Batmancito [Ep.#6] – La Compagnia di El BaVón Rojo


When the Going Gets Tough, RedBavon Goes Drinking
When the Going Gets Tough, RedBavon Goes Drinking

Segue da Batmancito – Incontri [Parte V]

It was 7:45 we were all in line
To greet the teacher Miss Cathleen
First was Kevin, then came Lucy, third in line was me
All of us where ordinary compared to Cynthia Rose

Il Principe e il gruppo di musicisti ci stanno dando dentro. Suonano dannatamente bene. Si muove intorno a quella chitarra in un modo seducente e disturbante insieme. Per il tempo di un paio di strofe, perdo la nozione del…Tempo. Non so dove sono.

She always stood at the back of the line
A smile beneath her nose
Her favorite number was 20 and every single day

Siamo seduti a un tavolo insieme ad altre persone, El Rojo è alla mia destra, Sergio alla mia sinistra e le bottiglie di “Grog Reserva Especial” vanno e vengono come dei treni su una banchina di una stazione merci.
Allungo la mano e afferro una bottiglia, la giro sul lato dell’etichetta, fisso l’etichetta, “Grog?” domando tra me, ancora sobrio, e me, scettico. Ne verso il liquido dalla bottiglia a un bicchiere fino all’orlo e oltre, spargendone un bel po’ sul tavolo senza darvi peso. “Grog!” mi rispondo deciso a mandare a quel paese il sobrio e lo scettico, tutti e due in una sorsata sola.

If you asked her what she had for breakfast
This is what she’d say
Starfish and coffee
Maple syrup and jam

El Rojo sta parlando con Sergio e, anche se non parlasse, potrei capire cosa sta dicendo dagli ampi gesti delle sue braccia e dei suoi muscoli facciali, che non lasciano nulla al paraverbale. Al tavolo, vi sono altre persone: sono due donne; una è tutta intenta a disegnare; l’altra scrive continuamente su un quaderno. Entrambe si guardano in giro, a volte strizzano gli occhi, come un gesto inconsapevole di intesa, si ributtano a capofitto sui loro “lavori”. La donna che scrive, ha una mela poggiata accanto al quaderno. Di tanto in tanto la afferra, se la rigira tra le dita, la guarda come se fosse un meteorite appena caduto sulla Terra, la vedi che è tentata ad addentare il frutto, ma un attimo prima che scatti il morso, si ritrae. La poggia sulla scrivania, sembra quasi sorridere e procede di nuovo china sul quaderno. “Ti presento Tati e Melasbacata!” Mi urla El Rojo nell’orecchio, mentre il Principe sta dando il meglio di sé duettando con l’altro chitarrista e la vocalist. Butterscotch clouds, a tangerine…And a side order of ham…If you set your mind free, baby…Maybe you’d understand…
Starfish and coffee
Maple syrup and jam

Ora entrambe le donne guardano fisso verso di me. Alla parola “jam” mi hanno piantato il loro sguardo addosso, ne sento quasi il tipico appiccicaticcio della marmellata, sensazione che distinguo perfettamente dall’appiccicaticcio del tasso di umidità, che avvolge tutto, da questo locale a l’intera Punta Allen, nel suo sudario. Provo un certo imbarazzo. Mi scolo d’un fiato il grog che mi ero versato una strofa fa e, quando riatterra il bicchiere sul tavolo, il sordo tonfo è seguito da uno sciabordio di altro grog versato.

Mi guardano entrambe come se fossi piombato nella loro stanza con grande rumore, disturbando quella quiete di sincronia di intenti, né detta né concordata, chi a disegnare, chi a scrivere, entrambe a raccontare. Nel locale, tutto si può dire, ma non che regni la quiete: se all’improvviso potessi azzerare il volume della musica della band, il sottofondo del vociare la sostituirebbe come la voce che canta a cappella la partitura.

