Burnout Revenge: vendetta di uno stress mentale


Burnout Revenge (Xbox 360): manna per l’automobilista frustrato, catarsi dello stress mentale da traffico metropolitano. Se riuscite ad arrivare alla fine del post scoprirete cosa c’entra…o forse non c’entra per nulla.

Continua il Viaggio Allucinante al Centro del Blogger, una delirante introspezione del mio personale rapporto tra l’Idea, il Blogger-che-è-in-me(esci da quest’orrido simulacro) e quello che ci sta in mezzo. E visto che questo è il terzo post con tale farneticante tema, si battezza la nuova rubrichetta votata all’ O.T. a manetta: I.Blogger. Se già ne avete avuto abbastanza, l’uscita è in alto a destra (we meant no harm to left-handed people).

Perché scrivo? Nell’ordine risponderei: 1) non lo so; 2) perché mi viene così; 3) beh…per momenti come questo. Quando “dentro” ti trovi immerso in una soluzione liquida, <BZzzsssT!> sinapsi cortocircuitate, <Flash!> sprazzi di idee, <BANG!> impressioni, <WHhooOSH!> spunti, pensieri accavallati uno sull’altro come quel gioco che da piccoli facevamo in cortile: la cavallina nella variante lunga, dai risultati prossimi all’ammucchiata selvaggia con effetti devastanti sulla spina dorsale di quelli che stavano sotto. Piegati e avvinghiati, uno alla schiena dell’altro, i componenti di una squadra si disponevano in una lunga catena; il primo dell’altra squadra prendeva la rincorsa e doveva saltare il più avanti possibile sulla schiena di quei poveretti in fila, i quali dovevano mantenere l’assetto senza cedere. Assestatosi “in groppa” il primo, il secondo seguiva e così via tutto il resto della squadra dei “saltatori”; qualcuno, però, si lanciava con troppa foga, atterrava scompostamente, andava vicino all’incrinamento di un paio di vertebre del malcapitato di sotto nella fila indiana e, rimbalzando malamente, ricadeva di cranio. Bene, i miei pensieri, sensazioni, idee e impressioni stanno giocando a questa variante di cavallina…

Scrivere mi permette di passare dalla parte della squadra dei “saltatori”…

…O forse no. Ma mi piace pensare che sia così.

Ricevo una telefonata da un caro amico di vecchia data, che da tempo volevo chiamare. Mi ha ricordato certe mie “lettere alla nazione” (degli amici) di tanto tempo fa. Siamo in due ad averne memoria. Mi ha ricordato che “scrivevo” taaaanto e con sprezzante menefreghismo dell’altrui facile comprensione. Anche “allora”… ma ero meno consapevole di questa “malattia”. Rispolvero un armadio a quattro ante di ricordi ed emozioni, li rigenero con gli occhi di adesso, li sento affiorare sulla pelle di oggi, anche se li ho sperimentati sulla pelle di ieri. Mi infratto in-su-per-tra-fra questo rovo di blog: nel suo retro-bottega vi è la classica porticina con il classico cartello “Privato”, non aperto al pubblico. Inizio a rileggermi qualche “lettera alla nazione”, uno stile gagliardo, spumeggiante, trasmette le aspettative, l’entusiasmo, le delusioni, la rabbia positiva che ti faceva ripartire dopo una delusione, mi ritrovo innamorato di quello che ho (de)scritto come l’ho scritto allora, molto più non-sense di oggi, ancora meno indulgente nei confronti dell’eventuale lettore, senza compromessi, come tutti i giovani dovrebbero essere. Sono contento di avere conservato questa rappresentazione “fisica” in un menu nascosto, come se fosse la soffitta di questa webbettola. E mi (sor)prende la voglia incontenibile di riprovare a scrivere così…e forse ci sto provando ora. Senza riuscirci.

Ricevo un’e-mail da una persona a me cara, di cui avrei voluto ricevere notizie prima di partire per le ferie estive, arriva ora, quando ormai avevo rinunciato a pensarci. Pensavo ormai definitivamente che fosse da registrare come M.I.@. [Missing In e-mail] e invece rispunta come un fiore dopo l’acquazzone nel Deserto Colorato del Namaqualand.

