Viva il Messico! Ep.#23 – Para Ticul?


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Uno scorcio del mercato a Ticul [foto di RedBavon]
Segue da Ep.#22 – Uxmal…e la Rivelazione di un Antico Segreto

9° dia: da Uxmal a Ticul 

Lasciamo le ruinas di Uxmal alle spalle e decidiamo di dirigerci verso Ticul, dove sembra vi sia un rinomato mercato dei sandali e, sopratutto, dove potere mettere sotto i denti qualcosa in un comedor visto che si è fatta l’ora del pranzo. A mia memoria e conoscenza, nessuno di noi quattro – né prima, né durante, né dopo tale viaggio – ha mai avuto un minimo, pure anche infinitesimale interesse per le calzature, figuriamoci i sandali. Tant’è, si va a Ticul!

Non abbiamo cellulari e il GPS è una roba avveniristica da film di spionaggio militare o alla Tom Ponzi, perciò dipendiamo da una mappa che, da aperta, ingombra come un lenzuolo del corredo matrimoniale e, per ripiegarla, bisogna fare come la massaia quando c’è da tirare via il bucato dal terrazzo, cioè occorre olio di gomito e un’aiutante: suddividere i lembi in egual misura, piegare la mappa a metà nel verso delle piegature verticali e ripetere l’operazione. Unire, poi, la propria porzione di mappa a quella dell’aiutante per tante volte consecutive quante sono le piegature orizzontali. Così facendo si otterrà un rettangolo delle dimensioni originarie nel suo formato tascabile….Manco per idea, le mappe hanno una vita propria e uno spirito ribelle, ne sono certo.

La “Rough Guide” del Messico, da noi venerata come un testo sacro al quale ci affidiamo ciecamente nei momenti più bui, non compie questa volta  “il miracolo della fede” facendoci riacquistare la vista sulla corretta via da percorrere poiché ci supporta solo con mini-mappe locali in formato numismatico.

Con la precisione del cartografo dei tempi antichi, fatta la dovuta proporzione tra la scala in chilometri indicata sulla mappa e il mignolo di uno di noi estratto a sorte, calcoliamo che ci vorrà circa una mezz’oretta.

Disclaimer: per girare queste scene non è stato tagliato mignolo né altro dito a nessuno dei compagni di viaggio o altro essere vivente.

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Il percorso tra Uxmal e Ticul, circa a metà strada c’è anche un piccolo paesino…

Risolutamente puntiamo a Ticul, a bordo del nostro coche rojo, per nulla preoccupati dal rischio di perderci nel bel mezzo della campagna yucateca, nonostante i citati supporti cartografici di fortuna e una batteria che, alla prossima sosta per un’improvvisa impellenza fisiologica di tipo idrico, potrebbe dare forfait per la seconda volta nel bel mezzo della foresta tropicale dove nessuno può vederti mentre fai la pipì, ma neanche sentirti urlare “Aiutoooo!”.

Francesco temporaneamente sostituisce Lucio alla guida della nostra fiammante Chevy Monza rossa. Lungo la carretera incrociamo ogni tanto un’altra auto, ma sono episodi isolati, come gli incontri lungo le camminate in montagna. Per il paio di attimi in cui le due automobili si incrociano nei sensi opposti, mi sembra di vedere l’espressione di stupore dell’altro alla guida:”Ma comemminchia ci siete capitati qui?!?”. Guardandomi intorno, ai lati della strada, la stessa domanda me la pongo da solo e mi dò anche la risposta, cioè “Boh!”

Dopo circa una mezz’ora inizia a farsi largo tra tutti e quattro i caballeros il sospetto di avere sbagliato strada e l’esigenza di chiedere conforto ad anima viva se la retta via fosse smarrita. Se non fosse che in giro non c’è anima viva.
Urge “briefing” alla Schwarzkopf in Operazione “Desert Storm” con dispiegamento della mappa nel ristretto abitacolo dell’automobile, individuazione dell’obiettivo e determinazione della direttrice di invasione; ora siamo in piena fase di…”diversivo”.

Come nelle migliori storie quando la creatività dell’autore incontra un vacuum cosmico, si fa spuntare, come i cavoli a merenda, il deus ex-machina per risolvere una situazione, apparentemente senza vie d’uscita. Davanti ai nostri occhi, come d’incanto, spuntano diverse case lungo la strada: è Santa Elena.

