Viva il Messico! Ep.#25 – L’Hacienda Yaxcopoil


L'Hacienda Yaxcopoil nel 1900 [foto tratta da yaxcopoil.com]
L’Hacienda Yaxcopoil nel 1900 [foto tratta da yaxcopoil.com]
Segue da Ep.#24 – Topeees?

9° dia: dall’Hacienda Yaxcopoil a Merida

Arriviamo finalmente all’Hacienda Yaxcopoil, ancora scossi dall’ultimo incontro con la “topa”. Se siete nuovi di questo viaggio, non fatevi strani pensieri: non siete su un sito di racconti dalle ennemila sfumature di grigio e quel cavolo di colore che volete. Siamo, infatti, animati dalle più nobili delle intenzioni e cioè IL Sapere! La Conoscenza…Azz! Non solo non siete atterrati su un sito “hot”, ma siete incappati in un emulo sgarrupato della famiglia Angela! Ma che è ‘sta roBBa? SQuarK?!?

Ora farò una cosa che ho sempre sognato ovvero [voce impostata da grande divulgatore televisivo] “Nella puntata precedente…”

Nella puntata precedente si è raccontato della storia dell’Hacienda Yaxcopoil, e, nonostante i potenti mezzi dell’ipertesto, so che se inserissi il link, non vi cliccherebbe consapevolmente nessuno perché potrebbe risultare letale al dito indice, che va assolutamente preservato per le essenziali e benché più gratificanti esplorazioni nelle cavità nasali. Pertanto, di buon grado, ritorno en passant sull’argomento. Repetita iuvant.

Yaxcopoil è un esempio di hacienda henequenera, un latifondo latino-americano con annessi residenza padronale e opificio, dedicate alla coltivazione dell’henequén, una varietà di agave autoctona, da cui si ricava la fibra per il cordame.

La vera protagonista di Yaxcopoil: l'henequen
L’hacienda dal punto di vista della vera protagonista di Yaxcopoil: l’henequén [foto tratta da yaxcopoil.com]
In ogni angolo dello Yucatán c’è una hacienda henequenera: queste splendide residenze, immerse tra natura e storia, che vissero i loro fasti all’inizio del XX secolo, sono disperse tra le basse foreste di questa regione. Di molte non restano che delle rovine lungo le varie carreteras, mentre alcune sono state trasformate in centri turistici che offrono oltre che visite al loro interno, anche escursioni presso i cenotes o i siti archeologici nei pressi. Yaxcopoil è una di queste rarità: sita a circa un’ora dal sito archeologico di Uxmal, fino ai primi anni Trenta del Novecento, l’hacienda ha operato impiegando circa cinquecento campesinos su una superficie di undicimila ettari. Oggi è tutto finito e per non dimenticare questo passato è stata convertita in museo.

Per la una cifra di 30 pesos a cranio (oggi 100 pesos, cioè poco meno di 5 euro), accompagnati dal custode-guida abbiano potuto visitare la proprietà di Don Miguel Fernando Faller Cervera (Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare), discendente della famiglia che acquistò l’hacienda nel 1864:

Inteni della casa principal [foto tratta da yaxcopoil.com]
La casa principal (la casa padronale) [foto tratta da yaxcopoil.com]
  • la casa principal dalle ampie camere, gli alti soffitti e spaziosi corridoi, arredata ancora con mobili originali in stile europeo, che rendono vivida l’atmosfera dell’epoca
L'oficina (gli uffici) [foto tratta da yaxcopoil.com]
La oficina (gli uffici) [foto tratta da yaxcopoil.com]
  • la oficina in cui sono conservati i libri, i documenti e una collezione di immagini d’epoca inerenti all’amministrazione e le attività dell’hacienda
Gancio per appendere l'amaca [foto tratta da yaxcopoil.com]
Gancio per appendere l’amaca [foto tratta da yaxcopoil.com]
  • el cuarto principal con i tipici ganci per appendere le amache alle pareti; nel bagno privato sono presenti mobili e porcellane di provenienza inglese
El comedor (stanza da pranzo) [foto tratta da tripadvisor.com]
El comedor (stanza da pranzo) [foto tratta da tripadvisor.com]
  • el comedor e la cocina, che trasmettono il senso della vita domestica

Da segnalare la cappella familiare, il cortile (grande quanto un campo da baseball con al centro un grosso albero), il locale dove c’è la macchina per la lavorazione del filo di iuta (una macchina imponente che ha destato genuino interesse nell’Ingegnere Diego).