Namaqualand, tra la Namibia e Sud Africa, durante la stagione della fioritura
Namaqualand, tra la Namibia e Sud Africa, durante la breve stagione della fioritura

Tutti ingredienti di sana e robusta costituzione. Mi andrebbe di buttare giù qualcosa, per iscritto intendo,  lo sento fluire, arriva alle dita, ma poi viene risucchiato su…Rimane un odore, un profumo di questa fiumana di sensazioni, lascia un rivolo di intenzioni, un bel ruscelletto d’acqua chiara e fresca…Quasi quasi faccio un tuffo, ma siamo a ottobre, ma fa quasi 30 gradi quest’ottobre! Ommadonnina s’è avverato l’incubo dell’ “Effetto serra” su cui facevamo i temi “impegnati” di attualità ai tempi delle scuole medie e sentivamo la responsabilità di questo “pericolo”, credevamo che i Governi e l’Economia fossero “roba da grandi” e che gli adulti avrebbero sicuramente evitato l’andazzo così evidentemente irresponsabile, deficiente e autodistruttivo del Mondo. Se pensate che le ultime righe siano una digressione delle mie solite, prendete una cantonata: è la Forza della Nostalgia Nostalgia Canaglia che scorre ancora potente in questo mentecatto.

Pensieri che frUllano e frOllano soprattutto mentre sono in auto, nel quotidiano combattimento con il traffico metropolitano, nel quotidiano sbattimento casa->ufficio->casa; pensieri che, se non fosse per la fila di auto bloccata dall’ennesimo genio parcheggiato in seconda fila, sarebbero subito usciti fuori dal finestrino e poi, aiutati da una folata di vento,  su su, avrebbero raggiunto Quel-Posto in cui sono tutti i palloncini scappati dalle mani dei bambini. In mezzo a questo bailamme di lamiere e bestemmie, con un schiocco di nacchera nello scatolotto cranico scatta una sinapsi possibile solo ai perdi-tempo videogiocatori: Burnout Revenge, uno dei primi videogiochi di guida atterrato nel caddy dell’appena nata Xbox 360. Era il 2006.

Burnout è una serie incentrata fondamentalmente sulla demolizione sistematica di veicoli e scenari: un’autentica manna per l’automobilista frustrato, la catarsi dello stress mentale da traffico metropolitano. Giocato allo sfinimento con mio fratello e un amico con cui giochiamo ai videogiochi, di guida e non, da tempo immemore. Sabaudia, estate 1996, Ridge Racer Revolution su PlayStation, mi parte un sorriso dietro le labbra, come fotografie scattate alla velocità di un winder Hasselblad, mi passano davanti i ricordi e le sensazioni di certi momenti, scavallo oltre la cresta dell’ennesima ondata anomala di Nostalgia Nostalgia Canaglia con la stessa naturalezza di un figaccione surfista californiano e vi evito un’altra lunga deviazione. Ci rifaccio un giro e – siete avvisati – vi faccio sapere.

orso-art-therapy
C’è chi usa penna e colori così per rilassarsi, la chiamano “art therapy”. Io non so colorare. Io uso la penna per fare uno scarabocchio di parole.

Altro che “burnout”! No, non si tratta di “burnout”, una sindrome particolarmente bastarda di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e derealizzazione personale, conseguente allo stress da lavoro.  Scrivere è prendersi il proprio tempo, fosse pure per una botta-e-via alla tastiera, che ci gode a essere battuta, fidatevi! È guardare le cose da una certa distanza: lo schermo è a volte una finestra da cui affacciarsi, a volte è uno specchio in cui riflettersi. Scrivere è una ricostruzione di una propria storia, delLA propria storia, che “spezza le vene delle mani / mescola il sangue col sudore / se te ne rimane” (cit. La Costruzione di un Amore di Ivano Fossati). La condivisione serve a ricaricarci di energie positive, percepire le nostre emozioni “still alive and kickin'” e, a volte, a liberarci da falsi concetti che magari, anche inconsciamente, si sono formati nella nostra mente. Scrivere è la nostra personale vendetta contro tutto ciò e tutti coloro che ci spingono verso il “burnout”.

