Napucalisse – un’ opera di Mimmo Borrelli


Napucalisse di Mimmo Borrelli è una gemma del teatro. Trasmesso da Rai2 nel programma di Michele Santoro l’anno scorso, Napucalisse è un evidente gioco di parole tra “n’apucalisse” (un’apocalisse) e il nome della città cui è dedicato. Non soffermatevi a capire le parole, anche per napoletani come tiZ e me, il testo non è stato di immediata comprensione. È stata una bella sfida, alla fine arricchente e di grande soddisfazione. Napucalisse è un incastro di suoni, assonanze, una sorta di rap dialettale, intenso e intriso di passione, amore e rabbia, di urla e lamento, di sacro e profano. Abbiate la pazienza di ascoltarlo prima, leggerlo poi. Non ci sono mezze misure per definire il testo e l’interpretazione di Mimmo Borrelli: un capolavoro. Al di fuori di schemi e cliché. Per una volta, Napoli appare in TV come veramente è!
Un grazie a tiZ che ha voluto farmi partecipe di questa intensa esperienza di traduzione per i non napoletani e di arricchimento per noi che ci viene ‘u fridde in cuollo a cantà Oje vita, oje vita mia…

Napucalisse è un monologo dell’attore Mimmo Borrelli che ho ascoltato qualche mese fa per la prima volta. Ne sono rimasta folgorata, rapita, completamente soggiogata al punto di ascoltarlo come un mantra. Più lo ascoltavo, più cercavo di catturare ogni parola perché l’ emozione che è in grado di suscitare sconvolge, ti infiamma, senza precedenti, come un’onda […]

via Napucalisse – un’ opera di Mimmo Borrelli — tiZ On the trAin

23 pensieri su “Napucalisse – un’ opera di Mimmo Borrelli

  1. Una litania, un cantico, un’esecrazione, una continua, infinita evocazione. In ogni parola accostata a quel nome, Napule, in ogni aggettivo, in ogni espressione, un mondo, un’esistenza, una sofferenza, una storia, una cultura…
    Grazie Red, grazie tiZ.
    P.

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    1. La malinconia che vive dentro noi insieme a quella capacità di essere sopra le righe in ogni cosa…sta come il Vesuvio di fronte al mare… ci appartiene dalla nascita . È come la nostra storia che pur non conoscendo alla lettera risiede nel nostro dna sin dalla sua generazione ..

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        1. Sì la malinconia, più precisamente l’appocundria. Pino Daniela l’ha cantata così (è la prima canzone delle tre di questo video)

          Appocundria me scoppia
          Ogne minuto ‘mpietto
          Peccè passanno forte
          Haje sconcecato ‘o lietto
          Appocundria ‘e chi è sazio
          E dice ca è diuno
          Appocundria ‘e nisciuno
          Appocundria ‘e nisciuno.

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  2. Grazie, grazie a te Paolo. Questo tuo commento, oltre che rendere onore all’opera e alla città, rende onore anche a te che non sei napoletano…Mi rendo conto che non è facile da seguire. Se tutti (ma proprio tutti) parlando del primo magnifico “Ricomincio da Tre” di Massimo Troisi, ancora oggi mi fanno: “non l’ho capito molto”, immagina con questa Napucalisse!

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    1. La recitazione del testo, poi, va oltre. E anche in questo diventa espressione di napoletanità. Nel trascendere il significato della parola, nell’andare oltre, nel mettere alla berlina, nel prenderle (apparentemente) alla leggera (chissenefotte), o nell’urlarle a vocali tenute, dilatate, sguaiate. Nel farne ritmo, musica (rap, come giustamente hai detto tu; e quanto si sposano napoletano e l'”inglese” del blues, del rap?). L’interpretazione di Borrelli (non ho visto quella di Servillo, ma vorrei recuperarla) è, ripeto, impressionante, “mostruosa”, per come trasmette tutto questo. E’ ironica e disperata, è ritmica e accorata. E’ pianto e sudore. Riso di scherno. Riso che frappone una barriera – per lo più fatta di secolare dolore e incomprensione: “che vuoi? tu non puoi capire…”.
      Capisco le parole di tiZ: Napoli vi appartiene, smisuratamente, sorprendentemente. Ma non il viceversa. Come la vita. Napoli è mistero, fusione di quanto di più bello e di più sconcio offra la vita.