Santa Elena 1999. Se andate sulla Street View di Google Maps è cambaito poco...
Santa Elena 1999. [foto di RedBavon]. Se andate sulla Street View di Google Maps è cambaito poco…
Santa Elena è assolutamente natural 100%, senza alcuna contaminazione “turistica”: strade per lo più di terra, cabañas e piccoli negozietti con grandi insegne della Coca Cola dipinte sulle bianche pareti. E’ singolare come multinazionali del calibro di Pepsi e Coca Cola siano massicciamente presenti sul territorio, anche in piena giungla in un paesino sperduto che tale a stento può dirsi visto che si tratta di qualche decina di cabañas disposte lungo la strada.
La spiegazione, ricevuta sul posto, è che la Coca Cola e la Pepsi sono arrivate lì prima che arrivassero le strade, acquistando “spazi pubblicitari” regalando bicchieri (!)
Santa Elena è uno scorcio autentico e genuino del Messico rurale, i colori, la gente e sopratutto i bambini rendono l’atmosfera serena e solare, pure nelle evidenti difficoltà economiche e scarsità di mezzi.
Niente fronzoli, nessun lusso, nessuna futilità: solo la Vita.
Prossima tappa: Ticul.

Come il GPS oggi ti fa perdere ugualmente, ma almeno risparmi le figure di merda.

A Ticul ci arriviamo nonostante i tentativi di depistaggio di Francesco, che nel suo ineccepibile inglese-spagnolato (nonché encomiabile intraprendenza) si rende protagonista di una delle più belle e indimenticabili scene, da raccontare a imperitura memoria, e, nella Classifica della Vongola, mette una serie ipoteca sul podio più alto, staccando imperiosamente e – come direbbe lo stesso Francesco – grintosamente il resto  dei “concorrenti”.

Ebbene, mentre procediamo quasi a passo d’uomo nell’abitato di Santa Elena, lungo questa strada di terra, nell’abitacolo le ipotesi di dove siamo si sprecano neanche fossimo nel pieno di una concitata sessione di gioco di “Indovina chi”. Le mappe non ci confortano e, con lo sguardo, siamo tutti alla ricerca di un’anima viva cui chiedere informazioni per Ticul. Sembriamo i marinai sulla coffa della Niña, Pinta e Santa Maria alla ricerca di terra all’orizzonte.
A un tratto, apparso dal nulla nel nulla, un anziano signore in bicicletta pedala flemmaticamente nella nostra direzione. Terra! Terra! Terra!

La salvezza è a qualche pedalata da noi. Francesco rallenta ad arte e blocca l’auto, nel momento in cui il signore passa accanto alla nostra Chevy Monza, che spicca tra le cabañas come il Titanic ormeggiato a Portofino. L’uomo è almeno sulla sessantina, brizzolati tendenti al bianco i suoi capelli così come i suoi baffi, gli occhi neri incassati in un viso di un bel colore miele e solcato da numerose rughe, segni dell’età, ma anche del sole battente nel lavoro dei campi.
E’ il momento della verità.
Francesco abbassa completamente il vetro del finestrino, appoggia con nonchalance il gomito sul bordo della portiera e rivolge la fatidica domanda al signore che ha capito già la situazione.
Il mitico Frank, insuperato nemmeno dall’insuperabile tonno pubblicitario che si taglia con un grissino, sfoggia con sicumera la sua padronanza delle lingue e fa all’indigeno signore:

Escuciame, señor – pausa – para TicAL?

Ha detto “Tical”? TicAAAAAL? Ommadonnellabbella, nooooooo! TicUL, non TicAL.

Quale è il problema per l’errore di una vocale?

Andiamo con ordine e analizziamo questo momento topico:
1) “Escuciame”, iniziamo già maluccio, perché Francesco ha tradotto il nostro “Mi scusi” con “Ascoltami”, ma avrei anche io fatto quell’errore in quel momento di tensione e l’angoscia di esserci persi.
2) La pausa dopo il “señor” ci sta tutta, potrebbe apparire come pausa d’effetto da consumato attore di palcoscenico, ma a giudicare dal risultato, propendo per una pausa per scegliere con precisione chirurgica l’espressione e le parole corrette. Fallendo, miseramente.