Eh sì…scrivo per momenti come questo. Prendo i pensieri come mutande, calzini, t-shirt dallo stendino, li devo riporre in ordine nei loro rispettivi cassetti…sì ecco apro cassetto per le mutande, esito – le piego? Naaaaaah! – tiè, le butto dentro così spiegazzate, bombate, le schiaccio un po’, un lembo finisce sistematicamente in mezzo alla chiusura del cassetto, è una legge della fisica meccanica. Ora i calzini…mmmh inizio a piegarli a coppie, quello spaiato è una legge matematica che fa il paio con la vite o il chiodo che ti avanza dopo che hai smontato e montato un mobile. Vabbuò, butto pure questi alla rinfusa…se qualche mattina incontrandomi doveste notare un calzino diverso dall’altro, non avete bisogno di una visita oculistica ma sono io che andavo di fretta dopo una doccia mattutina troppo lunga. Ora le t-shirt…queste le devo piegare per forza e bene… … … ehm… …. mannaggia m’è venuto più corto ‘sto lato… … …@&%$!§… …. …. …. ….siete ancora qui? Guardate che potrei metterci un bel po’… …. …. Strumming my pain with these fingers, Singing my life with these words, Killing you softly with this post, Killing you softly with…this….post.

ONDA SONORA CONSIGLIATA: Killing Me Softly with His Song (cover cantata da The Fugees)

Questa è la cover hip-hop, ma la storia di questa canzone vale la pena di essere raccontata: Lori Lieberman, dopo avere ascoltato Don McLean cantare dal vivo “Empty Chairs”, si emozionò a tale punto da scrivere una poesia. Condivise questa esperienza e questi versi con Norman Gimbel, con il quale aveva una legame sentimentale, e con Charles Fox, i quali scrissero la canzone, il cui titolo iniziale era “Killing Me Softly with His Blues”, ma già esisteva un libro con tale titolo e quindi cambiarono le ultime parole in “His Song”. La canzone cantata da Roberta Flack divenne un grandissimo successo internazionale. Era il 1973.

59 pensieri su “Burnout Revenge: vendetta di uno stress mentale

  1. CriticaComunista

    Giganti dell’HH i Fugees (ho tutti i loro album in CD più un vinile) e bellissimo il pezzo (idem l’originale…che è Soul).
    Sentiti di loro “No woman no cry” nelle versioni con e senza Stephen Marley (uno dei figli di Bob) 😉

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    1. Mio caro, i Fugees non sono giganti, sono immensi. E’roba che un vecchiarello come me ha ascoltato a saturazione di Eustachio ed esaurimento di Falloppio, quando la musica te la portavi appresso in un aggeggio chiamato walkman. Immensa invenzione pure essa. No woman No cry idem in tutte le versioni ascoltabili (e qualcuna pure inascoltabile)
      Fa piacere che un giovine conosca questi mostri sacri.

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                    1. Come cantante era di certo un cane. E meno male che l’Ha scoperto come attore Almodovar, facendogli fare il protagonista in “Tacchi a spillo”, splendida prova attoriale, rafforzata dall’interpretazione del duca di Guisa in “La reina Margot”, del mai compianto abbastanza Patrice Chereaux… Mio fratello era abbastanza intonato, credo che avrebbe potuto insegnare a non stonare al tuo papà. Quindi mi piace pensare che, adesso, stiano stornellando alla grande e bene intonati…

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    1. La colonna sonora sta oscurando la farneticante farneticazione. Cosa buona et iusta.
      Per il videogioco, dipende da quanti anni si dedica a questo esecrabile passatempo per i più. Il gioco è vecchio e la serie è ferma da diversi anni, praticamente abbandonata per motivi oscuri visto che vendeva come lo zucchero filato alle fiere di paese.
      Fammi sapere che non ho velleità evangelizzatrici per il popolo adulto, ma a una sana educazione e cultura videoludica ci tengo 😉
      Se dopo questa spataffiata al tuo primo commento, cancellerai questo blog pure dalla cronologia, non ti biasimerò. Grazie per il commento.