Vado a fare quattro passi in cortile [foto di RedBavon]
Vado a fare quattro passi in cortile [foto by RedBavon]
Tutto è immerso in un’atmosfera “retrò” e un retro-gusto di abbandono. Dalle ricerche sulla Rete, l’Hacienda Yaxcopoil è stata in parte restaurata, si è organizzata per ospitare turisti e organizzare ricevimenti. Alcune delle immagini che arricchiscono questo post, sono tratte dal sito web di Yaxcopoil. Tuttavia anche il sito web denota una certo “abbandono”, chiamiamola “coerenza”.
L’impressione, che ho ricevuto forte e distinta, è quella di un qualcosa, una volta vibrante di vita, ora svuotato e ridotto a mero involucro.
Con che rimane dà l’idea di quanto dovesse essere bello, ma è pure vero che, così come è conservato, dà un senso di profonda malinconia, se non addirittura, tristezza, segnato e condannato dai tempi che cambiano. Avete presente un casa abbandonata infestata dai fantasmi di chi vi abitava? Tutto sembra rimandare a un altro tempo in cui si potevano anche sentire i bambini giocare nel cortile, mentre i campesinos ritornavano dal faticoso lavoro nei campi, il rumore della macchina che cessava solo di notte, i cavalli, gli altri animali della fattoria, l’odore dei cibi cucinati dai locali della servitù che si mischiavano con quelli della casa padronale. Tutto ciò è finito all’improvviso e ha lasciato la sua “impronta” sulle cose, in questi luoghi, nell’aria.
L’inesorabilità del Tempo qui è palpabile con mano. Già mi immagino la notte: i muri trasudano storie, i fantasmi di chi vi ha abitato ritornano come se nulla fosse cambiato, si siedono a tavola e fanno una chiacchiera. Se ricordate la scena di Shining in cui Jack Nicholson si ritrova nel salone dell’albergo insieme ai fantasmi dei suoi clienti, l’Hacienda Yaxcopoil mi ha dato esattamente questa sensazione!

L'Hacienda Yaxcopoil, Yucatan [foto by RedBavon]
L’Hacienda Yaxcopoil: i locali dedicati alla lavorazione dell’henequen [foto by RedBavon]
Se la casa-museo e quanto possibile visitare non è essenziale, se comparato alle meraviglie della vicina Uxmal o a quelle nostrane, la visita all’Hacienda Yaxcopoil assume un valore importante tra i ricordi di questo viaggio per essere riuscita a trasmettere in modo così netto il senso del Tempo che passa, perché tutto qui è giunto alla fine relativamente pochi anni fa e quel Tempo appartiene anche a noi. Nel visitare le ruinas o le piramidi, quel Tempo è troppo lontano dal nostro e, perciò, è possibile percepirne – sforzandosi – una lontana eco. A Yaxcopoil è così recente che riesci a percepirne ancora tutta la sua terribile inesorabilità.

Se a questo punto credete che io sia uno che vede i “munacielle” (fantasmi della tradizione napoletana), aspetti perché Francesco a Palenque mi ha superato e di molto. Ma questa è un’altra storia…

Nel mentre ci accingiamo a lasciare l’hacienda, una mia vecchia conoscenza, la colite, si fa sentire di brutto. Evidentemente un mix letale di bevande gasate, paura della Maledizione di Montezuma e l’ultima Coca-Cola bevuta a Ticul (troppo fredda rispetto al fetentissimo caldo dell’esterno) generano un dolore lancinante, così forte da farmi avere un improvviso mancamento, sbando, inizio a percepire gli effetti dell’abbassamento di pressione, la visione periferica si riduce progressivamente…Conoscendo bene gli scherzi che mi fa la bassa pressione e che potrebbero costarmi un ricovero presso il locale servizio ospedaliero (sempre che ce ne sia uno nelle vicinanze), decido di andarmi a sedere su degli scalini…l’attimo dopo si materializzano tutto intorno a me tre mocciosi, due bambini e una bambina.