3) TiiKAL è in Guatemala, a poco meno di un migliaio di chilometri da qui. La nostra meta Ticul dovrebbe essere a una ventina di chilometri scarsi dalla nostra posizione.

L’espressione dipinta sul viso dell’attempato signore cui Frank ha rivolto l’apparentemente semplice domanda avrebbe meritato di essere immortalata con una foto! E’ come se un turista a Napoli, sul lungomare di Via Caracciolo, si sporgesse dal finestrino della sua fiammante macchina a noleggio e vi chiedesse:”Scusi…Per Monaco di Baviera?”

Al “TicAL” di Frank, segue il coro di noi tre, che urliamo “No, no, TicUuuul, non Tikal. Ticul! TicUl! Para Ticul, por favor”.
Il signore ci sorride e, secondo me, ci ha guadagnato pure qualche cerveza a sbafo quando lo ha raccontato agli amici al bar, ci fa cenno che siamo sulla strada giusta e ritorna a pedalare flemmaticamente.

Più sollevati nell’animo e, sopratutto, impegnati a prendere per il fondellame il buon Frank, giungiamo a Ticul poco dopo.

Bienvenidos a TicUl

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Ticul. Notare la signora a destra: esempio tipico di donna monoblocco e senza collo. Gli yucatechi non hanno praticamente collo [foto di RedBavon]
Ticul è un centro abitato, non grande, assimilabile a una nostra città di provincia (in effetti conta circa trentamila anime), è una sorta di “nostro capoluogo” della zona e lo deduciamo, più che dalle scarse informazioni sulla guida, dal mercato, che è frequentatissimo e dal traffico automobilistico sostenuto.
Il mercato è proprio un bell’esempio di mercato rurale: si vende di tutto, dalle pezze ai polli, dalla verdura alle tortillas già cotte, dai giocattoli alle cassette musicali. L’alternarsi di bancarelle di frutta, di vestiario, di articoli assortiti, piccoli “comedor” (un paio di tavoli e quattro sedie) allestiti alla bella e meglio, è caratteristico e assomiglia ai nostri mercatini di paese con il piccolo particolare che colori, forme, suoni e odori non sono dei nostri paesi.

Gli odori…Camminando per il mercato, alcuni odori non sono esattamente piacevoli. Alcuni sono odori “forti”, altri proprio maleodoranti olezzi causati anche da una precarietà dell’applicazione delle norme igieniche. Il numero delle mosche è davvero assurdo. La passeggiata è piacevole e ci fa scoprire un’atmosfera nuova. Siamo gli unici quattro “gringos” (termine per indicare genericamente gli “stranieri”) e le persone ci guardano almeno come noi guardiamo loro: un misto di dubbi, curiosità e meraviglia. Sicuramente ci avranno preso per dei fessi quando Lucio, alla ricerca di legumi e sementi esotici, entra in un negozio ricolmo di sacchi aperti e cassette traboccanti, mostra eccitato interesse per una certa mercanzia, ne chiede infine il prezzo per ciò che si rivela essere mangime per polli.

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I colori del mercato di Ticul. Francesco sullo sfondo [foto di RedBavon]
Al mercato di Ticul è da registrare un episodio di rara follia umana da parte di Diego (anche se, conoscendo il soggetto, di raro c’è solo il “caso umano”).

Complice l’ora del pranzo, il vuoto dei nostri stomaci e i “genuini sapori di una volta” della campagna yucateca, a Diego viene un’irrefrenabile voglia di mangiare un po’ di quelle rotondissime tortillas fritte lì al momento. Il fatto è che l’impasto di tale succulenza esotica è in pratica una trappola per mosche, anche se, per l’esagerato numero che vi volteggia sopra e vi si posa, gli insetti devono averlo scambiato per una altro tipo di “impasto”, generalmente di colore marrone, loro prediletto e molto meno “succulento”. Per completare la pillola gastronomica “Mexico Street Food”, cioè “il cibo che in Messico ti lascia secco sul lastrico stradale”: l’olio in cui vengono immerse le tortillas è di sicura provenienza dalla PEMEX o altra locale compagnia petrolifera; l’aspetto generale del luogo deputato alla vendita (che definirlo “negozio” è pura licenza poetica) non ispira fiducia poiché è evidente che qui non si osservino le più basilari regole d’igiene.
In barba a Montezuma e, anche se non si tratta di scientifico parere medico, ma semplicemente il mio,  in barba a qualche altra decina di malattie, conosciute e sconosciute, l’impavido Diego è risolutamente deciso a ingurgitare quelle tortillas. A questo punto, mi sono chiesto seriamente se Diego fosse sano di mente. Ho risposto a tale amletico quesito la frazione di tempo dopo: “No”.