Il mio sguardo è inchiodato in un punto esattamente equidistante tra le due sedie dove sono sedute le due donne. Cerco con la mano il bicchiere, non lo trovo. Cerco il pacchetto delle sigarette, le trovo. Non faccio in tempo ad accenderne una che El Rojo mi presenta a Tati: una ragazza minuta, i tratti del viso ricordano certi folletti di fiabe, l’aria svagata, ma non disattenta, apparentemente svagata perché la sua attenzione si divide su almeno due mondi contemporaneamente: “un mondo che guardi e osservi, un mondo che immagini e sogni”. Tati ha un aspetto coerente con questo luogo, che sta a Punta Allen come l’Apollo 11 sulla superficie della Luna nel luglio 1969.

L’Oste gesticola come un mulinello, mi agita davanti agli occhi dei bellissimi disegni di Tati, alcuni sono solo schizzi, ma già comunicano qualcosa; avverto uno scambio di sguardi d’intesa tra lui e Tati, c’è un codice muto tra loro, che percepisco ma non comprendo. Butto giù finalmente quel bicchiere di grog che cercavo per sottrarmi dall’imbarazzo, il tempo che il liquido raggiunga lo stomaco e inizi una rissa con gli enzimi a chi brucia di più ed El Rojo mi dice: “Se vuoi raccontare una storia con un’immagine vai da Tati, se vuoi raccontarla con le parole…Lei è Melasbacata!…Noi la chiamiamo Mela ”

Rossa di capelli, di una ritrosia naturale, che se non appartenesse all’Homo Sapiens potrebbe rientrare in qualche specie di cucciolo di marsupiale o pesce di tana tra la cernia e la murena, a seconda di come le gira l’umore. El Rojo incalza nella sua presentazione da buon ospite che vuole mettere a suo agio i presenti che non si conoscono, senza accorgersi che sta mettendo a disagio proprio Mela, che gioca con il mio sguardo a nascondino come un gatto…”la sua prosa è fresca, ha un odore di “pulito” come la lavanda, porta felicità, protezione, purificazione e gioia, proprio come la lavanda. Questa donna se fosse musica sarebbe blues, se fosse dolce sarebbe miele. Questa donna è una trappola…”.

“Dò fastidio se mi accendo una sigaretta?” dico già con la sigaretta tra le labbra e chiedendo “fuoco” con lo sguardo a Sergio, che è ormai il portatore e custode del mio accendino. Mentre già mi sto preparando ad attirare la fiamma aspirando con le labbra attraverso il filtro, una voce dall’altra parte del tavolo risuona secca “Sì, dai fastidio…”. Mi giro in direzione della voce e vengo inchiodato dallo sguardo e il sorriso di Mela, tale che riesco a bofonchiare una frase di circostanza: “Nessun problema, prima o poi devo decidere di smettere…”. Sergio, ancora con il braccio disteso verso di me, l’accendino stretto nella mano e la fiamma accesa, mi rivolge un’espressione divertita e sorpresa della serie “machemmminchia dici?!?”, conosce bene la mia dipendenza dal fumo e non può credere a tanta mia remissività: si sarebbe aspettato almeno uno dei miei pipponi sui fumatori educati e non-fumatori poco tolleranti. Le ultime parole di Mela, lo sguardo sorpreso di Sergio e il mio desiderio di sigaretta sfumano nella musica che intanto va…

Cynthia wore the prettiest dress
With different color socks
Sometimes I wondered if the mates where in her lunchbox
Me and Lucy opened it when Cynthia wasn’t around
Lucy cried, I almost died, you know what we found?

La musica cessa inaspettatamente.

Sul lato opposto del locale, il gruppetto musicale inizia un’animata discussione.

Oltre al Principe, sul palco improvvisato – una pedana in legno, un groviglio di cavi, un paio di vecchie casse acustiche e niente di più –  vi sono una donna e un uomo, non sono di colore come il Principe, non sono colore miele come i messicani di qui, non sono di qui. La donna è di statura non particolarmente alta, perché – sebbene sulla pedana – non svetta sugli astanti come ci si aspetterebbe, mora, di una carnagione con una bella abbronzatura che ne dichiara una provenienza da un qualche Sud del Mondo. Sembra davvero alterata, gesticola almeno quanto El Rojo, anzi dal tono e dalla cadenza della sua voce, come fa cadere alcuni accenti sulle vocali, mi ricorda il modo di parlare di El Rojo…Vuoi vedere che sono marito e mo…No! Tanto non glielo chiederò mai! Un’altra figura dimmerda come quella con Narciso non la faccio! Questo dubbio lo porterò nella tomba con me!

