quota di tutto rispetto che merita ogni umana comprensione ben sapendo che è la passione marina che t’avvolge con un triplo salto carpiato. Non è mio intendimento però parlar di mare perchè potrei suscitar giustificata nostalgia. E vai di fresche bollicine …
    Ora … sarà l’arietta frizzantina che la montagna da sempre regala, sarà che la baita col suo clima e il suo tepore risveglia gli assopiti istinti … m’è venuta ‘na fame che se entro venti minuti che perdura l’attesa del desco non sia mai mi passa davanti un capriolo o uno stambecco penso che lo vedrai andar via camminando su tre zampe, un cosciotto porta pazienza Red … ma io l’addento!
    La birra è finita, star qui è stato come sempre un piacere! 🙂

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