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        1. Immaginavo la reazione. Ma vecchio, a volte vuole dire “classico”. Casablanca è vecchio? Non ce n’è più uno degno di tale tamarreide sfasciacarrozze! Se segui il link nel testo c’è anche una specie di recensione. Oso lanciarti questa sfida allo sbadiglio, ma alla fine alquanto catartico se sei una che bazzichi il traffico metropolitano.
          Andrò di certo a vedere, anche perché ti seguo, ma per ora in punta di dita e senza stellettate. Come puoi notare, non vado leggero di commento e qualcuno potrebbe trovare la cosa oltremodo invadente.
          Adesso però abbiamo rotto il firewall, mi sento un po’ più libero.

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            1. Mi va, mi va, solo che in alcuni momenti mi prende la vecchia maledetta timidezza pure se ho uno schermo di mezzo. Ora che abbiamo stabilito un contatto, vado libre cono l’aire. Poi spero di non fare casini, ma tu me lo dirai listo.
              Gracias por el nino, ma tengo 48 anos e al massimo sono un nino cresciutello.

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                    1. OmadonnellaNeradiGuadalupaECastellamare, mi hai riconosciuto?!? Il mondo è proprio piccolo e il paese non si fa mai i caxxi suoi!
                      Bei tempi eh Liza! Tortuga, ahh, mi ricordo m’imbarcai su quel cargo battente bandiera liberiana…

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                    2. In realtà dato il caldo assassino di quei giorni a Tortuga, l’eccesso di alcolici, lo stress da arrembaggio (straordinari chiaramente non pagati), la mia esperienza ehm con la gentil donzella più che catarsi fu da catalessi

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    1. Fiuuuuuu! E meno male che ti sono sfuggiti i Simple Minds….
      ….Cazzarola, ma tutti a commentare la musica. E meno male che volevo parlare di “scrivere”. Mela, mela delle mio fruttame, dimmi ma il testo era occhei o faceva cagare?
      Ho uno specchio un po’ rude, pardon 😉
      Puoi anche dire si’ per compiacermi, non mi offendo.

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      1. Non mi sono sfuggiti che ti credi??? Quella non è la canzone che preferisco, sic et simpliciter.
        No, il testo non fa cagare affatto anzi fa riflettere su quanto di noi mettiamo sul piatto della scrittura. Che sia catarsi, schifo esistenziale, sfogo creativo, caccia ai propri mostri, penso che la scrittura sia esercizio di umiltà e piacere edonistico insieme.

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        1. Assafa’! Alive and kickin’ non è indimenticabile, ma ci stava bene nel testo. Un tocco di musicalità alla frase. Don’t You Forget about Me, seppure una cover, è un capolavoro.
          Grazie per la solita benevolenza, madamApple

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  2. Lo sai che ho un sacco di scritti di almeno 20 anni fa fino a 10 anni fa… quando avevo tempo di scrivere su carta… allora tutto sembrava possibile, modificabile… adesso è uno scrivere diverso. Ricordo lettere lunghe di catarsi, piene di rabbia e voglia di scassare tutto e dimostrare chi sa che. . Adesso è un po’ come dici tu: voglia di condivisione mista a una serena carrellata di pensieri misti fritti alla fermata del tram 😉

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    1. C’era più aspettativa, più vigore, più strada davanti da fare e voglia di percorrerla. Oggi la strada è piena di buche.
      Prova a prendere un tuo scritto di 20 anni fa e fanne una versione 2.0. Io l’ho fatto nel post Ghost in The Shell (2.0 perché ce n’è uno molto precedente. E poi ne ho fatto un 3.0. È’ interessante vedere sotto le dita come cambia l’approccio, le cose che sentì, alcune rimangono identiche; ti dà quasi il senso di quanto sei cambiata e di quanto sei rimasta te stessa. Ne scorgi un nocciolo duro ed è bello dirti: ero io, sono io, come sarò domani.
      Poi prenditi un cicchetto di alcolico che così dimentichi tutto e pure le mie farneticaZzziini.

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