Mentre scattano in automatico gli scongiuri di rito, incrocio lo sguardo di El Rojo che mi prende per matto o portatore di piattole nelle mutande. Tolgo subito la mano appoggiata sulla patta in ossequio all’antico rito scaramantico e farfuglio qualcosa per spiegare, ma mi viene fuori solo un gorgoglio di suoni gutturali e senza senso. El Rojo ormai non fa caso a me: è tutto preso dalla discussione tra i componenti della band. Se la sta godendo, è evidente.

La donna è ormai all’apice di una sfuriata epocale, nel più religioso dei silenzi che un locale del genere abbia mai sperimentato, il vociare stesso è ormai un sussurro, come il rumore statico proveniente da una televisione non sintonizzata: dopo pochi minuti, il cervello lo ha già selezionato e lo filtra come se non esistesse.

La donna, in scarpe da ginnastica, jeans e una t-shirt con dei motivi ispirati alla street art urbana dei graffitari, è nel pieno di un sermone in cui la metà delle parole pronunciate è in una lingua che suona come lo spagnolo, ma spagnolo non è. Il significato di queste parole sconosciute è però comprensibile grazie al tono della voce, l’espressione del viso e la sua gestualità: è davvero incavolata abbestia e anche il famigerato scaricatore di porto avrebbe da imparare in quanto a espressioni colorite e di rara efficacia.

Il Principe non è affatto intimorito. Sembra invece divertito. L’altro uomo è quasi annoiato.

L’altro uomo è un bianco, un gringo, ma non americano. Sicuramente europeo: carnagione chiara, che ne dichiara una provenienza da un qualche Nord del Mondo. Veste di nero, jeans strappati in più parti, sulla sua t-shirt appare un simbolo giallo che spicca: è un fulmine. Lo stesso fulmine si ripete nel disegno della sua chitarra. Prova a intervenire nella discussione, ma male lo incorre. La donna a quel punto gli riversa, totalmente in quella lingua così simile allo spagnolo, una carrettata di fonemi e suoni che assomigliano a una rissa tra scaricatori di porto nel peggiore bar di Caracas.

A questo punto, El Rojo si alza.

Il suo volto è una maschera del teatro greco antico. Sta ridendo dentro a crepapelle, ha stampigliato sul volto quell’ampio sorriso posticcio di quelle maschere antiche. E sta per entrare in scena anche lui. Mi fa cenno di seguirlo. Poi guarda in un punto del locale come se ci fosse qualcuno ad attenderlo, fa un cenno con il capo e vedo trotterellare fuori da gambe di tavoli e di folla, il nanerottolo Narciso.

Convergiamo tutti e tre presso il palco. El Rojo in prima linea, Narciso e io appena dietro. Sembriamo una delegazione di pace: l’ambasciatore e la sua scorta di due araldi. Uno e mezzo.

Narciso mi dà una gomitata, che data la sua statura batte al di sotto della mia anca destra, mi fa l’occhiolino e sussurra: “Sta senza pensiero. È cosa ‘e niente…”. El Rojo, nel frattempo, ha scatenato il suo mulinellare gesticolato e – a conferma della mia prima impressione – parla a tratti la stessa strana lingua della donna. Narciso sarà pure nanerottolo, ma in quel corpo concentrato deve avere dei super-poteri. Mi legge la mente e mi fa:”No, levatelo dalla testa: non sono marito e moglie…” e inizia a ridere a più non posso, tanto che tutti interrompono la vivace querelle e lo fissano interdetti e contrariati.

Il nanerottolo si allontana “Scusate, scusate…mmmph…” con una mano sulla bocca e agitando l’altra con il palmo rivolto verso l’esterno tra il saluto e la scusa, il viso come una maschera di smorfie in un disperato tentativo di contratto contenimento. Quando sparisce tra le gambe dei tavoli e delle persone sedute, una risata fragorosa e liberatoria erutta dal suo corpo come il Vesuvio nel 79 d.C.