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      1. PS. Senza il vostro prezioso contributo questo “capolavoro” sarebbe stato essenzialmente inaccessibile. Un insieme di suoni. Che è anche questo che vuole essere (come dicevamo sopra). Fare musica di un dolore. Ma solo una (piccola) parte del contenuto di questo incredibile vaso. Ancora grazie a Voi, dunque.

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          1. Davvero un lavoro pregevole. Va sottolineato. Avete riconosciuto la potenza assoluta di questo “cantico” sboccato e liberatorio. La sua capacità di disvelare e suscitare emozioni.
            Siete stati molto, molto bravi a dare risalto e accessibilità a qualcosa che altrimenti avrei perso.

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      2. Io ci sento molto un rap. Il rap delle origini, un rap di denuncia e di ribellione, un rap di rabbia e di emarginazione. C’è questo, ma non solo. Hai detto bene. Il tuo citare l'”inglese” del blues mi piace molto, anche perché il napoletano è come l’inglese: si scrive in un modo, si pronuncia in un altro. Sebbene nel nostro dialetto le influenze maggiori siano dello spagnolo e del francese per le note vicende storiche e avvicendamenti di dominazioni. Ti rivelo una chicca: il dialetto usato da Borrellli non è il napoletano classico, ma è quello parlato nella zona flegrea. Da notare che la cadenza è cantata, mentre il napoletano in quanto lingua tronca non “canta” quando parla (voi al nord “cantate”parecchio). Il dialetto flegreo, infatti, somiglia incredibilmente al suono degli ebrei quando leggono la Torah. Provare per credere. Il motivo è che la zona flegrea, ricchissima è popolata in epoca romana, fu abbandonata dai Romani a causa del bradisismo. Fu ripopolata molto più tardi con l’arrivo dei Marrani, ebrei fuggiti dalle persecuzioni feroci in Spagna ai tempi della Santa Inquisizione (perché si ostinano a chiamarla “Santa”? È una bestemmia).
        Ora capisci anche meglio da dove proviene questo suono.

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        1. Quel rap c’è eccome. A tratti anche estremamente manifesto, estremizzato (ma la gestualità dell’attore va ancora oltre, diventa uomo che si batte il petto che chiude gli occhi esecrante e dolente, ma tiene comunque il ritmo, sovrano, dominante, ineluttabile…).
          Grazie della spiegazione Red.
          Hai ragione, per quel poco che so e sento, anche attraverso i media, il napoletano è stretto, tagliato e tagliente: è un uncino, una lama a serramanico tirata fuori in fretta, con un sibilo. Un lamento ingoiato. Una nenia gutturale, a tratti sensuale. Questa versione è dilatata, riempie i polmoni, suona e canta. Sì, hai proprio ragione.
          Interessantissimo accedere a queste sfumature. Così come ricostruire la storia della città, dei suoi ghetti, dei suoi quartieri (città nella città).

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  3. Per ora l’ho solo letto e sono stata letteralmente riportata indietro di una vita, quando al liceo facevo parte di un gruppetto di personaggi amanti della musica e innamoratissime di Napoli e passavamo ogni minuto libero a cantare a squarciagola la napoletanità e a ripetere battute e monologhi dai vari film.
    Grazie e bravissimi, siete stati stupendi !

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    1. Maddai! Dal profondo Nord innamoratissima di Napule. Buongustaia! Ricomincio da Tre è un must, ma anche la Smorfia dava parecchio gusto. Eduardo, Toto’ e Peppino erano, anzi sono fenomenali. In musica le canzoni della tradizione napoletana sono struggenti e bellissime. Ti consiglio l’ultimo cd di Massimo Ranieri che ha riarrangiato con dei mostri sacri del jazz le canzoni napoletane

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      1. Ebbene sì… andare ai concerti di Pino, noi, quattro marmocchie piemontesi di collina e montagna ( grezze come la nafta agricola) in mezzo alla Napoli presente a Torino… era meraviglioso! 😀
        Grazie del consiglio, ascolterò.
        Soprattutto Troisi, tutto, sempre… che ricordi! 😉

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