I tre angioletti partoriti dall'Inferno della Musica. Adorabili.[foto fi RedBavon]
I tre angioletti partoriti dall’Inferno della Musica. Adorabili.[foto by RedBavon]
Ciondolanti, i nerissimi occhi sgranati su di me, esordiscono in uno spagnolo tra il timido e un’innocua “faccia di culo” bambinesca: “Possiamo cantarti una canzone maya per un peso?”.
Io, tra il rintronato e il preoccupato (poiché a breve prevedo di perdere i sensi nella campagna messicana dimenticata da Dios) accenno a un “muy cansado” (molto stanco) nel tentativo di fargli capire sbrigativamente che non era aria. Neanche gli avessi detto “Ma certo! Sì, cantate pure!”, la bimba attacca una nenia, che per me poteva essere pure in giapponese antico (tanto non lo avrei capito lo stesso). La bimba si tira dietro gli altri due mammocci, che intanto si erano disposti uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra: il Coro dell’Antoniano Messicano in formazione ridotta.
In questo momento di estrema sofferenza, vi assicuro che quella cantilena, stonata, con le tre voci es-at-ta-men-te fuori tempo, avrebbe reso il patimento ancora più grave, se non fosse che la spontaneità e intraprendenza fanciullesca di questi tre piccoli maya hanno distratto la mia mente mentecatta (che era terrorizzata da chissà quali crolli di glucosio) e mi hanno dato tempo di riprendermi.
Finita la canzoncina – Gesummaria, degli autentici virtuosi dello stonamento! – i tre angioletti mi hanno sgranato gli occhi addosso, aspettando la ricompensa.
Complice la mancanza di moneta sonante e il rintronamento ancora in atto, esito nel porgergli il peso pattuito. L’attimo è fatale!
Mi rivolgo a mio fratello Lucio, a qualche decina di passi da me – i miei compagni non si erano ancora resi conto della mia situazione di sofferenza – e gli chiedo di allungarmi qualche moneta, cincischiando qualcosa ai tre angioletti venuti direttamente dall’Inferno della Musica. A questo punto, ho avuto la certezza che il nostro Buon Signore avesse deciso di punirmi a causa di una delle mie numerose colpe e mancanze: la bimba, con la prontezza e lo scatto di un crotalo, capisce “fischio per fiasco”, si rivolge velocissimamente ai due compari e dice qualcosa di cui capisco solo due parole, che risuonano come una sentenza di condanna a morte scritta a fuoco sulla pelle:”…una otra” (un’altra).
I tre niños maya attaccano un’altra nenia d’inenarrabile cacofonia, impronunciabile testo, ma incredibile dolcezza. La canzoncina, qualunque cosa fosse, viene storpiata a tale punto che gli antichi Maya avrebbero preso i tre creaturi per destinarli subito al sacro sacrificio purificatore, ma al “tà-tà” finale, anche il più fetente essere umano, la feccia della feccia, l’Uomo-Nero, Jack Lo Squartatore e perfino Cattivik si sarebbe sciolto in uno brodo di giuggiole come è capitato a me.

Alla fine, i tre figli-non-riconosciuti di Luis Miguel (e fossi in lui, non lo farei mai!) si sono meritati ben due pesos a testa (quattrocento lire dell’epoca) e, con il senno di poi, mi rammarico di non avergliene dati di più (ma mi pare a tanto ammontasse la nostra liquidità di monete in cassa).
Da notare un altro paio di cosette.
La prima è che uno dei maschietti (evidentemente il più timido) ha tentato di barare perché faceva il “playback”: con il capo rivolto verso il basso cercava di nascondere la sua finta di muovere le labbra. Ma io – bastardo – l’ho fissato  e – tac! – neanche fosse un pupazzo a molla, con la sua voce squillante ha contribuito degnamente allo sfacelo del pentagramma, perpetrato dai suoi due compadri. Peggio di loro, solo i Ricchi e Poveri del dopo-divisione.

In secondo luogo, ho avuto conferma che la donna è più forte di noi maschietti e ci frega di brutto: la bimba ha preso l’iniziativa, ha diretto quel coro dell’Antoniano Maledetto, ha infierito su un sofferente bissando la performance e, infine, incaricata di dividere in parti uguali l'”immensa” fortuna elargita, ha notato che c’era un peso di meno per uno dei suoi complici. Ci è perciò corsa dietro per richiedere quanto giustamente pattuito, facendoci rivoltare ogni tasca di pantaloncini e taschini di portafogli, e ottenendo alla fine la moneta mancante. Ridotti in mutande da una donna: una storia assai nota. Signore, scampaci da una femmina così. Pure se in miniatura.