La dipartita di Narciso dal gruppetto raccoltosi intorno al palco dà l’occasione all’Oste di sedare gli animi: “Ragazzi, mettete da parte le vostre divergenze artistiche: Principe, tiZ ha ragione!…Non puoi ogni volta infilarci un “a solo” di chitarra, che sembra che te la stai sbattendo sul palco, oh! Non che siamo puritani, ma tiZ altrimenti che ci sta a fare!… – il volto della donna trasfigura in un’espressione spaventosa  – Ehm, volevo dire…Che ci sta a fare come vocalist del gruppo?!…E tu, Zeus, dalle una mano e smettila di battibeccare con il Principe! Falla finita tu e le tue variazioni metallare, hard-rock e trash metal….Qua di trash ce ne hai in abbondanza senza che ci metti di tuo. Ma poi lo immagini il Principe a fare la voce “death” ?!?… Dai su, ragazzi che quando vi ci mettete, nel Quintana Roo siete la band – lo pronuncia con uno strano accento yankee molto stentato – “numero 1″!”

E poi assesta il colpo definitivo alla discussione, qualunque essa fosse, usandomi come arma di distrazione di massa: ora capisco anche il motivo per cui mi ha fatto venire con lui. Mi presenta al gruppo musicale.

Il Principe, come già avevo avuto modo di notare appena entrati, ha un magnetismo irresistibile, la tentazione e l’attrazione vengono prodotte come ferormone da questo folletto con la chitarra.

L’altro uomo si chiama Zeus. El Rojo lo definisce “un cenote di conoscenza musicale, che rigenera le orecchie e il cuore” e lui aggiunge: “Sono anni che mi confronto con la musica, ci frequentiamo, usciamo insieme e, al momento del dunque, quando il gioco si fa duro e i duri solitamente sono a casa a mangiarsi la pizza, ecco che mi ritrovo ad essere il classico ragazzo impacciato”. Suona la chitarra e scrive i suoi pezzi. Scrive, scrive molto e prima o poi, dice l’Oste, troverà fortuna fuori da questa bettola e buco di giungla: o come musicista o come scrittore, ma ce la farà. Ne è convinto.

La donna si chiama tiZ, viaggia parecchio, fa la pendolare da Punta Allen a…Qualunque altro posto diverso da Punta Allen; praticamente, è la punta più avanzata della Compagnia di El Bavon Rojo per conoscere eventi e gossip dell’Esterno. L’Oste la chiama “la mia cecchina della musica” per la sua rara abilità di riuscire ad associare perfettamente una canzone o una musica a un’emozione. El Rojo la stringe a sé con affetto, le fa dei larghi sorrisi, che debordano dai lati delle labbra agli occhi, ha con lei una confidenza di gesti naturalmente affettuosi che non ha con altri: questi due hanno lo stesso accento, gesticolano nello stesso modo, hanno qualcosa di profondo in comune che tuttavia mi sfugge…E non è il matrimonio. 

I started a joke …

tiZ inizia a cantare questa canzone e gli altri due le vanno dietro accompagnando la sua voce con le loro chitarre

which started the whole world crying

L’Oste rivolge le spalle al palco e mi fa cenno di seguirlo “Sono la cosa migliore che questo buco umido del Quintana Roo si sia mai meritato! Torniamo al tavolo, che a breve arrivano SilviaticoMastro Birraio‘On Paolo, che è sempre l’ultimo…”

But I didn’t see that the joke was on me oh no
I started to cry which started the whole world laughing
Oh If I’d only seen that the joke was on me

Sto quasi per sedermi sulla sedia che avevo lasciato qualche minuto fa, quando qualche tavolo più in là, nell’angolo più nascosto di quell’ala del locale, si scatena un mezzo putiferio. Un paio di yankee sulla cinquantina, di quelli parecchio beceri, peraltro anche parecchio sbronzi, sta discutendo animatamente con un ragazzo molto più giovane di loro: avrà poco più di ventì anni. Ha la testa rasata, una barba più lunga sul mento, piuttosto “piazzato” e alcuni tatuaggi fanno bella mostra sulla sua pelle abbronzata. Dietro di lui c’è Narciso. Gli yankee devono avere detto o fatto qualcosa a Narciso, perché il piccoletto si dimena come un Rottweiler a digiuno da tre giorni mentre gli agitano una bistecca davanti al muso.

