Viva il Messico! Ep.#19 – Mexico souvenì(r)


Il perfetto
Il perfetto “ricordino” da Chichén Itzá. Questo è mio! Bagaglio a mano… (foto by RedBavon)
Segue da Ep.#18 – Chichén Itzá, la seconda piramide

È ormai rito, quasi sacrificale quanto quelli toltechi, che in ogni viaggio si debba riportare un ricordo, un souvenir…A Chichén Itzá non potete sfuggire.

Dopo esserci rifocillati ed esserci abbondantemente reidratati con un certo numero di “cerveza”, ci aspetta lo shopping!
Barbara abitudine inculcata nelle nostre plasmabili menti dal marketing, dall’inspiegabile esigenza di portarsi via qualche ricordo (come se quanto visto, ascoltato, toccato, sentito fosse roba da poco) e, per colpa di chi, rimasto a casa, (ri)chiede cartoline, regalini, poncho, pupazzielli, magliettielle, sigari, non si sa per quale istinto a metà tra lo scrocco e il saccheggio.
Se c’è una cosa che veramente odio nei viaggi è proprio lo shopping: mi sta davvero sulle palle il turista che acquista i classici souvenir e cerca di “fare l’affare” con chi – parecchio più sgamato di lui – è lì per “farlo fesso” o, come accade in diverse parti del mondo, esercita quel commercio come l’unico mezzo di sussistenza.

Sta di fatto che quanto il viaggio è più esotico e lontano dai patri lidi, tanto è socialmente esecrabile tornare a mani vuote. Fosse per me, sarebbe sufficiente portare questo diario pieno di sensazioni ed emozioni, che in qualche modo possano fare sentire cosa sia quella parte di Messico e faccia venire la curiosità di visitarlo. Ma le cose spesso prendono una piega diversa…

All’uscita dal sito archeologico, finiamo in un “troiaio” (cit. dial. toscano) di bancarelle e precari negozietti all’ombra di tende e ombrelloni: nel mezzo e tutto intorno, un brulichio di persone e negozianti pronti ad attirarti nel proprio “spazio espositivo”. Veniamo letteralmente assaliti da venditori di tutte le età, che ci propongono dalle t-shirt “Scuba diving Chichén Itzá” (che dista 150 km dal mare) ai machete da usare con la suocera; ci vengono proposti anche baratti con le nostre patacche di orologi per argenteria taroccatissima, collane di sicura bigiotteria spacciate come monili di preziose pietre dure (Lucio ne è irresistibilmente attratto) e figurine di legno intagliato, dal grossolano al fine cesello, di dimensioni variabili, dal tascabile all’arresto sicuro in dogana per contrabbando di legno pregiato.

I prezzi sono tipicamente gonfiati, in attesa di una contrattazione spesso selvaggia. Non comprenderò mai come noi occidentali, tanto muti a listini prezzi da rapina in certe boutique, in certi Paesi, sopratutto quelli meno ricchi, pretendiamo di abbassare il prezzo perché ritenuto eccessivamente alto: se fosse così, allora alziamo i tacchi, come facciamo abitualmente sul suolo patrio. No, si scatena la furia berserk dell’affare a tutti i costi. È una questione di fottuto principio.

Non sono capace a contrattare in queste condizioni: per alcuni oggetti non ho proprio idea di quanto sia disposto a pagarli e quanto sia il prezzo corretto anche per chi lo ha prodotto. Se poi dimostri un po’ d’interesse per un oggetto, il venditore ti si attacca come una piattola. L’insistenza dei negozianti rende – almeno per me – poco rilassante l’aggirarsi per il mercato. Mi sento a disagio quasi perché non mi attira niente su queste bancarelle.

“La resistenza… È inutile!” (cit. i Borg in Star Trek – Primo Contatto)

Dopo la necessaria  contrattazione, condotta con onestà, i venditori riescono a rifilarci nell’ordine:

  • 8 t-shirt
  • 11 figurine di legno di varia foggia, tra cui due serpenti di fallica memoria
  • un arnese non identificato, finemente intagliato, e – secondo Francesco – perfetto per una certa parete a casa. A detta sempre di Francesco “il pezzo migliore” di tutto il blocco d’acquisto che, chiaramente, verrà inopinatamente dimenticato in albergo alla partenza da Merida.