Al di là della descrizione scanzonata (termine più adatto non potevo scegliere), da Uxmal – ma già ci era capitato più volte dalla strada per Cobà – i bambini che chiedono di regalargli una moneta diventano una triste consuetudine. A San Cristobal, poi, è una costante: bambini che cercano di venderti qualcosa e, al tuo cortese rifiuto, avanzano la richiesta di donargli un peso, glielo dai e, a frotte, arrivano altri bambini. Mi astengo da qualsiasi ulteriore commento, non per mancanza di sensibilità e opinioni in proposito, ma lascio la retorica dei “buoni sentimenti” a quelli in TV, che fanno i talk show e strumentalizzano il dolore altrui.  Essenzialmente, quando si viaggia, occorre avere bene presente che noi siamo dei fortunati e, evitando qualche spreco ed eccesso, evitando di cercare l'”affare” a tutti i costi, possiamo lasciare qualcosa di buono in quei luoghi e alle persone meno fortunate.

Tempo di tornare a Merida. Adios Yaxcopoil [foto di RedBavon]
Da sinistra a destra: Don Diego, RedBavon con improbabile t-shirt di Snopy palestrato e berretto di Donald Duck, mio fratello Lucio in tenuta da turista yankee sgarrupato con Ray-Ban e berretto originale (e mio) di una porta-eleicotteri della US Navy. Tempo di tornare a Merida. Adios Yaxcopoil [foto by RedBavon]
Si lascia Yaxcopoil. Ritorno a csa-base a Merida.

Ultima noche a Merida

Giungiamo a Merida senza sbagliare strada e avendo imparato ad affrontare le “topes” con la corretta andatura: rallentare prima-rilasciare il piede dal freno sul crinale- accellerare dolcemente dopo avere scollinato. Consegniamo il bolide alla compagnia di noleggio, che, nonostante i nostri percorsi da rally e le “topes”, passa il puntiglioso controllo senza alcun addebito ulteriore. Bravo Lucio! Ottimo pilota!

Naturalmente, se Francesco – che si è offerto di dare la carta di credito a garanzia – si troverà qualche addebito di ritorno in Italia, sono pronto a rimangiarmi i complimenti e rivolgermi a mio fratello Lucio come di consueto, cioè a maleparole.

Ci diamo la solita rinfrescatina, per quanto dopo la doccia, l’umidità ne vanifichi immediatamente il sollievo. Si va a mangiare a “El Pancho”, un nome, un programma. “El Pancho” è un’interpretazione yankee (e distorta) del Messico, ancora più se si pensa che lo Yucatan non è affatto come il Norte e Città del Messico. Ce ne accorgiamo quando arriviamo alla vista dei camerieri che indossano un largo sombrero e un cinturone a tracolla. La scelta, invero, è stata guidata da Francisco, che ci ha indicato tale luogo – è un ristorante prevalentemente all’aperto – per il potenziale…ehm divertimento.

L’atmosfera, in effetti, è piacevole: vi sono messicani e anche una folta rappresentanza di turisti e turistE. Non fatevi idee strane, noi siamo venuti qui per mangiare e, in barba ai nostri già provati stomaci, sperimentiamo la “carne pimienta” ovvero un filetto di generosissime dimensioni, alto almeno due dita, cotto alla griglia e servito con una salsa di carne a base di vino, brandy, pepe e spezie varie. Il tutto innaffiato da vino e tequila come se piovesse. Il palato ne è deliziato, ma stomaco e intestino non saranno altrettanto riconoscenti. Evitiamo i dettagli per i puri di cuore.

Lucio, da gran savio (o per urgente impellenza fisiologica, ora non ricordo esattamente), si avvia all’albergo per riposare le stanche membra piuttosto presto, mentre Frank, Diego ed io ci tratteniamo per qualche giro di tequila e quattro salti ballerecci.

Fine dell giornata. Domani si parte per Palenque, una delle tappe più belle di questo viaggio e che segnalo come “essenziale” a chi ha la malaugurata idea di chiedermi consigli per il suo viaggio. Da qui in poi, ci muoveremo solo con il servizio di corriera. Il viaggio entra ancora più nel vivo, sia per come si viaggia, sia per i luoghi che visiteremo.