I looked at the skies running my hands over my eyes
And I fell out of bed hurting my head from things that I said
‘Till I finally died which started the whole world living
Oh if I’d only seen that the joke was on me

L’Oste si catapulta letteralmente a quel tavolo, io lo seguo come la palla di ferro, tirata dalla catena legata alla gamba del condannato ai lavori forzati.

I looked at the skies running my hands over my eyes
And I fell out of bed hurting my head from things that I said

L’Oste chiama il giovane: “Ade! Ade!…” Il giovane si gira e mostra una fiammeggiante t-shirt rossa con su una scritta bianca, che non vedevo da molto, moltissimo tempo:

C. C. C. P.

‘Till I finally died which started the whole world living
Oh if I’d only seen that the joke was on me

Vai alla Parte VII: Più si è, meglio è–>

<-Vai alla Parte V: Incontri

Onda sonora consigliata: I Started A Joke di Bee Gees

Vai alle puntate precedenti di Batmancito: Ep.#1Ep.#2#3#4#5

46 pensieri su “Batmancito [Ep.#6] – La Compagnia di El BaVón Rojo

    1. Ok questo è l’inizio, ma a un logorroico grafomane che ti ha riservato un posto accanto a Prince, per il quale hai cantato una canzone dei Bee Gees e fatto atteggiare comm’o masto d’o gruppo, mi aspetto un seguito. A vostro piacere, signurì. I’ stong fino a miezanott’ poi cagne ‘o turno.
      Grazie tiZ per queste parole bellissimie e piene.
      Confesso che ci ho pensato parecchio prima di tirare dentro la storia che hanno contribuito con i loro commenti a Batmancito; per me è un ringraziamento fatto nei modi della Rete: è un invito a partecipare alla storia, a crearne di altre.
      El Bavon Rojo, come le taverne dei pirati o le gilde di avventurieri, è un crogiolo – i più moderni lo chiamerebbero “hub” – di storie.
      Il mio sogno è che ogni blogger citato o chiunque lo voglia, crei una storia ambientata in Messico o comunque che porti in Messico, a Punta Allen, intorno al tavolo di El Bavon Rojo e una bottiglia di rum…o grog.

      Di nuovo grazie e colgo l’occasione per dire che se qualcuno dei citati volesse essere eliminato da questa scalcagnata storia, lo dica che non mi offendo e lo elimino in un battere di clic 😉

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      1. So bene che l’esser stata citata per te ha una valenza importante. Non è un semplice condividi come si trova ormai in ogni dove; tocca il tasto e “Condividi”… È un segno di stima, di ringraziamento, di affetto per chi ti legge, per chi da valore a ciò che scrivi… è partecipazione è comunione. È quel narcisiello che è dentro te , che vive la rete come cosa pulita, educata e carica di meraviglie.
        Non ci sono in te sotterfugi, giochi doppi e mire specifiche. Per questo sono felice quando passo da te. Ma tante cose vorrei dire, ma non è questo il luogo.
        Mi sono divertita a vedermi con gli occhi tuoi: la vajassa che è dentro di me ha dato grande spettacolo chetata da un desiderio più grande: la musica .È vero ciò che dici rojo e tiZ sono fratelli della stessa terra che con empatia hanno già capito cosa intendesse l’altro, senza doversi difendere, senza fraintendimenti. …liberi come due amici lo sono.
        La canzone dei bee non la conoscevo la ascolto ora su questo treno da vacche da macello… 😉

