Johnny a El BaVón Rojo: 9 novembre


Johnny è stato qui
Johnny è stato qui

Le maledizioni non esistono, ne siete sicuri? Proprio dal Messico, la Maledizione di Montezuma ha confermato i suoi nefasti effetti attraverso le epoche temporali e oltre i confini territoriali: dal 1519, quando venne lanciata contro i conquistadores spagnoli al seguito di quel duo criminale di Hernán Cortés e Pedro de Alvarado a oggi, si è estesa a tutti i viaggiatori in qualsiasi parte del mondo, tanto che oggi è nota anche come “malattia del viaggiatore”. Continuate a non credere alle maledizioni?  Mentre su El Bavon Rojo erano calate già da un pezzo le prime ombre della sera, Johnny inizia un racconto di musica e mistero. Oste! Qui ci vuole altro grog!

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9 novembre

Quel venerdì sera a El BaVón non stavo dietro al balcone. Era la mia serata libera, ma quanto sei di casa è difficile stare lontano da un posto come questo, poi per me che amo la birra e gli amici era praticamente impossibile.

Lo ricordo ancora. Era il 9 novembre, ma d’altronde non avrei mai potuto dimenticare una serata come quella. Era seduto sugli sgabelli del bancone, avevo finito la prima birra della serata ed ero piuttosto curioso del concerto che, di lì a poco, sarebbe cominciato: voce e chitarra al femminile, Rita Pepper, una giovane ragazza che arrivava proprio qui per esibirsi in questo caldo e sudato locale.

Proprio mentre mi stavo riguardando la locandina del concerto, un ragazzo di chiare origine latine mi si avvicinò:

“Me llamo Juan Pablo Davidson esta è la primera volta che soy aqui.”

“Ciao io  Johnny Cornerhouse” mi presentai anch’io.

Juan aveva una brutta cera, il suo volto scuro mi fece pensare che avesse bisogno di bere o di qualcuno con cui sfogarsi.

“Oste! Una cerveza por favor, anzi due, una anche per il mio nuovo amico. Cosa ci fai qui Juan? – gli chiesi. Notai che accanto a lui c’era un custodia di un chitarra – Vedo che suoni anche tu!”

“Io ero un musicista, ora non suono più. Ho viaggiato a lungo, ho visto l’America e alcuni Paesi dell’Europa. Mio padre era americano, mi madre era española, anche loro musicisti, si erano conosciuti per caso in un negozio di strumenti musicali in una piccola città nel Massachusetts che si chiama Innsmouth.”

“E io che credevo fosse una città inventata da Lovecraft, uno scrittore dell’orrore!” interruppi.

“No è tutto vero como è vero el sol!” mi disse “Esta è una noche muy loca, muy tenebrosa da raccontare mi vida, il mio passato è muy oscuro. Ecco perché soy aqui. Qui c’è qualcosa che riguarda il mio passato. E io voglio capire”.

Mi incuriosì. Mi ispirò simpatia quindi lo stetti ad ascoltare.

“Quel giorno, in cui si conobbero – mi ha raccontato mi madre – Carlos, mi padre, cedette la sua vita en cambio del successo al mercante di strumenti di quel negozio. Comprò una chitarra usata perché aveva un suono incredibile: era una Gibson SG sulla cui paletta era incisa la ridìcula frase “propiedades del diablo”. Ninguno de nosotros credeva fosse una cosa seria, mi disse mi madre. Con il senno di poi posso solo pensare che sbagliarono purtroppo.”

“Ma dai mi stai pigliando per il culo” gli dissi sorseggiando la mia birra e sorridendogli che in fondo il racconto mi stava piacendo o forse era solo la birra.

“Ascolta Johnny, ascolta! Da quel giorno Carlos scrisse le mas linde canciòn della sua vida. Conosci Jimmy Page dei Led Zeppelin? La chitarra di Babe I’m gonna leave You gliela aveva ispirato mi padre. Fu lui che suggerì al loro batterista di suonare interrato nel terreno per aver quel particular sound de la batteria. Ma potrei anche raccontarti anche di quella volta che suonò con i Pink Floyd ancora agli esordi: fu sempre mio padre che suonò il primo assolo di Astronomy Domine”.

“Sono tutte balle Juan!”