Si sale di nuovo nella fiammante Chevy Monza rossa, letteralmente fiammante vista la permanenza sotto il sole per svariate ore. Alle spalle la silhouette della Piramide incombe e, per un attimo, mi è sembrato di vedere allungare dalla cima un’ombra di un Grande Stregone con il dito medio alzato.

Direzione: Mérida. Con l’accento sulla “e”.

E chi non viene a Mérida, prima di entrare a casa dei genitori della sua fidanzata, ospite a cena per la prima volta, possa pestare una miérda e se ne accorga solo dopo avere percorso per tutta la sua lunghezza l’antico e preziosissimo tappeto, eredità degli avi persiani della famiglia. 

Onda sonora consigliata: Se Me Olvido Que Te Olvide, tratta da Mexico De Mis Amores di Mariachi Nuevo Tecalitlan

e, crepi la smemoratezza, pure la versione di Bebo & Cigala

<-Ep. #18 – Chichén Itzá, la seconda piramide

Ep.#20 – Mérida, llegamos en La Ciudad Blanca->

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15 pensieri su “Viva il Messico! Ep.#19 – Mexico souvenì(r)

  1. Ahi que lindo compadre: me gustan muchissimo mariachis, muy mejor que los rancheros que siempre se lloran de alguien…
    Debbo confessarti che anch’io sono caduto nella trappola della contrattazione. Ancora adesso ne sento il rimorso per averlo fatto. Ma l’importante è capire e non ripetere più l’errore. Però ho ancora in mente la fregatura che mi diede un Hamaquero in Merida: si era messo in testa di spacciarmi una amaca singola per matrimoniale. Alla fine ci riuscì pure. Ma solo perchè ero andato a casa di suoi parenti ospite a cena. Poi trovai il modo di venderla a degli italiani di transito per l’isola di Holbox: sprovveduto, uno, non aveva dove dormire nella capanna. Allora gliela offrii a prezzo di vendita…..
    Bella lettura come sempre, amico mio: pare di sentirne i rumori, le voci e i profumi…oltre che la musica……
    Un caro saluto

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    1. Ahi compadre, ma il mio spagnolo si ferma aqui. Certo che lestofante: l’amaca è cosa sacra! Non si scherza con l’amaca.
      Stiamo per arrivare a Merida e qui abbiamo comprato l’amaca e ti descriverò con dettaglio tutto l’accaduto perché l’amaca è sacra e se qualcuno mi domandasse cosa portare dal Messico come ricordo, non avrei nessun dubbio nè esitazione: l’amaca.

      Se riesci a sentire i rumori, le voci e i profumi, tu che ci hai vissuto, sono ripagato di tutto lo sforzo e tempo impiegato. Un abrazo y muchas gracias.

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    1. A chi lo dici! In certi contesti però sembra quasi scortese, può risultare addirittura “snob”. Che imbarazzo, Tati.
      Mi tengo di solito alla larga da questi posti, ma tanto ci finisci per forza. Il souvenir è più potente di Montezuma: durante qualunque viaggio, la sua maledizione colpisce inesorabilmente.

      “Ho dimenticato di dimenticarti” è perfetta per questo post di “ricordini”. Ho scelto queste due versioni di “Se me olvidó que te olvidé” per dare a chi ha la pazienza e la curiosità di ascoltare un esempio di sound messicano, quello dei Mariachi, e di sound spagnolo/flamenco di El Cigala; anche a me hanno attirato l’attenzione le mani nella clip di Bebo & Cigala: le mani sono inquadrate sempre. Le mani sul pianoforte (nodose e avvizzite, ma capaci di carezzare i tasti), le mani di Diego el Cigala mentre canta, le mani che battono la cassa, le mani che pizzicano e scivolano le corde del contrabasso….
      Le ultime tre strofe suonano più o meno così

      y la verdad no sé porque
      Se me olvidó que te olvidé,
      a mi que nada se me olvida.

      E onestamente non so perché
      Ho dimenticato di dimenticarti
      Io, che non dimentico nulla.

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