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        1. Questo commento me lo incornicio.
          In verità, la vajassa è una tua idea: non te la ricordi, ma me l’hai data tu in un commento. Poi tanto “vajassa” non è. Vallo a spiegare alla gente “vajassa” cosa vuole dire in realtà: come tante parole in napoletano ha un significato spregiativo e uno “normale”.
          Volevo solo sottolineare la focosità che viene dalla passione, che spesso nel popolo napoletano viene espressa dall’ampia gesticolare e dall’enfasi nel tono della voce: dal crederci nelle cose che uno dice, che al lavoro spesso mi crea più di un problema perché mi prendono per uno “che si agita”. E vaglielo a spiegare alla gente che non è agitazione, non è arrabbiatura, ma solo crederci con tutto me stesso.
          Non potevo che farti cantare, mia cara, immersa come sei nella musica. La scelta della canzone dei Bee Gees ha due ragioni: 1) sei legata a una canzone dei Bee Gees e ho immaginato che avresti avuto piacere a cantarne una 2) il testo si incastrava perfettamente con la genesi di questa scalcagnata storia “I started a joke …”
          Ti attocca una dedica per cotanto commento da cornicetta:
          Una canzone di Paolo Conte interpretata da un gruppo, neanche a dirlo, d’e parti nuoste:

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          1. Capoccio’ e certo che m’arricordo !!! Te l’agg’chiest io. E in effetti se mi fanno arrabbiare vedi come mi dimeno con modalità e linguaggi del luogo. Avevo compeso sia la scelta della canzone per affettività che per l’inizio di una nuova storia; )

            E cheSt è

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                1. Uheuheee!E che è sta manéra! “Non accetto…Piuttosto spiegami…” uèuhééé stai quieta che mmò ti spiego:
                  L’immagine è la schermata di un vecchio videogioco di ruolo, The Bard’s Tale, che giocai allo sfinimento su Amiga.Uno dei primi giochi di ruolo con una grafica simil-3D, con la vusale in prima persona in cui ti muovevi a scatti di 90° come Pac-Man ma in un labirinto 3D che dovevi però disegnarti in 2 D su un foglio di carta per capirci qualcosa. Conservo ancora le mappe su dei fogli a quadretti. Era come giocare a Dungeons & Dragons.
                  Come tutti i giorchi di ruolo, dovevi formare un “party” cioè il tuo gruppo di avventurieri, che potevi scegliere tra alcuni classi e razze, con caratteristiche diverse.
                  L’immagine che vedi è quello della Gilda, dove tutto inizia e crei il “party” e dove ritorni quando ti occorre salvare e caricare ia tua partita, che è essenziale perché non puoi salvare il gioco dove ti pare; puoi farlo solo qui e ti assicuro che dopo ore passate a combattere, ritornare con il party mezzo morto fino alla Gilda aveva davvero il sapore di “salvezza”, di una doccoa dopo la traversata del Sahara.
                  Il “party” è composto dai blogger che hanno contribuito a Batmancito con i loro commenti; i numeri sono delle statistiche che indicano le caratteristiche e la condizione dei personaggi. L’ultima colonna indica la classe: tu sei un bardo, guarda caso…
                  Questo il link per i dettagli di The Bard’s Tale

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  1. Zeus

    Ti ringrazio redbavon! Sono estremamente felice di essere nella taverna. E poi mi hai messo in mano una chitarra, mi hai messo nel cuore una canzone… cosa posso volere di più? E i complimenti? Fortuna che non ho ancora inviato il bonifico, secondo me devo caricare qualche euro in più.
    Te lo meriti.
    Una storia ambientata nel Messico o nella taverna? Sì, lo posso fare. Nel mio stile, con i miei evergreen… ma la faccio. Perché una taverna, per essere tale, deve essere piena di storie, di personaggi e di grandi bevute.
    E, per quanto posso, cercherò di contribuire con ciascuna di esse.

    Ps: adesso che ho finito la mia, di storia, sono libero di scrivere sia le cartoline del calcio che questa!

    Grazie ancora.