“Ah davvero tu lo credi? Ogni volta dopo ogni concerto mi padre si chiudeva in una stanza, solitario. Gli altri companeros della band raccontavano sempre a mia madre delle urla che uscivano da quella stanza. Alcune volte provarono a entrare, ma ciò che videro non fu mai una cosa buona.

Mi padre a terra cansado, sporco del suo vomito con lo sguardo assente come se in quel momento ci fosse solo il corpo ma l’anima fosse altrove. Ogni volta si avvicinava sempre più verso l’abisso.

Anche il rapporto con mia madre piano piano si stava distruggendo: lei, povera innamorata che lo seguiva ogni volta; lui, un mostro che aveva cominciato anche a picchiarla.”

Il viso di Juan era scuro anche più di prima, potevano essere anche balle ma o era un bravissimo attore o mi stava dicendo la verità, quindi non mi sentivo più di contraddirlo.

“Mese dopo mese passarono i concerti e mi padre passava ormai tutto il suo tempo chiuso nel suo studio a suonare, suonare e suonare ancora. Era diventato inseparabile dalla sua chitarra rossa e le registrazioni che ne uscirono fuori erano sempre più cacofoniche, più isteriche e vorticose. Muy loche!

Gli ultimi giorni furono i più drammatici. Ancora lo ricordo perché fu l’ultima volta che vidi mi madre.

Erano giorni che mi padre suonava e non usciva più nemmeno per andare a dormire. Nosotros neppure potevamo più dormire. Era arrivata anche la polizia. Quel giorno mi madre decise che non era più sicuro che io stessi li e così fece. Mi disse di fare il bravo mentre mi portava da una zia che non avevo mai visto: ‘Non preoccuparti verrò presto a prenderti’. Furono le sue ultime parole.

Non li vidi più. Mi dissero solo che un incendio aveva distrutto casa due notti dopo. Li avevo persi per sempre. Tornai mesi dopo che avevo appena compiuto sedici años nel luogo dove c’era la mia casa e vi trovai solo dei resti. Piansi.

Bussai alla porta della famiglia accanto: mi riconobbero e mi accolsero in casa. Ero solo, ero scappato da casa di mia zia. Non credevo che non avrei più rivisto la mia famiglia, eppure questa era la verità.

Mi offrirono un tè caldo e dei biscotti, poi il signor Smith, il capo di quella famiglia, mi disse delle cose. “Tua madre mi ha lasciato questo!” Era un pacco e lo scartai subito, c’erano dentro tre cassette, un diario e un album di foto. Guardai subito l’album delle fotografie. Eravamo io con mamma e papà, eravamo felici…E mi venne da sorridere. Poi guardai il diario, era il quaderno di mia madre. C’era scritto della pazzia di mio padre, da dove tutto era iniziato. Non volli leggerlo, se non le prime due righe. Mi fermai su quel “tutta colpa di quell’incisione sulla chitarra”.

Chiesi al signor Smith se qualcuno avesse trovato qualcosa. “L’unica cosa che è rimasta intatta – mi disse – è la chitarra di tuo padre. L’ho presa io e l’ho data a mio nipote Robert James Smith, ma se vuoi posso farmela ridare e restituirla a te. So che a lui piace suonare. Magari potrà scrivere belle canzoni anche lui.”

“Ma quindi cosa ti aspetti di trovare qui a El BaVón Rojo?” Gli chiesi che un po’ mi aveva commosso.

“Oste riempi i calici che la serata è lunga” Ringraziai la ragazza al bancone.

“Ma soprattutto perché mi stai raccontando queste cose?” Tornai a chiedere a Juan

Non capì se mi sentissi irritato o incredulo. Ma alla terza birra che differenza può fare?

“Quella chica là. La chica che sta per suonare esta sera. El Diablo sa esser bien escondido: quella chitarra è quella di mio padre! Soy certo anche se è nera. Ma è stata ridipinta. Soy certo!

So come finirà e devo parlare con lei. Se succederà qualcosa, scappa, scappa finché tu tiene tempo!”