E chi non viene con noi a Palenque, mentre è a una cena galante con la donna della sua vita (che ancora non lo sa), nel momento topico in cui scatti il primo bacio, possa essere interrotto da un romantico canto stonato eseguito da quei tre figli di Satana della Musica incontrati a Yaxcopoil e ormai cresciuti.

Continua a Ep.#26 – Palenque, l’arrivo

Onda sonora consigliata: La Malagueña Salerosa in varie interpretazioni.

C’è una storia dietro: Malagueña Salerosa — nota anche come La Malagueña — è una famosa canzone del genere musicale Huasteco o Huapango del Messico, che è stata oggetto di cover da oltre duecento artisti. La canzone racconta di un uomo che confessa a una donna (che viene da Malaga) quanto sia bella e quanto desidererebbe amarla, ma comprende il suo rifiuto poiché è troppo povero.

A tale storia strappa-core e di povertà (o’ cane muzzeca o’stracciato, si dice dalle mie parti), dedico tre video di stili diversi.

Chiarra classica di Michael Lucarelli.

Versione rockeggiante dei Chingon, rock band messicana influenzata dal rock and roll del Texas (dove vivono)

Tema musicale dei titoli d’inizio del film C’era Una Volta il Messico con un Antonio Banderas chitarrista, che scioglierà il sangue nelle vene al dolce pubblico femminile.

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51 pensieri su “Viva il Messico! Ep.#25 – L’Hacienda Yaxcopoil

                1. Tiro un sospiro di sollievo. Meno male. Perché già non digerisco chi mi chiama i”retro -games” i Classici tra i videogiochi (altra insana passione non so se hai notato qui in giro…). E’ come se mi bollassero Shining o Psyco come un retro-film…

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  1. Leggendo il testo ho respirato il clima di quei momenti. Che risate mentre leggevo dei tre bambini canori che per spillare poche monete si sono improvvisati cantori dell’Antoniano … di Frascati. Posso immaginare la nenia delle loro voci, la noia incalzante che ti affliggeva ascoltando incomprensibili parole … porca paletta ancora rido!
    Un bel post goliardico, vacanziero … complimenti!
    Un caro saluto da Affy 🙂

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    1. Ti assicuro che ero in condizioni al limite dello svenimento. Combattevo con tutte le mie forze nella consapevolezza che era una lotta impari. Si materializzano quei tre mariachi de’no’antri e la storia sai come è andata. Hanno lasciato un bel ricordo di una situazione che sarebbe potuta essere l’esatto contrario. Pura vida, mi hermana, pura vida!
      PS: non sai quanto sono felice nel sapere che leggendo, ho fatto spuntare un sorriso e, gran lusso, addirittura una risata.

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    1. Le tre adorabili voci dell’Antoniano Sconsacrato hanno calamitato tutta l’attenzione, a quanto pare. L’Hacienda ha quel suo fascino delle foto che ritraggono persone defunte che riprendono vita nei film horror (Shining su tutti)…Vuoi vedere che erano li mejo mortacci de li maya di Yaxcopoil?!?! O-mmmio-DDDio!
      il primo coro poltergeist della storia!

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  2. Frank

    👏👏👏👏👏…..grandissimo. …a parte il riferimento alle cavità nasali….molto carino sai…perché in effetti fu una tappa particolare. ..che non avrei ricordato senza il tuo prezioso diario…thanks 😘

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    1. Grande Frank! Da te che puoi dire “io c’ero”, questo è un commento che incornicio. Ad imperitura memoria della nostra amicizia, cementata da quel viaggio e ancora oggi salda, nonostante la lontananza e le rare occasioni di vederci. Mi inchino al Grande Uxmal e in tuo nome brindo grintosamente ai nostri futuri anni. Que Viva Mexico!