Cazziatolo fino  a farlo sentire oggetto delle amorevoli attenzioni di una mosca o di uno scarabeo della specie “stercoraria”, Diego desiste dal suo gastro-intestinalmente insano gesto e tutti ci dirigiamo verso un meno esotico “supermarket” . Qui, attanagliato da una sete tantalica, mi approprio di una decisamente poco esotica Coca-Cola, formato “dissetamento cammello” e del costo tre volte inferiore di quella pagata a Playa del Carmen.

Consumiamo bevande e cibo nello zocalo di Ticul, buttati su una panchina all’ombra di un albero, tuttavia con un’attenuazione del caldo praticamente pari a zero gradi: complice l’umidità, all’ombra i gradi sono gli stessi che in pieno sole; risparmi solo l’insolazione in dieci minuti.

Prima di lasciare la città, decidiamo che è il caso di immortalare il fatto che siamo giunti a Ticul (nonostante i depistaggi).

I quattro caballeros in posa per una foto di gruppo nello zocalo di Ticul [foto di RedBavon]
Come si può notare dalla foto, i quattro caballeros, improponibilmente (tra)vestiti da turisti, in posa per una foto di gruppo, tentano di avvisare un passante che sta per rovinare quello scatto che consegnerà Ticul all’immortalità del ricordo (sempre che la pellicola non prenda luce). Per grazia di Dio, non esistevano i “selfie” allora, ma solo la sana angoscia da auto-scatto con tanto di rischio di macchina fotografica fottuta al volo da un lestofante (più lesto, che fante, molto fetente).

Da sinistra a destra: Claudio, Lucio, Diego e Francesco.

Mio fratello e io cerchiamo di fermare il passante con sguardo minaccioso e gesti tra l’imperioso e il categorico: io con dito alzato e mio fratello con palmo di mano aperta a rinforzare l’alt, quasi comunicando all’incauto passante di non fare l’errore di sottovalutare l’avvertimento perché “‘sta mano po’ esse piuma o po’ esse fero”.

Diego è in tipica posizione ascetica: “Di qui non mi muovo, fate quello che volete, a me non ne fotte un caxxo, vafanculo –  con una “effe” – non mi avete manco fatto magnà in santa pace ddoje tortillas!”.

Francesco è graniticamente l’unico con una postura che comunica dignità, ma d’altronde poche ore fa, tra le ruinas, si è auto-proclamato il Grande Uxmal e deve mantenere l’aplomb adeguato a una divinità Maya. Stringe nella mano la Sacra Rough Guide in segno di onniscienza e, sopratutto, desiderio di trovare la strada per il ritorno all’albergo a Merida.

Per una sorte di contrappasso che gira per il verso sbagliato, io ho evitato che Diego subisse effetti nefasti sul suo apparato intestinale, io subisco la vendetta di “lupara bianca” di Montezuma: la bevanda fredda, il caldo torrido all’esterno, la terribile arsura e l’avidità nel dissetarmi generano un certo dissesto che mi colpirà a Yaxcopoil.

E chi non viene a Yaxcopoil, per una rarissima quanto incurabile allergia, non possa più portare scarpe e debba indossare ai piedi unicamente quei sandali di cui i turisti, sopratutto tedeschi, fanno sfoggio di certa comodità e obbrobriosa estetica. (Non si possono davvero guardare ussignùr)

A Ticul, dove ancora oltre metà della popolazione parla la lingua Maya come prima lingua e lo spagnolo è anche parlato, dedico l’Onda sonora consigliata:

La Raza Es La Pura Raza dei messicani Molotov

Continua a Ep.#24 – Topeeees!

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