****

Fu un’ora entusiasmante, illuminata da una luce di colore rosso intenso, un luce calda e sensuale, Rita suonò le sue canzoni. Il sudore sulla sua pelle, il graffio della sua voce, le sue mani snelle e i suoi piedi nudi. Una chica morena come poche al mondo. Muy muy linda. Davvero especial. El BaVón Rojo fu un tutt’uno con il suo dolore che cantava con una passione incredibile. Incredibile anche come si inizino a mischiare le parole e lingue dopo che hai condiviso anche un bicchiere di rum. Ma torniamo a parlare di Rita. Voce e chitarra non serviva altro. Sexy, non ricordo di avere mai visto un corpo così bello e una voce così, nello stesso luogo. Come un incantesimo il male si trasfigurava, trasmutava, un fluido che si mischiava con l’ossigeno e intasava i polmoni dei commensali della locanda. Capimmo tutti  la sua tristezza e già tutti l’amavamo incondizionatamente. Rita, amore mio, sono tuo, chiedimi qualsiasi cosa e l’avrai.

Prima che finisse lo spettacolo Juan si alzò dal balcone, mi salutò con lo sguardo di chi ti ha avvertito e andò verso Rita. Le fece dei cenni e poi lei lo invitò a salire sul palco. Suonarono insieme alcuni brani e, dopo alcuni blues davvero struggenti, chiusero con A Day In A Life, poi scesero dal palco insieme. Li vedemmo parlare e bere qualcosa insieme. Sembravano piacersi, ma non abbiamo idea di cosa si siano detti; di sicuro Juan non gli raccontò le stesse cose che racconto a me e quel che è certo che nessuno dei due mise più piede a El BaVón Rojo.

Quella notte andarono via insieme con la macchina di Rita ed ebbero un incidente mortale: due curve da qui. Andarono a sbattere contro un albero. Sentimmo le sirene dei soccorsi e uscimmo dal locale. Corsi verso l’auto e cercai tra i rottami dell’auto. C’erano ancora le custodie delle due chitarre. Le aprii, ma erano vuote.  Dove era quella chitarra?

Fu in quel momento che credetti davvero al suo racconto. Prima mi sembrava solo una fregnaccia da bar. Di uno che volesse mettersi in posa. A questo punto, dovetti sbiancare in faccia e un brivido mi percorse tutta la schiena. Mi aveva avvisato, accidenti se l’aveva fatto, sarebbe finita male e così purtroppo fu. Coincidenza che fosse proprio il 9 di novembre?

29 pensieri su “Johnny a El BaVón Rojo: 9 novembre

        1. Gimmai è che forse ti sei persa qualche “pezzo”.
          Prima di questo post scritto da Johnny, sono stati qui tiZ, Mela e Zeus con i loro racconti ad animare questa locanda. Tra un racconto e un altro c’è stato un po’ di movimento…Sì una di quelle cose da peggior bar di Caracas.
          In mezzo a tutta quella gente, mi pare di averti intravisto a un certo punto…Vedi un po’ se ti riconosci

          Batmancito [Ep.#7] – Più si è, meglio è

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    1. Ahem…Non ho scritto io, ma l’autore è Johnny. Io sono solo l’Oste di questa bettola, che qualche detrattore definisce “malfamata” e io ne vado fiero 😉
      Pup, siediti qui con noi. Raccontaci una storia…Oppure deliziaci con una tua delle stupende creazioni. Que viva Mexico!

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        1. “Sulfureo” nel vino è un difetto grave: quell’odore o sapore che picca, lascia un’impronta amarognola, grezzo di zolfo, denuncia un problema di fermentazione o travasi; è un difetto grave nei vini, perturbatore della pulizia…Ma in questo racconto sporca come si deve e lascia quel retrogusto rustico perfettamente coerente con questa locanda: siamo a El Bavon Rojo, non a un bar frequentato da precisini damerini e imbellettate damerine!
          E ora datemi una rumba scatenata che devo fare salire dabbasso il GranSatanasso a lamentarsi del troppo burdell’ ca facimme ccà n’ coppe!

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        1. Io adoro Boo. Sssshh non lo dire ai miei due nanerottoli – ora dormono dopo che gli ho letto due pagine de Lo Hobbit (funziona alla grande!) – ma se avessi una bimba così, sarei fottuto per sempre, peggio di Sully.

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  1. Complimenti! Altro brano che lega alla sedia e interrompe la respirazione. Quanto mistero e fascino nel mondo della musica e dell’arte maledetta e maledettamente bella! Bravo Johnny, hai mescolato gli ingredienti a dovere e ne hai tratto il tuo personalissimo assolo.

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