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  3. Muchas gracias jefe! El viaje fue muy agradable… Pensa che, per mesi e mesi ho bevuto soltanto cocacola. Era il miglior rimedio contro la vendetta di Montezuma. Le rarissime volte che ho osato bere la birra,è stato un disastro,un tracimare inarrestabile, per non dire dei vari tè… Comunque: davvero interessante il racconto che fai dell’hacienda e da schjiattare l’esibizione dei ninos. Mi ha fatto venire in mente quando, anch’io colpito dalla colite, quando mi ritrovavo a S.Pedro la laguna sul lago Atitlàn in Guatemala: ero sdraiato sull’amaca appena fuori dalla capanna che avevo preso in affitto. E c’era una fila di ragazzini e ragazzine che venivano a vendere di tutto: dalle noccioline ai dolci all’ananas, ai tamales… E col mal di pancia che mi ritrovavo non c’era modo di far capire loro che stavo schiattando…
    Un abbraccione…

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    1. Muy bien, compadre. Ti confesso che quando finisco di scrivere una di queste cartoline messicane, in cuore mio spero:”E a Silviatico chissà cosa sarà successo? Speriamo me lo racconti nel commento”. Ah che goduria!
      Quando arricchisci questo spazio con le tue storie, è come se il viaggio continuasse ancora un po’ di più. Sensazione straniante e gratificante alla fine.
      Comunque i bambini in tutto il mondo sono bellissimi. Sarà retorica ma io lo voglio dire per tutti i bambini più sfortunati dei nostri e per quelli che arrivano (quando ce la fanno) via mare. Ricordiamolo sempre.
      Gracias compadre.

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      1. Sensazioni reciproche, amico mio: siamo come due amici che si scambiano le loro esperienze di viaggio. Quando si è in giro, capita molto più spesso di raccontarsi le avventure e darsi le dritte. Una volta a casa, si finisce per non parlarne quasi più. Però, quando ti capita qualcuno che ha vissuto esperienze analoghe, ecco che i ricordi riaffiorano. E ci si inebria nel condividerli ed ascoltarne di nuovi. Anch’io ho dei ricordi nitidi di quei bambini, molti, come dici bene tu: poverissimi, in giro per sudarsi un centesimo che gli possa garantire almeno un pezzo di tortilla alla sera.
        Ai tempi ricordo che c’erano migliaia di rifugiati guatemaltechi sul confine del Messico. Gente che fuggiva alla repressione delle dittature guatemalteche. E ne vidi tanti di questi bambini sconvolti dagli orrori ed affamati. Ma non dico nulla di nuovo: come avrai visto, nel mondo le storie si ripetono in continuazione e senza tempo…

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        1. Sottoscrivo tutto. Se hai la fortuna di viaggiare vedi con i tuoi occhi e diventa parte di te. Non hai più bisogno di filtri e di sentito dire alla TV. Questo racconto lo vedo come sedersi intorno a un fuoco e scambiarsi ciò che abbiamo sperimentato. Ognuno aggiunge un “pezzo” in più al proprio viaggio.

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            1. Il viaggio – se uno vuole – non finisce mai e pure senza utilizzo di sostanze strane. Tenere la memoria del viaggiare mi permette di apprezzare meglio quanto vivo qui e di restare aperto nei confronti degli altri popoli e diverse culture. Il che – devo dire – mi piace immensamente

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                    1. Non parlavo di quelli: per carità!!! Uno per tutti: Tiziano Terzani e tanti altri che non si legano ad alcuna disciplina orientale ma che sanno coniugarla perfettamente a quella occidentale. Perchè, per certe cose non ci sono confini…

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                    2. Ma io ci ho il ritmo nel sangue, compadre! Quando sento la musica i piedi iniziano a muoversi da soli. Il problema non sono gli alligatori, ma che io sono convinto di ballare come Ricky Martin e invece al massimo somiglio all’Orso Balu’ 😉

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  4. Zeus

    Il terzetto del Diavolo, con cacofonia e stonamento, dev’essere un’esperienza mistica. Soprattutto se in compagnia della maledizione di Montezuma… un classico dei classici.
    La bistecca alta due dita mi ha fatto venire fame, ma il condimento pesante a base di pepe etc mi da l’idea (e non solo quella, grazie alle tue sagge parole) di un congresso veloce nell’ufficio di Gabinetto.

    Adesso attendo la parte ancora più viva del racconto.

    PS: ho quasi finito la rilettura del capitolo 6 della storia, stavolta ci ho messo di più, ma è stato necessario riprendere in mano alcuni nodi lasciati in sospeso.

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    1. Sono andato vicino al misticismo perché di prima battuta mi venivano fuori parole non ripetibili perché in azteco ho ancora qualche difficoltà a scrivere…Poi capisci i riti sacrificali e macabri degli aztechi 😉
      Ps: mi godrò la storia nella tranquillità della vacanza. Non vedo l’ora!

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