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    1. Mi rendi felice! Sì una taverna ha bisogno di bardi, avventurieri e storie! Ho pensato: ma noi blogger siamo chi un po’ bardo, chi un po’ mago, chi un po’ guerriero, chi un po’ paladino, chi un po’ bardo….le storie ce le abbiamo. Manca una taverna, la Gilda è troppo settaria, voglio una taverna dove chiunque può entrare, sedersi con noi, ascoltare soltanto oppure partecipare con un proprio racconto. Dove la apro questa taverna? In riva al mare dei Caraibi, il mio sogno. In un luogo perduto dagli uomini, ma non dimenticato da Dio perché è uno spicchio di paradiso in terra. Ci vuole però del sano spirito politicamente scorretto come quello dei pirati e una buona dose d autoironia alla Monkey Island e , infine, in quanto a “spirito” non può mancare il carburante alcolico e musicale!
      La parola d’ordine è “Steveme scarZ!”, accomodati: mi casa es tu casa.

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      1. Zeus

        Infatti, l’idea mi piace! E lo dico perché io, sul mio blog, ho declamato più volte la necessità delle collaborazioni fra blogger. Basta con il “signorotto” del blog, avanti con collaborazioni, interazioni, crescite e sviluppi. Mi piace.
        Io ci provo a scrivere.. ma vuoi che ti mando il risultato via email? Così la puoi inserire nella taverna!?

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    1. 😀
      Narci’ va a ripiglia’ Ego, che quando poi si allontana troppo da Tati si mette paura…Qua stanno i soldi…Pigliatevi due gelati e poi tornate a El Bavon….Pare che Tati ha trovato la strada per l’amata bettola. Mi raccomando. Acchiappa a Ego, gelato e subito a casa. Se ti ripiglio come l’altra volta a dare fastidio alle donnine di quel locale che sai tu, non ti salva nemmeno la Madonna di Pompei….Nano avvisato, mezz…Tutto salvato eh!

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        1. Oddio se mi rifai l’insegna, penso che potrei esserti grato a vita! Dico, quella vera. Io l’ho fatta con le limitatissime risorse, ma se ci metti le mani tu, io…io…
          …TONF
          … …

          Ciao, sono Narciso, tu sei Tati, vero? Qua ci sta Ego…Il mio socio non può risponderti: è svenuto.
          Schiantato, direi.
          Che botta, guagliu’
          Speriamo che non si è fatto male…

          No, non si è fatto male…Dovresti vedere il sorriso beota che ha stampigliato ncopp’a faccia…Tranquilli, è solo svenuto. È cos’è niente. State senza pensiero.
          Ego, ascimme ja’, ci Jamme a piglia’ natu gelato…Tanto prima che chiste si risveglia….Piacere Tati. Con il vostro permesso, signuri’

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            1. Tranquilla, davvero. Dico serio: se hai il tempo e con la pazienza che manco Giobbe avuto. Non ti può venì male: so che la fai con il cuore. Mi è sufficiente anche il solo pensiero, guarda. Se poi un giorno, potrò sfoggiare un’insegna come una webbettola comanda, toccherà cercare del morbido…Avvisa eh, che cerco un divano dietro.
              urcamaluraostregabojafaust che botta…

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  2. Porca miseria!… Se non mi si fosse arenato il pick-up nella sabbia (in sei per tirarlo fuori), sarei arrivato in tempo almeno per la bagarre di chiusura!… Non è molto credibile come scusa, vero? Soprattutto per uno che si sposta in infradito… Vabbè… Ma il principe se n’è già andato, vero? Che spettacolo tiZ sul palco, e Zeus!!… Mo’ prendo la mia prima pinta e entro in clima… Vi raggiungoooo!
    [PS. Red, sei fantastico! Un vulcano!…]

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        1. Puoi dirlo forte! Quel gran satanasso del vecchio Zio Kit Carson è il mio idolo!
          Ken Parker è narrazione troppo alta per questo contorto pianista di saloon. Ero un avido lettore di Bonelli, oggi ahimè, tra lo spazio tiranno e il tempo ancora più tiranno, sto a stretta dieta e occasionale quanto nostalgico lettore.

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  3. Pingback: Batmancito [Indice] – Pictures of You

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